Vuoi diventare più forte nella trazioni ma non hai idea di come fare? Questo articolo potrebbe fare al caso tuo. Buona lettura!
Introduzione
Non molto tempo fa ho caricato sui social un video inerente un mio test massimale di weighted pull up (trazioni prone zavorrate). Quindi mi sono detto, perché non approfittarne e parlare del mio umile percorso nel mondo delle trazioni?
Iniziai ad interessarmi a questi esercizi di tirata diversi anni fa, quando praticavo sport fortemente aerobici e non avevo la forza per eseguire con una tecnica decente nemmeno un sollevamento alla sbarra.
Un primo approccio ragionato
Resomi conto del mio deficit generale di forza mi intestardì e decisi di dedicare alle trazioni il tempo che meritavano. Iniziai a lavorare sulle trazioni prone (pull up) eccentriche. Portavo il mento poco sopra la sbarra aiutandomi con un salto più che con le braccia e successivamente mi “lasciavo cadere” – braccia che si distendono e corpo che scende verso il basso -, concludendo poi la seduta dedicandomi a alle trazioni supine (chin up).
Una seduta del me dell’epoca poteva essere grossomodo questa (serie x reps):
Pull up (eccentriche 3″)
4-5×8-10
Chin up
3×4
Le trazioni supine, notoriamente più semplici, le eseguivo intere, senza salti o trucchi per facilitare la cosa. In certi periodi l’intera sessione di allenamento era effettivamente solo quella riportata sopra, altre volte invece vi erano anche altri esercizi per il petto, bicipiti, eccetera.
Ricordo di essere andato avanti così per non più di 3 mesi, per poi passare ad un’altra routine di cui avevo già parlato in un altro articolo: Trazioni – Un programma da fare (se siete scarsi) #TCback. Ossia l’accumulo di un discreto volume di lavoro (numero di ripetizioni totali) in un tempo ristretto. Per darvi un’idea del da farsi, vi riporto qui sotto la prima delle 6 settimane di lavoro (due allenamenti a settimana).
A) Pull up
5×2 (1′ rest)
B) Pull up
6×2 (1′ rest)
Per ulteriori informazioni vi rimando all’articolo citato poc’anzi.
Dopo qualche mese passai finalmente ad eseguire alcune trazioni prone di fila ed i programmi iniziarono ad essere più simili a ciò che riporterò ora qui sotto…
Pull up
4×7
Chin up
3×8
Rematore bilanciere
4×10
La svolta
Mi sono allenato con schemi sulla falsariga di quello mostrato nella tabella precedente per un paio d’anni, ottenendo dei miglioramenti che mi hanno portato ad avere un massimale di 10 pull up eseguiti di fila. Ma a un certo punto ho avuto la sensazione di stallare un po’ troppo, non riuscendo quindi più a progredire. Ho optato allora per un programma di allenamento che avevo trovato online qualche anno addietro (onestamente non ricordo dove).
Pull up
1xmax reps
Pull up
4×50% max
Rematore con manubrio
4×8
Dopo il riscaldamento si tenta subito un massimale di trazioni (una serie a cedimento), dopodiché si passa a fare quattro serie di trazioni con un numero di ripetizioni pari alla metà delle ripetizioni effettuate durante quell’1xmax reps. Successivamente ci si concede un esercizio complementare che può essere un rematore come una lat machine, un pulley e così via. Facendo un esempio ancor più concreto, una seduta di allenamento potrebbe essere la seguente: 1×12 pull up (max reps), seguiti da 4×6 pull up e 4×8 di rematore.
Alternando la preparazione atletica al mio sport (le MMA) non ho potuto ripetere sedute come questa per più di una volta a settimana, ma nonostante il volume di allenamento non eccessivo sono comunque riuscito ad ottenere dei miglioramenti tangibili. Dopo 8 settimane di allenamento sono arrivato ad eseguire 15 trazioni pulite, cosa quasi impensabile se penso che qualche tempo prima facevo fatica a chiudere una singola ripetizione.
Forza massimale (aumentare l’1RM)
Dopo il buon risultato ottenuto sul numero di trazioni eseguite di fila, mi sono deciso ad iniziare a zavorrarle tramite una apposita cintura. Perché va bene mettersi alla prova sulla forza resistente, ma è bene misurarsi anche in altri modi. In breve, per 6 settimane mi sono allenato eseguendo alcune serie di trazioni zavorrate, seguite da due esercizi più incentrati sull’ipertrofia.
Weighted pull up (15 kg)
3×5
Weighted pull up (20 kg)
3×3
Rematore con manubrio
4×8
Pull down ai cavi
4×15
Come già accennato, ho seguito questo schema per 6 settimane consecutive (una sola seduta settimanale) e subito dopo ho tentato un nuovo record personale. Dopo un buon riscaldamento ho eseguito tre trazioni alla sbarra. La prima con 30 kg, la seconda con 32.5 e la terza con 36. Purtroppo quest’ultimo tentativo non è andato a buon fine (il mio mento non ha superato la sbarra). In ogni caso, posso dirmi molto soddisfatto della prova.
Conclusioni
Quel che ho fatto non è stato nulla di bizzarro o geniale. La forza è una capacità condizionale ma i singoli esercizi sono delle skills. Vuoi diventare forte nelle trazioni? Allenati facendole. Vuoi diventare forte nelle distensioni su panca piana? Allenati facendole! Va specificato che è importante non cadere nell’erroneo ragionamentoforza = ipertrofia, dato che l’allenamento della forza massimale (poche ripetizioni ad alti carichi) può generare un certo sviluppo muscolare ma in ottica bodybuilding & fitness vi sono delle vie più ottimali per crescere.
Cercate degli esercizi da implementare nelle vostre routine di allenamento per eseguire un riscaldamento ben fatto o lavorare sulla mobilità? Allora avete trovato l’articolo giusto! Quelli che seguono sono degli esercizi da eseguire all’inizio della seduta di lavoro, considerabili come un riscaldamento o dello stretching dinamico. Alcuni di questi, eventualmente, possono anche essere svolti in sessioni a parte.
Buona lettura!
Introduzione
Il riscaldamento è quell’attività che introduce al compito motorio cardine dell’allenamento vero e proprio. E’ un elemento importantissimo per prevenire gli infortuni, innalza la frequenza cardiaca, aumenta la temperatura corporea, migliora la risposta dell’apparato cardiovascolare a sfrozi intensi, ottimizza l’utilizzo di substrati energetici rilasciando glucosio nel circolo sanguigno, e così via. Lo stretching possiamo invece definirlo come quell’insieme di tecniche volte ad aumentare la flessibilità di un individuo, tenendo a mente che la flessibilità è l’insieme della mobilità articolare e dell’estensibilità dei muscoli.
Qui di seguito i nomi e le illustrazioni di alcuni esercizi consigliati. Per comodità i nomi sono in inglese, in certi contesti è più comodo ricorre a dei termini più internazionali in modo da non creare confusione (le immagini sono prese da qui).
Fire hydrant
Hip circle
Scorpion
Lateral leg reach
Cat-Cow
Bird dog
Straight-leg series
Side-lying abduction
Side-lying adduction
Supine hip rotation
Supine hip bridge
Ankle rockers
Air squat
Toe grab
Trunk rotation
Flexed trunk rotation
Bent-over scapularretraction
Bent-over T
Bent-over 90-90
Knee hug
Straight-leg march
Tall side slide
Carioca
Skip
Lateral skip
Backward skip
Ovviamente questi sono solo alcuni dei mille esercizi pre-atletici che si possono inserire all’inizio delle proprie routine di allenamento, includere tutti quelli esistenti richiederebbe un’enciclopedia.
Esempio pratico
Qui di seguito l’esempio di una routine di allenamento contenente alcuni degli esercizi riportati nel precedente paragrafo. Sbizzarriamoci.
Prima dell’inizio di una seduta di strength & conditioning (esempio 1).
Esercizio
Ripetizioni, tempoo distanza
Jump rope
3×3′
Skip
3×20-30 m
Carioca
2×20-30 m
Backward skip
3×20-30 m
Knee hug
5-10 (a gamba)
Straight-leg march
5-10 (a gamba)
Supine hip rotation
5-10 (a gamba)
Toe grab
10
Cat-cow
10-20
Trunk rotation
10 (a lato)
Flexed trunk rotation
10 (a lato)
Bent-over T
10
Warm up specifico
Prima dell’inizio di una seduta di strength & conditioning (esempio 2).
Esercizio
Ripetizioni, tempoo distanza
Corsa lenta
5-10′
Skip
3×20-30 m
Tall side slide
2×20-30 m
Backward skip
3×20-30 m
Knee hug
5-10 (a gamba)
Straight-leg march
5-10 (a gamba)
Supine hip bridge
10
Air squat
10
Flexed trunk rotation
10 (a lato)
Cat-cow
10-20
Bent-over scapular retraction
10
Bent-over 90-90
10
Warm up specifico
Quel “warm up specifico” sul finale, sta a significare che dopo un riscaldamento generale si passa ad uno più simile a quel che poi dev’essere fatto nella parte centrale dell’allenamento vero e proprio. La seduta è incentrata sulla corsa veloce? Allora, dopo il warm up generico, si fanno degli sprint di moderata intensità e/o degli allunghi sui 60-100 metri. Oppure il workout riguarda l’allenamento della forza tramite la panca piana e lo squat? Allora la ricetta consigliata da seguire è warm up generale + panca piana con bilanciere scarico e/o carichi molto leggeri (stessa cosa per lo squat).
La forza è importante negli sport da combattimento? Sì, ma quanta? E di che tipo? Va anche aggiunto che di sport da combattimento (SdC) ce ne sono molti, più o meno famosi, alcuni anche molto diversi fra di loro… Allora vediamo di far chiarezza, possibilmente in breve, su domande affliggono innumerevoli persone, anche fra gli addetti ai lavori.
Un “caso-studio”
Roby, un simpatico ragazzo che seguo da un po’, ha 25 anni pratica in forma agonistica savate (boxe francese) e kickboxing/k-1. Ragazzo longilineo, dal peso che oscilla fra i 75 ed 80 kg. Dalla sua non ha una grandegenetica, infatti fatica a mettere su massa muscolare ed ha le articolazioni particolarmente fragili (predisposizione?). Però gli va riconosciuto un pregio: la grande etica del lavoro, una resilienza degna di certi atleti professionisti. Fra un acciacco al gomito, uno al ginocchio ed un altro al petto, appena riconquistata una buona condizione di salute, gli ho programmato una scheda di allenamento della durata di sole 8 settimane (due mesi circa). Per farla breve, tre sedute di allenamento coi pesi a settimana con un certo focus sui multiarticolari (distensioni su panca piana e squat). Il precedente carico massimale (1RM) sollevato alla panca piana era di 73 chilogrammi, tempo di aumentarlo, no?
Quanta forza serve negli sport da combattimento?
Come avevo già accennato qui: «Le differenze inerenti l’utilizzo delle capacità condizionali negli SdC dipendono principalmente dalla velocità con cui una forza viene applicata. Con lo sviluppo di tensione, nel muscolo si verifica un accorciamento, questo accorciamento avviene in una determinata quantità di tempo, per cui, secondo la relazione fisica spazio/tempo si può riuscire a quantificare il tempo in cui questa contrazione avviene. Per sviluppare la massima forza esprimibile necessaria per un determinato movimento occorre tempo. Il tempo per raggiungere il picco di forza varia da persona a persona (leve, coordinazione inter e intramuscolare, fibre muscolari, capacità di reclutamento) e dal tipo di movimento […] Il jab di un abile boxeur (colpo dritto e rapido) si muove con una velocità ben diversa rispetto ad una normale proiezione di un lottatore (hip toss, double leg, single leg…). […] Il pugile non esprimerà mai e poi mai tutta la sua forza in quel colpo, è impossibile, i suoi segmenti corporei ed i relativi muscoli si muovono troppo velocemente, non c’è il tempo necessario per sviluppare grandi livelli di forza. Al contempo, il lottatore portando un takedown sarà un po’ più lento ma riuscirà ad imprimere molta più forza in quella tecnica […] Bisogna quindi fermarsi un attimo a riflettere per cercare di comprendere cosa serve per lo sport che si pratica». Negli sport da combattimento una buona base di forza è sempre utile, se non indispensabile per competere ed ottenere risultati soddisfacenti in gara. È importante specificare che tutte le espressioni di forza sono altamente dipendenti dalla forza dura e pure, cioè quella massimale. Allenando la forza massimale – alti carichi spostati a basse velocità – vi sarà un miglioramento “a cascata” di tutte le altre forme di questa capacità bio-motoria, come la forza esplosiva, forza resistente o forza veloce. Riguardo ad eventuali classificazioni, trovo molto condivisibile quella fatta dal più navigato collega Alain Riccaldi in un suo vecchio articolo, dove stilava la seguente lista:
Come facilmente intuibile, gli sport di rapidità “colpisci ed esci” sono quelli dove è richiesta meno forza massimale, mentre per quelli fatti di proiezioni, sollevamenti ed eventuali contrazioni statiche il discorso è l’opposto. Vi sono poi alcune discipline intermedie come muay thai dove la questione è più un “50 e 50”, lì la forza massimale conta – pensiamo ai lunghi clinch ed agli sbilanciamenti – ma è assai importante anche la forza rapida (colpi, spostamenti). In ogni caso, seppur in misura differente, ogni capacità bio-motoria dev’essere allenata per ogni singolo SdC. Al lottatore, judoka o grappler serve molta forza massimale, ma abbisognerà anche di esplosività e rapidità. Allo stesso modo, al kickboxer non servirà solo rapidità ma anche un certo livello di forza, potenza, capacità aerobica e così via. Superfluo (o forse no?) specificare che queste nozioni sono rivolte principalmente a fighter agonisti, desiderosi di incrementare le proprie performance ed eccellere sul tatami, ring o gabbia.
Quanta forza serve per combattere?
La verità assoluta non la possiede nessuno, ma anche in questa occasione sono è estremamente verosimile quanto scritto qui, con delle cifre che per gli atleti professionisti, riferite al più alto carico sollevabile (1RM), sono indicativamente le seguenti:
Ovviamente non è detto che un programma di allenamento debba necessariamente includere tutti questi esercizi. Io, prendendo spunto da queste indicazioni, accamperei dei numeri anche per gli atleti dilettanti, prendendomi la libertà di aggiungere un esercizio in più:
Il “BW” sta per peso corporeo (bodyweight), quindi la dicitura “Panca Piana (1RM) 1.25-1.5xBW” sta ad indicare che un livello di forza ideale, espresso sulla bench press, per un pugile professionista del peso di circa 70 kg corrisponde a un valore oscillante fra gli 87.5 (70×1.25) ed i 105 chili (70×1.5). Cifre invece un po’ più modeste se è un dilettante (70-87.5 kg).
Il programma di allenamento
Il precedente massimale del mio atleta-cliente sulla panca piana era di 73 kg, eseguiti tra l’altro con una bottiglietta incastrata al centro del petto, in modo da ridurre il ROM e limitare i fastidi a una spalla, e sono bastate otto settimane per incrementarlo di 7 kg a full ROM (quasi +10%). È importante specificare che un simile miglioramento è un buon risultato ma nulla di eccezionale, contando poi che il precedente record personale era mediocre. Contestualizzando però il tutto, il risultato ha un sapore di vittoria: Roby aveva alcuni infortuni pregressi e in meno di due mesi ha acquisito forza e sicurezza sia sulla panca che sullo squat.
Riguardo all’appena citato squat, non avevamo dei numeri su cui basarci poiché visti gli acciacchi al ginocchio non avevamo mai spinto troppo su questa alzata (in futuro sarà diverso). In ogni caso, 86 kg di massimale è un discreto punto di partenza, nei prossimi mesi la musica sarà ben diversa (almeno spero).
Ma ora veniamo al punto forte, il programma. Spesso le cose semplici funzionano e questo ne è un lampante esempio: 8 settimane di periodizzazione lineare dove col passare del tempo l’intensità di carico (kg sul bilanciere) è aumentata, a scapito del volume. Niente di più basilare. In ogni caso, il lavoro prescritto ed eseguito in home gym è stato il seguente:
Settimana n.8: due sessioni dedicate al test dei massimali (Panca e Squat).
Le prime tre settimane sono state più voluminose che intense, il contrario per le tre successive. Per la settima vi è stato uno scarico attivo e l’ottava i tanto temuti test. È stato fatto il possibile, dato che in fin dei conti parliamo di una home gym. Come avrete notato, vi è stato anche un discreto lavoro accessorio, con esercizi “non fondamentali” volti anche all’aumento della massa muscolare (prescritti su richiesta dell’atleta stesso). Roby, oltre all’allenamento coi sovraccarichi, ha eseguito in solitaria anche del lavoro tecnico sullo striking, specifico per il proprio sport, elemento qui non approfondito perché esula dal focus dell’articolo.
Come visibile qui sopra, meno di tre mesi dopo il massimale è incrementato di ulteriori 8 chilogrammi (da 80 a 88). Eseguendo coi pesi un lavoro sulla falsariga di quello eseguito nei mesi precedenti. Di Roby ed il suo programma è stato detto molto anche in questo video.
Conclusioni
Il più è già stato detto. Cose relativamente semplici, progressioni sensate ed obbiettivi ragionevoli sono la chiave dei miglioramenti sul lungo periodo. La costanza negli allenamenti ed un minimo di fortuna faranno il resto; messo nelle giuste condizioni chiunque può migliorare. Se volete saperne di più potete contattarmi qui oppure sui social. In ogni caso, allenatevi.
Ennesimo articolo sugli sport da combattimento, questa volta il topic è quello dello sviluppo di forza speciale per sport lottatori come la lotta stessa – sia libera che greco-romana – o il grappling, le arti marziali miste e così via. Il tutto parte da uno spunto arrivato tramite l’account IG di un preparatore atletico russo. Per questa esercitazione basta un wrestling dummy (il sacco-omino nero) ed un partner di allenamento, ma prima occorre fare un passo indietro mettendo alcuni puntini doverosi sulle i.
Una definizione
La forza massimale rappresenta il più alto grado di forza che il sistema neuromuscolare ha la possibilità di esprimere in una massima contrazione volontaria, mentre la forza speciale indica «la forma di manifestazione della forza tipica di un determinato sport o il suo correlato muscolare specifico (cioè, i gruppi muscolari che partecipano ad un determinato movimento sportivo)».1 A seconda della velocità e del movimento generato esistono più classificazioni, ma al momento non ci occorre approfondirle.
Dalla teoria alla pratica
Ora vi invitiamo a guardare il breve video riportato qui sotto.
Partendo dal presupposto che è necessario uno schema motorio ben consolidato prima di sottoporsi ad allenamenti di forza speciale, quanto mostrato in video non è nulla di particolarmente innovativo o bizzarro. L’esercizio è quello del gut wrench, una proiezione utile a controllare, fare punti e dominare un avversario in gara. Il fighter tenta di eseguire dei gut wrench vincendo la resistenza esercitata da una seconda persona, il tutto per un determinato quantitativo di tempo. Esercitazioni simili hanno il pregio di poter rendere più intensi (zavorrare) esercizi specifici, facenti quindi parte dello sport in sé, ma senza alterare più di tanto la tecnica e la biomeccanica del gesto.
Un esempio
Andando più nel concreto quello che segue è un modo per allenare la forza massimale speciale con il buon vecchio metodo a contrasto che avevamo già trattato qui e qui (entrambe letture consigliate).
Per allenarsi bene non servono routine di allenamento particolarmente complicate o macchinari costosi. Relativamente pochi esercizi, ben eseguiti e collocati in un programma di allenamento intelligente, adeguatamente periodizzato. Se siete alla ricerca di ulteriori approfondimenti potete visitare la nostra sezione inerente la preparazione atletica, oppure farvi seguire per un prezzo onesto.
Il mal di schiena, patologia estremamente comune, è qualcosa di parecchio studiato in letteratura scientifica. Vediamo cosa dicono i più recenti studi.
Buona lettura!
Introduzione
Con la celebre dicitura “low back pain” (LBP) si intende la lombalgia comune, quella che colpisce la bassa schiena delle persone. Questa patologia consiste in un dolore persistente, spesso accompagnato da limitazioni funzionali più eventuali strascichi psicologici.
Ogni anno il low back pain colpisce molti adulti in età lavorativa1, basti pensare che negli USA è il disturbo muscolo-scheletrico più comune riscontrato negli accessi al pronto soccorso2 e nel 1998 è stato stimato i costi sanitari legati ad esso siano stati di circa 90 miliardi di dollari2. Secondo l’OMS, circa l’80% delle persone soffre almeno una volta nella vita di mal di schiena3.
Come vedremo più avanti, ci sono prove abbastanza solide circa l’utilità del movimento e di un corretto stile di vita per la prevenzione del mal di schiena.
Basi di anatomia e fisiologia articolare
Come già spiegato in passato, la colonna vertebrale è una complessa ed estesa struttura osteofibrocartilaginosa. va dal capo al coccige. Ha una lunghezza media di 70 cm per gli uomini e di 60 cm per le donne, consta di cinque regioni le quali hanno un numero variabile di vertebre (solitamente 33).
Regione cervicale: consta di sette vertebre (C1,2,3,4,5,6,7), le prime due, più famose, sono l’atlas (C1) e l’axis (C2). La regione cervicale regge la testa e permette al collo una grande escursione articolare.
Regione dorsale(o toracica): è formata da dodici vertebre (T1-12), è la regione più ampia di tutta la colonna vertebrale, inoltre, unendosi alle costole forma la cassa toracica. Questo tratto possiede una rigidità elevata per evitare movimenti, specialmente flessioni, troppo bruschi e pericolosi.
Regione lombare: composta da cinque vertebre (L1-5), la sua struttura è particolarmente robusta e mobile.
Regione sacrale: consiste in un unico osso composto dalla fusione di cinque vertebre.
Regione coccigea: osso formato dalla fusione di quattro-cinque vertebre.
Le principale funzioni della colonna vertebrale sono le seguenti: sostegno strutturale, supporto e protezione del sistema nervoso centrale e periferico, stabilità e protezione degli organi interni; le vertebre sono connesse mediante un disco fibrocartilaginoso, forte ed elastico, il quale fa da ammortizzatore e permette un certo movimento. Questo disco è chiamato disco intervertebrale.
Prima di concludere il paragrafo è d’obbligo focalizzarsi un attimo sulle “curvature” della colonna. Se osservata lateralmente, saltano all’occhio le due convessità posteriori, dette cifosi e le due convessità anteriori: le lordosi. Rientrano nel primo gruppo la zona toracica e sacrale, sono invece delle lordosi la zona cervicale e quella lombare.
Questa alternanza di curve, fa sì che la colonna vertebrale sia piuttosto mobile e resistente, garantendo l’equilibrio in posizione eretta. Le lordosi permettono gradi di movimento molto maggiori rispetto alle cifosi, specialmente la regione lombare, la quale ha una curvatura un po’ più marcata. Nella figura sopra, si può osservare come un curvatura eccessiva (iperlordosi, ipercifosi) anche di una sola regione, alteri inevitabilmente anche gli altri tratti della colonna (linea gialla).
Mal di schiena: tassonomia
Esistono due macrocategorie di mal di schiena: quello aspecifico (non-specific low back pain) e quello specifico (specific low back pain)5. L’aspecifico non è attribuito ad una precisa e dimostrabile causa patologica23, discorso diverso per quello specifico che a seconda della causa a cui è riconducibile (e dei sintomi) può rientrare nella sfera di competenze di diversi specialisti19.
Nonostante le raccomandazioni delle linee guida, non è possibile identificare una causa patoanatomica specifica del dolore nella maggior parte dei pazienti e solitamente si ricerca una causa strutturale del LBP e la si studia utilizzando la diagnostica per immagini. […] Fortunatamente, la maggior parte dei fattori di rischio del LBP sono modificabili.
Zaina F. et al, 2020
È inoltre nota a livello internazionale un’altra classificazione basata sulla permanenza temporale del dolore6. Se il dolore ha una durata inferiore alle 4 settimane il mal di schiena viene allora definito come acuto (solitamente in questo breve periodo si agisce sui sintomi), quando invece la presenza del dolore perdura (4-12 settimane) – con un’aggravarsi della situazione fra stress, disturbi del sonno, problemi motori, ecc. – si ha un mal di schiena subcronico. Superate la 12 settimane si può parlare a tutti gli effetti di mal di schiena cronico.
Popolazione, guarigione e aspetti psicologici
Stando a una revisione sistematica di Hoy D. e colleghi4 la prevalenza dei sintomi tipici del low back pain (LBP) presenta un picco tra i 40 e i 69 anni. Sono inoltre più colpite dal LBP le donne rispetto agli uomini e la patologia è più comune nelle nazioni economicamente più ricche (ciò ovviamente non significa che nel secondoe terzo mondo sia assente)7,8.
Sopra, la prevalenza media del LBP in base alle varie fasce d’età, con un confronto fra i sessi (Hoy D. et al, 2012). Come concludono gli stessi ricercatori nello studio citato poc’anzi: «Con l’invecchiamento della popolazione, è probabile che il numero globale di individui con lombalgia aumenti notevolmente nei prossimi decenni».
Il LBP, disordine muscolo scheletrico, speso ha una “guarigione spontanea” (nel giro di al massimo 6 settimane il dolore scompare)9. In concreto, una nota meta-analisi del 2017 ha osservato una guarigione spontanea su oltre il 65% dei pazienti colpiti da ernie lombari20, percentuale grossomodo confermata da un altro lavoro pubblicato nel 2020 su BMC Musculoskeletal Disorders21. I casi di guarigione spontanea sul lungo periodo, com’è ovvio che sia, fanno mettere un po’ in discussione un certa visione della sala operatoria come unica via per la guarigione di un paziente.
La chirurgia può essere presa in considerazione per i pazienti con sintomi gravi che non presentano una regressione (dell’ernia lombare, ndr) dopo 4 mesi dall’esordio (dei sintomi) e consigliamo vivamente un intervento chirurgico per coloro che non presentano una regressione dopo 10 mesi e mezzo.
Yi Wang et al., 2020
Tuttavia, non va ignorata quella minoranza di persone – minoranza nemmeno troppo piccola – che non si riprende con un trattamento conservativo. Altri studi hanno osservato casi di recidività dove su tre pazienti guariti, uno tornava a soffrire di mal di schiena, anche in maniera lieve, palesando quindi una guarigione incompleta10. Nella maggior parte dei casi, la lombalgia si cronicizza su persone con una vita sregolata24,25,26 (problemi psicologici, stress, carenza di sonno): «Disturbi del sonno e grande stress, ad esempio, possono causare iperattivazione delle cellule gliali e quindi un’infiammazione di basso grado, che porta a sensibilizzazione centrale e a del dolore diffuso»25.
Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30. Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30.
Zaina F. et al, 2020
Va sottolineato che il LBP, definibile come lombalgia comune e disordine muscolo scheletrico, non è una lombosciatalgia. Si parla infatti di lombosciatalgia quando il dolore dalla zona lombare si estende a un arto inferiore. Stando a quanto riportato dall’European Journal of Pain28, una grossa parte – quasi il 40% – dei casi di mal di schiena cronici e disabilitanti (follow-up di 14 mesi) sono correlati alla comparsa di dolore in altre parti del corpo.
Un ultimo dato interessante è l’apparente inutilità del trattamento manipolativo e farmacologico sul dolore provocato dalla lombalgia acuta22 (grafico sotto).
E naturalmente non vanno sottovalutati gli aspetti psicologici del mal di schiena: «Mirare ai fattori psicologici associati al LBP, non solo ai fattori fisici, può aiutare a migliorare la gestione dei pazienti con LBP»11.
Sopra, due differenti tipi di approccio al dolore (Chris J. Main et al., 2002).
«Effects of confrontation or avoidance of pain on outcome of episode of low back pain: fear of movement and re-injury can determine how some people recover from back pain while others develop chronic pain and disability»12.
Inoltre, i recenti limiti applicati agli spostamenti della vita quotidiana per far fronte alla pandemia da COVID-19, sembrano aver influito negativamente sulla salute della schiena di una parte della popolazione adulta. Forse per l’aumento della sedentarietà e dello stress generale13.
Cause e fattori di rischio
Solitamente, problemi meccanici e lesioni ai tessuti molli sono la causa della lombalgia. Queste lesioni possono includere danni ai dischi intervertebrali, compressione delle radici nervose e movimento improprio delle articolazioni spinali.
John Peloza, MD – Causes of Lower Back Pain (2017)
Da qualche anno a questa parte, studi scientifici evidenziano come i fenomeni degenerativi della colonna vertebrale rilevabili tramite RM (risonanza magnetica) e TAC siano piuttosto frequenti non solo nei soggetti che soffrono di mal di schiena ma anche in altre persone completamente asintomatiche. Una review pubblicata sull’American Journal of Neuroradiology14 (tabella sotto) ha messo in luce un fatto interessante: molte delle degenerazioni della colonna vertebrale riscontrate nei classici esami medici sono parte di un fisiologico processo di invecchiamento del corpo umano non necessariamente associato alla comparsa di dolori.
Come inequivocabilmente mostrato dai numeri, anche i più giovani hanno degenerazioni discali, protrusioni, degenerazioni delle faccette articolari, ecc.
L’eziologia multifattoriale della lombalgia comune fa’ sì che, purtroppo, non sempre le cause siano facilmente inquadrabili, specialmente quando si parla di lombalgia aspecifica. L’insieme di cofattori colpevoli del non-specific LBP sono i seguenti:
Atteggiamenti psicologici sbagliati nei confronti del dolore15,16,27.
Dati alla mano, pare che la fattori genetici individuali giochino un ruolo cruciale sulla predisposizione o meno al mal di schiena24. Un recente ed ampio studio genetico27 ha notato come molti pazienti sintomatici abbiano una naturale predisposizione a palesare dei problemi anatomico-strutturali (come problemi ai dischi intervertebrali e antropometrici) e psicologici nei confronti del dolore (percezione ed elaborazione dello stesso). I processi degenerativi delle strutture della colonna vertebrale (vertebre, dischi, anelli fibrosi, faccette articolari, muscoli paraspinali, ecc.) avanzano in parallelo, rendendo difficile capire quali fattori o combinazioni di fattori possano avere più o meno a che fare col dolore23.
Vi è inoltre il mal di schiena tipico della gravidanza che in letteratura scientifica viene così abbreviato: LBPP (low back pain and pelvic pain)17.
La maggior parte delle donne incinte soffrono di lombalgia, nonostante i fisiologici adattamenti strutturali al sovraccarico dato dal feto17,18. Inoltre: «LBPP during a previous pregnancy, body mass index, a history of hypermobility, and amenorrhea are factors influencing the risk of developing LBPP during pregnancy» da Ingrid M. Mogren et al. (2005).
Prevenzione
In campo medico esistono tre differenti livelli di prevenzione: quella primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria è quella mirata all’utilizzo di comportamenti (e abitudini) finalizzati a prevenire a monte delle patologie (non fumare, praticare attività fisica, eccetera). La prevenzione seconda invece, si riferisce alla diagnosi precoce (tipica dello screening) che permette di intervenire tempestivamente, agendo su una malattia e tamponandone gli effetti negativi (solitamente è così per la mammografia). Infine, la prevenzione terziaria riguarda più che altro gli effetti a lungo termine di una malattia (come la gestione di una disabilità) e i casi di recidività.
La letteratura scientifica pullula di paper inerenti la prevenzione del mal di schiena. Tre importanti revisioni sistematiche con meta-analisi, rispettivamente di Steffens et al.36, Huang R. et al.37, Shiri R. et al.38, hanno fatto notare come l’esercizio fisico possa essere un ottimo strumento se il fine è quello di prevenire il mal di schiena (anche abbinato a un’educazione sul problema36,37). Gli esercizi presi in esame da questi tre lavori andavano a rinforzare il retto addominale, i muscoli obliqui, gli erettori spinali, attività aerobica, yoga, esercizi di coordinazione, stretching e in alcuni casi anche gambe e parte superiore del corpo (upper body), con una frequenza delle sedute che andava da 1 a 7 volte a settimana e un tempo di lavoro che andava da 5 ai 90 minuti. Come già accennato, in alcuni casi si è dimostrata utile l’aggiunta di lezioni teoriche volte a dare un’infarinatura generale sull’anatomia e biomeccanica della bassa schiena, sulle evidenze scientifiche inerenti il LBP e sulla tecnica esecutiva dei movimenti di sollevamento. Lo studio di Shiri R. e colleghi pubblicato sull’American Journal of Epidemiology38, sempre in un’ottica di prevenzione del mal di schiena, nelle sue conclusioni consiglia 2-3 allenamenti settimanali dedicati al rinforzo muscolare, all’esercizio aerobico ed allo stretching. Altro dato interessante: interventi passivi come l’utilizzo di solette plantari o di cinture per il sostegno della schiena (back belt) si sono dimostrate inefficaci.
«In diversi studi […] viene dimostrato che nei pazienti che soffrono di LBP il meccanismo di attivazione muscolare anticipatorio della cintura miofasciale è alterato durante un movimento. La stabilità spinale è strettamente correlata all’insorgere di lombalgia: non basta, quindi, una colonna vertebrale sana per evitare problematiche di mal di schiena, ma sono necessari anche muscoli efficienti e una buona capacità di controllo. Una corretta sinergia dei tre sistemi descritti nel modello ideato da Punjabi (fig. sotto, ndr) assicura un’efficace stabilizzazione della colonna vertebrale. Per svolgere gli esercizi in modo efficace è fondamentale abbinarli ad una corretta respirazione, controllando la sua frequenza, la sua coordinazione col movimento e la sua qualità»39.
Sopra, la relazione tra i tre sottosistemi – attivo, passivo e neurale – che contribuiscono alla stabilità della spina dorsale, elemento fondamentale per la salute della bassa schiena (da Panjabi M., 1992).
Come giustamente fatto notare dal Dott. Giroldo39, un documento finanziato dal Ministero della Salute (Percorsi diagnostico terapeutici per l’assistenza ai pazienti con il mal di schiena) spiega con un linguaggio alla portata di tutti quelli che sono dei semplici consigli per contrastare il LBP: evitare di stare seduti nella stessa posizione oltre 20-30 minuti, guidare l’automobile con un supporto lombare, piegarsi mantenendo le curve fisiologiche del rachide e svolgere quotidianamente dell’attività fisica.
Riabilitazione
Mentre il mal di schiena acuto ha tendenzialmente una prognosi positiva, il mal di schiena cronico spesso è, appunto, persistente e con ridotte possibilità di recupero totale, anche se vi è la possibilità di migliorare la qualità della vita ed attenuare l’intensità del dolore23. Le linee guida raccomandano l’autogestione del dolore, terapie fisiche, psicologiche e pongono poca enfasi sul trattamento farmacologico e chirurgico31. Un paper apparso sul Journal of the American Medical Association32 nell’agosto 2020 ha evidenziato la scarsa efficacia delle tecniche manipolative e di mobilizzazione – tipiche dell’osteopatia – applicate su adulti di età compresa fra i 18 ed i 45 anni affetti da LBP cronico di intensità media e moderata. Sotto un interessante scambio di commenti fra il Dott. Evangelista ed il ricercatore Franco Impellizzeri.
Viviamo su un’isola circondata da un mare di ignoranza. Più cresce l’isola della nostra conoscenza, più si allunga la costa della nostra ignoranza diceva il fisico statunitense John A. Wheeler, paradossalmente sembra che all’aumentare del numero di pubblicazioni scientifiche aumentino i dubbi di chi questi argomenti li studia da anni. Chiusa la parentesi, il famigerato approccio biopsicosociale citato dal Professor Impellizzeri cozza con quello biomedico, che vedrebbe come causa (o cause) di una patologia variabili puramente biologiche da correggere con terapie mirate, prescritte da un medico/fisioterapista/fisiatra/chinesiologo e così via. Si tratta quindi un approccio, quello biopsicosociale, multidimensionale che può vantare una visione d’insieme che quello biomedico non possiede: «Il modello biopsicosociale è una strategia di approccio alla persona, che attribuisce il risultato della malattia, così come della salute, all’interazione intricata e variabile di fattori biologici (genetici, biochimici, ecc.), fattori psicologici (umore, personalità, comportamento, ecc.) e fattori sociali (culturali, familiari, socioeconomici , ecc.)»33,34.
Alcuni studi avevano dimostrato che la terapia manipolativa e l’educazione al dolore avevano diminuito il dolore e la disabilità. Tuttavia, la maggior parte di essi ha mostrato un debole effetto del trattamento, con soli miglioramenti nell’immediato o a breve termine, principalmente nella terapia manipolativa.
Vier C. et al., 2018
Sotto, le fasi di un trattamento risultato efficace unicamente in acuto35.
Salvo Di Grazia, medico e divulgatore scientifico, in un suo post datato ottobre 2018 aveva fatto un riassunto delle evidenze all’epoca disponibili sulla “cura” del mal di schiena e ne era emerso uno scenario pressoché identico a quello attuale. Molti trattamenti inefficaci ed altri discretamente efficaci sul breve termine ma inutili sul medio e lungo periodo – agopuntura, osteopatia, ultrasuoni, massaggi, tachipirina, laser, farmaci antinfiammatori, stimolazione elettrica nervosa transcutanea, massaggi… -, fatta eccezione per l’attività fisica.
Passando all’atto pratico, dopo aver visto che il mal di schiena cronico ed aspecifico difficilmente può guarire del tutto e che moltissime terapie sono praticamente inutili sul lungo periodo, occorre chiedersi quale tipo di attività fisica possa praticare oppure no una persona. Sottolineando che in questa sede non è possibile analizzare caso per caso e che la “terapia motoria” andrebbe somministrata in maniera differente da paziente a paziente… A grandi linee, è consigliabile educare piano piano al movimento e ad un corretto stile di vita chi è affetto da lombalgia, senza fare terrorismo e cercando di rendere la persona pronta a reggere psicologicamente una probabile lunghissima convivenza col dolore. Cercando di capire, sempre riguardo all’aspetto mentale, se può esserci qualcosa che non va nella sua vita quotidiana; ricordiamo per il LBP è vivamente consigliato un approccio biopsicosociale e di conseguenza l’intervento di più d’una figura professionale.
Si è visto come lo yoga, se correttamente dosato, possa dare dei benefici sul lungo periodo40 e una review pubblicata su Pain and Therapy41, ha messo in luce anche l’efficacia del pilates, degli esercizi McKenzie (con qualche controversia dovuta alla non uniformità dei dati), corsa in acqua (altezza spalle) alla soglia aerobica individuale ed esercizi di stabilizzazione mirati a migliorare il controllo neuromuscolare e la forza del core, ossia la parte centrale del corpo (immagine sotto).
Sopra, degli esercizi dimostratisi efficaci per ridurre la disabilità da cLBP (cronic low back pain) ed il dolore ad esso associato. Nello studio in questione42, la routine era la seguente: 3 allenamenti a settimana, di una durata di circa 60 minuti l’uno, per 6 settimane totali (altre informazioni utili qui sotto).
Dopo aver tentato di curare due gruppi di pazienti dalla lombalgia cronica – uno con gli esercizi di stabilizzazione e l’altro con dello yoga – i ricercatori sono arrivati alle seguenti conclusioni: «I nostri risultati indicano che lo yoga e la ginnastica di stabilizzazione hanno aspetti superiori a ogni altro in termini di dolore, disabilità, prestazioni e qualità della vita correlata alla salute».
Infine, come specificato da J. V. Pergolizzi Jr. e coll. (2020), è bene ricordare che l’esercizio fisico è una terapia efficace per i casi di lombalgia, a patto che questa sia un minimo duratura (almeno 6-12 settimane), questa affermazione, oltre che col low back pain cronico, si sposa piuttosto bene anche con dei casi di LBP subcronico.
Sopra, trovate alcuni esercizi alla portata di tutti utili sia per la prevenzione che la riabilitazione (video del Dott. Roncari, pubblicato per Project Invictus).
Conclusioni
Cosa portarsi a casa da questo articolo? Il mal di schiena di schiena generico, di per sé un qualcosa di aspecifico, può colpire una platea di persone piuttosto eterogenea. Data l’eziologia multifattoriale, molto ancora dev’essere indagato ma pur non esistendo una “cura definitiva”, i singoli individui possono fare molto per prevenirlo e per combatterne la disabilità a lungo termine. La direzione in cui sta andando la società moderna pare essere sempre più lontana dalla cura fisica e psichica delle persone, sarebbe bene che tutti, nel loro piccolo, lavorassero per cercare di invertirla.
Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All’infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l’uomo è il solo padrone.
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39 Giroldo Andrea – Il ruolo dell’attività fisica nella prevenzione del mal di schiena aspecifico. Tesi di Laurea, Corso di Studi in Scienze delle Attività Motorie e Sportive, L-22 (SUISM, a.a. 2017/2018)
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Quello che segue è un esempio della preparazione che io stesso ho stilato e seguito a partire dal 31 agosto, fino ad arrivare ai primi di dicembre. Data la situazione che mezzo mondo stava (e sta) vivendo, mi è stato fin da subito impossibile capire se e quando ci sarebbero state gare. Nel dubbio, ho cerato di impostare un protocollo di strength and conditioning di una durata che oscillasse fra i tre ed i tre mesi e mezzo (12-14 settimane).
Questi numeri serviranno per il futuro. Il peso verrà misurato mano a mano per assicurarsi di rispettare i limiti della categoria di peso per la gara. I test massimali verranno ripetuti dopo il periodo gare, all’inizio di un nuovo macrociclo, in modo da vedere se la forza massimale e la resistenza aerobica sono migliorate (è bene fare la prova del nove per avere dei riscontri pratici).
Let’s go! – Week 1 (adattamento anatomico)
Dopo una quindicina di giorni di totale inattività si torna a sudare, ovviamente in senso sportivo. Eseguo il test di Cooper due giorni prima del 31 agosto (data di inizio del vero macrociclo di allenamento), giusto per aver una prova tangibile della mia condizione aerobica – poco più che discreta – e dei numeri utili per dei futuri confronti fra la condizione di partenza e quella che raggiungerò, si spera, fra alcune settimane.
Causa alcuni acciacchi non ancora del tutto superati, chi è agonista negli sport da combattimento capirà, decido di non eseguire altri test atletici.
Nella prima e terza sessione mi sono dedicato alla forza e all’ipertrofia (con l’avanzare della programmazione si punterà sempre più la prima e meno alla seconda). Nella seconda alla resistenza aerobica (capacità). Questa prima settimana è da considerarsi a tutti gli effetti come un microciclo di adattamento anatomico (AA), ovvero un periodo dove si gettano le basi per lo sviluppo della forza dando modo all’organismo, e in particolar modo all’apparato locomotore attivo e passivo, di irrobustirsi e prepararsi al carico di lavoro via via più intenso che dovrà tollerare in un futuro prossimo. Nella speranza di prevenire eventuali infortuni. Sarà da considerarsi come di AA anche la seconda settimana di allenamento.
N.B. Questa settimana solo allenamenti di preparazione atletica (la palestra dove da anni pratico sport da combattimento è ancora chiusa).
Sempre incentrato sulla forza e l’ipertrofia il primo allenamento, con un leggero aumento del volume nella panca piana (per comodità ho apportato qualche modifica alla disposizione degli esercizi). Il secondo è invece identico alla precedente settimana. Mentre nel terzo, oltre a forza e ipertrofia, – più il consueto mega stretching finale -, trova posto la potenza aerobica (ora il quadro aerobico è completo). Quel 4×1000 m al vogatore con al recupero la dicitura “1:1” (terza colonna) intende dire che l’obiettivo è quello di percorrere 1000 metri nel minor tempo possibile ed usare come tempo di recupero il tempo impiegato per coprire il chilometro di distanza al macchinario (rapporto lavoro:recupero = 1:1).
Capacità aerobica = capacità dell’organismo di portare avanti sforzi che coinvolgono grosse masse muscolari per periodi di tempo mediamente lunghi (almeno 30 minuti) a intensità media o medio-alta (60-80% FC max), lavorando sulla gittata cardiaca.
Potenza aerobica = capacità dell’organismo di portare avanti sforzi che coinvolgono grosse masse muscolari per periodi di tempo limitati (2-8 minuti), lavorando ad alta intensità (≥ 90% FC) e a VO2max.
La corsa, la pedalata e la vogata permettono di sviluppare in modo ottimale la capacità e potenza aerobica, ottenendo benefici sia a livello muscolare che cardiocircolatorio.
Nel caso del sistema muscolare si va a migliorare la capacità d’ossidazione delle fibre muscolari: migliore capacità di utilizzare l’ossigeno per avere energia. Perché aumentano gli enzimi che catalizzano reazioni dell’ossigeno e aumenta la densità mitocondriale.
Per il cardiocircolatorio: migliore circolazione del sangue, più veloce capacità di smaltimento delle sostanze metaboliche (come il lattato) e pressioni arteriose inferiori.
Si ottiene quindi una migliore capacità di recupero [1].
Al fine di ottenere dei buoni miglioramenti, l’obiettivo è quello di portare avanti il lavoro aerobico (aspecifico) per 6 settimane. Aggiungo che sul piano dell’allenamento specifico, in palestra col coach, questa settimana ho avuto 4 sessioni di allenamento: 2 di striking e 2 di lotta/grappling.
Il volume complessivo continua a salire, sia negli esercizi coi pesi che in quelli di resistenza aerobica. Al contempo, sia sui multiarticolari (panca, lento avanti e stacco) che sugli esercizi volti all’incremento di capacità e potenza aerobica, si cerca di spingere un po’ di più (maggior peso sollevato o ritmo tenuto durante la pedalata). Sul piano dell’allenamento specifico, in palestra col coach, questa settimana ho avuto 5 sessioni di allenamento: 3 di striking e 2 di lotta/grappling.
Volume analogo a quello della settimana precedente, aumenta leggermente l’intensità di carico su un po’ di esercizi multiarticolari (panca piana, lento avanti, stacco da terra). Sul piano dell’allenamento specifico, in palestra col coach, questa settimana causa impegni non sono riuscito ad andare oltre le 3 sessioni di allenamento: 2 di striking e 1 di lotta/grappling.
Settimana caratterizzata da uno scarico passivo di forza e ipertrofia (non si sollevano pesi per dar l’opportunità all’apparato locomotore passivo di recuperare da eventuali microtraumi) e da un buon volume di lavoro “cardio”. Sul piano dell’allenamento specifico questa settimana ho avuto 5 sedute di allenamento: 3 di striking e 2 di grappling.
Week 6 (intensificazione e scarico capacità aerobica)
Riguardo alla preparazione atletica, questa settimana vi è stata una generale intensificazione nel lavoro coi pesi ed uno scarico attivo circa la capacità aerobica. Purtroppo, causa impegni lavorativi, non sono riuscito a prendere parte a più di 2 lezioni in palestra (1 di striking e 1 di lotta/grappling).
Si intensifica ulteriormente il lavoro coi sovraccarichi, si “trasforma” la forza sinora accumulata in potenza e vi è uno scarico attivo di potenza aerobica.
IMPORTANTE: seguendo i dettami del SISP (Servizio di Igiene e Sanità Pubblica) dell’ASL cittadina, sono stato costretto a interrompere la mia settimana di allenamento a causa di un precedente contatto con una persona risultata positiva al Covid-19. Pur non essendo stato troppo vicino alla persona in questione e non avendo sintomi ho dovuto mettere in pausa la mia passione. Questa settimana mi sono allenato lunedì (forza e ipertrofia), martedì (striking e lotta/grappling) e mercoledì (scarico attivo della potenza aerobica e rinforzo addome). Il resto è saltato.
Causa ennesimo DPCM tutto è un po’ andato in vacca. Questa settimana dell’intenso lavoro coi pesi (forza e potenza) è stato affiancato, per la prima volta in questa preparazione, a dell’intenso lavoro di power endurance (resistenza alla potenza). Di quest’ultima si era già parlato qui.
A seguire il resto del programma che avrei svolto se i vari “lockdown light” non si fossero messi di mezzo (ovviamente non ci sono altri video da mostrarvi).
Scarico attivo di forza, rimasto quasi invariato il resto del programma settimanale. Lo scarico riguarda l’intensità e il volume: quel “-30%” riguarda appunto un carico (kg) sollevato inferiore del trenta % e scompaiono gli esercizi secondari dedicati all’ipertrofia. E’ bene che quegli esercizi siano eseguiti lentamente e con una buona tecnica esecutiva. Riguardo la power endurance (alattacida) quel 2: 5×20″ (30″/90″) sta a indicare due blocchi da cinque serie per venti secondi di lavoro con trenta secondi di recupero fra le serie e novanta (un minuto e mezzo) fra i due blocchi.
Piano piano ci si avvicina ad un ipotetico match, allora si usano i pesi per l’indispensabile: forza e potenza. Questa è inoltre l’ultima settimana di power endurance alattacida (si passerà poi a quella lattacida).
Nella seduta dedicata alla forza e alla potenza si lavora ancora intensamente (con esercizi di potenza più specifici). Inoltre, vi è un lavoro di resistenza alla potenza improntato su sforzi lattacidi. Il terzo allenamento settimanale diventa “ibrido” grazie all’alternanza di esercizi di forza (sollevamenti lenti) a esercizi balistici (gesti esplosivi). Quanto mostrato nelle ultime righe della tabella altro non è che un metodo a contrasto. Per chi se lo stesse chiedendo, per forza speciale si intende: «la forma di manifestazione della forza tipica di un determinato sport o il suo correlato muscolare specifico (cioè, i gruppi muscolari che partecipano ad un determinato movimento sportivo)».[2]
Week 13
A: Forza (mantenimento) e power endurance (potenza lattacida)
Questa settimana, così come la prossima, il volume di allenamento e l’intensità (kg) riguardanti la forza rimangono pressoché invariati: ricordiamoci che l’obiettivo è salire sul tatami/ring/gabbia, non diventare dei pesisti o powerlifter. Gli esercizi di recupero attivo (vuoto e drills in autonomia) hanno l’obiettivo di far calare significativamente la frequenza cardiaca (circa 60% FCmax).
Week 14
A: Forza (mantenimento) e power endurance (potenza lattacida)
Ultima settimana di fuoco, power endurance nelle sue varie declinazioni più il solito lavoro sulla potenza dei colpi e l’esplosività degli arti inferiori.
Un’unica sessione, eseguita possibilmente di lunedì, dove si fa del lavoro piuttosto specifico alternando esercizi tipici di una competizione (tecniche di striking, grappling) a esercizi con sovraccarichi e corde (kettlebell, battle rope). Il resto della settimana riguarderà ciò che più conta: ripasso tecnico col maestro e/o con gli sparring partner, lavoro sul game-plan ed eventuale ricorso a metodiche di recupero. È di fondamentale importanza che i giorni antecedenti il match siano leggeri, in modo da favorire un buon recupero psico-fisico.
Alcuni chiarimenti
Quanto riportato nell’articolo e mostrato in video può esser preso come un esempio di preparazione per un fighter ma non necessariamente va preso come Bibbia. Si può lavorare bene in più modi, ottenendo risultati concreti.
Devo fare il test dei massimali o altri test atletici? Sì! Una o due volte l’anno, in modo da avere una prova tangibile dei miglioramenti ottenuti col duro lavoro.
Sono davvero necessari tutti quei complementari? No, solitamente si utilizzano meno esercizi secondari (“stile fitness”). Bisogna inoltre tenere a mente che troppo lavoro ipertrofico, su soggetti predisposti, potrebbe causare un aumento ponderale con conseguente difficoltà a rientrare in una determinata categoria di peso.
Il cardiofrequenzimetro è obbligatorio? Utile sì, obbligatorio no. Ci sono metodi manuali per avere dei valori indicativi della propria frequenza cardiaca (bpm) e alcune macchine (tapis roulant, cyclette) hanno delle bande metalliche create per misurarla.
E il riscaldamento? Ovviamente veniva eseguito prima di ogni sessione di allenamento (dando ciò per scontato, non è stato inserito nelle tabelle né filmato).
Ma l’alimentazione? Non è obbiettivo di questo video-articolo trattare di ciò, ma se può interessare quello riportato sotto è l’andamento del mio peso durante le prime 8 settimane del programma (prima della chiusura delle palestre via DPCM).
Approfondimenti
Qui di seguito una carrellata di articoli (gratuiti) e libri volti ad approfondire quanto detto o anche solo accennato fino ad ora.
La genetica è ingiusta, anti-meritocratica, avvantaggia alcuni ed affossa altri. Spesso può capitare di sentire discorsi di questo tipo nelle palestre o sui social, ma cosa c’è di vero? Domanda retorica…
Qualche tempo fa è stato pubblicato un bell’articolo in inglese (Genetics and Elite Athletes), spero che prenderne in prestito alcuni punti possa giovare anche al pubblico non anglofono. Buona lettura!
Introduzione
Non siamo tutti uguali e per accorgersi di questo bastano due occhi ed un cervello, in realtà neanche due gemelli omozigoti lo sono. C’è chi è un po’ più alto,chi più basso,chi più predisposto alla crescita muscolare, allo sviluppo della velocità, a quello della resistenza… O ancora, chi apprende un compito motorio nella metà del tempo rispetto ad un soggetto meno predisposto, chi è più soggetto a infortuni, malattie, e chi più ne ha ne metta.
Capisci l’importanza della genetica quando un ragazzo che non ha mai fatto del movimento in vita sua mette piede in palestra e in un paio d’anni ottiene i tuoi medesimi risultati, peccato solo che tu ti alleni dal triplo – se non quadruplo – del suo tempo, cercando di fare le cose a modo, lui magari neanche sa eseguire bene gli esercizi.
Genetica e forza
In base a come un muscolo si inserziona su un osso, od un complesso articolare, molte cose possono cambiare. Una giusta inserzione può permettere a un soggetto di eseguire più velocemente un determinato movimento tramite un maggior sviluppo di forza1,2.
Gli studi ortopedici hanno effettivamente dimostrato che cambiare il sito di attacco di un tendine in una posizione meno vantaggiosa dal punto di vista meccanico, può ridurre il range di movimento di un’articolazione e la coppia articolare in varie posizioni (quando i muscoli si contraggono o si allungano, creano forza muscolare, questa forza muscolare attira le ossa creando una coppia articolare)3.
Il punto in cui il muscolo si “attacca” all’osso è determinato da questioni genetiche4, non lo scegliamo noi, inutile piangersi addosso o incolpare i genitori. Allo stesso tempo, anche la forza generata da due muscoli di analoga dimensione e inserzione può essere differente, basti pensare alla diversa distribuzione di fibre muscolari5. Di esse, tipologie e caratteristiche, avevamo già abbondantemente parlato qui.
Sopra potete osservare i cambiamenti del livello di forza dei quadricipiti di 53 soggetti sedentari che hanno eseguito un 4×10 (80% 1RM) di leg extension per 9 settimane (tre allenamenti a settimana). Vi è stata un’ampia variabilità fra i risultati ottenuti dai praticanti: c’è chi è migliorato tantissimo (forza incrementata di quasi il 50%) e chi quasi non è progredito per nulla (uno addirittura è peggiorato). Da Robert M. Erskine et al., 201028.
Genetica e sviluppo muscolare
L’ipertrofia può dipendere da una moltitudine di fattori. Ad esempio, a livello genetico, può essere fortemente influenzata dalla miostatina (un gene). Mutazioni geniche potrebbero portare certi soggetti fortunati ad accumulare più muscoli del normale6. Inoltre, è assai probabile che una carenza di miostatina giochi un ruolo importante nel reclutamento di cellule satellite. Quest’ultime sono sostanzialmente delle cellule staminali, stem cells, del muscolo. Quando le fibre muscolari subiscono dei danni, le stem cells vengono attivate per fornire assistenza nel processo di adattamento e ricostruzione muscolare7. Sempre le cellule satellite possono donare i loro nuclei alle cellule muscolari per consentirne la crescita8.
In letteratura scientifica si è visto come il reclutamento di cellule satellite sia estremamente variabile da persona a persona9,10. E’ stato quindi ipotizzato che la capacità di attivazione delle stem cells sia un fattore genetico11 che premia, parlando di ipertrofia, gli individui in grado di reclutare meglio queste particolari cellule8. Quindi se avete un amico che pur allenandosi un po’ alla carlona cresce molto bene a livello muscolare, è probabile che egli sia inconsciamente capace di reclutare naturalmente le cellule satellite a ritmi molto superiori al normale.
Sopra, stesso studio preso in esame poc’anzi28, è mostrato l’incremento della sezione trasversale dei quadricipiti dopo le solite 9 settimane di leg extension (4×10 all’80% 1RM, 3xweek). La crescita muscolare media è stata del 5,7%; anche qui i soggetti più predisposti hanno visto aumentare i propri volumi muscolari di quasi il 20% e quelli meno fortunati hanno avuto dei lievi peggioramenti (-3% circa). Come sempre, vi è stata una grande variabilità individuale.
Genetica e velocità
I velocisti d’élite possiedono muscoli mediamente più dotati di fibre bianche rispetto a una popolazione di comuni sedentari12,13. Si è anche osservato che i pesisti olimpici, atleti notoriamente molto esplosivi, hanno percentuali molto alte di fibre bianche14. Pare quindi ovvio constatare che gli atleti ben messi in quanto a fibre bianche rapide (tipo II) abbiano un enorme vantaggio sugli sport di velocità e/o potenza rispetto agli sportivi meno “geneticamente fortunati”. La maggior velocità ed efficienza muscolare di un soggetto rispetto a un altro non data unicamente dalla forza contrazione, ma anche dalla fase di rilassamento. «Possiamo suddividere la contrazione e il rilassamento muscolare in tre fasi principali, ovvero la contrazione, il rilassamento ed infine la fase latente, fase che segue lo stimolo, ma nella quale non c’è risposta. Questo complesso sistema di reazioni chimiche determinerà lo scorrimento di un filamento sull’altro, e quindi la contrazione del sarcomero. A seguito della contrazione la troponina rilascia ioni Ca2+ che tornano nel reticolo sarcoplasmatico»15. Più velocemente si possono rilassare le fibre muscolari, più velocemente il muscolo si accorcerà, generando una maggiore potenza complessiva16. Questo processo è mediato da più enzimi all’interno del muscolo che sono necessari per la risintesi dell’ATP, il legame del calcio e altri complicati processi biochimici16. Il celebre allenatore sovietico Yuri Verkhoshansky sosteneva che i velocisti talentuosi di natura rispondessero all’allenamento principalmente migliorando i tassi di rilassamento più che la forza muscolare effettiva16. Ben lungi dall’avere delle certezze, ci sono effettivamente dei dati che avallano la tesi del Prof. Verkhoshansky17. Sfortunatamente, anche i tassi di rilassamento sembrano essere altamente ereditari poiché gli studi hanno dimostrato che né l’età, né il sesso hanno alcuna correlazione con essi18.
Un altro fattore determinante della prestazione atletica può essere l’isteresi del tendine. L’isteresi del tendine si riferisce all’efficienza con cui un tendine assorbe e reindirizza la forza19. I tendini sono il tessuto connettivo tra muscolo e ossa, si allungano quando un muscolo si allunga e si contraggono quando un muscolo si accorcia. Pertanto, la capacità di un tendine di trasmettere efficacemente la forza dall’allungamento all’accorciamento può determinare la quantità di potenza complessiva che può essere trasferita all’osso e alla locomozione complessiva19. Come riportato in letteratura scientifica20 i tendini durante un ciclo di accorciamento-stiramento e durante le contrazioni isometriche massimali possono allungarsi fino dal 6 fino al 14%, inoltre se il tendine è lungo, i fascicoli muscolari si allungano di meno. Un tendine che è più rigido, per questioni genetiche ma anche adattamento all’attività fisica, è più prestante (assicura maggior potenza e velocità nei movimenti) ma è più soggetto agli infortuni.
Genetica e resistenza
Direttamente correlato all’idea di isteresi tendinea è l’economia del gesto nella corsa su lunghe distanze effettuata da atleti esperti. È stato teorizzato nel corso degli anni che i maratoneti d’élite sono semplicemente più bravi a “dissipare il calore” rispetto agli altri corridori21,22. Un corridore inefficiente, può manifestare un maggiore accumulo di calore a causa, in parte, della scarsa isteresi del tendine che accelera il processo di affaticamento durante una corsa protratta nel tempo19. A livello biochimico, diversi enzimi all’interno del muscolo sono necessari per determinare il “tasso metabolico” di uno sforzo fisico. Il più grande degli atleti di endurance può essere tale perché semplicemente ha degli enzimi più attivi dei suoi avversari di gara22. Ci sono infatti degli studi che mostrano come alcuni corridori particolarmente performanti siano in grado di mantenere velocità elevate a un VO2 max (massimo consumo di ossigeno) inferiore ai valori di altri soggetti meno allenati (o meno portati)23. Un po’ come se due veicoli andassero alla stessa velocità per innumerevoli chilometri e uno consumasse il 10% di carburante in meno rispetto all’altro.
Sempre riguardo alla corsa, una miglior economicità del gesto (andatura efficiente) può essere dovuta alla preponderanza di fibre muscolari di tipo I, quindi lente e rosse. Queste fibre, come molti sanno, sono le più adatte per impegni fisici protratti nel tempo: accumulano meno sottoprodotti metabolici e si affaticano più lentamente. Inoltre, uno dei fattori limitanti dei lavori di resistenza è l’afflusso di ossigeno ai muscoli. Questo, entro un certo limite, può essere migliorato con l’allenamento ma esistono anche qui persone più inclini di altre ad essere resistenti grazie a una maggior capacità (innata) di rifornire i propri muscoli di ossigeno24. Anche la densità capillare può essere influenzata dalla genetica individuale24,25. I capillari sono il sito dello scambio di ossigeno tra il sistema vascolare e il muscolo. È qui che l’ossigeno viene fornito al muscolo e i prodotti metabolici di scarto vengono rimossi. Pertanto, è facile intuire che più capillari ha un atleta nel tessuto muscolare, più ossigeno può essere erogato e più rifiuti metabolici possono essere smaltiti o riconvertiti25.
Genetica e infortuni
Come sottolineato da Collins M. et al.26, gli sforzi eccessivi che portano a lesioni dei tessuti molli del sistema muscolo-scheletrico, derivanti da lavori usuranti o attività fisica, sono influenzate dalla genetica individuale. In special modo quelle al tendine d’Achille (caviglia), alla cuffia dei rotatori (spalla) ed ai legamenti crociati (ginocchia). Le varianti di sequenza all’interno dei geni che codificano le diverse proteine di matrice extracellulare dei tendini e/o dei legamenti sono state associate a specifici infortuni di specifiche zone dei tessuti. Per esempio le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C (TNC), COL5A1 ed Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3) sono state collegate alle tendinopatie del tendine d’Achille. Entrando un po’ più nel dettaglio, le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C sono state associate sia alle tendinopatie che alle rotture del tendine d’Achille. mentre le varianti del COL5A1 e COL1A1, geni che forniscono le istruzioni genetiche per realizzare le componenti del collagene di tipo I e V, sono state correlate ad infortuni al legamento crociato posteriore.
Inoltre, una meta-analisi del 2015, quindi alto impatto statistico, ha raccolto i dati provenienti da studi pubblicati in letteratura scientifica fra il 1984 ed il 2014 (trent’anni precisi). I ricercatori – Longo U. G. et al. – hanno confermato tutto ciò che avevano dedotto Collins e Raeligh nel 2009, aggiungendo che, oltre alla genetica, contano ovviamente diversi altri fattori, in primis lo stile di vita27.
Nella seconda metà dello scorso secolo ci fu un interessante confronto intellettuale, dovuto a una netta divergenza di opinioni, tra i filosofi d’oltreoceano John Rawls e Robert Nozick. Il primo era un grande sostenitore dell’equità in ogni aspetto della vita sociale, il secondo – ideologicamente più a destra – no. Quest’ultimo, ricorrendo all’esempio di una partita di basket, sosteneva che i tifosi dovessero essere liberi di pagare il prezzo del biglietto facendo arricchire, direttamente o indirettamente, un giocatore particolarmente bravo (spendere i propri soldi in quel modo è un loro diritto). Qualora quel giocatore attirasse milioni di appassionati, egli ben presto diventerebbe molto ricco.
Ovviamente Rawls era in totale disaccordo: un società giusta non dovrebbe permettere a un uomo, sportivo o meno, di accumulare troppi soldi, salvo che ciò non porti dei vantaggi ai più poveri. Stando sempre al pensiero di J. Rawls, un grande talento nello sport o un’intelligenza superiore alla media è solo frutto di una fortuna sfacciata. Noi potremmo dire: genetica favorevole. Per questo filosofo, notevoli doti fisiche o intellettive non sono altro che una vittoria alla “lotteria della natura“, qualcosa che con la meritocrazia non ha nulla a che vedere. Per il collega Nozick, era invece giusto che l’eccellenza fosse meglio retribuita (anche con cifre milionarie). A distanza di anni, quello dell’equità e dei guadagni è ancora un argomento che infiamma il dibattito pubblico, saltuariamente anche in campo sportivo.
Conclusioni
In un certo senso potremmo dire che non siamo noi a selezionare scientemente uno sport da fare, ma è lo sport a scegliere noi. La pratica e la dedizione, non solo riguardo l’attività fisica, possono far migliorare praticamente chiunque e mettere delle pezze a certe lacune. Certo è che, a parità di impegno, chi ha ricevuto i biglietti fortunati per la lotteria della natura sarà sempre un passo avanti agli altri, anche senza averlo voluto.
1 Lieber, R. L., & Shoemaker, S. D. (1992). Muscle, joint, and tendon contributions to the torque profile of frog hip joint. American Journal of Physiology-Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, 263(3), R586-R590. 2 Duda, G. N., Brand, D., Freitag, S., Lierse, W., & Schneider, E. (1996). Variability of femoral muscle attachments. Journal of Biomechanics, 29(9), 1185-1190. 3 Yamamoto, N., Itoi, E., Tuoheti, Y., Seki, N., Abe, H., Minagawa, H., & Okada, K. (2007). Glenohumeral joint motion after medial shift of the attachment site of the supraspinatus tendon: a cadaveric study. Journal of Shoulder and Elbow Surgery, 16(3), 373-378. 4 Thomis, M. A. I., Beunen, G. P., Leemputte, M. V., Maes, H. H., Blimkie, C. J., Claessens, A. L. & Vlietinck, R. F. (1998). Inheritance of static and dynamic arm strength and some of its determinants. Acta Physiologica Scandinavica, 163(1), 59-71. 5 Tesch, P. A., Wright, J. E., Vogel, J. A., Daniels, W. L., Sharp, D. S., & Sjödin, B. (1985). The influence of muscle metabolic characteristics on physical performance. European Journal of Applied Physiology and Occupational Physiology, 54(3), 237-243. 6 Schuelke, M., Wagner, K. R., Stolz, L. E., Hübner, C., Riebel, T., Kömen, W., … & Lee, S. J. (2004). Myostatin mutation associated with gross muscle hypertrophy in a child. New England Journal of Medicine, 350(26), 2682-2688. 7 Allen, D. L., Roy, R. R., & Edgerton, V. R. (1999). Myonuclear domains in muscle adaptation and disease. Muscle & Nerve, 22(10), 1350-1360. 8 Petrella, J. K., Kim, J. S., Mayhew, D. L., Cross, J. M., & Bamman, M. M. (2008). Potent myofiber hypertrophy during resistance training in humans is associated with satellite cell-mediated myonuclear addition: a cluster analysis. Journal of Applied Physiology, 104(6), 1736-1742. 9 Petrella, J. K., Kim, J. S., Cross, J. M., Kosek, D. J., & Bamman, M. M. (2006). Efficacy of myonuclear addition may explain differential myofiber growth among resistance-trained young and older men and women. American Journal of Physiology-Endocrinology and Metabolism, 291(5), E937-E946. 10 Timmons, J. A. (2010). Variability in training-induced skeletal muscle adaptation. Journal of Applied Physiology, 110(3), 846-853. 11 Bouchard, C., & Rankinen, T. (2001). Individual differences in response to regular physical activity. Medicine and Science in Sports and Exercise, 33(6 Suppl), S446-51. 12 Costill, D. L., Daniels, J., Evans, W., Fink, W., Krahenbuhl, G., & Saltin, B. (1976) – Skeletal muscle enzymes and fiber composition in male and female track athletes. Journal of Applied Physiology, 40(2), 149-154. 13 Thorstensson, A., Larsson, L., Tesch, P., & Karlsson, J. (1977) – Muscle strength and fiber composition in athletes and sedentary men. Medicine and Science in Sports, 9(1), 26-30. 14 Nathan Serrano,Lauren M. Colenso-Semple,Kara K. Lazauskus,Jeremy W. Siu,James R. Bagley,Robert G. Lockie,Pablo B. Costa,Andrew J. Galpin – Extraordinary fast-twitch fiber abundance in elite weightlifters. PLoS One 2019 Mar 27;14(3):e0207975. 15 Contrazione muscolare – Wikipedia 16 Verkhoshansky, Y. V. (1996). Quickness and velocity in sports movements. New Studies in Athletics, 11, 29-38. 17 Komi, P. V., Rusko, H., Vos, J., & Vihko, V. (1977). Anaerobic performance capacity in athletes. Acta Physiologica Scandinavica, 100(1), 107-114. 18 Lennmarken, C., Bergman, T., Larsson, J., & Larsson, L. E. (1985). Skeletal muscle function in man: force, relaxation rate, endurance and contraction time-dependence on sex and age. Clinical Physiology (Oxford, England), 5(3), 243-255. 19 Finni, T., Peltonen, J., Stenroth, L., & Cronin, N. J. (2013). On the hysteresis in the human Achilles tendon. American Journal of Physiology-Heart and Circulatory Physiology, (114), 515-517. 20 Thom J. M. et al. – Passive elongation of muscle fascicles in human muscles with short and long tendons. Physiol Rep. 2017 Dec;5(23):e13528. 21 Coyle, E. F. (2007). Physiological regulation of marathon performance. Sports Medicine, 37(4-5), 306-311. 22 Marino, F. E., Lambert, M. I., & Noakes, T. D. (2004) – Superior performance of African runners in warm humid but not in cool environmental conditions. Journal of Applied Physiology, 96(1), 124-130. 23 Weston, A. R., Mbambo, Z., & Myburgh, K. H. (2000) – Running economy of African and Caucasian distance runners. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(6), 1130-1134. 24 Bassett, D. R., & Howley, E. T. (2000) – Limiting factors for maximum oxygen uptake and determinants of endurance performance. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(1), 70-84. 25 Joyner, M. J., & Coyle, E. F. (2008) – Endurance exercise performance: the physiology of champions. The Journal of Physiology, 586(1), 35-44. 26 Collins M. et al. – Genetic risk factors for musculoskeletal soft tissue injuries (2009) 27 Longo U. G. et al. – Unravelling the genetic susceptibility to develop ligament and tendon injuries (2015) 28 Robert M Erskine, David A Jones, Alun G. Williams, Claire E. Stewart, Hans Degens – Inter-individual variability in the adaptation of human muscle specific tension to progressive resistance training. Eur J Appl Physiol. 2010 Dec;110(6):1117-25. Charlie Ottinger – Genetics and Elite Athletes (2018) John Rawls – Una teoria della giustizia (1971) Nigel Warburton – Breve storia della filosofia (2011)
Negli ultimi anni, soprattutto per via del CrossFit, stanno spopolando questi allenamenti “funzionali” eseguiti con le corde nautiche. Una moda sciocca oppure qualcosa che può tornare utile a molti?
Buona lettura!
Introduzione
Le “battle rope” altro non sono che corde utilizzate per eseguire più tipi di movimento. Il movimento classico, il più diffuso è quello delle alternating waves (letteralmente, onde alternate), seguito da quello delle doppie onde (double waves). Poi vi sono tutta una serie di varianti più o meno semplici da eseguire. Una delle più interessanti è la hip to hip toss, variante che si ispira alla proiezione tipica del judo e che consiste nell’eseguire in contemporanea uno spostamento degli arti superiori verso un lato, destra o sinistra, più una torsione del busto (con le gambe che accompagnano il movimento).
Anche limitandosi solamente a questi tre esercizi è possibile coinvolgere ed allenare buona parte dei muscoli dell’upper body: flessori dell’avambraccio (coracobrachiale, bicipite brachiale e brachiale), petto, deltoidi, core, trapezi e molto altro ancora.
Aspetti metabolici
Uno studio pubblicato nel 20151 ha mostrato come allenamenti anche molto brevi con le corde possono essere ottimi per bruciare calorie. Entrando più nel dettaglio (vedere sotto)…
Numero soggetti
11
Età media
24 anni
Altezza media
172 cm
Peso corporeo
75,7 kg
Con, in totale, 10 soli minuti di allenamento (15″ di double wave e 45″ di recupero x 10 reps) fra gli 11 atleti vi è stata una spesa energetica media di 111.6 kcal (calorie bruciate). Come riportato nel paper stesso: «Our results suggest that rope training can provide a high-intensity stimulus for strength and conditioning professionals who seek alternative or reduced impact-conditioning methods for athletes or clients». In sintesi, il “battle rope training” (BRT) è ottimo per lavorare ad alta intensità mantenendo un basso impatto sui distretti articolari (scarsa probabilità di infortunarsi).
Un altro studio ancora di Ratamess NA e colleghi2 definisce l’allenamento con le corde come un significativo stimolo metabolico e cardiovascolare, molto impegnativo sotto l’aspetto del VO2 max, l’accumulo di lattato ematico, la ventilazione ed i picchi della frequenza cardiaca. Nello specifico, sulle 8 serie di allenamento con 30″ di lavoro e 1 o 2 minuti di recupero (30″-1′ On:Off ; 30″-2′ On:Off) il recupero più corto (1′), come prevedibile, si è rivelato essere molto più allenante. Infine, qualora ve ne fosse bisogno, è stato provato3 come in acuto le richieste metaboliche del battle rope training (VO2 max) siano piuttosto superiori a quelle dei classici esercizi coi pesi liberi (bodybuilding e fitness) o col peso del proprio corpo (per esempio i piegamenti sulle braccia).
Attivazione muscolare
Uno dei pochissimi studi che ha analizzato l’attività muscolare tramite elettromiografia (EMG) durante l’alternating waves ed il double waves ha messo in luce come il capo anteriore dei deltoidi (spalle), l’obliquo esterno (addome) e l’erettore spinale a livello lombare (muscolo sacrospinale) lavorino parecchio in entrambe le varianti.
Nella foto sopra: A = Double waves; B = Alternating waves (fonte).
Come unica differenza tangibile, l’obliquo è stato maggiormente coinvolto nelle alternating waves rispetto alle doppie, discorso opposto per il muscolo sacrospinale (più attivo nelle double waves)4.
Uno articolo più recente5 ha evidenziato un marcato utilizzo del trapezio superiore (parte discendente) e del muscolo palmare lungo (vicino al polso). Un po’ meno importante il lavoro del grande gluteo (dipende da quanto sono piegati gli arti inferiori durante il BRT) e quello del retto addominale (grafici sotto).
Trovate cerchiati in rosso il double waves e l’alternating waves.
Potenza e resistenza
Un programma di strength & conditioning di 8 settimane basato sul BRT (3 sedute a settimana), testato su dei giocatori di basket, ha incrementato in maniera significativa la potenza aerobica, più la potenza (chest pass speed) e la resistenza alla potenza (power endurance) della parte superiore del corpo. Inoltre, si sono visti miglioramenti sulla resistenza del core (core endurance) e la potenza degli arti inferiori su salti come il vertical jump6. Sono stati utilizzati cinque tipi di movimenti: alternating waves, double waves, hip to hip toss (tutti e tre citati ad inizio articolo), side to side waves e in-out waves. L’allenamento con corde nautiche si è rivelato essere mediamente superiore agli interval training fatti con gli scatti (sprint).
Conclusioni
Anche se non di rado il BRT viene usato a sproposito – la moda è la moda – non vi è alcun dubbio che, dati ed esperienza alla mano, questa metodica di allenamento possa portare grandi benefici sotto più fronti.
Un interessante lavoro che si potrebbe fare con le corde è anche quello di work capacity. Come illustrato qui, dato che la parte superiore del corpo è maggiormente interessata dal BRT (si affatica di più) è possibile principiare l’allenamento con degli esercizi come l’alternating wave o hip to hip toss per poi passare a del lavoro tecnico riguardante principalmente l’utilizzo degli arti inferiori. Ad esempio i tiri “terzo tempo” nel basket, calci nelle arti marziali, sacco e footwork nella boxe e così via. Non resta che provare.
1 Fountaine CJ, Schmidt BJ – Metabolic cost of rope training. J Strength Cond Res. 2015 Apr;29(4):889-93. 2 Ratamess NA, Smith CR, Beller NA, Kang J, Faigenbaum AD, Bush JA – Effects of Rest Interval Length on Acute Battling Rope Exercise Metabolism. J Strength Cond Res. 2015 Sep;29(9):2375-87. 3 Ratamess NA, Rosenberg JG, Klei S, Dougherty BM, Kang J, Smith CR, Ross RE, Faigenbaum AD – Comparison of the acute metabolic responses to traditional resistance, body-weight, and battling rope exercises. J Strength Cond Res. 2015 Jan;29(1):47-57. 4 Calatayud J, Martin F, Colado JC, Benítez JC, Jakobsen MD, Andersen LL – Muscle Activity During Unilateral vs. Bilateral Battle Rope Exercises. J Strength Cond Res. 2015 Oct;29(10):2854-9. 5 Austin Salzgeber, John P. Porcari, Charlend Howard, Blaine E. Arney, Attila Kovacs, Cordial Gillette, Carl Foster – Muscle Activation during Several Battle Rope Exercises. (2019) Int J Res Ex Phys. 14(2):1-10. 6 Chen WH, Yang WW, Lee YH, Wu HJ, Huang CF, Liu C – Acute Effects of Battle Rope Exercise on Performance, Blood Lactate Levels, Perceived Exertion, and Muscle Soreness in Collegiate Basketball Players. J Strength Cond Res. 2018 Jul 17.
Qual è l’opinione di un grande coach di MMA e pugilato, che lavora con molti atleti del roster UFC, sulla preparazione di un fighter in vista di un incontro?
«Sì, perché le settimane 5 e 6 (della preparazione) sono settimane dure, sono come l’inizio di quelle due ultime settimane di picco. Perché poi a ridosso dell’incontro rallentiamo il motore senza spegnerlo. Quindi le settimane 5 e 6 (weeks out, quando mancano cinque-sei settimane al match) sono molto dure, la 4 è di scarico – faremo 2 o 3 giorni molto leggeri – e poi si riprende. Le settimane 2 e 3 sono quelle del picco, facciamo sparring da 5 round, non 6 o 7. Vogliamo essere sicuri di poter fare 5 minuti intensi e duri per ogni round, stare sul pezzo, senza impigrirsi».
• Se dovessi dire il tempo perfetto di un camp completo per un match normale?
«Se sei in forma discreta, 8 settimane, se sei fuori forma 12 settimane… Perché se non sollevi pesi per un po’ e poi ritorni a sollevare dopo qualche mese sentirai tanto dolore. Così devi aggiungere quel periodo di adattamento in cui il tuo corpo si adatta dai dolori. Devi fare un periodo di pre-allenamento e dopo cominci a darci dentro duramente perché non puoi cominciare subito a darci dentro a 12 settimane dall’incontro, ti spezzi».
Mettiamo i puntini sulle “i”
Trevor Wittman, coach fra gli altri di Justin Gaethje e Rose Namajunas, parla a Joe Rogan del suo approccio a un match. Essendo americano, quando parla di settimane si riferisce alle “weeks out”, ovvero alle settimane che mancano al match (un contro alla rovescia). Come ben sappiamo, un training camp per sport da combattimento prevede una periodizzazionevolta ad alternare periodi dove ci si allena più duramente, ad altri un po’ meno impegnativi. Slogan motivazionali a parte, se ci si allenasse sempre al 100% dello sforzo possibile si passerebbe più tempo con l’ortopedico o col fisioterapista che con gli sparring partner. Quando mancano 5-6 settimane all’incontro il lavoro (tecnica, tattica, sparring, preparazione atletica) è molto tosto. La successiva (4 weeks out) è un microciclo di scarico attivo, quindi ci si allena ad una intensità sensibilmente inferiore. Spesso in fase di scarico si prediligono lavori su footwork, spostamenti, sparring leggero, un 30% in meno di carico sul bilanciere in sala pesi, tecniche di recupero fisico (CWI, massaggi) e tanto stretching. Dopo la settimana di scarico (4 weeks out), ci sono due settimane di fuoco e fiamme (2-3 weeks out) dove si raggiunge la massima intensità e specificità di allenamento (simulazione del match con lo sparring, ripasso della strategia, colpitori, conversione della forza in potenza…). Generalmente gli atleti con un buon livello di forza massimale (qui i numeri di riferimento) possono smettere di allenarla 4-5 settimane prima della competizione, limitandosi magari qualche seduta di richiamo. Inoltre, gli sparring pesanti il più delle volte cessano di essere svolti una quindicina di giorni prima della gara, in modo da non far accumulare troppi traumi agli atleti e ridurre il rischio infortuni. Con la fight week (settimana dell’incontro) coincide un ultimo importante scarico attivo, dove l’atleta solitamente interrompe del tutto le sedute di strength and conditioning (preparazione atletica) e si dedica unicamente a ripassare la strategia e le tecniche – a vuoto e con i compagni – che dovranno farlo prevalere sull’avversario. La fight week, per i professionisti, vuol dire anche taglio del peso, ma non è questo l’articolo adatto per parlarne.
Trevor Wittman, poco dopo, parla di un periodo di allenamento iniziale del camp che etichetta come “pre-allenamento”. Ecco, quello altro non è che l’adattamento anatomico, cioè un periodo di 1 o 2 settimane dove ci si concentra su lavori generali ed aspecifici, ad intensità e volume medio-bassi, per far adattare il corpo a ciò che un po’ alla volta verrà fatto nelle successive settimane di preparazione, collaudando le articolazioni e il sistema nervoso. Come dice lo stesso allenatore, è di fondamentale importanza un periodo di adattamento anatomico «…perché non puoi cominciare subito a darci dentro a 12 settimane dall’incontro, ti spezzi».
Un vecchio articolo riportava un esempio della preparazione atletica da seguire per due settimane di adattamento anatomico. Eccone un estratto:
Intensità e volume di lavoro medio-bassi. Si ripassa la tecnica degli esercizi (con carichi del 50-60% 1RM), ci si limita a qualche allungo blando sul campo di atletica e si gettano e basi aerobiche (capacità) tramite le classiche “corsette” da 30-90′ (60-75% FC).
Pur non volendo cadere in banalità, è innegabile che la questione sia la solita: bisogna farsi il cul*. Talento o non talento, bisogna mettere i piedi sul tatami, ring, gaggia o sala pesi e sputare sangue. Allenarsi sì col cervello, quindi periodizzando nella maniera più opportuna, ma duramente.
Everything negative – pressure, challenges – is all an opportunity for me to rise.
Vi sono delle effettive differenze nel modo in cui si devono allenare gli uomini e le donne? E riguardo alla nutrizione? Possono seguire diete simili?
Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un bel video riguardante una chiacchierata di 50 minuti fra Michele Fresiello ed uno dei due ragazzi di Bodybuilding & Performance riguardante appunto l’allenamento in rosa. Avendo un po’ di tempo libero ho deciso di riassumerne qui i punti chiave. Buona lettura!
Punti chiave #1 – Breve confronto uomo-donna
Per ovvie ragioni fisiologiche, soprattutto ormonali, una donna non potrà mai raggiungere i volumi muscolari e di tiraggio di un uomo. Tuttavia, le donne mediamente riescono a reggere volumi di allenamento piuttosto alti (anche superiori a quelli dell’altro sesso), va però sottolineato che non sempre gli alti volumi sono accompagnati da fenomeni adattivi e quindi da una buona risposta ipertrofica. Quando ciò accade si entra in quel loop di infiammazione dei tessuti, ritenzione idrica e stress, che non porta a nulla di positivo per la persona che si allena, né a livello estetico, né a livello psicologico (questo fenomeno è meno diffuso nel sesso maschile).
#2 – Differenze di allenamento
La donna può e deve allenarsi in maniera simile ad un uomo, dando priorità magari a gruppi muscolari differenti a seconda dei suoi obiettivi estetici. I fondamentali utili sono sicuramente lo squat e lo stacco, un po’ meno la panca piana (sempre in ottica fitness e non di performance). Se si vuole far lavorare il petto di una donna neofita, più che le distensioni su panca, è meglio ricorrere ai piegamenti sulle braccia, che possono anche insegnare a controllare il core e migliorare la stabilità del cingolo scapolo-omerale. Riguardo al lower body, se la donna è ginoide, quindi quasi sicuramente quadricipite dominante, è bene calibrare al meglio il lavoro da fare cercando di stressare al punto giusto i muscoli che la persona ginoide, per sua natura, utilizza di meno. Fin da subito è consigliabile lavorare sulla tecnica, in modo da apprendere gli schemi motori ed attivare efficientemente la catena posteriore. Sempre in una prima fase si può anche optare pe degli schemi di allenamento PHA (Peripherial Heart Action), cioè l’alternanza di lavoro fra la parte superiore del corpo e quella inferiore: un esercizio per l’upper body, seguito da uno per il lower body, poi uno per l’upper, poi uno per il lower e così via (spesso a circuito). Per non danneggiare il microcircolo è meglio rimandare ad un futuro prossimo, quando la persona sarà più “atleta”, il lavoro molto lattacido.
#3 – Ciclo e programmazione allenamenti
Chiaramente il periodo premestruale nella donna è qualcosa di compromettente e bisogna tenerne conto nello stilare un programma di allenamento. Qualora i feedback che la donna dà al personal trainer indichino un certo (e fisiologico) malessere fisico bisogna inevitabilmente intervenire modificando la tabella di marcia. Cardio a bassa intensità e pochi (e leggeri) esercizi con sovraccarico sono spesso scelte ottimali in fase premestruale, come anche quella di limitare il sodio (a causa degli alti livelli di aldosterone). Va però specificato che la cosa è molto soggettiva, infatti alcune donne il periodo pre-ciclo non lo soffrono più di tanto; solitamente la sindrome premestruale è più debole quando i livelli di massa grassa (BF) sono contenuti. Alle volte, il sesso femminile può accusare delle fitte addominali durante il periodo di ovulazione (collocato a metà del ciclo). Anche in questa fase, qualora sia necessario, si può tirare il freno a mano e levare in toto, oppure limitare, il lavoro addominale.
#4 – Carboidrati e calorie
Vanno limitati i picchi insulinici, pertanto è cosa saggia non lasciarsi andare con pasti troppo corposi (eccesso calorico) specialmente in quanto a carboidrati. Va ricordato, anche se è una banalità, che la donna tende ad accumulare più adipe rispetto all’uomo e ad accumularlo in zone differenti (recettorialità ormonale).
#5 – Allenamento gambe e glutei
Solitamente le donne riescono a generare una buona forza negli esercizi riguardanti gli arti inferiori. Nulla quindi vieta loro di sbizzarrirsi con allenamenti di forza (dopo un periodo di condizionamento) seguiti da isometrie di picco. Sotto un esempio pratico.
Back Squat
4×4 (75% 1RM)
Hip thrust
4×6 (3″ iso)
Leg curl
3-4×10
3″ iso = durante la fase finale della fase concentrica, quindi della spinta (quando il sedere è in alto), si rimane fermi per tre secondi
Nella parte finale del podcast, Michele Fresiello dice di trovarsi bene nel far variare nel tempo il volume (vi dev’essere un lento e costante incremento), mettendo poche fasi di intensificazione (periodi in cui si solleva più dell’80% 1RM). Un’idea nelle fasi di intensificazione è quella di abbinare allenamenti incentrati su un paio di fondamentali (es. squat e hip thrust) ad altri riguardanti circuiti metabolici. La forza ovviamente non può venire allenata seriamente fin da subito se la donna non ha mai messo piede in una palestra e non conosce la corretta esecuzione di squat, stacco o hip thrust.
Qui il video della puntata completa (46 minuti e 6 secondi).