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  • Trazioni: come diventare più forti

    Trazioni: come diventare più forti

    Vuoi diventare più forte nella trazioni ma non hai idea di come fare? Questo articolo potrebbe fare al caso tuo. Buona lettura!

    Introduzione

    Non molto tempo fa ho caricato sui social un video inerente un mio test massimale di weighted pull up (trazioni prone zavorrate). Quindi mi sono detto, perché non approfittarne e parlare del mio umile percorso nel mondo delle trazioni?

    Iniziai ad interessarmi a questi esercizi di tirata diversi anni fa, quando praticavo sport fortemente aerobici e non avevo la forza per eseguire con una tecnica decente nemmeno un sollevamento alla sbarra.

    Un primo approccio ragionato

    Resomi conto del mio deficit generale di forza mi intestardì e decisi di dedicare alle trazioni il tempo che meritavano. Iniziai a lavorare sulle trazioni prone (pull up) eccentriche. Portavo il mento poco sopra la sbarra aiutandomi con un salto più che con le braccia e successivamente mi “lasciavo cadere” – braccia che si distendono e corpo che scende verso il basso -, concludendo poi la seduta dedicandomi a alle trazioni supine (chin up).

    Una seduta del me dell’epoca poteva essere grossomodo questa (serie x reps):

    Pull up (eccentriche 3″)4-5×8-10
    Chin up3×4

    Le trazioni supine, notoriamente più semplici, le eseguivo intere, senza salti o trucchi per facilitare la cosa. In certi periodi l’intera sessione di allenamento era effettivamente solo quella riportata sopra, altre volte invece vi erano anche altri esercizi per il petto, bicipiti, eccetera.

    Ricordo di essere andato avanti così per non più di 3 mesi, per poi passare ad un’altra routine di cui avevo già parlato in un altro articolo: Trazioni – Un programma da fare (se siete scarsi) #TCback. Ossia l’accumulo di un discreto volume di lavoro (numero di ripetizioni totali) in un tempo ristretto. Per darvi un’idea del da farsi, vi riporto qui sotto la prima delle 6 settimane di lavoro (due allenamenti a settimana).

    A) Pull up5×2 (1′ rest)
    B) Pull up6×2 (1′ rest)

    Per ulteriori informazioni vi rimando all’articolo citato poc’anzi.

    Dopo qualche mese passai finalmente ad eseguire alcune trazioni prone di fila ed i programmi iniziarono ad essere più simili a ciò che riporterò ora qui sotto…

    Pull up4×7
    Chin up3×8
    Rematore bilanciere4×10
    La svolta

    Mi sono allenato con schemi sulla falsariga di quello mostrato nella tabella precedente per un paio d’anni, ottenendo dei miglioramenti che mi hanno portato ad avere un massimale di 10 pull up eseguiti di fila. Ma a un certo punto ho avuto la sensazione di stallare un po’ troppo, non riuscendo quindi più a progredire. Ho optato allora per un programma di allenamento che avevo trovato online qualche anno addietro (onestamente non ricordo dove).

    Pull up1xmax reps
    Pull up4×50% max
    Rematore con manubrio4×8

    Dopo il riscaldamento si tenta subito un massimale di trazioni (una serie a cedimento), dopodiché si passa a fare quattro serie di trazioni con un numero di ripetizioni pari alla metà delle ripetizioni effettuate durante quell’1xmax reps. Successivamente ci si concede un esercizio complementare che può essere un rematore come una lat machine, un pulley e così via. Facendo un esempio ancor più concreto, una seduta di allenamento potrebbe essere la seguente: 1×12 pull up (max reps), seguiti da 4×6 pull up e 4×8 di rematore.

    Alternando la preparazione atletica al mio sport (le MMA) non ho potuto ripetere sedute come questa per più di una volta a settimana, ma nonostante il volume di allenamento non eccessivo sono comunque riuscito ad ottenere dei miglioramenti tangibili. Dopo 8 settimane di allenamento sono arrivato ad eseguire 15 trazioni pulite, cosa quasi impensabile se penso che qualche tempo prima facevo fatica a chiudere una singola ripetizione.

    Forza massimale (aumentare l’1RM)

    Dopo il buon risultato ottenuto sul numero di trazioni eseguite di fila, mi sono deciso ad iniziare a zavorrarle tramite una apposita cintura. Perché va bene mettersi alla prova sulla forza resistente, ma è bene misurarsi anche in altri modi. In breve, per 6 settimane mi sono allenato eseguendo alcune serie di trazioni zavorrate, seguite da due esercizi più incentrati sull’ipertrofia.

    Weighted pull up (15 kg)3×5
    Weighted pull up (20 kg)3×3
    Rematore con manubrio4×8
    Pull down ai cavi4×15

    Come già accennato, ho seguito questo schema per 6 settimane consecutive (una sola seduta settimanale) e subito dopo ho tentato un nuovo record personale. Dopo un buon riscaldamento ho eseguito tre trazioni alla sbarra. La prima con 30 kg, la seconda con 32.5 e la terza con 36. Purtroppo quest’ultimo tentativo non è andato a buon fine (il mio mento non ha superato la sbarra). In ogni caso, posso dirmi molto soddisfatto della prova.

    Conclusioni

    Quel che ho fatto non è stato nulla di bizzarro o geniale. La forza è una capacità condizionale ma i singoli esercizi sono delle skills. Vuoi diventare forte nelle trazioni? Allenati facendole. Vuoi diventare forte nelle distensioni su panca piana? Allenati facendole! Va specificato che è importante non cadere nell’erroneo ragionamento forza = ipertrofia, dato che l’allenamento della forza massimale (poche ripetizioni ad alti carichi) può generare un certo sviluppo muscolare ma in ottica bodybuilding & fitness vi sono delle vie più ottimali per crescere.

    Per altre dritte potete seguirmi su Instagram oppure farvi allenare dal sottoscritto.

    Buon allenamento!


    Bibliografia

    Cravanzola E. – Trazioni e attivazione muscolare (2018)
    Cravanzola E. – La forza nello sport e in palestra: consigli ed errori da evitare (2016)
    Cravanzola E. – Tessuto muscolare: componenti, forma, contrazione ed ipertrofia (2016)
    Cravanzola E. – Trazioni – Un programma da fare (se siete scarsi) #TCback (2019)
    Cravanzola E. – Progressione per i piegamenti su un braccio e le trazioni (2017)

  • Riscaldamento e mobilità attiva per sport da combattimento (esempi pratici)

    Riscaldamento e mobilità attiva per sport da combattimento (esempi pratici)

    Cercate degli esercizi da implementare nelle vostre routine di allenamento per eseguire un riscaldamento ben fatto o lavorare sulla mobilità? Allora avete trovato l’articolo giusto! Quelli che seguono sono degli esercizi da eseguire all’inizio della seduta di lavoro, considerabili come un riscaldamento o dello stretching dinamico. Alcuni di questi, eventualmente, possono anche essere svolti in sessioni a parte.

    Buona lettura!

    Introduzione

    Il riscaldamento è quell’attività che introduce al compito motorio cardine dell’allenamento vero e proprio. E’ un elemento importantissimo per prevenire gli infortuni, innalza la frequenza cardiaca, aumenta la temperatura corporea, migliora la risposta dell’apparato cardiovascolare a sfrozi intensi, ottimizza l’utilizzo di substrati energetici rilasciando glucosio nel circolo sanguigno, e così via. Lo stretching possiamo invece definirlo come quell’insieme di tecniche volte ad aumentare la flessibilità di un individuo, tenendo a mente che la flessibilità è l’insieme della mobilità articolare e dell’estensibilità dei muscoli.

    Flessibilità = mobilità articolare + estensibilità muscolare

    Ulteriori approfondimenti in Stretching: teoria e pratica.

    Elenco esercizi

    Qui di seguito i nomi e le illustrazioni di alcuni esercizi consigliati. Per comodità i nomi sono in inglese, in certi contesti è più comodo ricorre a dei termini più internazionali in modo da non creare confusione (le immagini sono prese da qui).

    Fire hydrant

    Hip circle

    Scorpion

    Lateral leg reach

    Cat-Cow

    Bird dog

    Straight-leg series

    Side-lying abduction

    Side-lying adduction

    Supine hip rotation

    Supine hip bridge

    Ankle rockers

    Air squat

    Toe grab

    Trunk rotation

    Flexed trunk rotation

    Bent-over scapular retraction

    Bent-over T

    Bent-over 90-90

    Knee hug

    Straight-leg march

    Tall side slide

    Carioca

    Skip

    Lateral skip

    Backward skip

    Ovviamente questi sono solo alcuni dei mille esercizi pre-atletici che si possono inserire all’inizio delle proprie routine di allenamento, includere tutti quelli esistenti richiederebbe un’enciclopedia.

    Esempio pratico

    Qui di seguito l’esempio di una routine di allenamento contenente alcuni degli esercizi riportati nel precedente paragrafo. Sbizzarriamoci.

    Prima dell’inizio di una seduta di strength & conditioning (esempio 1).

    EsercizioRipetizioni, tempo o distanza
    Jump rope3×3′
    Skip3×20-30 m
    Carioca2×20-30 m
    Backward skip3×20-30 m
    Knee hug5-10 (a gamba)
    Straight-leg march5-10 (a gamba)
    Supine hip rotation5-10 (a gamba)
    Toe grab10
    Cat-cow10-20
    Trunk rotation10 (a lato)
    Flexed trunk rotation10 (a lato)
    Bent-over T10
    Warm up specifico

    Prima dell’inizio di una seduta di strength & conditioning (esempio 2).

    EsercizioRipetizioni, tempo o distanza
    Corsa lenta5-10′
    Skip3×20-30 m
    Tall side slide2×20-30 m
    Backward skip3×20-30 m
    Knee hug5-10 (a gamba)
    Straight-leg march5-10 (a gamba)
    Supine hip bridge10
    Air squat10
    Flexed trunk rotation10 (a lato)
    Cat-cow10-20
    Bent-over scapular retraction10
    Bent-over 90-9010
    Warm up specifico

    Quel “warm up specifico” sul finale, sta a significare che dopo un riscaldamento generale si passa ad uno più simile a quel che poi dev’essere fatto nella parte centrale dell’allenamento vero e proprio. La seduta è incentrata sulla corsa veloce? Allora, dopo il warm up generico, si fanno degli sprint di moderata intensità e/o degli allunghi sui 60-100 metri. Oppure il workout riguarda l’allenamento della forza tramite la panca piana e lo squat? Allora la ricetta consigliata da seguire è warm up generale + panca piana con bilanciere scarico e/o carichi molto leggeri (stessa cosa per lo squat).

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Landow L. – Ultimate Conditioning for Martial Arts (Human Kinetics 1a ediz., 2016)
    Trevisson P. – Atletica (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2014-2015)

  • La Forza nella Kickboxing e negli Sport da Combattimento: appunti per i coach

    La Forza nella Kickboxing e negli Sport da Combattimento: appunti per i coach

    Introduzione

    La forza è importante negli sport da combattimento? Sì, ma quanta? E di che tipo? Va anche aggiunto che di sport da combattimento (SdC) ce ne sono molti, più o meno famosi, alcuni anche molto diversi fra di loro… Allora vediamo di far chiarezza, possibilmente in breve, su domande affliggono innumerevoli persone, anche fra gli addetti ai lavori.

    Un “caso-studio”

    Roby, un simpatico ragazzo che seguo da un po’, ha 25 anni pratica in forma agonistica savate (boxe francese) e kickboxing/k-1. Ragazzo longilineo, dal peso che oscilla fra i 75 ed 80 kg. Dalla sua non ha una grande genetica, infatti fatica a mettere su massa muscolare ed ha le articolazioni particolarmente fragili (predisposizione?). Però gli va riconosciuto un pregio: la grande etica del lavoro, una resilienza degna di certi atleti professionisti. Fra un acciacco al gomito, uno al ginocchio ed un altro al petto, appena riconquistata una buona condizione di salute, gli ho programmato una scheda di allenamento della durata di sole 8 settimane (due mesi circa). Per farla breve, tre sedute di allenamento coi pesi a settimana con un certo focus sui multiarticolari (distensioni su panca piana e squat). Il precedente carico massimale (1RM) sollevato alla panca piana era di 73 chilogrammi, tempo di aumentarlo, no?

    Quanta forza serve negli sport da combattimento?

    Come avevo già accennato qui: «Le differenze inerenti l’utilizzo delle capacità condizionali negli SdC dipendono principalmente dalla velocità con cui una forza viene applicata. Con lo sviluppo di tensione, nel muscolo si verifica un accorciamento, questo accorciamento avviene in una determinata quantità di tempo, per cui, secondo la relazione fisica spazio/tempo si può riuscire a quantificare il tempo in cui questa contrazione avviene. Per sviluppare la massima forza esprimibile necessaria per un determinato movimento occorre tempo. Il tempo per raggiungere il picco di forza varia da persona a persona (leve, coordinazione inter e intramuscolare, fibre muscolari, capacità di reclutamento) e dal tipo di movimento […] Il jab di un abile boxeur (colpo dritto e rapido) si muove con una velocità ben diversa rispetto ad una normale proiezione di un lottatore (hip toss, double leg, single leg…). […] Il pugile non esprimerà mai e poi mai tutta la sua forza in quel colpo, è impossibile, i suoi segmenti corporei ed i relativi muscoli si muovono troppo velocemente, non c’è il tempo necessario per sviluppare grandi livelli di forza. Al contempo, il lottatore portando un takedown sarà un po’ più lento ma riuscirà ad imprimere molta più forza in quella tecnica […] Bisogna quindi fermarsi un attimo a riflettere per cercare di comprendere cosa serve per lo sport che si pratica». Negli sport da combattimento una buona base di forza è sempre utile, se non indispensabile per competere ed ottenere risultati soddisfacenti in gara. È importante specificare che tutte le espressioni di forza sono altamente dipendenti dalla forza dura e pure, cioè quella massimale. Allenando la forza massimale – alti carichi spostati a basse velocità – vi sarà un miglioramento “a cascata” di tutte le altre forme di questa capacità bio-motoria, come la forza esplosiva, forza resistente o forza veloce. Riguardo ad eventuali classificazioni, trovo molto condivisibile quella fatta dal più navigato collega Alain Riccaldi in un suo vecchio articolo, dove stilava la seguente lista:

    1. Lotta greco-romana
    2. Lotta libera
    3. Judo
    4. MMA
    5. Grappling (no-gi) e Sambo
    6. Brazilian jiu-jitsu
    7. Muay thai
    8. Boxe
    9. Kickboxing
    10. Taekwondo, Light contact, Point Karate

    Come facilmente intuibile, gli sport di rapidità “colpisci ed esci” sono quelli dove è richiesta meno forza massimale, mentre per quelli fatti di proiezioni, sollevamenti ed eventuali contrazioni statiche il discorso è l’opposto. Vi sono poi alcune discipline intermedie come muay thai dove la questione è più un “50 e 50”, lì la forza massimale conta – pensiamo ai lunghi clinch ed agli sbilanciamenti – ma è assai importante anche la forza rapida (colpi, spostamenti). In ogni caso, seppur in misura differente, ogni capacità bio-motoria dev’essere allenata per ogni singolo SdC. Al lottatore, judoka o grappler serve molta forza massimale, ma abbisognerà anche di esplosività e rapidità. Allo stesso modo, al kickboxer non servirà solo rapidità ma anche un certo livello di forza, potenza, capacità aerobica e così via. Superfluo (o forse no?) specificare che queste nozioni sono rivolte principalmente a fighter agonisti, desiderosi di incrementare le proprie performance ed eccellere sul tatami, ring o gabbia.

    Quanta forza serve per combattere?

    La verità assoluta non la possiede nessuno, ma anche in questa occasione sono è estremamente verosimile quanto scritto qui, con delle cifre che per gli atleti professionisti, riferite al più alto carico sollevabile (1RM), sono indicativamente le seguenti:

    – Panca Piana (1RM) 1.25-1.5xBW
    – Squat (1RM) 1.75-2xBW
    – Front Squat (1RM) 1.5-1.75xBW
    – Stacco (1RM) 2.25-2.5xBW
    – Power Clean (1RM) 1.25-1.5xBW
    – Trazioni zavorrate (1RM) 0.5-0.75xBW

    Ovviamente non è detto che un programma di allenamento debba necessariamente includere tutti questi esercizi. Io, prendendo spunto da queste indicazioni, accamperei dei numeri anche per gli atleti dilettanti, prendendomi la libertà di aggiungere un esercizio in più:

    – Panca Piana (1RM) 1-1.25xBW
    – Squat (1RM) 1.5-2xBW
    – Front Squat (1RM) 1.25-1.75xBW
    – Stacco (1RM) 2-2.25xBW
    – Power Clean (1RM) 1-1.25xBW
    – Trazioni zavorrate (1RM) 0.25-0.5xBW
    – Push press (1RM) 1xBW

    Il “BW” sta per peso corporeo (bodyweight), quindi la dicitura “Panca Piana (1RM) 1.25-1.5xBW” sta ad indicare che un livello di forza ideale, espresso sulla bench press, per un pugile professionista del peso di circa 70 kg corrisponde a un valore oscillante fra gli 87.5 (70×1.25) ed i 105 chili (70×1.5). Cifre invece un po’ più modeste se è un dilettante (70-87.5 kg).

    Il programma di allenamento

    Il precedente massimale del mio atleta-cliente sulla panca piana era di 73 kg, eseguiti tra l’altro con una bottiglietta incastrata al centro del petto, in modo da ridurre il ROM e limitare i fastidi a una spalla, e sono bastate otto settimane per incrementarlo di 7 kg a full ROM (quasi +10%). È importante specificare che un simile miglioramento è un buon risultato ma nulla di eccezionale, contando poi che il precedente record personale era mediocre. Contestualizzando però il tutto, il risultato ha un sapore di vittoria: Roby aveva alcuni infortuni pregressi e in meno di due mesi ha acquisito forza e sicurezza sia sulla panca che sullo squat.

    Riguardo all’appena citato squat, non avevamo dei numeri su cui basarci poiché visti gli acciacchi al ginocchio non avevamo mai spinto troppo su questa alzata (in futuro sarà diverso). In ogni caso, 86 kg di massimale è un discreto punto di partenza, nei prossimi mesi la musica sarà ben diversa (almeno spero).

    Ma ora veniamo al punto forte, il programma. Spesso le cose semplici funzionano e questo ne è un lampante esempio: 8 settimane di periodizzazione lineare dove col passare del tempo l’intensità di carico (kg sul bilanciere) è aumentata, a scapito del volume. Niente di più basilare. In ogni caso, il lavoro prescritto ed eseguito in home gym è stato il seguente:

    Settimane n.1-3 (tre sessioni settimanali A-B-A)

    Esercizi (A)Set x reps
    Rematore con bilanciere (presa supina)5×10
    Rematore con elastici4xMAX (15RM)
    Scrollate con bilanciere4×15
    Military press con manubri4×10
    Alzate laterali da seduto3×15
    Alzate laterali con busto inclinato3×20
    Squat (fermo 3” al parallelo)1×5 (10RM)
    Squat4×6
    Squat bulgaro (corpo libero)3×10
    Leg curl prono con elastico (una gamba)3×15
    Esercizi (B)Set x reps
    Floor press con manubri3×10
    Panca piana con bilanciere2×8
    Panca piana con bilanciere2×6
    Panca piana con bilanciere1×5
    Croci su panca piana4×10
    Distensioni tricipiti da terra4×15
    Curl concentrato4×8
    Hammer curl manubri3×15
    Circuito addominali10′

    Settimane n.4-6 (tre sessioni settimanali A-B-A)

    Esercizi (A)Set x reps
    Rematore con bilanciere (presa supina)4×8-8-6-6
    Rematore con elastici4xMAX (15RM)
    Scrollate con bilanciere4×10
    Military press con manubri4×8
    Alzate laterali da seduto3×10
    Alzate laterali con busto inclinato3×15
    Squat (fermo 3” al parallelo)1×5 (10RM)
    Squat2×5
    Squat2×4
    Squat2×3
    Squat1×2
    Leg curl prono con elastico (una gamba)3×15
    Esercizi (B)Set x reps
    Floor press con manubri3×10
    Panca piana con bilanciere2×5
    Panca piana con bilanciere2×4
    Panca piana con bilanciere2×3
    Panca piana con bilanciere1×2
    Croci su panca piana3×10
    Distensioni tricipiti da terra3-4×15
    Curl concentrato4×8-8-6-6
    Hammer curl manubri3×10
    Circuito addominali10′

    Settimana n.7 (due sessioni settimanali A-B), scarico attivo.

    Esercizi (A)Set x reps
    Squat (fermo 3” al parallelo)2×5 (10RM)
    Squat3×4
    Leg curl prono con elastico (una gamba)3×15
    Rematore con bilanciere (presa supina)3×8
    Rematore con elastici3xMAX (15RM)
    Military press con manubri3×8
    Alzate laterali da seduto3×10
    Esercizi (B)Set x reps
    Panca piana con bilanciere4×8-8-6-6
    Panca piana con bilanciere4xMAX (15RM)
    Floor press con manubri4×10
    Distensioni tricipiti da terra4×8
    Curl concentrato3×10
    Hammer curl manubri3×15
    Circuito addominali10′

    Settimana n.8: due sessioni dedicate al test dei massimali (Panca e Squat).

    Le prime tre settimane sono state più voluminose che intense, il contrario per le tre successive. Per la settima vi è stato uno scarico attivo e l’ottava i tanto temuti test. È stato fatto il possibile, dato che in fin dei conti parliamo di una home gym. Come avrete notato, vi è stato anche un discreto lavoro accessorio, con esercizi “non fondamentali” volti anche all’aumento della massa muscolare (prescritti su richiesta dell’atleta stesso). Roby, oltre all’allenamento coi sovraccarichi, ha eseguito in solitaria anche del lavoro tecnico sullo striking, specifico per il proprio sport, elemento qui non approfondito perché esula dal focus dell’articolo.

    Come visibile qui sopra, meno di tre mesi dopo il massimale è incrementato di ulteriori 8 chilogrammi (da 80 a 88). Eseguendo coi pesi un lavoro sulla falsariga di quello eseguito nei mesi precedenti. Di Roby ed il suo programma è stato detto molto anche in questo video.

    Conclusioni

    Il più è già stato detto. Cose relativamente semplici, progressioni sensate ed obbiettivi ragionevoli sono la chiave dei miglioramenti sul lungo periodo. La costanza negli allenamenti ed un minimo di fortuna faranno il resto; messo nelle giuste condizioni chiunque può migliorare. Se volete saperne di più potete contattarmi qui oppure sui social. In ogni caso, allenatevi.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Riccaldi A. – Quanta Forza serve al praticante di Sport da Combattimento? (Project Invictus, 2014)
    Landow L. – Ultimate Conditioning for Martial Arts (Human Kinetics 1a Ediz., 2016)

  • Gomito: anatomia e biomeccanica di base

    Gomito: anatomia e biomeccanica di base

    Altro appuntamento con i nostri articoli inerenti le articolazioni umane. Quanto segue può interessare chiunque pratichi sport, o lavori, che coinvolgono molto gli arti superiori. Buona lettura!

    Cenni anatomici

    Il gomito è un’enartrosi, quindi una articolazione che gode di un’ottima mobilità, composta da innumerevoli ossa. La foto riportata qui sotto può dare una mano a farsi un’idea della sua complessità.

    Il gomito è composto dall’unione di tre differenti articolazioni: omero-ulnare, omero-radiale e radio-ulnare. Volendo sintetizzare il tutto:

    • omero-ulnare = estremità distale dell’omero + estremità prossimale dell’ulna;
    • omero-radiale = estremità distale dell’omero + estremità prossimale del radio;
    • radio-ulnare = estremità prossimale del radio + estremità prossimale dell’ulna.

    Sulla porzione medio-distale dell’omero (la parte centrale e “bassa” vicino al gomito) vi sono i punti di inserzione prossimale del muscolo brachiale e del capo mediale del tricipite brachiale. Al “fondo” dell’omero, medialmente, abbiamo la troclea e l’epicondilo mediale, e lateralmente un capitello omerale e l’epicondilo laterale (l’epicondilo mediale dell’omero è detto anche epitroclea). Dalla troclea si diramano poi due piccole sporgenze: il labbro mediale ed il labbro laterale (figura sotto).

    Il già citato epicondilo mediale – che sporge medialmente dalla troclea – fa da punto d’inserzione prossimale per il legamento collaterale ulnare del gomito e per molti dei muscoli pronatori dell’avambraccio e flessori del polso. L’epicondilo laterale invece, funge da punto d’inserzione prossimale per il legamento collaterale mediale del gomito e per la maggior parte dei muscoli supinatori dell’avambraccio ed estensori del polso.

    Sotto, un’illustrazione del gomito destro visto anteriormente (sinistra) e posteriormente (destra).

    Riguardo l’ulna, bisogna sapere che è dotata dell’oleocrano, ossia una estremità arrotondata che conferisce al gomito la sua visibile “punta”. Inoltre, la superficie ruvida posteriore dell’oleocrano accoglie l’inserzione del tricipite brachiale. Sempre lì in loco vi è la cresta del supinatore, la quale delinea il punto di inserzione del legamento collaterale radiale e del muscolo supinatore. Come non citare anche la tuberosi dell’ulna, la quale accoglie l’inserzione del muscolo brachiale (da non confondere con il bicipite brachiale).

    Visione anteriore del radio ed ulna (braccio destro)
    Visione posteriore del radio ed ulna (braccio destro)

    Passando infine al radio, questo rappresenta una parte relativamente piccola del gomito ma una grossa parte dell’articolazione del polso. L’estremità prossimale del radio, poco sotto la testa dello stesso – vicino al gomito -, presenta il collo del radio e la tuberosità radiale. In corrispondenza di quest’ultima, detta anche tuberosità bicipitale, si inserisce sull’osso il bicipite brachiale.

    Visione laterale dell’epifisi prossimale dell’ulna (braccio destro)

    Seppur in maniera diversa, sia l’articolazione omero-ulnare che omero-radiale stabilizzano e mettono in sicurezza l’articolazione del gomito. La prima dà stabilità attraverso lo stretto contatto tra la troclea e l’incisura trocleare, mentre la seconda stabilizza grazie al supporto della testa del radio contro il capitello omerale, insieme alle sue connessioni capsulo-legamentose.

    Cenni biomeccanici

    Il gomito ha funzione di pronazione-supinazione e di flesso-estensione, quest’ultima si ha interagendo con articolazioni minori come quella omero-ulnare e omero-radiale. Alcuni testi osservando il rapporto del gomito col braccio e l’avambraccio, definiscono il primo un compasso. Per farci un’idea della pronazione e supinazione basti pensare all’intra e all’extra-rotazione dell’avambraccio. Questo semplice movimento è molto caro agli sportivi che lo eseguono ogni volta in cui devono eseguire curl per i bicipiti o decidere quale presa utilizzare per le trazioni alla sbarra, lo stacco da terra, e così via. Potremmo tradurre il movimento come un: da in piedi e rilassato “giro” il palmo della mano verso avanti (supinazione) e poi, il contrario, verso dietro (pronazione).

    Il movimento di flessione del gomito consiste nell’avvicinamento dell’avambraccio al braccio propriamente detto (quest’ultimo è la porzione di arto compresa fra il gomito e la spalla). Ne è un lampante esempio il curl per bicipiti, esercizio dove il braccio si flette, quasi a fare arrivare la mano alla spalla. Allo stesso modo, potremmo parlare di estensione citando il push down ai cavi; nell’estensione del gomito l’avambraccio si allontana dal braccio. I muscoli che fanno da motori della flessione sono il brachiale anteriore, brachioradiale e bicipite brachiale. Riguardo all’estensione, sono invece il tricipite brachiale e l’anconeo.

    Sopra, la fisiologica flessione (avambraccio che va verso l’alto) ed estensione (avambraccio che va verso il basso) del gomito. Solitamente, quando questa articolazione è in salute, il range di movimento consentito parte da una leggera iperestensione (-5°) per arrivare fino a 145° di flessione. In rosa è evidenziato l’arco funzionale di movimento di 100 gradi totali (da 30° a 130°).

    Per ulteriori approfondimenti, vi rimandiamo ai libri consigliati a fondo pagina.

    Grazie per l’attenzione.

    Bibliografia

    A. I. Kapandji – Anatomia funzionale (Monduzzi, 2020)
    S. B. Brotzman e R. C. Manske – La riabilitazione in ortopedia (Edra Masson, 2014)
    Neumann A. D. – Chinesiologia del sistema muscolo scheletrico. Fondamenti per la riabilitazione (Piccin-Nuova Libraria, 2019)
    Evangelista P. – DCSS. Power mechanics for power lifters (Sandro Ciccarelli Editore, ediz. 2015)
    D. Carli, S. Di Giacomo, G. Porcellini – Preparazione atletica e riabilitazione. Fondamenti del movimento umano. Scienza e traumatologia dello sport, principi di trattamento riabilitativo (Edizioni Medico-Scientifiche, 2013)

  • Forza Speciale per la Lotta (esempio pratico)

    Forza Speciale per la Lotta (esempio pratico)

    Ennesimo articolo sugli sport da combattimento, questa volta il topic è quello dello sviluppo di forza speciale per sport lottatori come la lotta stessa – sia libera che greco-romana – o il grappling, le arti marziali miste e così via. Il tutto parte da uno spunto arrivato tramite l’account IG di un preparatore atletico russo. Per questa esercitazione basta un wrestling dummy (il sacco-omino nero) ed un partner di allenamento, ma prima occorre fare un passo indietro mettendo alcuni puntini doverosi sulle i.

    Una definizione

    La forza massimale rappresenta il più alto grado di forza che il sistema neuromuscolare ha la possibilità di esprimere in una massima contrazione volontaria, mentre la forza speciale indica «la forma di manifestazione della forza tipica di un determinato sport o il suo correlato muscolare specifico (cioè, i gruppi muscolari che partecipano ad un determinato movimento sportivo)».1 A seconda della velocità e del movimento generato esistono più classificazioni, ma al momento non ci occorre approfondirle.

    Dalla teoria alla pratica

    Ora vi invitiamo a guardare il breve video riportato qui sotto.

    Partendo dal presupposto che è necessario uno schema motorio ben consolidato prima di sottoporsi ad allenamenti di forza speciale, quanto mostrato in video non è nulla di particolarmente innovativo o bizzarro. L’esercizio è quello del gut wrench, una proiezione utile a controllare, fare punti e dominare un avversario in gara. Il fighter tenta di eseguire dei gut wrench vincendo la resistenza esercitata da una seconda persona, il tutto per un determinato quantitativo di tempo. Esercitazioni simili hanno il pregio di poter rendere più intensi (zavorrare) esercizi specifici, facenti quindi parte dello sport in sé, ma senza alterare più di tanto la tecnica e la biomeccanica del gesto.

    Un esempio

    Andando più nel concreto quello che segue è un modo per allenare la forza massimale speciale con il buon vecchio metodo a contrasto che avevamo già trattato qui e qui (entrambe letture consigliate).

    EserciziSerie x repsRecupero
    Stacco da terra (80% 1RM) + Gut wrench con dummy3-5×53-5′

    Oppure allenando forza massimale e forza speciale nella stessa seduta ma senza contrasto.

    EserciziSerie x repsRecupero
    Overhead squat (80% 1RM)3-4×52-3′
    Gut wrench con dummy3-4×52-3′
    Conclusioni

    Per allenarsi bene non servono routine di allenamento particolarmente complicate o macchinari costosi. Relativamente pochi esercizi, ben eseguiti e collocati in un programma di allenamento intelligente, adeguatamente periodizzato. Se siete alla ricerca di ulteriori approfondimenti potete visitare la nostra sezione inerente la preparazione atletica, oppure farvi seguire per un prezzo onesto.

    Buon allenamento!


    Bibliografia

    1 Scienze Motorie – Le tipologie di Forza (2019)

  • Tagliare il peso secondo il nutrizionista (Weight Cutting)

    Tagliare il peso secondo il nutrizionista (Weight Cutting)

    Dopo l’apprezzatissimo articolo sul taglio del peso, torniamo a parlarne riassumendo quanto detto dal biologo nutrizionista e lottatore Roberto Scrigna all’interno di una puntata dell’Invictus Podcast (potete recuperarla a questo link).

    Buona lettura!

    Introduzione

    Il taglio del peso, argomento che non passa mai di moda, consiste in quell’insieme di pratiche volte a perdere peso generalmente in poco tempo, per poi riguadagnarlo nel giro di poche ore. Il taglio del peso – in inglese weight-cutting – oltre a questioni di natura etica (barare?!), fa molto discutere a causa di danni alla salute che può provocare in acuto1 ed ipoteticamente anche in cronico.

    Punti chiave #1 – Classificare gli sport dove si taglia il peso

    Dobbiamo analizzare uno sport che richiede un weight-cutting basandoci su due aspetti: le tempistiche del taglio (quanto passa fra la pesatura ufficiale e la competizione) e gli sforzi energetici richiesti dallo sport in questione (aerobici o anaerobici). È importante capire se il calo del peso deve passare o meno per una restrizione glucidica (meno carboidrati) e se questa è lieve oppure netta. L’obiettivo, com’è logico che sia, è quello di far rientrare l’atleta nella categoria di peso desiderata senza compromettere la bontà della sua condizione atletica. Ci sono sport dove ci si pesa a ridosso della gara (1-2 ore prima), altri intermedi dove il lasso di tempo fra weigh-in e competizione è di circa 6 ore (powerlifting) ed altri ancora dove il tempo inizia ad essere considerevole (24-36 ore come nelle MMA, nella lotta di alto livello o nel judo olimpico).

    #2 – Parametri su cui poter agire in acuto

    I parametri che possono influenzare il successo oppure no di un taglio del peso sono fondamentalmente di quattro: la quantità di glicogeno stoccata nel fegato, lo stato di idratazione dell’individuo, l’equilibrio idro-elettrolitico (i livelli di sodio e di potassio) e l’assunzione di fibre. È sconsigliato disidratarsi nelle discipline che prevedono un weigh-in molto vicino alla gara (entro le due ore). In sport dove gli sforzi sono perlopiù anaerobici alattacidi (pesistica olimpica, powerlifting) si possono manipolare i carboidrati in acuto, facendo perdere all’atleta il 2-3% del proprio peso corporeo (impegni fisici particolarmente brevi non fanno consumare all’organismo quantità eccessive di glicogeno muscolare). Oppure, ancora meglio, nel contesto appena citato si potrebbe lavorare sull’ingestione di fibre e sulla regolazione del sodio nei giorni antecedenti la pesatura. Per tagliare peso senza disidratarsi ci sono tre vie:

    • Il passaggio da una dieta ad alto contenuto di fibre ad una a povera di quest’ultime;
    • Il passaggio da una dieta ricca di alimenti idratati ad una più secca (per esempio dal riso alle più leggere gallette di riso);
    • Il passaggio da una dieta ricca di sodio ad un povera di sodio (con eventuale water loading*).

    *Il water loading consiste nel bere parecchia acqua per alcuni giorni (solitamente 3 o 4) e berne poi molta meno per un breve periodo (24 ore o poco più). Si può citare un importante studio2 di Reid Reale e colleghi, dove un gruppo di 11 atleti era riuscito a modificare sensibilmente la propria massa corporea per un breve periodo. Come? Bevendo molta acqua per tre giorni di fila (100 ml/kg, quindi circa 7 litri al dì per un uomo di 70 kg) e riducendola drasticamente nel il quarto giorno (15 ml/kg), per poi eseguire successivamente un programma di reidratazione della durata di due giorni. Lo studio aveva avuto successo poiché non vi erano state reazioni avverse e le prestazioni non erano state intaccate dalla disidratazione.

    Sopra, un breve estratto di un’intervista dove Marvin Vettori (atleta UFC) parla del proprio weight-cut per rientrare nella categoria dei pesi medi – 185 libbre, circa 84 kg – e qui sotto alcuni chiarimenti del suo nutrizionista.

    L’intervista completa a Marvin Vettori è disponibile qui.

    Alcuni nutrizionisti sostengono anche la necessità di giocare con l’assunzione di magnesio e potassio nella dieta degli atleti per modificarne in acuto il peso, ma queste cose non sono ancora state ben studiate dalla comunità scientifica, pertanto si tratta di un modus operandi non basato su solide evidenze mediche.

    #3 – Un po’ di numeri

    Se fra il peso e la gare passa poco tempo (entro le due ore) è consigliabile non manipolare più del 2% del bodyweight (peso corporeo, bw), per un lasso di tempo di circa sei ore il 6% e per uno spazio di 24-36 ore anche l’8-10%. Può capitare di vedere atleti famosi tagliare magari anche molto di più del 10%, ma in questi casi gli effetti collaterali sono sempre dietro l’angolo (basti pensare al rischio di danni renali in acuto3).

    #4 – Ricarica post-weigh in

    La prima cosa su cui concentrarsi è il ripristino dello stato di idratazione dell’atleta, magari con una soluzione elettrolitica contenente anche i carboidrati (zuccheri semplici, crema di riso). Gli sport di endurance ci insegnano che è possibile far assorbire a un atleta circa 90 grammi di carboidrati all’ora (9 g/h) sfruttando fonti multiple, usando sia fruttosio che glucosio. Abbinando ad esempio lo zucchero da cucina a delle maltodestrine in una soluzione liquida, oppure una crema di riso ed una bevanda contenente del fruttosio in polvere. Insomma, passo 1 idratazione (soluzione reidratante), passo 2 carboidrati e passo 3 proteine (se il tempo lo consente, altrimenti quest’ultime possono essere evitate). Tutto dipende dal tempo. Nel range di 2ore le proteine posso essere messe da parte, in favore degli EAA (aminoacidi essenziali), nelle 6 ore si può optare per delle whey idrolizzate (20-40 g di proteine in polvere), mentre sulle 24-36 ore se ne possono assumere molte, facendo più pasti. Le 24-36 ore di ricarica devono essere iperglucidiche e l’atleta deve dare al nutrizionista frequenti feedback circa il proprio stato fisico ed il proprio appetito. Può inoltre tornare utile l’assunzione di uno stimolante come la caffeina.

    #5 – Esempio di un lavoro sul lungo periodo

    Ipotizziamo un atleta che attualmente pesa 87 kg, con 15 kg da perdere e 8 mesi di tempo totale a disposizione. Le prime 4-6 settimane possiamo permetterci di fargli perdere anche l’1-1,5% del bw (peso corporeo). Più c’è tempo e più si possono manipolare le calorie. Inizialmente il deficit calorico è solitamente più drastico, col passare delle settimane rallenta (modificando la dieta o gli allenamenti). Prendiamo il caso che l’atleta, magari un powerlifter, abbia una tabella di marcia pulita, senza intoppi. Egli riesce ad arrivare a 72 kg – quindi si sbarazza correttamente dei 15 kg in eccesso – quando mancano 4 settimane al peso (sono passati 7 mesi). Ora ha un bel fisico, abbastanza asciutto e tirato, però deve rientrare nei -70 kg quando metterà piede sulla tanto temuta bilancia prima della gara, ergo, mancano ancora un paio di chiletti. Che fare adesso? Il nostro beniamino deve seguire un periodo di mantenimento del peso per due settimane e mezzo (18 giorni), dedicandosi poi alla manipolazione di sale, fibre e carboidrati negli ultimi 10 giorni (come gli ha prescritto il suo nutrizionista). Molto banalmente, anche il solo passare da un dieta high-carb (alto contenuto di carboidrati) ad una più povera (low-carb) solitamente può far perdere una parte considerevole del restante peso di scarto agli atleti (nel caso di esempio circa 2 kg). Infatti, la riduzione di fibra negli ultimi giorni antecedenti il weigh-in permette di ridurre il peso di un atleta fino al 2%.

    Mettendo ora da parte l’esempio appena riportato, va tenuto a mente che le persone fisicamente più massicce, a parità di percentuale di peso tagliato, tollerano meglio il weight-cut. Con ogni probabilità, Brock Lesnar può tagliare agevolmente il 10% del suo bodyweight, Demetrious Johnson no. Inoltre, le donne generalmente hanno più difficoltà a manipolare il proprio peso in acuto rispetto agli uomini (in più hanno anche il ciclo mestruale che per salute e performance può essere una mina vagante).

    Conclusioni

    Cosa portarsi a casa? Beh, innanzitutto occorre conoscere bene lo sport in questione, i regolamenti della Federazione od Organizzazione di riferimento e l’atleta. Sarebbe buona cosa modificare il peso riducendo al minimo la pratica della disidratazione, non a caso più ci si disidrata e più la ricarica/reidratazione può essere problematica. Facendo un riassunto dei range d’azione: per questioni di buon senso si consiglia di manipolare fino al 2% del peso di un individuo, in casi particolari ci si può spingere fino al 3%, questo ovviamente su una pesata a ridosso della competizione sportiva. Si sale al 4-6% per lassi di tempo maggiori (fino a 6 ore) ed all’8-10% per tempistiche tipiche del professionismo (le 24-36 ore della UFC). Altro consiglio della nonna, specialmente quando si parla di tagli importanti, fatevi seguire da del personale medico competente ed evitate di risparmiare facendo le cose a casaccio, è in gioco la vostra salute!

    Il Dott. Scrigna è presente su Instagram (link).

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    [1] Joseph John Matthews, Ceri Nicholas – Extreme Rapid Weight Loss and Rapid Weight Gain Observed in UK Mixed Martial Arts Athletes Preparing for Competition. Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2017 Apr;27(2):122-129

    [2] Reid Reale, Gary Slater, Gregory R Cox, Ian C Dunican, Louise M Burke – The Effect of Water Loading on Acute Weight Loss Following Fluid Restriction in Combat Sports Athletes. Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2018 Nov 1;28(6):565-573

    [3] Andreas M Kasper, Ben Crighton, Carl Langan-Evans, Philip Riley, Asheesh Sharma, Graeme L Close, James P Morton – Case Study: Extreme Weight Making Causes Relative Energy Deficiency, Dehydration, and Acute Kidney Injury in a Male Mixed Martial Arts Athlete. Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2019 May 1;29(3):331-338

  • Anca: anatomia e biomeccanica di base

    Anca: anatomia e biomeccanica di base

    L’anca è un’articolazione particolarmente grande e mobile che unisce parte del tronco agli arti inferiori.

    Sopra, una visione frontale dei principali muscoli dell’anca.

    Cenni anatomici

    Osservando una qualsiasi tavola anatomica, partendo dall’alto possiamo notare la presenza dell’ileopsoas, muscolo allungato e piuttosto spesso formato dal grande psoas e dal muscolo iliaco; questi si inseriscono poi sul femore (piccolo trocantere). Va segnalata anche l’esistenza del muscolo piccolo psoas, situato ancor più internamente, lungo e sottile ma non sempre presente nell’uomo (muscolo rudimentale).

    Si possono notare anche il legamento inguinale (che si trova appunto nella regione inguinale), il muscolo piriforme che unisce la parte interna dell’osso sacro al femore, e l’otturatore interno ed esterno. Riguardo questi ultimi, entrambi sono muscoli esterni dell’anca e hanno forma appiattita e triangolare.

    Scendendo un po’, ci si può accorgere della presenza dei seguenti muscoli: pettineo, sartorio, gracile e adduttori (breve, grande e lungo). Andando in ordine, il pettineo ha come scopo quello di addurre (avvicinare) le cosce tramite, ovviamente, la contrazione muscolare. Interviene anche nei movimenti di flessione ed extrarotazione (rotazione esterna). Successivamente abbiamo il sartorio, muscolo estremamente lungo che corre lungo tutta la coscia, permette la flessione di quest’ultima sulla gamba, extrarotazione e abduzione; utile nella camminata, interviene inoltre nell’intrarotazione della tibia. Proseguendo abbiamo il gracile, muscolo profondo e piatto che contribuisce nell’adduzione delle cosce.

    Riguardo invece agli adduttori veri e propri, questi sono tre: l’adduttore breve, quello lungo ed il grade.

    Il primo è di forma triangolare, posizionato fra il muscolo pettineo e l’adduttore lungo e consente, come intuibile, l’adduzione delle cosce e l’extrarotazione del femore. Il suo cugino, l’adduttore lungo, si trova fra l’adduttore breve e l’otturatore esterno (anch’esso è di forma appiattita). Funge da adduttore delle cosce e da intrarotatore. Infine, dulcis in fundo, abbiamo il muscolo grande adduttore. Quest’ultimo è collocato fra i gracile e l’adduttore breve, è l’adduttore più potente in assoluto; oltre alla classica adduzione e alla retroversione del bacino, permette l’intrarotazione e flessione (coi suoi fasci anteriori), e l’extrarotazione ed estensione (coi suoi fasci posteriori). Nella raffigurazione qui sotto potete osservare i principali muscoli dell’anca visibili posteriormente.

    Prima di passare alle nozioni biomeccaniche, sicuramente più interessanti per gli sportivi, cerchiamo di trattare in poche righe i muscoli della parte più posteriore dell’anca. I muscoli di questa porzione corporea che sono assolutamente da conoscere sono i seguenti: grande, piccolo e medio gluteo, bicipite femorale, muscolo semitendinoso e semimembranoso.

    Il grande gluteo, come da nome, è un muscolo parecchio voluminoso che unisce il bacino al femore. Esso estende la coscia e ne permette i movimenti sull’asse trasverso (vedere il paragrafo successivo sulla biomeccanica), contribuisce al mantenimento della stazione eretta, della camminata ed estende l’anca. Il piccolo gluteo, meno voluminoso e più profondo, abduce ed intraruota la coscia, estende l’anca e contribuisce anch’esso al mantenimento della stazione eretta. Concludendo il discorso glutei, abbiamo infine il medio gluteo, muscolo appiattito e triangolare che estende l’anca, contribuisce al mantenimento della stazione eretta e abduce la coscia. Quest’ultima può venire intraruotata (con i fasci muscolari anteriori) ed extraruotata (fasci posteriori).

    Per una corretta informazione va citato anche il muscolo gemello dell’anca (divisibile in una porzione inferiore ed una superiore), il quale ha il compito di extraruotare la coscia.

    Cenni biomeccanici

    L’anca gode di una buona mobilità a causa della sua funzione: orientare l’arto inferiore in tutte le direzioni dello spazio, possiede quindi tre assi e tre gradi di libertà:

    • Asse trasverso
    • Asse antero-posteriore
    • Asse verticale

    Asse trasverso = X-X1; asse antero-posteriore = Y-Y1; asse verticale = O-Z.

    Tenendo a mente la figura riportata sopra, si fa presente come sull’asse trasverso (X-X1) vengano effettuati movimenti di flesso-estensione (piano frontale), sull’asse antero-posteriore (Y-Y1) movimenti di abduzione-adduzione (piano sagittale) e su quello verticale, sovrapponibile al longitudinale, movimenti di rotazione interna ed esterna (intra ed extra-rotazione).

    Volendo fare un confronto con l’articolazione della spalla (entrambe enartrosi), quest’ultima è meno stabile ma più mobile; l’anca, pur godendo di una buona movibilità, non raggiunge gradi di flessione o abduzione eccessivi, ma in compenso è piuttosto stabile e un po’ meno soggetta a infortuni.

    Flessione ed estensione

    Con la flessione dell’anca la superficie anteriore della coscia si avvicina al busto, mentre con l’estensione l’arto inferiore viene portato posteriormente rispetto al piano frontale (illustrazione qui sotto).

    L’ampiezza della flessione, oltre che da particolarità anatomiche individuali, dipende dalla natura della flessione stessa (attiva o passiva) e dall’angolo del ginocchio. La flessione attiva ha ROM (range di movimento) ridotto rispetto a quella passiva e se il ginocchio è esteso la flessione consentita dall’apparato locomotore è minore, per effettuarla più ampia occorre che il ginocchio sia flesso (gamba raccolta con polpaccio e coscia vicini). L’estensione dell’anca – movimento della gamba “verso dietro” – è invece poco ampia, indipendentemente dal fatto che sia di tipo attivo (intervento dei muscoli) o passivo (arto inferiore “tirato” fisicamente). Questo limite fisiologico è dovuto principalmente alla tensione del legamento ileofemorale (fig. sotto).

    Ovviamente, entro un certo limite, i movimenti di flessione ed estensione delle anche possono migliorare di ampiezza grazie ad un allenamento costante e ben svolto. Per approfondire la questione vi invitiamo a prendere visione del sempre valido Stretching: teoria e pratica.

    Adduzione ed abduzione

    L’adduzione porta l’arto inferiore in dentro (anche “forzando” il movimento e sovrapponendo una gamba all’altra), l’abduzione lo porta invece in dentro, rompendo la simmetria corporea (illustrazione qui sotto).

    È possibile abdurre una sola anca ma arrivati a un certo grado di estensione verrà automatico abdurre anche l’altra (questo lo sa bene chi pratica ginnastica ritmica o kick boxing). Nella vita di tutti i giorni capita inoltre di abdurre gli arti inferiori in contemporanea, come? Incrociando le gambe. Ovviamente il medesimo risultato è ottenibile tramite altri movimenti volontari.

    Portare un’anca in adduzione ed una in abduzione (le prime due donne stilizzate sopra) è una condizione assolutamente fisiologica, come del resto può esserlo avere entrambe le anche abdotte, basti pensare alla spaccata frontale.

    Ulteriori approfondimenti nella bibliografia presente a fondo pagina.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    A. I. Kapandji – Anatomia funzionale (Monduzzi, 2020)

    S. B. Brotzman e R. C. Manske – La riabilitazione in ortopedia (Edra Masson, 2014)

  • Tripla estensione: teoria e performance

    Tripla estensione: teoria e performance

    Ne avete mai sentito parlare? No?! Allora siete nel posto giusto.

    Definizione

    Con tripla estensione (triple extension) si intende la contemporanea estensione degli arti inferiori, che obbligatoriamente passa per tre articolazioni: caviglia, ginocchio ed anca. Per capire quale movimento possa o meno riguardare questo “meccanismo”, è sufficiente tracciare un paio di linee e misurare un angolo. Vediamo rapidamente come.

    Comprendere il meccanismo

    Osserva un atleta di profilo, possibilmente fermo (può anche andar bene uno scheletro), e traccia due linee. La prima deve partire dalla caviglia e andare all’anca, la seconda deve originare dal ginocchio per giungere anch’essa all’anca (ovviamente vale anche il passaggio opposto: dall’anca alla caviglia e al ginocchio).

    Dalla teoria alla pratica

    Sotto, una rappresentazione del Dott. Formicola (modificata) di quanto appena detto, riferita allo squat ed allo stacco da terra (più alcune loro varianti).


    In ordine, da sinistra a destra: squat low bar, squat high bar, front squat, overhead squat, stacco regular, stacco con trap bar e stacco sumo. Come si può osservare nell’imagine, più un movimento richiede profondità di accosciata e più l’angolo generato dall’incrociarsi delle linee è ampio. Una flessione che genera un angolo molto ampio abbisognerà successivamente, per portare l’esercizio a concludersi, di una tripla estensione notevole. Semplificando molto, più l’angolo derivante dalle due linee è grande e più un allenatore/preparatore può capire se un determinato esercizio sia indicato o meno per potenziare la spinta verticale prodotta dagli arti inferiori attraverso la fisiologica estensione delle tre articolazioni (caviglia, ginocchio, anca).

    La tripla estensione si ha in molti esercizi tipici del fitness, durante la corsa, i salti, quando ci alziamo in piedi da seduti, e così via. La chiave sta tutta nel mettere a fuoco le richieste biomotorie di un dato sport e poi decidere come procedere con la scelta degli esercizi, tenendo a mente che la presenza di uno squat non esclude necessariamente quella di uno stacco o di esercizi pliometrici. Mr. Pinco Pallino è un centometrista? Allora dovrà lavorare sulla tripla estensione! Prima ad angoli più aspecifici (full squat), poi più simili a gesto di gara (mezzo squat). Mr. Pinco Pallino ha poi un caro amico che pratica MMA? Allora anche quest’ultimo, in una fase più aspecifica, dovrà lavorare con esercizi in grado di fare estendere (o distendere) per bene gli arti inferiori tramite le solite tre articolazioni chiamate in causa. Nota a margine: nelle MMA, come un po’ in tutti gli sport da combattimento con fasi lottatorie, oltre che la spinta verticale (verso l’alto) conta molto, se non di più, quella sul piano orizzontale e quindi verso avanti (double leg, single leg, molte proiezioni da body lock). Pertanto è consigliabile dedicarsi anche a “spinte orizzontali” come balzi verso avanti o sled push.

    Mentre gli esercizi per l’upper body, ossia la parte superiore del corpo, generalmente vengono suddivisi in due categorie: esercizi di spinta e di trazione/tirata (potremmo poi disquisire sulla legittimità di tale semplificazione, in anatomia si studia che in realtà i muscoli trazionano le ossa), per le gambe si parla di esercizi anca-dipendenti e ginocchio-dipendenti. Nei primi il grosso della flesso-estensione richiesta da un determinato movimento è principalmente a carico dell’articolazione dell’anca, nei secondi delle ginocchia. Molti tecnici dello sport vi diranno che lo stacco da terra è un esercizio anca-dipendente e invece lo squat è ginocchio-dipendente. In realtà ogni esercizio ha un mix di entrambe le cose, pertanto anche questa categorizzazione pare essere figlia di una visione un po’ semplicistica del movimento umano. Definizione per definizione, teoria per teoria, forse è auspicabile anteporre a ciò la valutazione dell’estensione sinergica delle tre articolazioni degli arti inferiori (triple extension). Solo se la tripla estensione è efficiente potrà esserci un’ottima propulsione eseguita dagli arti inferiori (la TP serve a “spingere” verso avanti).

    Conclusioni

    Studi, dati alla mano, hanno suggerito come un allenamento specifico finalizzato a potenziare l’estensione simultanea delle articolazioni degli arti inferiori sia indicato per incrementare la capacità di salto verso l’alto (vertical jump)1, fin qui nulla di nuovo. Inoltre, Loturco e colleghi (2016) hanno notato un effetto positivo dello Squat Jump le cui caratteristiche meccaniche: «which closely resemble the “segmental triple extension” elicited during the sprinting strides»2, sugli sprint effettuati su distanze di 5 e 30 metri. Normalmente si parla di tripla estensione durante la corsa, le alzate olimpiche3 e lo squat. Riguardo quest’ultimo, i soggetti con una più efficiente tripla estensione si sono dimostrati essere degli “squattatori” sopra la media (l’accosciata sembra essere ottima per valutare la TE di un atleta)4. Sempre riguardo questo esercizio: «La salita si ottiene principalmente attraverso la tripla estensione di anche, ginocchia e caviglie, continuando fino a quando il soggetto non è tornato alla posizione iniziale estesa. I muscoli posteriori del tronco, in particolare gli erettori spinali, vengono reclutati tramite l’azione muscolare isometrica per sostenere una postura eretta durante l’intero movimento di squat. Inoltre, i muscoli posteriori del tronco sono assistiti dai muscoli addominali anteriori e laterali per irrigidire ulteriormente il busto creando tensione per la parete addominale»5.

    Tirando le somme, scegliete bene quali esercizi fare ed eseguiteli correttamente. Con pazienza e dedizione arriveranno i risultati. Tenendo a mente che, come sempre, periodizzare saggiamente variando gli stimoli allenanti è la miglior cosa da fare per ottenere risultati sul lungo periodo.

    Buon allenamento!


    Bibliografia

    1 Eunwook Chang, Marc F Norcross, Sam T Johnson, Taichi Kitagawa, Mark Hoffman – Relationships between explosive and maximal triple extensor muscle performance and vertical jump height. J Strength Cond Res. 2015 Feb;29(2):545-51
    2 Irineu Loturco, Lucas Adriano Pereira, Ronaldo Kobal, Thiago Maldonado, Alessandro Fromer Piazzi, Altamiro Bottino, Katia Kitamura, Cesar Cavinato Cal Abad, Miguel de Arruda, Fabio Yuzo Nakamura – Improving Sprint Performance in Soccer: Effectiveness of Jump Squat and Olympic Push Press Exercises. PLoS ONE 11 (4): e0153958
    3 Timothy J Suchomel, Paul Comfort, Michael H Stone – Weightlifting pulling derivatives: rationale for implementation and application. Sports Med. 2015 Jun;45(6):823-39
    4 Robert J Butler, Phillip J Plisky, Corey Southers, Christopher Scoma, Kyle B Kiesel – Biomechanical analysis of the different classifications of the Functional Movement Screen deep squat test. Sports Biomech. 2010 Nov;9(4):270-9
    5 Gregory D. Myer, Adam M. Kushner, Jensen L. Brent, Brad J. Schoenfeld, Jason Hugentobler, Rhodri S. Lloyd, Al Vermeil, Donald A. Chu, Jason Harbin, and Stuart M. McGill – The back squat: A proposed assessment of functional deficits and technical factors that limit performance. Strength Cond J. 2014 December 1; 36(6): 4–27
    Corebo Lite – La tripla estensione nello squat e caso studio (2020, link)
    The Myth of Triple Extension (simplifaster.com)

  • La scienza del mal di schiena – Low back pain (LBP) e informazioni utili

    La scienza del mal di schiena – Low back pain (LBP) e informazioni utili

    Il mal di schiena, patologia estremamente comune, è qualcosa di parecchio studiato in letteratura scientifica. Vediamo cosa dicono i più recenti studi.

    Buona lettura!

    Introduzione

    Con la celebre dicitura “low back pain” (LBP) si intende la lombalgia comune, quella che colpisce la bassa schiena delle persone. Questa patologia consiste in un dolore persistente, spesso accompagnato da limitazioni funzionali più eventuali strascichi psicologici.

    Ogni anno il low back pain colpisce molti adulti in età lavorativa1, basti pensare che negli USA è il disturbo muscolo-scheletrico più comune riscontrato negli accessi al pronto soccorso2 e nel 1998 è stato stimato i costi sanitari legati ad esso siano stati di circa 90 miliardi di dollari2. Secondo l’OMS, circa l’80% delle persone soffre almeno una volta nella vita di mal di schiena3.

    Come vedremo più avanti, ci sono prove abbastanza solide circa l’utilità del movimento e di un corretto stile di vita per la prevenzione del mal di schiena.

    Basi di anatomia e fisiologia articolare

    Come già spiegato in passato, la colonna vertebrale è una complessa ed estesa struttura osteofibrocartilaginosa. va dal capo al coccige. Ha una lunghezza media di 70 cm per gli uomini e di 60 cm per le donne, consta di cinque regioni le quali hanno un numero variabile di vertebre (solitamente 33).

    • Regione cervicale: consta di sette vertebre (C1,2,3,4,5,6,7), le prime due, più famose, sono l’atlas (C1) e l’axis (C2). La regione cervicale regge la testa e permette al collo una grande escursione articolare.
    • Regione dorsale(o toracica): è formata da dodici vertebre (T1-12), è la regione più ampia di tutta la colonna vertebrale, inoltre, unendosi alle costole forma la cassa toracica. Questo tratto possiede una rigidità elevata per evitare movimenti, specialmente flessioni, troppo bruschi e pericolosi.
    • Regione lombare: composta da cinque vertebre (L1-5), la sua struttura è particolarmente robusta e mobile.
    • Regione sacrale: consiste in un unico osso composto dalla fusione di cinque vertebre.
    • Regione coccigea: osso formato dalla fusione di quattro-cinque vertebre.

    Le principale funzioni della colonna vertebrale sono le seguenti: sostegno strutturale, supporto e protezione del sistema nervoso centrale e periferico, stabilità e protezione degli organi interni; le vertebre sono connesse mediante un disco fibrocartilaginoso, forte ed elastico, il quale fa da ammortizzatore e permette un certo movimento. Questo disco è chiamato disco intervertebrale.

    Prima di concludere il paragrafo è d’obbligo focalizzarsi un attimo sulle “curvature” della colonna. Se osservata lateralmente, saltano all’occhio le due convessità posteriori, dette cifosi e le due convessità anteriori: le lordosi. Rientrano nel primo gruppo la zona toracica e sacrale, sono invece delle lordosi la zona cervicale e quella lombare.

    Questa alternanza di curve, fa sì che la colonna vertebrale sia piuttosto mobile e resistente, garantendo l’equilibrio in posizione eretta. Le lordosi permettono gradi di movimento molto maggiori rispetto alle cifosi, specialmente la regione lombare, la quale ha una curvatura un po’ più marcata. Nella figura sopra, si può osservare come un curvatura eccessiva (iperlordosi, ipercifosi) anche di una sola regione, alteri inevitabilmente anche gli altri tratti della colonna (linea gialla).

    Mal di schiena: tassonomia

    Esistono due macrocategorie di mal di schiena: quello aspecifico (non-specific low back pain) e quello specifico (specific low back pain)5. L’aspecifico non è attribuito ad una precisa e dimostrabile causa patologica23, discorso diverso per quello specifico che a seconda della causa a cui è riconducibile (e dei sintomi) può rientrare nella sfera di competenze di diversi specialisti19.

    Nonostante le raccomandazioni delle linee guida, non è possibile identificare una causa patoanatomica specifica del dolore nella maggior parte dei pazienti e solitamente si ricerca una causa strutturale del LBP e la si studia utilizzando la diagnostica per immagini. […] Fortunatamente, la maggior parte dei fattori di rischio del LBP sono modificabili.

    Zaina F. et al, 2020

    È inoltre nota a livello internazionale un’altra classificazione basata sulla permanenza temporale del dolore6. Se il dolore ha una durata inferiore alle 4 settimane il mal di schiena viene allora definito come acuto (solitamente in questo breve periodo si agisce sui sintomi), quando invece la presenza del dolore perdura (4-12 settimane) – con un’aggravarsi della situazione fra stress, disturbi del sonno, problemi motori, ecc. – si ha un mal di schiena subcronico. Superate la 12 settimane si può parlare a tutti gli effetti di mal di schiena cronico.

    Popolazione, guarigione e aspetti psicologici

    Stando a una revisione sistematica di Hoy D. e colleghi4 la prevalenza dei sintomi tipici del low back pain (LBP) presenta un picco tra i 40  e i 69 anni. Sono inoltre più colpite dal LBP le donne rispetto agli uomini e la patologia è più comune nelle nazioni economicamente più ricche (ciò ovviamente non significa che nel secondo e terzo mondo sia assente)7,8.

    Sopra, la prevalenza media del LBP in base alle varie fasce d’età, con un confronto fra i sessi (Hoy D. et al, 2012). Come concludono gli stessi ricercatori nello studio citato poc’anzi: «Con l’invecchiamento della popolazione, è probabile che il numero globale di individui con lombalgia aumenti notevolmente nei prossimi decenni».

    Il LBP, disordine muscolo scheletrico, speso ha una “guarigione spontanea” (nel giro di al massimo 6 settimane il dolore scompare)9. In concreto, una nota meta-analisi del 2017 ha osservato una guarigione spontanea su oltre il 65% dei pazienti colpiti da ernie lombari20, percentuale grossomodo confermata da un altro lavoro pubblicato nel 2020 su BMC Musculoskeletal Disorders21. I casi di guarigione spontanea sul lungo periodo, com’è ovvio che sia, fanno mettere un po’ in discussione un certa visione della sala operatoria come unica via per la guarigione di un paziente.

    La chirurgia può essere presa in considerazione per i pazienti con sintomi gravi che non presentano una regressione (dell’ernia lombare, ndr) dopo 4 mesi dall’esordio (dei sintomi) e consigliamo vivamente un intervento chirurgico per coloro che non presentano una regressione dopo 10 mesi e mezzo.

    Yi Wang et al., 2020

    Tuttavia, non va ignorata quella minoranza di persone – minoranza nemmeno troppo piccola – che non si riprende con un trattamento conservativo. Altri studi hanno osservato casi di recidività dove su tre pazienti guariti, uno tornava a soffrire di mal di schiena, anche in maniera lieve, palesando quindi una guarigione incompleta10. Nella maggior parte dei casi, la lombalgia si cronicizza su persone con una vita sregolata24,25,26 (problemi psicologici, stress, carenza di sonno): «Disturbi del sonno e grande stress, ad esempio, possono causare iperattivazione delle cellule gliali e quindi un’infiammazione di basso grado, che porta a sensibilizzazione centrale e a del dolore diffuso»25.

    Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30. Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30.

    Zaina F. et al, 2020

    Va sottolineato che il LBP, definibile come lombalgia comune e disordine muscolo scheletrico, non è una lombosciatalgia. Si parla infatti di lombosciatalgia quando il dolore dalla zona lombare si estende a un arto inferiore. Stando a quanto riportato dall’European Journal of Pain28, una grossa parte – quasi il 40% – dei casi di mal di schiena cronici e disabilitanti (follow-up di 14 mesi) sono correlati alla comparsa di dolore in altre parti del corpo.

    Un ultimo dato interessante è l’apparente inutilità del trattamento manipolativo e farmacologico sul dolore provocato dalla lombalgia acuta22 (grafico sotto).

    E naturalmente non vanno sottovalutati gli aspetti psicologici del mal di schiena: «Mirare ai fattori psicologici associati al LBP, non solo ai fattori fisici, può aiutare a migliorare la gestione dei pazienti con LBP»11.

    Sopra, due differenti tipi di approccio al dolore (Chris J. Main et al., 2002).

    «Effects of confrontation or avoidance of pain on outcome of episode of low back pain: fear of movement and re-injury can determine how some people recover from back pain while others develop chronic pain and disability»12.

    Inoltre, i recenti limiti applicati agli spostamenti della vita quotidiana per far fronte alla pandemia da COVID-19, sembrano aver influito negativamente sulla salute della schiena di una parte della popolazione adulta. Forse per l’aumento della sedentarietà e dello stress generale13.

    Cause e fattori di rischio

    Solitamente, problemi meccanici e lesioni ai tessuti molli sono la causa della lombalgia. Queste lesioni possono includere danni ai dischi intervertebrali, compressione delle radici nervose e movimento improprio delle articolazioni spinali.

    John Peloza, MD – Causes of Lower Back Pain (2017)

    Da qualche anno a questa parte, studi scientifici evidenziano come i fenomeni degenerativi della colonna vertebrale rilevabili tramite RM (risonanza magnetica) e TAC siano piuttosto frequenti non solo nei soggetti che soffrono di mal di schiena ma anche in altre persone completamente asintomatiche. Una review pubblicata sull’American Journal of Neuroradiology14 (tabella sotto) ha messo in luce un fatto interessante: molte delle degenerazioni della colonna vertebrale riscontrate nei classici esami medici sono parte di un fisiologico processo di invecchiamento del corpo umano non necessariamente associato alla comparsa di dolori.

    Come inequivocabilmente mostrato dai numeri, anche i più giovani hanno degenerazioni discali, protrusioni, degenerazioni delle faccette articolari, ecc.

    L’eziologia multifattoriale della lombalgia comune fa’ sì che, purtroppo, non sempre le cause siano facilmente inquadrabili, specialmente quando si parla di lombalgia aspecifica. L’insieme di cofattori colpevoli del non-specific LBP sono i seguenti:

    • Fattori genetici;
    • Sesso;
    • Età;
    • Forma fisica (peso, altezza, massa magra e grassa);
    • Sedentarietà;
    • Cattive abitudini (fumo, alcol);
    • Depressione, malessere generale;
    • Lavori usuranti;
    • Diagnosi e trattamenti errati;
    • Atteggiamenti psicologici sbagliati nei confronti del dolore15,16,27.

    Dati alla mano, pare che la fattori genetici individuali giochino un ruolo cruciale sulla predisposizione o meno al mal di schiena24. Un recente ed ampio studio genetico27 ha notato come molti pazienti sintomatici abbiano una naturale predisposizione a palesare dei problemi anatomico-strutturali (come problemi ai dischi intervertebrali e antropometrici) e psicologici nei confronti del dolore (percezione ed elaborazione dello stesso). I processi degenerativi delle strutture della colonna vertebrale (vertebre, dischi, anelli fibrosi, faccette articolari, muscoli paraspinali, ecc.) avanzano in parallelo, rendendo difficile capire quali fattori o combinazioni di fattori possano avere più o meno a che fare col dolore23.

    Vi è inoltre il mal di schiena tipico della gravidanza che in letteratura scientifica viene così abbreviato: LBPP (low back pain and pelvic pain)17.

    La maggior parte delle donne incinte soffrono di lombalgia, nonostante i fisiologici adattamenti strutturali al sovraccarico dato dal feto17,18. Inoltre: «LBPP during a previous pregnancy, body mass index, a history of hypermobility, and amenorrhea are factors influencing the risk of developing LBPP during pregnancy» da Ingrid M. Mogren et al. (2005).

    Prevenzione

    In campo medico esistono tre differenti livelli di prevenzione: quella primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria è quella mirata all’utilizzo di comportamenti (e abitudini) finalizzati a prevenire a monte delle patologie (non fumare, praticare attività fisica, eccetera). La prevenzione seconda invece, si riferisce alla diagnosi precoce (tipica dello screening) che permette di intervenire tempestivamente, agendo su una malattia e tamponandone gli effetti negativi (solitamente è così per la mammografia). Infine, la prevenzione terziaria riguarda più che altro gli effetti a lungo termine di una malattia (come la gestione di una disabilità) e i casi di recidività.

    La letteratura scientifica pullula di paper inerenti la prevenzione del mal di schiena. Tre importanti revisioni sistematiche con meta-analisi, rispettivamente di Steffens et al.36, Huang R. et al.37, Shiri R. et al.38, hanno fatto notare come l’esercizio fisico possa essere un ottimo strumento se il fine è quello di prevenire il mal di schiena (anche abbinato a un’educazione sul problema36,37). Gli esercizi presi in esame da questi tre lavori andavano a rinforzare il retto addominale, i muscoli obliqui, gli erettori spinali, attività aerobica, yoga, esercizi di coordinazione, stretching e in alcuni casi anche gambe e parte superiore del corpo (upper body), con una frequenza delle sedute che andava da 1 a 7 volte a settimana e un tempo di lavoro che andava da 5 ai 90 minuti. Come già accennato, in alcuni casi si è dimostrata utile l’aggiunta di lezioni teoriche volte a dare un’infarinatura generale sull’anatomia e biomeccanica della bassa schiena, sulle evidenze scientifiche inerenti il LBP e sulla tecnica esecutiva dei movimenti di sollevamento. Lo studio di Shiri R. e colleghi pubblicato sull’American Journal of Epidemiology38, sempre in un’ottica di prevenzione del mal di schiena, nelle sue conclusioni consiglia 2-3 allenamenti settimanali dedicati al rinforzo muscolare, all’esercizio aerobico ed allo stretching. Altro dato interessante: interventi passivi come l’utilizzo di solette plantari o di cinture per il sostegno della schiena (back belt) si sono dimostrate inefficaci.

    «In diversi studi […] viene dimostrato che nei pazienti che soffrono di LBP il meccanismo di attivazione muscolare anticipatorio della cintura miofasciale è alterato durante un movimento. La stabilità spinale è strettamente correlata all’insorgere di lombalgia: non basta, quindi, una colonna vertebrale sana per evitare problematiche di mal di schiena, ma sono necessari anche muscoli efficienti e una buona capacità di controllo. Una corretta sinergia dei tre sistemi descritti nel modello ideato da Punjabi (fig. sotto, ndr) assicura un’efficace stabilizzazione della colonna vertebrale. Per svolgere gli esercizi in modo efficace è fondamentale abbinarli ad una corretta respirazione, controllando la sua frequenza, la sua coordinazione col movimento e la sua qualità»39.

    Sopra, la relazione tra i tre sottosistemi – attivo, passivo e neurale – che contribuiscono alla stabilità della spina dorsale, elemento fondamentale per la salute della bassa schiena (da Panjabi M., 1992).

    Come giustamente fatto notare dal Dott. Giroldo39, un documento finanziato dal Ministero della Salute (Percorsi diagnostico terapeutici per l’assistenza ai pazienti con il mal di schiena) spiega con un linguaggio alla portata di tutti quelli che sono dei semplici consigli per contrastare il LBP: evitare di stare seduti nella stessa posizione oltre 20-30 minuti, guidare l’automobile con un supporto lombare, piegarsi mantenendo le curve fisiologiche del rachide e svolgere quotidianamente dell’attività fisica.

    Riabilitazione

    Mentre il mal di schiena acuto ha tendenzialmente una prognosi positiva, il mal di schiena cronico spesso è, appunto, persistente e con ridotte possibilità di recupero totale, anche se vi è la possibilità di migliorare la qualità della vita ed attenuare l’intensità del dolore23. Le linee guida raccomandano l’autogestione del dolore, terapie fisiche, psicologiche e pongono poca enfasi sul trattamento farmacologico e chirurgico31. Un paper apparso sul Journal of the American Medical Association32 nell’agosto 2020 ha evidenziato la scarsa efficacia delle tecniche manipolative e di mobilizzazione – tipiche dell’osteopatia – applicate su adulti di età compresa fra i 18 ed i 45 anni affetti da LBP cronico di intensità media e moderata. Sotto un interessante scambio di commenti fra il Dott. Evangelista ed il ricercatore Franco Impellizzeri.

    Viviamo su un’isola circondata da un mare di ignoranza. Più cresce l’isola della nostra conoscenza, più si allunga la costa della nostra ignoranza diceva il fisico statunitense John A. Wheeler, paradossalmente sembra che all’aumentare del numero di pubblicazioni scientifiche aumentino i dubbi di chi questi argomenti li studia da anni. Chiusa la parentesi, il famigerato approccio biopsicosociale citato dal Professor Impellizzeri cozza con quello biomedico, che vedrebbe come causa (o cause) di una patologia variabili puramente biologiche da correggere con terapie mirate, prescritte da un medico/fisioterapista/fisiatra/chinesiologo e così via. Si tratta quindi un approccio, quello biopsicosociale, multidimensionale che può vantare una visione d’insieme che quello biomedico non possiede: «Il modello biopsicosociale è una strategia di approccio alla persona, che attribuisce il risultato della malattia, così come della salute, all’interazione intricata e variabile di fattori biologici (genetici, biochimici, ecc.), fattori psicologici (umore, personalità, comportamento, ecc.) e fattori sociali (culturali, familiari, socioeconomici , ecc.)»33,34.

    Alcuni studi avevano dimostrato che la terapia manipolativa e l’educazione al dolore avevano diminuito il dolore e la disabilità. Tuttavia, la maggior parte di essi ha mostrato un debole effetto del trattamento, con soli miglioramenti nell’immediato o a breve termine, principalmente nella terapia manipolativa.

    Vier C. et al., 2018

    Sotto, le fasi di un trattamento risultato efficace unicamente in acuto35.

    Salvo Di Grazia, medico e divulgatore scientifico, in un suo post datato ottobre 2018 aveva fatto un riassunto delle evidenze all’epoca disponibili sulla “cura” del mal di schiena e ne era emerso uno scenario pressoché identico a quello attuale. Molti trattamenti inefficaci ed altri discretamente efficaci sul breve termine ma inutili sul medio e lungo periodo – agopuntura, osteopatia, ultrasuoni, massaggi, tachipirina, laser, farmaci antinfiammatori, stimolazione elettrica nervosa transcutanea, massaggi… -, fatta eccezione per l’attività fisica.

    Passando all’atto pratico, dopo aver visto che il mal di schiena cronico ed aspecifico difficilmente può guarire del tutto e che moltissime terapie sono praticamente inutili sul lungo periodo, occorre chiedersi quale tipo di attività fisica possa praticare oppure no una persona. Sottolineando che in questa sede non è possibile analizzare caso per caso e che la “terapia motoria” andrebbe somministrata in maniera differente da paziente a paziente… A grandi linee, è consigliabile educare piano piano al movimento e ad un corretto stile di vita chi è affetto da lombalgia, senza fare terrorismo e cercando di rendere la persona pronta a reggere psicologicamente una probabile lunghissima convivenza col dolore. Cercando di capire, sempre riguardo all’aspetto mentale, se può esserci qualcosa che non va nella sua vita quotidiana; ricordiamo per il LBP è vivamente consigliato un approccio biopsicosociale e di conseguenza l’intervento di più d’una figura professionale.

    Si è visto come lo yoga, se correttamente dosato, possa dare dei benefici sul lungo periodo40 e una review pubblicata su Pain and Therapy41, ha messo in luce anche l’efficacia del pilates, degli esercizi McKenzie (con qualche controversia dovuta alla non uniformità dei dati), corsa in acqua (altezza spalle) alla soglia aerobica individuale ed esercizi di stabilizzazione mirati a migliorare il controllo neuromuscolare e la forza del core, ossia la parte centrale del corpo (immagine sotto).

    Sopra, degli esercizi dimostratisi efficaci per ridurre la disabilità da cLBP (cronic low back pain) ed il dolore ad esso associato. Nello studio in questione42, la routine era la seguente: 3 allenamenti a settimana, di una durata di circa 60 minuti l’uno, per 6 settimane totali (altre informazioni utili qui sotto).

    Dopo aver tentato di curare due gruppi di pazienti dalla lombalgia cronica – uno con gli esercizi di stabilizzazione e l’altro con dello yoga – i ricercatori sono arrivati alle seguenti conclusioni: «I nostri risultati indicano che lo yoga e la ginnastica di stabilizzazione hanno aspetti superiori a ogni altro in termini di dolore, disabilità, prestazioni e qualità della vita correlata alla salute».

    Infine, come specificato da J. V. Pergolizzi Jr. e coll. (2020), è bene ricordare che l’esercizio fisico è una terapia efficace per i casi di lombalgia, a patto che questa sia un minimo duratura (almeno 6-12 settimane), questa affermazione, oltre che col low back pain cronico, si sposa piuttosto bene anche con dei casi di LBP subcronico.

    Sopra, trovate alcuni esercizi alla portata di tutti utili sia per la prevenzione che la riabilitazione (video del Dott. Roncari, pubblicato per Project Invictus).

    Conclusioni

    Cosa portarsi a casa da questo articolo? Il mal di schiena di schiena generico, di per sé un qualcosa di aspecifico, può colpire una platea di persone piuttosto eterogenea. Data l’eziologia multifattoriale, molto ancora dev’essere indagato ma pur non esistendo una “cura definitiva”, i singoli individui possono fare molto per prevenirlo e per combatterne la disabilità a lungo termine. La direzione in cui sta andando la società moderna pare essere sempre più lontana dalla cura fisica e psichica delle persone, sarebbe bene che tutti, nel loro piccolo, lavorassero per cercare di invertirla.

    Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All’infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l’uomo è il solo padrone.

    Albert Camus, Il mito di Sisifo (1942)

    Grazie per l’attenzione!


    Bibliografia

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    32 James S. Thomas, Brian C. Clark, David W. Russ, Christopher R. France, Robert Ploutz-Snyder, Daniel M. Corcos – Effect of Spinal Manipulative and Mobilization Therapies in Young Adults With Mild to Moderate Chronic Low Back Pain. JAMA Netw Open. 2020 Aug; 3(8)

    33 Modello biopsicosociale – Wikipedia (link)

    34 Santrock, J. W. – A Topical Approach to Human Life-span Development (3a ediz., 2007)

    35 Clécio Vier, Marcelo Anderson Bracht, Marcos Lisboa Neves, Maíra Junkes-Cunha, Adair Roberto Soares Santos – Effects of spinal manipulation and pain education on pain in patients with chronic low back pain: a protocol of randomized sham-controlled trial. Integr Med Res. 2018 Sep;7(3):271-278

    36 Daniel Steffens, Chris G Maher, Leani S M Pereira, Matthew L Stevens, Vinicius C Oliveira, Meredith Chapple, Luci F Teixeira-Salmela, Mark J Hancock – Prevention of Low Back Pain: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Intern Med. 2016 Feb;176(2):199-208

    37 Rongzhong Huang, Jie Ning, Vivienne H Chuter, Jeffrey Bruce Taylor, Demoulin Christophe, Zengdong Meng, Yu Xu, Lihong Jiang – Exercise alone and exercise combined with education both prevent episodes of low back pain and related absenteeism: systematic review and network meta-analysis of randomised controlled trials (RCTs) aimed at preventing back pain. Br J Sports Med. 2020 Jul;54(13):766-770

    38 Rahman Shiri, David Coggon, Kobra Falah-Hassani – Exercise for the Prevention of Low Back Pain: Systematic Review and Meta-Analysis of Controlled Trials. Am J Epidemiol. 2018 May 1;187(5):1093-1101

    39 Giroldo Andrea – Il ruolo dell’attività fisica nella prevenzione del mal di schiena aspecifico. Tesi di Laurea, Corso di Studi in Scienze delle Attività Motorie e Sportive, L-22 (SUISM, a.a. 2017/2018)

    40 L Susan Wieland, Nicole Skoetz, Karen Pilkington, Ramaprabhu Vempati, Christopher R D’Adamo, Brian M Berman – Yoga treatment for chronic non-specific low back pain. Cochrane Database Syst Rev. 2017 Jan 12;1(1):CD010671

    41 Joseph V Pergolizzi Jr, Jo Ann LeQuang – Rehabilitation for Low Back Pain: A Narrative Review for Managing Pain and Improving Function in Acute and Chronic Conditions. Pain Ther. 2020 Jun;9(1):83-96

    42 A Demirel, M Oz, Y A Ozel, H Cetin, O Ulger – Stabilization exercise versus yoga exercise in non-specific low back pain: Pain, disability, quality of life, performance: a randomized controlled trial. Complement Ther Clin Pract. 2019 May;35:102-108

    Dardanello Davide – Chinesiologia (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2017/2018)

    Spine Center – Hip-Spine Syndrome: relazione anca-rachide lombare nel LBP (link)

  • MMA/Grappling: scheda palestra (video-articolo)

    MMA/Grappling: scheda palestra (video-articolo)

    Se fallisci a pianificare, pianifichi di fallire

    Kamaru Usman

    Buona lettura!

    Introduzione

    Quello che segue è un esempio della preparazione che io stesso ho stilato e seguito a partire dal 31 agosto, fino ad arrivare ai primi di dicembre. Data la situazione che mezzo mondo stava (e sta) vivendo, mi è stato fin da subito impossibile capire se e quando ci sarebbero state gare. Nel dubbio, ho cerato di impostare un protocollo di strength and conditioning di una durata che oscillasse fra i tre ed i tre mesi e mezzo (12-14 settimane).

    Senza numeri sono tutti atti di fede

    Anni: 24
    Altezza: 1,83 m
    Peso iniziale (al 31/08): 73,85 kg
    Panca piana (1RM al 29/02): 67 kg
    Test di Cooper (al 29/08): 2200 m

    Questi numeri serviranno per il futuro. Il peso verrà misurato mano a mano per assicurarsi di rispettare i limiti della categoria di peso per la gara. I test massimali verranno ripetuti dopo il periodo gare, all’inizio di un nuovo macrociclo, in modo da vedere se la forza massimale e la resistenza aerobica sono migliorate (è bene fare la prova del nove per avere dei riscontri pratici).

    Let’s go! – Week 1 (adattamento anatomico)

    Dopo una quindicina di giorni di totale inattività si torna a sudare, ovviamente in senso sportivo. Eseguo il test di Cooper due giorni prima del 31 agosto (data di inizio del vero macrociclo di allenamento), giusto per aver una prova tangibile della mia condizione aerobica – poco più che discreta – e dei numeri utili per dei futuri confronti fra la condizione di partenza e quella che raggiungerò, si spera, fra alcune settimane.

    Causa alcuni acciacchi non ancora del tutto superati, chi è agonista negli sport da combattimento capirà, decido di non eseguire altri test atletici.

    Tre allenamenti (A-B-C)

    A: Forza e ipertrofia

    Panca piana (bilanciere)4×82′
    Panca inclinata 30° (manubri)3×1090″
    Seated band row3×201′
    Pull ups (anelli)5×6-82′
    Lento avanti (manubri)4×1090″
    Scrollate (manubri)3×151′
    Curl manubri in piedi (alternato)3×1090″
    Push down ai cavi3×1090″

    B: Capacità aerobica e addominali

    Cyclette45′ (70% FC)/
    Plank3×1′1′
    Russian twist10×30″30″
    Side plank3×30″ (a lato)1′

    C: Forza/ipertrofia (lower body) e stretching.

    Deadlift (trap bar)5×82′
    Leg curl4×1090″
    Stretching completo30′/

    Nella prima e terza sessione mi sono dedicato alla forza e all’ipertrofia (con l’avanzare della programmazione si punterà sempre più la prima e meno alla seconda). Nella seconda alla resistenza aerobica (capacità). Questa prima settimana è da considerarsi a tutti gli effetti come un microciclo di adattamento anatomico (AA), ovvero un periodo dove si gettano le basi per lo sviluppo della forza dando modo all’organismo, e in particolar modo all’apparato locomotore attivo e passivo, di irrobustirsi e prepararsi al carico di lavoro via via più intenso che dovrà tollerare in un futuro prossimo. Nella speranza di prevenire eventuali infortuni. Sarà da considerarsi come di AA anche la seconda settimana di allenamento.

    N.B. Questa settimana solo allenamenti di preparazione atletica (la palestra dove da anni pratico sport da combattimento è ancora chiusa).

    Week 2 (adattamento anatomico e accumulo)

    A: Forza e ipertrofia

    Panca piana (bilanciere)5×82′
    Panca inclinata 30° (manubri)3×1090″
    Seated band row3×201′
    Pull up (anelli)6×6-82′
    Lento avanti (manubri)4×1090″
    Scrollate (manubri)3×151′
    Curl in piedi alternato (manubri)3×1090″
    Push down ai cavi3×1090″
    Deadlift (trap bar)5×82′
    Leg curl4×1090″

    B: Capacità aerobica e addominali

    Cyclette45′ (70% FC)/
    Plank3×1′1′
    Russian twist10×30″30″
    Side plank3×30″ (a lato)1′

    C: Potenza aerobica, capacità aerobica e stretching

    Vogatore3-4×1000 m1:1
    Cyclette30′ (75% FC)/
    Stretching completo30′/

    Sempre incentrato sulla forza e l’ipertrofia il primo allenamento, con un leggero aumento del volume nella panca piana (per comodità ho apportato qualche modifica alla disposizione degli esercizi). Il secondo è invece identico alla precedente settimana. Mentre nel terzo, oltre a forza e ipertrofia, – più il consueto mega stretching finale -, trova posto la potenza aerobica (ora il quadro aerobico è completo). Quel 4×1000 m al vogatore con al recupero la dicitura “1:1” (terza colonna) intende dire che l’obiettivo è quello di percorrere 1000 metri nel minor tempo possibile ed usare come tempo di recupero il tempo impiegato per coprire il chilometro di distanza al macchinario (rapporto lavoro:recupero = 1:1).

    Capacità aerobica = capacità dell’organismo di portare avanti sforzi che coinvolgono grosse masse muscolari per periodi di tempo mediamente lunghi (almeno 30 minuti) a intensità media o medio-alta (60-80% FC max), lavorando sulla gittata cardiaca.

    Potenza aerobica = capacità dell’organismo di portare avanti sforzi che coinvolgono grosse masse muscolari per periodi di tempo limitati (2-8 minuti), lavorando ad alta intensità (≥ 90% FC) e a VO2max.

    La corsa, la pedalata e la vogata permettono di sviluppare in modo ottimale la capacità e potenza aerobica, ottenendo benefici sia a livello muscolare che cardiocircolatorio.

    • Nel caso del sistema muscolare si va a migliorare la capacità d’ossidazione delle fibre muscolari: migliore capacità di utilizzare l’ossigeno per avere energia. Perché aumentano gli enzimi che catalizzano reazioni dell’ossigeno e aumenta la densità mitocondriale.
    • Per il cardiocircolatorio: migliore circolazione del sangue, più veloce capacità di smaltimento delle sostanze metaboliche (come il lattato) e pressioni arteriose inferiori.

    Si ottiene quindi una migliore capacità di recupero [1].

    Al fine di ottenere dei buoni miglioramenti, l’obiettivo è quello di portare avanti il lavoro aerobico (aspecifico) per 6 settimane. Aggiungo che sul piano dell’allenamento specifico, in palestra col coach, questa settimana ho avuto 4 sessioni di allenamento: 2 di striking e 2 di lotta/grappling.

    Week 3 (accumulo)

    A: Forza e ipertrofia

    Panca piana (bilanciere)5×82′
    Panca inclinata 30° (manubri)3×1090″
    Seated band row3×201′
    Pull up (anelli)6×6-82′
    Lento avanti (manubri)4×1090″
    Scrollate (manubri)3×151′
    Curl in piedi alternato (manubri)4×1090″
    Push down ai cavi3×1090″
    Deadlift (trap bar)5×82′
    Leg curl4×1090″

    B: Capacità aerobica e addominali

    Cyclette60′ (75% FC)1′
    Plank3×1′1′
    Russian twist10×30″30″
    Side plank3×30″ (a lato)30″

    C: Potenza aerobica, capacità aerobica e stretching

    Vogatore4×1000 m1:1
    Cyclette30′ (75-80% FC)/
    Stretching completo30′/

    Il volume complessivo continua a salire, sia negli esercizi coi pesi che in quelli di resistenza aerobica. Al contempo, sia sui multiarticolari (panca, lento avanti e stacco) che sugli esercizi volti all’incremento di capacità e potenza aerobica, si cerca di spingere un po’ di più (maggior peso sollevato o ritmo tenuto durante la pedalata). Sul piano dell’allenamento specifico, in palestra col coach, questa settimana ho avuto 5 sessioni di allenamento: 3 di striking e 2 di lotta/grappling.

    Week 4 (mantenimento volume)

    Tre allenamenti (A-B-C)

    A: Forza e ipertrofia

    Panca piana (bilanciere)6×62′
    Panca inclinata 30° (manubri)3×1090″
    Seated band row3×201′
    Pull up (anelli)6×82′
    Lento avanti (manubri)4×890″
    Scrollate (manubri)3×1590″
    Curl in piedi alternato (manubri)4×1090″
    Push down ai cavi3×1090″
    Deadlift (trap bar)6×62′
    Leg curl4×1090″

    B: Capacità aerobica e addominali

    Cyclette60′ (75%)/
    Plank3×1′1′
    Russian twist10×30″30″
    Side plank3×30″ (a lato)30″

    C: Potenza aerobica, capacità aerobica e stretching

    Vogatore4×1000 m1:1
    Cyclette30′ (75-80% FC)/
    Stretching completo30′/

    Volume analogo a quello della settimana precedente, aumenta leggermente l’intensità di carico su un po’ di esercizi multiarticolari (panca piana, lento avanti, stacco da terra). Sul piano dell’allenamento specifico, in palestra col coach, questa settimana causa impegni non sono riuscito ad andare oltre le 3 sessioni di allenamento: 2 di striking e 1 di lotta/grappling.

    Week 5 (scarico forza/ipertrofia)

    A: Capacità aerobica

    Cyclette45′ (75-80% FC)/

    B: Potenza aerobica e addominali

    Vogatore5×1000 m1:1
    Plank3×1′1′
    Russian twist10×30″30″
    Side plank3×30″ (a lato)30″

    C: Capacità aerobica e stretching

    Cyclette45′ (75-80% FC)/
    Stretching completo30′/

    Settimana caratterizzata da uno scarico passivo di forza e ipertrofia (non si sollevano pesi per dar l’opportunità all’apparato locomotore passivo di recuperare da eventuali microtraumi) e da un buon volume di lavoro “cardio”. Sul piano dell’allenamento specifico questa settimana ho avuto 5 sedute di allenamento: 3 di striking e 2 di grappling.

    Week 6 (intensificazione e scarico capacità aerobica)

    A: Forza e ipertrofia

    Panca piana (bilanciere)6×52-3′
    Panca inclinata 30° (manubri)3×890″
    Seated band row3×201′
    Pull up (anelli)6×82′
    Lento avanti (manubri)3×82′
    Scrollate (manubri)3×121′
    Curl in piedi alternato (manubri)3×890″
    Push down ai cavi3×101′
    Deadlift (trap bar)6×52-3′
    Leg curl4×1090″

    B: Capacità aerobica (scarico attivo) e addominali

    Cyclette45′ (75-80% FC)/
    Plank3×1′1′
    Russian twist10×30″30″
    Side plank3×30″ (a lato)30″

    C: Potenza aerobica e stretching

    Vogatore5×1000 m1:1
    Cyclette (defaticamento)10-15′/
    Stretching completo30′/

    Riguardo alla preparazione atletica, questa settimana vi è stata una generale intensificazione nel lavoro coi pesi ed uno scarico attivo circa la capacità aerobica. Purtroppo, causa impegni lavorativi, non sono riuscito a prendere parte a più di 2 lezioni in palestra (1 di striking e 1 di lotta/grappling).

    Week 7 (trasformazione/intensificazione, scarico aerobico)

    A: Forza e ipertrofia

    Panca piana (bilanciere)5×52-3′
    Panca inclinata (manubri)3×890″
    Seated band row3×201′
    Pull up (anelli)6×82′
    Lento avanti (manubri)3×890″
    Scrollate (manubri)3×1290″
    Curl in piedi alternato (manubri)3×890″
    Push down ai cavi3×101′
    Deadlift (trap bar)5×52-3′
    Leg curl4×1090″

    B: Potenza aerobica (scarico attivo) e addominali

    Vogatore3×1000 m1:1
    Plank3×1′1′
    Russian twist10×30″30″
    Side plank3×30″ (a lato)30″

    C: Potenza e stretching

    Shock jump3×1090″
    Push press4×62′
    Box jump3×62′
    Stretching completo30′/

    Si intensifica ulteriormente il lavoro coi sovraccarichi, si “trasforma” la forza sinora accumulata in potenza e vi è uno scarico attivo di potenza aerobica.

    IMPORTANTE: seguendo i dettami del SISP (Servizio di Igiene e Sanità Pubblica) dell’ASL cittadina, sono stato costretto a interrompere la mia settimana di allenamento a causa di un precedente contatto con una persona risultata positiva al Covid-19. Pur non essendo stato troppo vicino alla persona in questione e non avendo sintomi ho dovuto mettere in pausa la mia passione. Questa settimana mi sono allenato lunedì (forza e ipertrofia), martedì (striking e lotta/grappling) e mercoledì (scarico attivo della potenza aerobica e rinforzo addome). Il resto è saltato.

    Nel video è spiegato tutto.

    Week 8 (intensificazione)

    A: Forza e ipertrofia

    Panca piana (bilanciere)5×52-3′
    Panca inclinata (manubri)3×890″
    Seated band row3×201′
    Pull up (anelli)6×82′
    Lento avanti (manubri)3×890″
    Scrollate (manubri)3×1290″
    Curl in piedi alternato (manubri)3×890″
    Push down ai cavi3×1090″
    Deadlift (trap bar)5×52-3′
    Leg curl4×1090″

    B: Power endurance (alattacida)

    Shock jump3×1090″
    Reactive med ball slam10×10-12″1′
    Jump squat10×10-12″1′
    Alternating waves (max effort)6×20″30″
    Jump squat6×20″30″

    C: Potenza e stretching

    Push press5×62′
    Box jump4×62′
    Stretching completo30′/

    Causa ennesimo DPCM tutto è un po’ andato in vacca. Questa settimana dell’intenso lavoro coi pesi (forza e potenza) è stato affiancato, per la prima volta in questa preparazione, a dell’intenso lavoro di power endurance (resistenza alla potenza). Di quest’ultima si era già parlato qui.

    A seguire il resto del programma che avrei svolto se i vari “lockdown light” non si fossero messi di mezzo (ovviamente non ci sono altri video da mostrarvi).

    Week 9 (intensificazione)

    A: Forza e ipertrofia

    Panca piana (bilanciere)5×42-3′
    Panca inclinata (manubri)3×890″
    Seated band row3×201′
    Pull up (anelli)6×82′
    Lento avanti (manubri)3×890″
    Scrollate (manubri)3×121′
    Curl in piedi alternato (manubri)3×890″
    Push down ai cavi3×101′
    Deadlift (trap bar)5×42-3′
    Leg curl4×1090″

    B: Power endurance (alattacida)

    Shock jump3×1090″
    Reactive med ball slam10×10″1′
    Jump squat (con sovraccarico)10×10″1′
    Alternating waves (max effort)6-8×20″30″
    Jump squat6-8×20″30″

    C: Potenza e stretching

    Push press5×62′
    Box jump4×62′
    Stretching completo30′/

    Si continua a spingere con i pesi (forza e potenza) e in più aumenta il volume di allenamento riguardante la resistenza alla potenza.

    Week 10 (scarico forza)

    A: Forza (scarico attivo)

    Panca piana (bilanciere)5×4 (-30%)2′
    Seated band row3×201′
    Pull up (anelli)6×52′
    Lento avanti (manubri)3×8 (-30%)90″
    Deadlift (trap bar)5×4 (-30%)2′

    B: Power endurance (alattacida)

    Shock jump3×1090″
    Reactive med ball slam10×10″1′
    Jump squat (con sovraccarico)10×10″1′
    Alternating waves (max effort)2: 5×20″30/90″
    Jump squat2: 5×20″30/90″

    C: Potenza e stretching

    Push press5×52′
    Box jump5×62′
    Stretching completo30′/

    Scarico attivo di forza, rimasto quasi invariato il resto del programma settimanale. Lo scarico riguarda l’intensità e il volume: quel “-30%” riguarda appunto un carico (kg) sollevato inferiore del trenta % e scompaiono gli esercizi secondari dedicati all’ipertrofia. E’ bene che quegli esercizi siano eseguiti lentamente e con una buona tecnica esecutiva. Riguardo la power endurance (alattacida) quel 2: 5×20″ (30″/90″) sta a indicare due blocchi da cinque serie per venti secondi di lavoro con trenta secondi di recupero fra le serie e novanta (un minuto e mezzo) fra i due blocchi.

    Week 11

    A: Forza

    Panca piana (bilanciere)4×42-3′
    Seated band row3×201′
    Pull up zavorrati (anelli)5×52-3′
    Lento avanti (manubri)3×62′
    Deadlift (trap bar)4×42-3′

    B: Power endurance (alattacida)

    Reactive med ball slam10×10″1′
    Jump squat (con sovraccarico)10×10″1′
    Alternating waves (max effort)2: 6×20″30/90″
    Jump squat2: 6×20″30/90″

    C: Potenza e stretching

    Push press5×52′
    Box jump5×62′
    Stretching completo30′/

    Piano piano ci si avvicina ad un ipotetico match, allora si usano i pesi per l’indispensabile: forza e potenza. Questa è inoltre l’ultima settimana di power endurance alattacida (si passerà poi a quella lattacida).

    Week 12

    A: Forza

    Panca piana (bilanciere)4×32-3′
    Seated band row3×201′
    Pull up zavorrati (anelli)5×42-3′
    Lento avanti (manubri)3×62′
    Deadlift (trap bar)4×32-3′

    B: Power endurance (lattacida) e stretching

    Alternating waves (max effort)2′
    Shadow boxing (recupero attivo)1′
    Calci al sacco (max effort)2′3×3 (90″)

    C: Potenza/forza speciale

    Landmine press (1 braccio)4-5×5
    1-2 al sacco (jab-diretto)4-5×52′
    Deadlift (trap bar)4-5×5
    Box jump4-5×52′
    Stretching completo30′/

    Nella seduta dedicata alla forza e alla potenza si lavora ancora intensamente (con esercizi di potenza più specifici). Inoltre, vi è un lavoro di resistenza alla potenza improntato su sforzi lattacidi. Il terzo allenamento settimanale diventa “ibrido” grazie all’alternanza di esercizi di forza (sollevamenti lenti) a esercizi balistici (gesti esplosivi). Quanto mostrato nelle ultime righe della tabella altro non è che un metodo a contrasto. Per chi se lo stesse chiedendo, per forza speciale si intende: «la forma di manifestazione della forza tipica di un determinato sport o il suo correlato muscolare specifico (cioè, i gruppi muscolari che partecipano ad un determinato movimento sportivo)».[2]

    Week 13

    A: Forza (mantenimento) e power endurance (potenza lattacida)

    Panca piana (bilanciere)4×32-3′
    Seated band row3×201′
    Pull up zavorrati (anelli)4×42-3′
    Lento avanti (manubri)3×62′
    Kettlebell swing (rec. attivo shadow boxing)3×1′3′
    Striking pao/sacco (max effort)*3×1′3′
    *rec. attivo solo grappling drills

    B: Power endurance (capacità lattacida) e stretching

    Alternating waves (max effort)2′
    Shadow boxing (recupero attivo)1′
    Calci al sacco (max effort)2′3×3 (1′)
    Stretching completo30′/

    C: Potenza/forza speciale

    Landmine press (1 braccio)4-5×5
    1-2 al sacco (jab-diretto)4-5×52′
    Deadlift (trap bar)4-5×5
    Box jump4-5×52′

    Questa settimana, così come la prossima, il volume di allenamento e l’intensità (kg) riguardanti la forza rimangono pressoché invariati: ricordiamoci che l’obiettivo è salire sul tatami/ring/gabbia, non diventare dei pesisti o powerlifter. Gli esercizi di recupero attivo (vuoto e drills in autonomia) hanno l’obiettivo di far calare significativamente la frequenza cardiaca (circa 60% FCmax).

    Week 14

    A: Forza (mantenimento) e power endurance (potenza lattacida)

    Panca piana (bilanciere)4×32-3′
    Seated band row3×201′
    Pull up zavorrati (anelli)4×42-3′
    Lento avanti (manubri)3×62′
    Kettlebell swing (rec. attivo shadow boxing)3×1′3′
    Striking pao/sacco (max effort)*3×1′3′
    *rec. attivo solo grappling drills

    B: Power endurance (capacità lattacida) e stretching

    Alternating waves (max effort)2′
    Shadow boxing (recupero attivo)1′
    Calci al sacco (max effort)2′3×3 (1′)
    Stretching completo30′/

    C: Potenza/forza speciale

    Landmine press (1 braccio)4-5×5
    1-2 al sacco (jab-diretto)4-5×52′
    Deadlift (trap bar)4-5×5
    Box jump4-5×52′
    Week 15

    A: Power endurance (potenza lattacida)

    Kettlebell swing + Striking pao/sacco*2-3: 3×45+45″3/5′
    *rec. attivo (3′) footwork + sprawl
    Solo grappling drill (cool down)5′ (60% FC)/

    B: Power endurance (capacità lattacida) e stretching

    Alternating waves (max effort)2′
    Shadow boxing (recupero attivo)1′
    Calci al sacco (max effort)2′4×3 (1′)
    Stretching completo30′/

    C: Potenza/forza speciale

    Landmine press (1 braccio)4-5×5
    1-2 al sacco (jab-diretto)4-5×52′
    Deadlift (trap bar)4-5×5
    Box jump4-5×52′

    Ultima settimana di fuoco, power endurance nelle sue varie declinazioni più il solito lavoro sulla potenza dei colpi e l’esplosività degli arti inferiori.

    Week 16 (Fight week)
    Kettlebell swing + Striking pao/sacco*3×45+45″3/5′
    *rec. attivo (3′) footwork + sprawl
    Alternating waves (max effort)2′
    Shadow boxing (recupero attivo)1′
    Calci al sacco (max effort)2′3×3 (1′)
    Solo grappling drill (cool down)5′ (60% FC)/

    Un’unica sessione, eseguita possibilmente di lunedì, dove si fa del lavoro piuttosto specifico alternando esercizi tipici di una competizione (tecniche di striking, grappling) a esercizi con sovraccarichi e corde (kettlebell, battle rope). Il resto della settimana riguarderà ciò che più conta: ripasso tecnico col maestro e/o con gli sparring partner, lavoro sul game-plan ed eventuale ricorso a metodiche di recupero. È di fondamentale importanza che i giorni antecedenti il match siano leggeri, in modo da favorire un buon recupero psico-fisico.

    Alcuni chiarimenti

    Quanto riportato nell’articolo e mostrato in video può esser preso come un esempio di preparazione per un fighter ma non necessariamente va preso come Bibbia. Si può lavorare bene in più modi, ottenendo risultati concreti.

    • Devo fare il test dei massimali o altri test atletici? Sì! Una o due volte l’anno, in modo da avere una prova tangibile dei miglioramenti ottenuti col duro lavoro.
    • Sono davvero necessari tutti quei complementari? No, solitamente si utilizzano meno esercizi secondari (“stile fitness”). Bisogna inoltre tenere a mente che troppo lavoro ipertrofico, su soggetti predisposti, potrebbe causare un aumento ponderale con conseguente difficoltà a rientrare in una determinata categoria di peso.
    • Il cardiofrequenzimetro è obbligatorio? Utile sì, obbligatorio no. Ci sono metodi manuali per avere dei valori indicativi della propria frequenza cardiaca (bpm) e alcune macchine (tapis roulant, cyclette) hanno delle bande metalliche create per misurarla.
    • E il riscaldamento? Ovviamente veniva eseguito prima di ogni sessione di allenamento (dando ciò per scontato, non è stato inserito nelle tabelle né filmato).
    • Ma l’alimentazione? Non è obbiettivo di questo video-articolo trattare di ciò, ma se può interessare quello riportato sotto è l’andamento del mio peso durante le prime 8 settimane del programma (prima della chiusura delle palestre via DPCM).
    Approfondimenti

    Qui di seguito una carrellata di articoli (gratuiti) e libri volti ad approfondire quanto detto o anche solo accennato fino ad ora.

    Metodi di potenziamento per gli sport da combattimento
    Periodizzazione dell’allenamento sportivo
    Sport da combattimento ed allenamenti errati
    Biologia dello sport
    Energia e sport
    Ultimate Conditioning for Martial Arts
    Nutrizione e integrazione per i fighters: linee guida
    Ultimate MMA Conditioning
    La periodizzazione dell’allenamento: teoria e pratica
    Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport
    Il taglio del peso negli sport da combattimento: linee guida
    Essentials of Strength Training and Conditioning
    Allenarsi in base alla frequenza cardiaca
    Fisiologia dell’esercizio fisico
    Allenare la potenza nelle MMA: guida teorico-pratica
    Allenamento della forza negli sport da combattimento (periodizzazione)
    Preparazione atletica per Lotta e Grappling: una panoramica generale
    Integrazione di caffeina per gli sport da combattimento e le arti marziali
    Allenamenti Sovietici: il paradosso della forza e della resistenza
    Gli infortuni nel pugilato e nelle MMA
    Programma di allenamento per le MMA (4 settimane)
    Tendini: salute e performance
    Il nuoto per i fighter: qualche appunto
    Cardio per fighter in quarantena: guida pratica
    Il vuoto con i pesetti: cosa dice la scienza?
    Corsa e boxe: correre serve a un pugile?
    Preparare un match di MMA secondo un allenatore UFC
    Idratazione per lo sport: salute e performance
    Kettlebell Training: moda o base del conditioning?
    La forza nello sport e in palestra: consigli ed errori da evitare
    Le immersioni nell’acqua fredda sono veramente utili?
    La preparazione atletica nella boxe: esempio pratico
    La sindrome da sovrallenamento
    La curva di forza-velocità e la sua applicazione nello sport
    Struttura base di un training camp per sport da combattimento
    Allenamento del collo per gli sport da contatto: teoria e pratica
    I massaggi per il recupero fisico
    MMA: l’allenamento in vista di un match secondo Greg Jackson
    Test atletici per sport da combattimento
    Stretching: teoria e pratica
    La preparazione atletica e la sconfitta.

    Conclusioni

    Allenatevi duramente. Con la testa, ragionando, ma fatevi il mazzo.

    E poi?

    Qualora voleste maggiori informazioni, o consulenze personalizzate, potete ricorrere al altri servizi qui descritti.

    Grazie per l’attenzione e buon allenamento.


    Bibliografia

    [1] Project Invictus – Intervista ad Alain Riccaldi (2014)

    [2] Scienze Motorie – Le tipologia di forza (2019)