Spesso, soprattutto nelle palestre, noto che la persone hanno le idee un po’ confuse riguardo all’allenamento della forza.
Da chi esegue le distensioni su panca piana ai mille all’ora e rimbalzando (manco volesse sfondarsi la cassa toracica) a chi sceglie per ogni esercizio le 5 ripetizioni tirate alla morte e le mantiene fino a quando non si stufa, che i risultati ci siano stati o no.
Ora , prima di iniziare a sparare consigli a raffica come un AK-47, bisogna definire la forza…
Quella che ci illustra Obi-Wan Kenobi nella foto sopra è la formula fisica della forza, massa x accelerazione, essa si manifesta come un’interazione fra almeno due corpi e altera il loro stato di moto, cioè la loro velocità. La forza muscolare invece, è quella capacità motoria che permette di vincere una resistenza o di opporvisi tramite lo sviluppo di tensione da parte della muscolatura. Ne esistono vari tipi ma a noi, per ora, ne basta uno: la forza massimale.
La forza massimale rappresenta il più alto grado di forza che il sistema neuromuscolare ha la possibilità di esprimere in una massima contrazione volontaria.
(Per approfondimenti riguardanti la forza clicca qui)
La forza in palestra
In primis, per andare bene a lavorare su questa capacità biomotoria, occorre utilizzare un buon carico (peso in kg), circa l’80% del proprio massimale (1RM), in modo stimolare al meglio le unità motorie, le quali andranno poi a reclutare le fibre muscolari da loro innervate (tipo II). Più un carico è alto e più il reclutamento sarà ottimale. Ma oltre al carico, per reclutare e attivarsi bene è necessario eseguire correttamente gli esercizi, possedere un corretto schema motorio. Senza una tecnica pulita non sfrutteremo mai il nostro reale potenziale, otterremo sempre un po’ meno di ciò che ci spetta. Non sempre lavoreranno i muscoli giusti, il nostro corpo non memorizzerà bene il gesto, non riusciremo a spingere in maniera efficiente ed aumenterà il rischio di infortunio.
Ora abbiamo capito l’importanza della tecnica ed un minimo di bagalio teorico (più che bagaglio una pochette), quindi cosa manca? Scelta degli esercizi ed un po’ di consigli che non fanno mai male.
Vanno scelti esercizi che coinvolgono grandi masse muscolari, quindi principalmente panca piana, military press, rematore e trazioni per l’upper body e squat (classico + varianti) e stacco da terra per il lower body. Il tutto ovviamente va periodizzato per bene, non possiamo pretendere di ottenere dei risultati significativi facendo le cose a caso.
Riguardo al mero aspetto ipertrofico, che è comunque quello che più interessa al 95% dei frequentatori delle palestre, non è vero che l’allenamento della forza non produce ipertrofia, anzi, il reclutamento ottimale ed il peso elevato danno al nostro corpo un grande stress meccanico (elemento base dell’ipertrofia muscolare), il problema è la carenza di volume, fattore importantissimo per la crescita muscolare.

Ora però fermiamoci un attimo e introduciamo un paio di concetti.
Intensità (di carico) = percentuale di lavoro svolto rispetto alle capacità massimali di un atleta su una ripetizione (% 1RM).
Volume: mole di lavoro totale dell’allenamento. La sua unità di misura più utilizzata è il tonnellaggio, alla quale si arriva partendo dal prodotto di serie per ripetizioni, moltiplicando poi la cifra per i kg utilizzati per eseguire un determinato esercizio.
Esempio: se io ho un massimale di panca piana di 100 kg e uso 70 kg, l’intensità dell’esercizio sarà pari al 70% 1RM e se delle distensioni su panca ho fatto un 3×10 (tre serie da 10 ripetizioni l’una), il volume sarà uguale a 30 (tre x dieci) ed il tonnellaggio di 2100 kg (settanta x trenta).
Parlando sempre di forza massimale, anche all’inizio del macrociclo di allenamento, quando il volume è un po’ più alto e l’intensità non ancora elevatissima, il workout complessivamente non potrà essere mai e poi mai voluminoso quanto le routine dei bodybuilders. In ogni caso un buon volume sulle alzate principali (squat – panca – stacco) garantito da un allenamento ovviamente in multifrequenza sarà utile per rompere l’omeostasi del nostro organismo e farci ottenre dei miglioramenti.

Per i novizi, non servono programmi di allenamento particolarmente studiati, anche schede monotone della durata di 4-6 settimane possono portare a miglioramenti significativi (progressione lineare). Ma senza spingerci su periodizzazioni più complicate, per soggetti principianti ed intermedi una periodizzazione lineare con il volume prima alto poi, verso la fine, molto basso (e con un’intensità sempre inversamente proporzionale ad esso) si possono fare grandi cose.
Esempio, Programma di allenamento della forza della durata di 10 settimane
Settimana n.1
Lun. Squat 6×7 | Panca piana manubri 4×8 | Lento avanti 4×10
Merc. Stacchi da terra al ginocchio 6×6| Panca piana 6×6 | Trazioni 4×8
Ven. Stacchi da terra 6×7 | Panca piana 5×6 | Squat 6×6
Volume squat: 78; vol. panca piana: 66; vol. stacchi da terra: 42
Vol. totale delle tre alzate: 186
Vol. totale esercizi complementari: 140
Tonnellaggio: ???
Settimana n.8
Lun. Panca piana 4×3 | Squat 3×3 | Abs
Merc. Stacco da terra 7×2 | Glute ham raises 3×10
Ven. Squat 7×2 | Panca Piana 3×3 | Deficit deadlift 5×5
Volume squat: 23; vol. panca piana: 21; vol. stacchi da terra: 14
Vol. totale delle tre alzate: 58
Vol. totale esercizi complementari: 55 (+ allenamento addome)
Tonnellaggio: ???
N.B: ogni alzata al di fuori delle distensioni su panca piana (con bilanciere), squat e stacco da terra (classico) è considerata complementare.
Per semplificarmi la vita metto solo la prima e l’ottava delle dieci settimane del programma e non inserisco i kg (servirebbero per il tonnellaggio). Gli esercizi complementari, sempre presenti all’inizio del macrociclo (lavoro più aspecifico) andranno a far lavorare i muscoli anche su altri angoli di movimento e sopperire ad eventuali carenze/squilibri. L’intensità prenderà via via piede, settimana dopo settimana, a scapito del volume. Anche gli esercizi all’infuori delle tre alzate principali, oltre ad essere via via meno voluminosi, saranno anche meno presenti. Nel penultimo microciclo, settimana n.9, ci sarà uno scarico attivo (diminuzione del volume allenante e/o dell’intensità). Poi alla decima settimana ci sarà il test dei massimali, per quantificare i propri miglioramenti sui 3 big. “Senza numeri sono tutti atti di fede”.
Altro modo per inserire la forza nelle schede degli homos palestratus più navigati nel mondo dei pesi, é quello della periodizzazione ondulata ed a blocchi.
La periodizzazione ondulata giornaliera è ottima per variare gli stimoli dati al nostro organismo, grazie ad essa potremmo variare in tempi brevi, anche da un giorno all’altro, lo stimolo allenante dato ai muscoli (forza massimale, resistenza muscolare, lavori nel range ipertrofico ecc.). In quella a blocchi, alterneremo sempre dei mesocicli (blocchi) dedicati a diversi obiettivi ma su periodi ben più lunghi.
Per approfondire meglio queste due altre tipologie di periodizzazione consiglio di dare una lettura qui → La periodizzazione dell’allenamento: teoria e pratica
Attivazione neuromuscolare
Riguardo all’attivazione neuromuscolare, oltre ad un gesto tecnico pulito, può essere utile l’instabilità (senza esagerare però) [1]. Un “eccesso di instabilità” rischia di togliere lavoro ai muscoli target ed attivare maggiormente quelli deputati alla stabilizzazione, rischiando di rendere lo stimolo allenante troppo aspecifico.

Specialmente sugli esercizi multiarticolari, in alcuni fasi del movimento, per motivi neurali, non riusciremo ad attivare bene determinati distretti muscolari (basti pensare ad alcuni muscoli della catena cinetica posteriore durante lo squat). Qui potranno venirci incontro fermi isometrici a diverse altezze e alzate spezzate (fermo al petto nella panca piana, box squat, fermo in buca sempre nello squat).
La forza applicata a sport specifici
“In discipline come il lancio del peso e del giavellotto, ma anche del baseball e del softball, il compito sportivo è simile, ossia imprimere la massima velocità a un attrezzo. Allora perchè gli atleti che praticano queste discipline si allenano in maniera diversa (e perchè hanno un fisico così diverso)? Il 50% circa di tutto l’allenamento dei lanciatori di peso di alto livello consiste nel lavoro con sovraccarichi pesanti, mentre i giavellotisti di livello mondiale passano solo il 15-25% circa del tempo totale di allenamento nella sala pesi. Perchè? La causa è la grande differenza di peso degli attrezzi. Il peso dell’attrezzo dei lanciatori di peso è uguale a 7,257 kg per gli uomini e 4 kg per le donne; i giavellotti pesano rispettivamente 0,8 e 0,6 kg. Per i lanciatori di peso di alto livello, la velocitàdi rilascio del peso è di circa 14 m/s, mentre quella del giavellotto è superiore ai 30 m/s. Questi valori corrispondono a segmenti diversi della curva (parametrica) forza-velocità di movimento. I lanciatori di peso, a causa dell’elevata correlazione (non parametrica) tra forza massimale e velocità di moviemento (e anche velocità dell’attrezzo) nella fase di rilascio, hanno bisogno di una forza massimale elevata. Tale correlazione è scarsa nel lancio del giavellotto ed è ancora più scarsa in un colpo del tennis tavolo perchè la racchetta è molto leggera. La correlazione è uguale a 0 (zero) quando la forza massimale è confrontata alla velocità massimale di un braccio libero” [2].
Angoli di lavoro
Per un transfert ottimale si passa sempre da un esercizio di maggior impegno neuromuscolare ad uno minore, dal più difficile al più facile. Lavorare con i sovraccarichi intorno agli stessi angoli chiamati maggiormente in causa nel proprio sport specifico, il più delle volte, non è la scelta migliore.
Un esempio lampante è quello dei pallavolisti o giocatori di basket: dato che l’angolo fra tibia e femore, generalmente, è abbastanza ampio (sopra i 90-100°) negli esercizi di forza massimale sono molto usati i mezzi squat (o accosciate ancor meno profonde).

Per anni ci si è allenati in un determinato modo solamente perchè si è sempre fatto così. Sono state tramandate determinate metodiche senza che preparatori, allenatori e atleti si ponessero delle domande riguardo alla loro reale utilità e specificità.
Tattavia, fortunatamente, la letteratura scientifica degli ultimi anni ha smentito queste pseudoscienze, sottolineando l’utilità e l’elevato transfert di squat profondi. Al riguardo vi consiglio di visionare per bene uno studio tedesco del 2012 [3], nel quale sono state assoldate come cavie quasi 60 persone (36 uomini e 23 donne), divise poi in quattro gruppi. Uno si è dedicato interamente all’allenamento del front squat, uno del back (classico), uno dello squat parziale (1/4) e l’ultimo, di completi sedentari, non si è proprio allenato (gruppo di controllo).
Come riportato nella foto sopra si ricorre ad una programma di allenamento di 10 settimane: si parte da un allenamento voluminoso e si arriva ad utilizzare carichi sempre maggiori (intensità) a scapito del volume (periodizzazione lineare). Nel front e nel back squat non è permesso rimbalzare (brevissimo fermo in massima accosciata) e l’angolo del quarto di squat è misurato con una specie di grosso goniometro. Prima dell’inizio delle 10 settimane, ovviamente, sono stati effettuati i test dei vari massimali (1RM) in modo da regolarsi con gli allenamenti durante tutto il macrociclo ed avere riscontro dei miglioramenti sui test dei massimali post-macrociclo. Questi ultimi sono stati effettuati da tutti i 59 soggetti su tutti e tre i tipi di squat (front, back e parziale), sullo squat jump e salto con contromovimento. Nella tabella sotto i risultati!

Per comodità ho preso le ottime tabelle del buon Ironpaolo
In poche parole, gli esercizi più impegnativi per il sistema neuromuscolare (front squat e back squat) sono quelle che hanno dato mediamente molti più miglioramenti, questo sia sull’accosciata parziale (un quarto) che sui salti (con contromovimento e squat jump). Soprattutto il back squat ha dato transfert ma niente vieta di allenarsi su entrambe le alzate o di alternarle.
Il quarto di squat ha permesso di usare carichi abnormi ma con un transfert veramente irrisorio su quelli che potrebbero essere i gesti specifici di un qualche sport di squadra (es. salti nella pallavolo) e peggiorando leggermente le alzate del back e front squat.
Quindi, indipendentemente dagli angoli di lavoro dello sport in questione, allenarsi con cognizione su determinate alzate sarà più vantaggioso che fare solo dei mini-movimenti. Questo per gli atleti non d’élite. Quest’ultima categoria di atleti, ovviamente, deve allenarsi anche su angoli specifici.

Esercizi e sport ginocchio-dipendenti e anca-dipendenti
Esercizi e sport ginocchio-dipendenti (knee dominant): distensione degli arti inferiori con enfasi sulla catena anteriore.
Esercizi e sport anca-dipendenti (hip dominant): distensione degli arti inferiori con enfasi sulla catena posteriore.
Nessuna attività è al 100% di un tipo o dell’altro, ci son semplicemente quelle un po’ più gincchio-dipendenti (es. sci), quelle un po’ più anca-dipendenti (baseball, pugilato) e quelle più “50 e 50” (muay thai, pallavolo).
Esercizio base per i primi (knee dominant) è lo squat e per i secondi (hip dominant) è lo stacco da terra. In base quindi alle caratteristiche di uno sport è bene prediligere uno o l’altro esercizio.
Squat high o low bar?
Lo squat, esercizio che sta alla base della preparazione atletica e non solo, che ricordo essere ginocchio-dipendente, quando fatto con bilanciere può essere eseguito in due modi in base a dove il bilanciere viene appoggiato: sul trapezio (high bar) o sui deltoidi posteriori (low bar).
Quelle che seguono sono le principali differenze fra i due tipi di squat e consigli su quale scegliere per il proprio specifico sport, a seconda anche del soggetto.
- L’high bar squat stimola maggiormente lo sviluppo dei quadricipiti.
- L’high bar squat, grazie alla maggior verticalità della schiena, stressa poco quest’ultima.
- L’high bar squat, rispetto al low bar, causa maggiori compressioni patellofemorali e forze di taglio sul crociato anteriore.
- L’high bar squat per essere effettuato bene, quindi un po’ sotto al parallelo, richiede una mobilità articolare maggiore rispetto al low bar, soprattutto per quanto riguarda le anche.
- Il low bar squat impegna un numero leggermente maggiore di muscoli.
- Il low bar squat enfatizza il lavoro sulla catena muscolare posteriore.

A sinistra un high bar squat e a destra un low bar squat, entrambi al parallelo
E ancora…
- Come traiettoria dell’accosciata e posizione “in buca” l’high bar squat risulta più propedeutico per il weight lifting.
- Per chi ha o ha avuto problemi di vario genere al ginocchio può essere saggio optare per lo squat low bar, per eventuali infortuni alla schiena vale invece l’esatto contrario.
- Chi non ha una grande mobilità articolare e presenta leve sfavorevoli (ad esempio il femore molto lungo), per scendere sufficientemente sotto il parallelo può ricorrere allo squat low bar. Per questi soggetti l’appoggio “non convenzionale” del bilanciere durante l’accosciata è l’ideale per sopperire alle loro carenze in flessibilità.

Errori da evitare
Per concludere, andiamo a vedere quelli che spesso sono gli errori principali per chi vuole migliorare la propria forza massimale
- Saltare un periodo di adattamento anatomico e passare direttamente ai “pesoni”
- Trascurare la tecnica esecutiva degli esercizi
- Abuso del cedimento (sia tecnico che muscolare)
- Non periodizzare
- Pochissima variazione degli stimoli
- Scelta sbagliata degli esercizi
- Non tenere traccia dei propri miglioramenti
- Soffermarsi troppo su numeri magici (es. 5×5) senza particolari motivi
- Non monitorare parametri quali il tonnellaggio e l’intensità media di carico per i vari esercizi
- Escludere completamente gli esercizi per la prevenzione degli infortuni, ad esempio di rinforzo addominale
- Non utilizzare neanche un complementare
- Lavorare poco sullo stretching (specialmente per lo squat)
- Non tenere conto delle differenze soggettive che vanno ad influenzare la tecnica degli esercizi, soprattutto i multiarticolari come la conformazione dell’anca, la lunghezza delle leve (rapporto tibia-femore) e così via.
- Aver troppa fretta di concludere gli allenamenti per paure inutili (es. catabolismo muscolare), rovinando l’efficacia degli stessi (recuperi inadeguati, scarsi volumi ecc.)
Però ricordate bene: l’allenamento della forza e la preparazione atletica in generale possono essere molto ma non tutto (foto sotto).
E ora, sotto ad allenarsi!
Grazie per l’attenzione.
Bibliografia
1 Byrne et al. – Effect of using a suspension training system on muscle activation during the performance of a front plank exercise (2014)
2 V. M. Zatsiorsky e W. J. Kraemer – Scienza e pratica dell’allenamento della forza (Calzetti Mariucci; 2a ediz., 2009)
3 Hartmann et al. – Influence of squatting depth on jumping performance (2012)
Ado Gruzza – Il Metodo Distribuito (Pure Power, 2011)
Evangelista P. – Angoli specifici o generici? (2013)
Glassbrook D. J. et al. – A review of the biomechanical differences between the high-bar and low-bar back-squat (2017)
Millet A. – Stop squatting through that painful hip pinch (2017)
Bell’articolo. Chi è l’autore?
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Ciao Igor! Sono contento che ti sia piaciuto quello che ho scritto. L’articolista è il sottoscritto, Enrico Cravanzola 🙂
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