Qual è l’opinione di un grande coach di MMA e pugilato, che lavora con molti atleti del roster UFC, sulla preparazione di un fighter in vista di un incontro?
«Sì, perché le settimane 5 e 6 (della preparazione) sono settimane dure, sono come l’inizio di quelle due ultime settimane di picco. Perché poi a ridosso dell’incontro rallentiamo il motore senza spegnerlo. Quindi le settimane 5 e 6 (weeks out, quando mancano cinque-sei settimane al match) sono molto dure, la 4 è di scarico – faremo 2 o 3 giorni molto leggeri – e poi si riprende. Le settimane 2 e 3 sono quelle del picco, facciamo sparring da 5 round, non 6 o 7. Vogliamo essere sicuri di poter fare 5 minuti intensi e duri per ogni round, stare sul pezzo, senza impigrirsi».
• Se dovessi dire il tempo perfetto di un camp completo per un match normale?
«Se sei in forma discreta, 8 settimane, se sei fuori forma 12 settimane… Perché se non sollevi pesi per un po’ e poi ritorni a sollevare dopo qualche mese sentirai tanto dolore. Così devi aggiungere quel periodo di adattamento in cui il tuo corpo si adatta dai dolori. Devi fare un periodo di pre-allenamento e dopo cominci a darci dentro duramente perché non puoi cominciare subito a darci dentro a 12 settimane dall’incontro, ti spezzi».
Mettiamo i puntini sulle “i”
Trevor Wittman, coach fra gli altri di Justin Gaethje e Rose Namajunas, parla a Joe Rogan del suo approccio a un match. Essendo americano, quando parla di settimane si riferisce alle “weeks out”, ovvero alle settimane che mancano al match (un contro alla rovescia). Come ben sappiamo, un training camp per sport da combattimento prevede una periodizzazionevolta ad alternare periodi dove ci si allena più duramente, ad altri un po’ meno impegnativi. Slogan motivazionali a parte, se ci si allenasse sempre al 100% dello sforzo possibile si passerebbe più tempo con l’ortopedico o col fisioterapista che con gli sparring partner. Quando mancano 5-6 settimane all’incontro il lavoro (tecnica, tattica, sparring, preparazione atletica) è molto tosto. La successiva (4 weeks out) è un microciclo di scarico attivo, quindi ci si allena ad una intensità sensibilmente inferiore. Spesso in fase di scarico si prediligono lavori su footwork, spostamenti, sparring leggero, un 30% in meno di carico sul bilanciere in sala pesi, tecniche di recupero fisico (CWI, massaggi) e tanto stretching. Dopo la settimana di scarico (4 weeks out), ci sono due settimane di fuoco e fiamme (2-3 weeks out) dove si raggiunge la massima intensità e specificità di allenamento (simulazione del match con lo sparring, ripasso della strategia, colpitori, conversione della forza in potenza…). Generalmente gli atleti con un buon livello di forza massimale (qui i numeri di riferimento) possono smettere di allenarla 4-5 settimane prima della competizione, limitandosi magari qualche seduta di richiamo. Inoltre, gli sparring pesanti il più delle volte cessano di essere svolti una quindicina di giorni prima della gara, in modo da non far accumulare troppi traumi agli atleti e ridurre il rischio infortuni. Con la fight week (settimana dell’incontro) coincide un ultimo importante scarico attivo, dove l’atleta solitamente interrompe del tutto le sedute di strength and conditioning (preparazione atletica) e si dedica unicamente a ripassare la strategia e le tecniche – a vuoto e con i compagni – che dovranno farlo prevalere sull’avversario. La fight week, per i professionisti, vuol dire anche taglio del peso, ma non è questo l’articolo adatto per parlarne.
Trevor Wittman, poco dopo, parla di un periodo di allenamento iniziale del camp che etichetta come “pre-allenamento”. Ecco, quello altro non è che l’adattamento anatomico, cioè un periodo di 1 o 2 settimane dove ci si concentra su lavori generali ed aspecifici, ad intensità e volume medio-bassi, per far adattare il corpo a ciò che un po’ alla volta verrà fatto nelle successive settimane di preparazione, collaudando le articolazioni e il sistema nervoso. Come dice lo stesso allenatore, è di fondamentale importanza un periodo di adattamento anatomico «…perché non puoi cominciare subito a darci dentro a 12 settimane dall’incontro, ti spezzi».
Un vecchio articolo riportava un esempio della preparazione atletica da seguire per due settimane di adattamento anatomico. Eccone un estratto:
Intensità e volume di lavoro medio-bassi. Si ripassa la tecnica degli esercizi (con carichi del 50-60% 1RM), ci si limita a qualche allungo blando sul campo di atletica e si gettano e basi aerobiche (capacità) tramite le classiche “corsette” da 30-90′ (60-75% FC).
Pur non volendo cadere in banalità, è innegabile che la questione sia la solita: bisogna farsi il cul*. Talento o non talento, bisogna mettere i piedi sul tatami, ring, gaggia o sala pesi e sputare sangue. Allenarsi sì col cervello, quindi periodizzando nella maniera più opportuna, ma duramente.
Everything negative – pressure, challenges – is all an opportunity for me to rise.
“Non faccio sparring da parecchio, devo rifarmi l’occhio!”, chiunque bazzichi delle palestre dove si praticano sport da combattimento avrà sentito questa frase.
Introduzione
Abbiamo tutti in mente le schivate al millimetro di Mayweather o Lomachenko, le skills difensive di Rigondeaux o per restare all’interno dei confini la “slickness” di Dario Morello, nello schivare i colpi e poi rientrare con le proprie combinazioni. Questo tipo di abilità è indubbiamente innato da una parte, ma anche frutto di anni e anni di palestra, ripetizione di movimenti e situazioni che si ripropongono a cui il nostro sistema nervoso ha ormai trovate risposte immediate. Tutto questo può comunque essere migliorato allenando appunto l’occhio, per mezzo di quello che è conosciuto come Sport Vision Training.
Sistema visivo e cervello
Molte prestazioni non sono ottimali, non tanto perché l’atleta compie fisicamente un movimento sbagliato, ma perché lo compie al momento sbagliato. L’80% circa delle informazioni sensoriali che raggiungono il nostro cervello provengono dal sistema visivo e almeno due terzi dei nervi sensoriali che arrivano al cervello sono deputati alla funzione visiva. Il gesto motorio rappresenta il prodotto finale di una catena complessa di fenomeni che iniziano con la percezione sensoriale degli stimoli. La funzione visiva fornisce al sistema motorio informazioni sia temporali (time-based) che spaziali (distance-based), al fine di stabilire quando un’azione deve avvenire. L’atleta è chiamato ad effettuare una varietà di decisioni durante l’attività sportiva, di cui gran parte si basano su informazioni che il suo cervello ha ricevuto attraverso il sistema visivo. Avere una vista perfetta non significa vedere 10/10: non sono rari i casi in cui l’acuità visiva è molto buona, ma i tempi di integrazione percettiva sono inadeguati per il compito che deve svolgere.1
Nel 1995, quattro ricercatori francesi pubblicarono uno studio intitolato “Analysis of information processing, decision making, and visual strategies in complex problem solving sport situations”. L’obiettivo di questa ricerca era analizzare le caratteristiche spaziali e temporali della strategia visiva e del comportamento della visione di un incontro di kick boxing. I soggetti dello studio furono 18 atleti divisi in base alla loro esperienza in 6 esperti, 6 intermedi e 6 principianti, dove per principianti si intendevano kick boxeurs con più di un anno di pratica, ma ancora nessuna competizione all’attivo. Questi atleti vennero posizionati di fronte ad uno schermo su cui era proiettato un fighter che fungeva da avversario, il comportamento dell’occhio veniva catturato e analizzato usando un eye movement recorder. Dall’analisi dei risultati si può evincere come gli esperti adottano una strategia di visione più efficiente ed economica, meno punti fissi, ma mantenuti più a lungo (numero totale di punti fissi: esperti 43.3±17.12, intermedi 105.8±33.59, principianti 122.67±41.42). Dai grafici della ricerca si può notare come per gli esperti, circa il 50% dei punti fissi si trova nella regione della testa, mentre intermedi e principianti si concentrano maggiormente sul pugno.2
Dall’analisi dello studio si può notare come l’occhio, o meglio alcune sue capacità specifiche, siano di vitale importanza per chi pratica sport da combattimento, andando nel dettaglio, le capacità da cercare di sviluppare sono principalmente quattro.
La visione periferica, ossia quella parte di visione che risiede al di fuori del centro dello sguardo, esiste un ampio set di punti del campo visivo che non sono centrali e vengono inclusi nella nozione di visione periferica. Lo sviluppo di quest’ultima può essere molto importante per vedere arrivare colpi che non arrivano frontalmente come i diretti, ma lateralmente come i ganci o dal basso come i montanti.
La capacità di reazione motoria, intesa come l’abilità di eseguire rapide azioni motorie in risposta ad uno stimolo. La variabilità e l’imprevedibilità degli elementi dinamici che caratterizzano il match, richiedono al fighter di risolvere con attenzione e prontezza di riflessi, i problemi motori posti dalla situazione sportiva. Gli stimoli a cui l’atleta deve reagire sono soprattutto visivi (movimenti dell’avversario, finte e colpi in arrivo), ma anche acustici (indicazioni dal proprio angolo, eventuali stop dell’arbitro), cinestetici e tattili (contatto fisico con l’avversario), vestibolari (adattamento dell’equilibrio). Le risposte che l’atleta deve fornire devono sempre essere rapide e tempestive.
La capacità di anticipazione motoria, intesa come il prevedere l’inizio, lo svolgimento e la conclusione di un’azione motoria organizzando in anticipo i movimenti richiesti con efficacia. Questa capacità permette all’atleta di prevedere quali siano i movimenti dell’avversario e quindi prevederne l’esito, questo può essere allenato proponendo esercitazioni situazionali. Questa capacità spesso è poco sviluppata negli atleti giovani in quanto mancano di “vissuto”, mentre in quelli più anziani è una delle doti più presenti ed è definito in modo semplicistico come “esperienza”.
La coordinazione oculo-manuale, intesa come la capacità di far funzionare insieme la percezione visiva (cioè la capacità di interpretare le informazioni grazie agli effetti della luce visibile che raggiunge l’occhio) e l’azione delle mani per eseguire compiti di diversa complessità.
Molti atleti di sport da combattimento, specie nell’ultimo periodo, stanno integrando queste pratiche all’interno della programmazione di allenamento, il synapse training (ossia l’allenamento neuro-cognitivo) inizia ad essere utilizzato in quanto la sua utilità è dimostrata scientificamente, ma il confine con “la moda del momento è spesso labile”. Si possono quindi vedere atleti alle prese con led luminosi che si accendono e spengono random o a comando, ma il loro utilizzo, specie nel mondo sportivo dilettantistico, è complicato a causa degli alti costi delle apparecchiature, eppure sarebbero utilissimi per migliorare il tempo di reazione dei fighter agli stimoli visivi (luminosi in questo caso). La coordinazione oculo-manuale può però essere migliorata facendo del “vuoto” con la palla da tennis elastica attaccata alla fronte, la visione periferica dei “colpi larghi”, come i ganci, può essere migliorata schivando i tubi in gommapiuma mossi dal coach, così come i tempi e la rapidità di reazione possono essere migliorati con la reaction ball, una palla “spigolosa” il cui rimbalzo risulta dunque imprevedibile.
Conclusioni
Insomma, abbiamo visto l’importanza di un occhio allenato negli sport da combattimento e come alcune abilità possano essere migliorate, anche senza l’utilizzo di apparecchiature particolari e costose. Molte esercitazioni hanno al loro interno stimoli allenanti per la sport vision, ma non ce ne siamo mai accorti, ora non resta che inserirli all’interno della programmazione con consapevolezza, magari nelle fasi di riscaldamento/defaticamento o nei giorni di scarico, e beneficiare di tutti i miglioramenti che possono derivare da tali esercitazioni.
Grazie per l’attenzione.
Articolo di Christian Nicolino Laureato in Scienze e Tecniche Avanzate dello Sport Preparatore Fisico UIPASC
1Sport vision: le scienze visive al servizio dello sport; Vittorio Roncagli; 1990; Calderini. 2Analysis of information processing, decision making, and visual strategies in complex problem solving sport situations; Ripoll, Kerlirzin, Stein, Reine; 1995; Human Movement Science.
“Io corro sulla strada, molto prima di danzare sotto le luci”, questa è solo una delle tanto celebri frasi di Muhammad Ali, che era solito percorrere diversi km di corsa la mattina presto per allenare il fisico, ma anche per temprare la sua anima. Abbiamo tutti negli occhi Rocky che corre inseguito da uno sciame di ragazzini, saltando panchine e sfrecciando sulla scalinata di Philadelphia.
Introduzione
A chiunque abbia praticato sport da combattimento sarà capitato di arrivare esausto o non arrivare proprio al termine di una seduta di sparring e sentirsi dire: ”Vai a correre, non hai abbastanza fiato!”. Se quindi per quella che possiamo considerare la “vecchia scuola”, la corsa, anche estensiva per lunghe distanze, era da considerarsi uno dei capisaldi della preparazione fisica di un pugile, nella nuova generazione si sta facendo largo l’idea opposta della totale inutilità di tale pratica e di come la parte di conditioning debba essere portata avanti con metodologie diverse.
Domanda e risposta
La domanda a cui l’articolo presente cerca di dare una risposta, basandosi sull’evidence based, ma in modo da restare comprensibile a tutti, è quindi la seguente: la corsa serve o meno ad un pugile? Per dare una risposta corretta ed esaustiva al quesito bisogna prima analizzare il modello prestativo dello sport a cui si fa riferimento e, di conseguenza, ai sistemi energetici che entrano in gioco. La durata dei round è di 3’ con 1’ di recupero fra essi, il loro numero totale può variare da un minimo di 3 nel dilettantismo ad un massimo di 12 nei match professionistici titolati. All’interno del round stesso si possono alternare fasi di studio (60% aerobico/anaerobico alternato) a fasi di scambio (40% anaerobico lattacido), mentre il minuto di recupero è in condizioni di aerobica.
Sopra potete osservare il diverso intervento dei sistemi energetici durante la corsa continua su varie distanze (dagli 800 metri alla maratona).1
Dunque per quanto riguarda la bioenergetica utilizzata “i sistemi energetici dominanti, utilizzati nella boxe, sono quello anaerobico alattacido, anaerobico lattacido e quello aerobico, e l’attività è classificata come misto alternato (aerobico-anaerobico), con prevalenza di fasi anaerobiche” (Bompa, 2001).
Andiamo a vedere brevemente in cosa consistono i tre sistemi energetici sopracitati per fare chiarezza.
Il sistema anaerobico alattaccido è un sistema con una forte disponibilità di energia, ma limitata nel tempo, si esaurisce entro 6-8 secondi, durante i quali non vi è accumulo di acido lattico e non vi è richiesta di ossigeno.
Il sistema anaerobico lattacido si attiva dopo i 6-8 secondi, raggiunge il picco entro i 30-45 secondi e si esaurisce in 120 secondi, non necessita di ossigeno ma si verifica un accumulo di acido lattico proporzionale all’intensità dell’esercizio.
Il sistema aerobico, infine, entra in gioco per attività di lunga durata, ma bassa intensità, richiede la presenza di ossigeno e sfrutta le riserve muscolari ed epatiche di glicogeno come “carburante”.
Da questa analisi parrebbe che un lavoro estensivo come la corsa, in cui il sistema energetico preponderante è quello aerobico, a dispetto di un modello prestativo in cui questo sistema energetico ha un ruolo marginale, farebbe pensare che la “nuova generazione” che considera inutile questa pratica possa aver ragione, ma andiamo ad analizzare cosa dice la scienza a riguardo. I benefici della corsa estensiva sono molteplici. Quelli che più ci interessano sono principalmente due: il miglioramento dell’efficienza del sistema cardiocircolatorio ed il miglioramento della capacità di ossidazione del sistema muscolare, questi, infatti, permetteranno all’atleta di migliorare la capacità di recupero, abbassare la frequenza cardiaca a riposo, migliorare la capacità e la velocità di smaltimento del lattato. Ne consegue dunque che correre costituisce il metodo migliore e più semplice per incrementare l’efficienza e l’efficacia del sistema aerobico e del suo relativo potenziale di produzione energetica.
I sistemi energetici anaerobico lattacido e alattacido sono fondamentali, ma non saranno mai al top della loro efficienza, se di base non vi è un solido sistema energetico aerobico. Non si può migliorare il cardio, solo con i circuiti, perché sono un metodo ad alta intensità in cui si arriva velocemente a superare la soglia anaerobica con conseguente accumulo di lattato e lo sforzo richiesto è così elevato da non rendere possibile svolgere un lavoro continuativo di durata. Correre e perfezionare quindi sistema energetico aerobico, non farà solo essere più performanti a basse intensità, ma anche ad alte intensità, in quanto di riflesso diventerà più efficiente anche il sistema energetico anaerobico lattacido grazie all’innalzamento positivo della soglia anaerobica e la velocità e la capacità di smaltimento del lattato saranno incrementate.2 In opposizione a questo parere, alcuni giovani preparatori vedono la corsa come “la mortificazione del sistema nervoso” e la ritengono poco utile o addirittura dannosa, “se ho X riprese da 3 minuti, perché devo correre per un’ora consecutiva?”. Gli adattamenti cardiaci eccentrici, ossia legati ad un alto volume di lavoro dovuto alla corsa estensiva, sono inversamente proporzionali ad adattamenti concentrici, ossia legati a lavori ad alta intensità, trasformando quindi i pugili in moderni Forrest Gump e fondisti mancati.3 Da un punto di vista fisiologico muscolare si può notare quali sono gli effetti del lavoro aerobico come la corsa, durante questa pratica si ha un passaggio dalle fibre Fast Twich (FT) più rapide, ma più affaticabili, a fibre Slow Twitch (ST), che presentano una capacità ossidativa maggiore grazie a maggior numero e dimensione dei mitocondri rispetto alle FT. 4 Di conseguenza questo ultimo elemento è in disaccordo con uno sport in cui potenza e velocità rappresentano qualità fondamentali. Risulta, così evidente che la classica corsa continua di 10-12 km può risultare controproducente durante la preparazione di un match. In ossequio all’idea aristotelica del “giusto mezzo”, si può dire che la corsa è utile, ma solo se utilizzata con metodi e modulazioni corrette e programmate. La corsa estensiva potrebbe essere utilizzata in periodi precisi della stagione agonistica, ad esempio all’inizio dell’anno sportivo, nel caso di uno stop per le vacanze, al ritorno da un infortunio o come mantenimento in fasi di scarico. Si parte quindi da metodi estensivi in cui l’obiettivo è il progressivo aumento del volume, mantenendo una frequenza cardiaca moderata (intorno al 60% della FC max) e si proseguirà spostando il focus sull’intensità che aumenterà gradualmente fino a lavori di soglia anaerobica, con una riduzione del volume.
Conclusioni
Nella speranza di essere stato abbastanza esaustivo nei contenuti e di facile comprensione nella forma, vi auguro una buona lettura ed una buona corsa programmata!
I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione.
Muhammad Ali
Grazie per l’attenzione.
Articolo di Christian Nicolino Laureato in Scienze e Tecniche Avanzate dello Sport Preparatore Fisico UIPASC
1 Prof.ssa Paola Trevisson – Tecnica e didattica dell’atletica leggera (Dispense SUISM, a.a. 2014/2015) 2Perché un fighter deve correre anche se non gli serve?; Alain Riccaldi; 14 marzo 2015, projectinvictus.com 3Corsa e sport da combattimento: quando proporla?; Fabio Zappitelli; 23 marzo 2019, corebosport.com 4I miti degli sport da combattimento; Lorenzo Mosca; 5 marzo 2017; manipulusmosca.com
Basta guardare la saga di Rocky o entrare in una qualsiasi palestra in cui si praticano sport da combattimento, per vedere i ragazzi praticare la “shadow boxe” o quello che più patriotticamente è conosciuto come “vuoto”, con dei pesetti in mano.
Introduzione
Andando a curiosare anche gli allenamenti degli atleti veri, quelli che riempiono i palazzetti, vendono milioni di pay-per-view e possono fregiarsi di cinture mondiali in vita, si può notare come anche loro, a volte siano soliti portare i colpi con dei piccoli sovraccarichi in mano, in quanto il vuoto con i pesi rientra nel vasto insieme dei gesti atletici specifici sovraccaricati. Questi piccoli manubri, solitamente pesano tra 0,5 e 2kg, ma capita di vedere anche carichi maggiori, ma qual è lo scopo di questa pratica? Cosa si spera di ottenere portando i colpi con dei pesi in mano? Il ragionamento che sta alla base è piuttosto semplice, se “mi abituo” a boxare con della zavorra in mano, una volta posati i pesetti ed indossati i guantoni, i miei colpi saranno velocissimi ed il pugno più potente, ma vediamo cosa dice la scienza a riguardo.
Analisi del gesto
Se nel nostro paese la preparazione fisica in generale, ma soprattutto negli sport da combattimento, è una tematica relativamente giovane, nell’Est Europa questo è un argomento già consolidato con studi scientifici ad avvalorare qualsiasi tesi. I primi di questi studi vennero effettuati in Russia su lanciatori del disco, del giavellotto e del martello, essi dimostrarono che gli allenamenti fatti utilizzando questi attrezzi specifici di peso superiore, non andavano a determinare nessun effettivo miglioramento sul gesto atletico specifico di gara. L’atleta migliorava la sua performance con l’attrezzo più pesante, ma poi, spesso, peggiorava la performance con l’attrezzo di gara. Quello che tutti questi studi avevano dimostrato era lo sviluppo di uno schema motorio del gesto atletico specifico dello sport di riferimento che risultava simile, ma non effettivamente uguale.1
Tornando al nostro vuoto con i pesi, sono principalmente due le critiche che vengono mosse a questa pratica:
l’alterazione dello schema motorio del colpo, in quanto il vettore di forza del pesetto è verticale, poiché portato in basso dalla gravità, risultando quindi perpendicolare al vettore di forza del pugno che è orizzontale, l’applicazione del sovraccarico, quindi, non è ottimale;
la “frenata” del pugno, per non rischiare l’infortunio. Per salvaguardare le articolazioni di gomito e spalla, l’atleta si trova costretto ad arrestare il colpo prima della completa estensione dell’arto. Questo fenomeno è conosciuto come co-contrazione e consiste in una doppia attivazione simultanea del muscolo agonista e dell’antagonista, questa co-attivazione sembra essere una forma di prevenzione del corpo, in quanto la doppia attivazione rende l’articolazione più compressa e protetta.
Andando ad analizzare nel dettaglio la prima delle due critiche che vengono mosse alla pratica del vuoto con i pesi, possiamo notare come, il sovraccarico, il pesetto in questo caso, determina più o meno volontariamente la modificazione degli angoli della traiettoria del pugno. Il peso forza l’arto a seguire una traiettoria rettilinea, ma direzionata verso il basso a causa delle forze gravitazionali che agiscono sull’arto sovraccaricato. Se mi trovo supino, con due manubri in mano, la forza di gravità spingerà questi gravi verso il basso ed io mi opporrò ad essa spingendo dalla parte opposta, sfruttando il sovraccarico in maniera funzionale. In orizzontale, il manubrio, sarà soggetto ad una forza che lo spinge in basso, e pertanto non rappresenterà un vero e proprio sovraccarico funzionale al mio gesto, poiché il vero sforzo sarà compiuto dalla spalla, al fine di tenere le braccia sollevate. La suddetta articolazione si troverà notevolmente stressata a causa della leva molto svantaggiosa che si viene a creare, rendendo l’esercizio non solo inutile, ma anche potenzialmente dannoso a causa degli stress articolari accentuati. Il rischio a cui si va incontro è quindi quello di una modificazione, più o meno sostanziale, di quello che è lo schema motorio del pugno.
La seconda critica che viene mossa è, invece, la mancata estensione totale dell’arto al fine di salvaguardare le articolazioni da possibili infortuni. Questo fenomeno, come detto, è conosciuto come co-contrazione ed è una situazione neurologica dove sia l’agonista che l’antagonista si contraggono nello stesso momento, normalmente, invece, in un unico movimento articolare, un muscolo antagonista è inibito per consentire ad un muscolo agonista di funzionare fluentemente; questo processo è chiamato inibizione reciproca. In realtà, parlare di muscoli agonisti e antagonisti non è più sufficiente per spiegare un gesto muscolare, in quanto il corpo non attiva le catene muscolari su questo principio, ma le attiva a seconda delle proprie necessità del movimento che vuole compiere. Dai test kinesiologici effettuati sembra che le aree coinvolte nella co-attivazione siano il Cervelletto, l’Area Integrativa Comune e l’incapacità dell’emisfero sinistro nel mantenere la consequenzialità del gesto e dell’emisfero destro di mantenere un’armonia del movimento. La macchina umana, lavorando a ritmi sostenuti per velocizzare il movimento, mantiene parte delle fibre muscolari (sia agoniste che antagoniste) contratte, in questo modo il cervello pensa di essere più veloce nel compiere il gesto, ma in realtà la persona perde di velocità, in quanto il gesto è “frenato” dal muscolo opposto contratto e consuma più energia per mantenere l’ipertonicità di entrambi i muscoli. Un’altra circostanza in cui avviene questa co-contrazione è con atleti neofiti o quando si richiede ad un atleta esperto un movimento non ancora ben conosciuto e meccanizzato. Più si diventa esperti di un movimento e più il Sistema Nervoso capisce che sta lavorando in sicurezza ed attiva meno la co-contrazione, più l’apprendimento motorio diventa perfettamente sincronizzato in ogni passaggio e maggiore sarà la sensazione dell’atleta di essere nel “flow”, nella performance ottimale.2 Meno si è esperti e più il corpo fa fatica e si contrae, attivando anche muscoli non necessari. Il corpo umano preferisce rendere stabili le articolazioni, anche a costo di sprecare energie in movimenti non ottimizzati, piuttosto che rischiare di esporre le articolazioni a stimoli che si potrebbero rivelare eccessivi.
Dopo aver visto le critiche che vengono mosse a questa pratica, non si vuole demonizzarla, ma semplicemente valutarne il fine per la quale la si pratica. Si crede che questo esercizio possa essere specifico per migliorare la rapidità e la potenza dei colpi, quando invece il vuoto con i pesetti permette di andare a lavorare sulla Forza Resistente Locale dei muscoli chiamati in causa per tenere alta la guardia come spalle e trapezi. Esiste una massima relativa alla preparazione fisica negli Sport da Combattimento che dice “la Forza in sala pesi e la Resistenza sul ring”, essa è valida anche in questo caso, la forza resistente delle spalle, infatti, può essere allenata in maniera più specifica che con i pesetti, ad esempio, con delle ripetute al sacco. Un’altra valida alternativa potrebbe essere quella di utilizzare nel vuoto e nelle ripetute al sacco dei guanti di una pezzatura maggiore rispetto a quelli di gara, il guantone essendo parte integrante del gesto atletico specifico non ne altera lo schema motorio, esso rappresenta un sovraccarico naturale, abitua a lavorare con le stesse dinamiche del match ufficiale, permettendo di non andare a modificare in negativo il timing caratteristico dei pugni.
Finora si è visto qual è la reale utilità della pratica della boxe a vuoto con i pesetti, si è visto quali sono le alternative per migliorare la forza resistente locale, ma resta il quesito principale per il quale questi pesetti erano stati utilizzati, cioè rendere i colpi più rapidi e potenti. La Forza Esplosiva del colpo si può allenare, migliorando la Forza Massimale generale e trasformandola in Forza Specifica tramite l’impiego di esercizi SPE (Specialized Preparatory Exercises) come i lanci della palla medica. Questo attrezzo è tipico delle esercitazioni di tipo balistico, che non prevedono una fase di frenata del colpo, andando ad avere un “transfer” positivo nello schema motorio specifico del colpo.
Conclusioni
Per concludere, possiamo dire che il vuoto con i pesetti può essere una buona pratica per il miglioramento della forza resistenza locale, ma, a causa dell’alterazione dello schema motorio e l’alto rischio di infortuni, ci sono altre metodologie più specifiche ed adatte a tale scopo. L’apparente velocità acquistata quando si ritorna a fare vuoto senza pesetti non è un reale beneficio, ma solamente un’errata percezione neuromuscolare.
Articolo di Christian Nicolino Laureato in Scienze e Tecniche Avanzate dello Sport Preparatore Fisico UIPASC
1 “Utilizzare i pesetti per aumentare la velocità delle tecniche di pugno serve realmente al praticante di SDC?”; Alain Riccaldi; 3 Marzo 2014; projectinvictus.it 2 “Co-attivazione muscolare e kinesiologia specializzata”; Silvano Schiochet; kinesiologiaspecializzata.it
Non avete a disposizione grandi mezzi ma volete ugualmente impegnare in maniera utile le vostre ore in quarantena? Ecco a voi qualche home workout da fare!
N.B: le seguenti proposte di allenamento sono finalizzate all’incremento della capacità aerobica e della potenza aerobica. Altre capacità organico-muscolari e sistemi energetici non verranno trattati in questo articolo.
Introduzione
Gli allenamenti qui riportati possono considerarsi come dei validi sostituti alla classica corsetta (o pedalata) di un’oretta, o agli sforzi più intensi (vogatore, sacco, corsa veloce). In breve…
Capacità aerobica = capacità dell’organismo di portare avanti sforzi che coinvolgono grosse masse muscolari per periodi di tempo più o meno lunghi (almeno 30 minuti) a intensità media o medio-alta (60-80% FC max), lavorando sulla gittata cardiaca.
Potenza aerobica = capacità dell’organismo di portare avanti sforzi che coinvolgono grosse masse muscolari per periodi di tempo limitati (2-8 minuti), lavorando ad alta intensità (≥ 90% FC) e a VO2max.
Aerobic capacity (tre esempi)
AC – Home workout 1
Shadow boxing (70-80% FC)
1′
Burpees (70-80% FC)
1′
Schivate e spostamenti, rec. attivo (60% FC)
1′
Un esercizio (vuoto) ad una buona intensità, seguito da un secondo a intensità analoga, più un terzo valevole come recupero attivo (intensità sensibilmente minore). Tutto è da eseguire di fila, il singolo giro (3′) è da ripetere per 10 volte, senza alcuna pausa fra un giro e l’altro (30 minuti di lavoro in totale). È consigliato l’utilizzo di un cardiofrequenzimetro al fine di monitorare il principale parametro allenante (la frequenza cardiaca sotto sforzo), in alternativa ci si può autoregolare “a sensazione”, con la scala degli RPE.
AC – Home workout 2
Jump rope (80% FC)
1′
Shadow boxing (70-80% FC)
1′
Burpees (70-80% FC)
1′
Schivate e spostamenti, rec. attivo (60% FC)
1′
Tre minuti di lavoro (1′ – 1′ – 1′) consecutivi a intensità medio-alta, seguiti da un minuto di recupero attivo, quindi di intensità più moderata (schivate e spostamenti). Come prima, le quattro “stazioni” sono da eseguire di fila e fra un giro e l’altro non c’è alcun recupero. In totale sono 10 giri (4′ x 10), quindi 40 minuti di lavoro.
AC – Home workout 3
Jump rope (80% FC)
1′
Shadow boxing (70-80% FC)
1′
Burpees (70-80% FC)
1′
Shadow boxing (70-80% FC)
1′
Schivate e spostamenti, rec. attivo (60% FC)
1′
Quattro minuti di lavoro (1′ – 1′ – 1′ – 1′) consecutivi a intensità medio-alta, seguiti da un minuto di recupero attivo, quindi di intensità più moderata (schivate e spostamenti). Le cinque “stazioni” sono da eseguire di fila e fra un giro e l’altro non c’è alcun recupero. In totale sono 10 giri (5′ x 10), quindi 50 minuti di lavoro.
Aerobic power (tre esempi)
AP – Home workout (Tabata) 1
Burpees 8×20″ (rec. 10″) x 3-4 giri (3-4′)
Un blocco consta di 8 serie da 20 secondi di lavoro ad alta intensità (≥ 90% FC), intervallate da 10 secondi di recupero (passivo). Si eseguono 3 o 4 blocchi, separati da un recupero, sempre passivo, di 3 o 4 minuti. È consigliabile rimanere entro i 20 minuti di lavoro netto (quindi recuperi esclusi).
AP – Home workout 2
Shadow boxing 3-4×3′ (rec. 3-4′), ≥ 85-90% FC
Tre o quattro serie di vuoto ad alta intensità separate da un lungo recupero (passivo).
AP – Home workout 3
Shadow boxing (≥ 85-90% FC)
1′
Burpees (≥ 85-90% FC)
1′
Shadow boxing (≥ 85-90% FC)
1′
Quello riportato sopra è un singolo giro da ripetere 3 o 4 volte (3-4′ di recupero fra un giro e l’altro).
E poi?
Qualora voleste maggiori informazioni, o consulenze personalizzate, potete ricorrere al altri servizi qui descritti.
Fra balzi esplosivi, bilancieri e palle mediche siete confusi e non sapete come organizzare una routine di allenamento? Questo articolo potrebbe fare al caso vostro!
Quanto segue è un riassunto, traduzione e adattamento di un articolo straniero (con qualche mia aggiunta). Buona lettura!
Introduzione
Il generare potenza è un aspetto cruciale di una performance nelle arti marziali miste (MMA). La potenza è alla base di molte delle tecniche più comuni nelle MMA, dal lanciarsi in un takedown, al portare un high kick o mettere a segno il pugno risolutore che metterà KO l’avversario. È proprio l’utilizzo della forza ad alte velocità (potenza) il fattore che determinerà l’efficacia delle proprie skills nella gabbia. Il portare bene, e con la giusta potenza, le combinazioni tecniche può fare la differenza: non è la stessa cosa vincere con una bella finalizzazione prima del limite o svegliarsi su un lettino d’ospedale in seguito ad un trauma cranico. Anche in letteratura scientifica è stato ben documentato che l’espressione della massima potenza è una caratteristica che distingue i fighter d’élite da quelli più mediocri [1]. Un altro studio scientifico di Loturco et al. (2016) ha dimostrato come le qualità di forza-potenza influiscano per circa il 75% sulla forza di impatto del pugno [2].
Punti chiave
Il miglioramento della tecnica porta a generare una maggior potenza nel proprio sport;
Un approccio che prevede l’utilizzo di più metodi di allenamento è superiore ad una approccio basato su un singolo metodo allenante (variare razionalmente gli stimoli è sempre cosa buona e giusta);
La forza rappresenta l’abc, la capacità fondamentale su cui poter costruire il resto;
La pliometria e l’allenamento balistico sono i metodi suggeriti per migliorare la capacità di generare forza in tempi brevi;
La capacità di sviluppare potenza può essere ulteriormente incrementata tramite il metodo P.A.P. (Post-activation potentiation) di cui parleremo al fondo dell’articolo.
Va ricordato che ciò che serve ad un praticante di sport da combattimento è innanzitutto un bel bagaglio tecnico, la giusta condizione atletica ottenibile tramite un intelligente protocollo di strength & conditioning è solo uno degli elementi necessari per ottenere la vittoria. Per quanto sia utile l’allenamento con sovraccarichi al fine di migliorare qualsiasi parametro delle prestazioni fisiche [3], l’allenamento specifico (tecnica, colpitori, sparring) è insostituibile.
Senza stress non c’è adattamento
Molti allenatori ritengono che la pliometria o gli esercizi leggermente zavorrati eseguiti ad alta velocità siano il metodo migliore (e talvolta solo) per migliorare la potenza per le MMA. Altri hanno un punto di vista più tradizionale, sostenendo che il metodo più efficace è lo sviluppo della forza massima attraverso un allenamento pesante. I sostenitori del sollevamento pesi in stile olimpico sostengono che il weightlifting è la miglior via per aumentare la potenza specifica delle MMA. Come con la maggior parte degli aspetti delle prestazioni di alto livello, la vera risposta sta nel mezzo.
Ciò significa che la massima potenza ha sia una componente di forza che di velocità. Se la forza spinge o “tira” un oggetto la velocità contribuisce a spostare quest’ultimo in una certa direzione a determinati m/s.
Tutto sta nel trovare un compromesso fra l’allenamento della forza massimale e quello della velocità.
Ci sono varie scuole di pensiero e metodi di lavoro. Si può allenare la forza massimale (pesi impegnativi spostati a bassa velocità), praticare weightlifting (alti pesi e alte velocità), praticare allenamento balistico (alta e bassa forza / alta velocità) o pliometria (bassa forza / alta velocità).
Ricapitolando…
Heavy strength training (high force/low velocity)
Weightlifting (high force/high velocity)
Ballistic training (high-low force/high velocity)
Plyometric exercises (low force/high velocity)
Come già accennato, non concentrarsi su un unico metodo ma alternarli è la cosa più saggia da fare, anche i test lo confermano [4,5].
Heavy Strength Training
L’allenamento della forza con carichi intensi ( ≥ 80% 1RM) è utile all’atleta per molte ragioni: aumenta la forza massimale, la coordinazione inter e intramuscolare, l’ipertrofia, la potenza, il tasso di sviluppo di forza (RFD, rate force-development), e così via [6,7,8]. Migliorando la forza, a cascata, entro un certo limite miglioreranno anche la velocità e la potenza. Per queste ragioni lo strength training deve far parte del protocollo di allenamento di ogni atleta di MMA. Tuttavia, se l’allenamento della forza ad alti carichi dà importanti miglioramenti sugli atleti principianti e intermedi (soggetti che non si allenano coi pesi da molti anni), con gli atleti più esperti la musica cambia. Chi si allena da molti anni e solleva carichi (kg) importanti non ha benefici significativi nel provare ad aumentare ulteriormente i dischi sul bilanciere nella panca piana o nello squat. Per questi atleti è importante continuare ad allenare la forza mantenendo buoni carichi di lavoro, evitando così il deallenamento, ma per eccellere in quanto a potenza devono concentrarsi su altro.
Weightlifting
Le alzate olimpiche sono efficacissime per migliorare potenza, RFD (rate force-development), coordinazione e gesti atletici molto comuni come il salto o la corsa veloce [9]. Il sequenziamento delle azioni muscolari è tra l’altro un importante principio di specificità, pertanto questi esercizi hanno un grande transfer sul gesto (specifico) di gara.
Il tuo compito è trovare il metodo più rapido ed efficiente per ottenere il risultato desiderato
Il weightlifting ha però un difetto non trascurabile: per molti le alzate sono tecnicamente difficili da eseguire, quasi impraticabili (a meno che qualcuno non voglia infortunarsi). Di conseguenza servono tanto tempo e pazienza per imparare a farle, ed ancora più tempo per riuscire a farle con carichi decenti sul bilanciere (uno strappo od uno slancio con 40 kg di carico non sono realmente allenanti per un atleta che di lì a poco dovrà entrare in gabbia). Bisogna mettere in conto che un atleta ventenne che vede per la prima volta un vero bilanciere olimpico magari non riuscirà mai a destreggiarsi nel clean & jerk (video sotto) con dei pesi dignitosi.
Come diceva l’allenatore Ado Gruzza in un suo libro, dopo 2 o 3 anni ben fatti di squat, panca e stacco da terra (powerlifting) un soggetto inizialmente principiante sarà diventato un bel torello, forte e potente, col weightlifting invece?
Sta quindi al coach capire se il proprio atleta può utilizzare le alzate olimpiche (eseguibili anche con kettlebell) o se è meglio concentrarsi su altri esercizi più alla sua portata, senza mettere troppa carne al fuoco.
Allenamento balistico
Un esercizio si dice balistico quando un atleta al termine della fase concentrica lascia andare l’attrezzo senza eseguire una fase eccentrica. Esempio pratico: se Giovanni lancia la palla medica contro il muro esegue solo la fase di spinta (concentrica) e poi lascia andare la palla (se non la lasciasse andare e richiamasse la braccia eseguirebbe anche la fase eccentrica). Possiamo considerare come balistici molti esercizi, dai salti al lancio di attrezzi. Il solo allenamento balistico è meno efficace dell’accoppiata allenamento balistico + allenamento della forza [10].
Il momento migliore per eseguire esercizi balistici è ad inizio allenamento, quando si è ancora freschi, o in accoppiata con esercizi volti all’incremento della forza massimale.
L’allenamento pliometrico si differenzia da quello balistico per la presenza di una breve contrazione eccentrica che ha come fine quello di potenziare la successiva fase concentrica. Il veloce passaggio da una fase eccentrica ad una successiva concentrica è detta stretch-shortening cycle (SSC) che possiamo tradurre come ciclo di stiramento-accorciamento. Infatti, un più rapido SSC può aumentare l’efficacia delle tecniche di striking, schivate o entrate alle gambe. Senza voler entrare troppo nei tecnicismi, come riportato dal team di Science for Sport nella pliometria i tempi di contatto fra l’estremità di un arto (o degli arti) e il terreno, a seconda della durata, possono essere divisi in due categorie: movimenti pliometrici veloci (≤ 0,250 sec.) e lenti (≥ 0,251 sec.).
Sopra vengono riportati i tempi medi di contatto con il terreno (istanti in cui avviene il ciclo di stiramento-accorciamento) in millisecondi. Tanto per fare degli esempi, gli sprint sono pliometria veloce, anche i salti in lungo ma non i salti con contro-movimento (slow plyometric exercise).
Sopra, le fasi di un salto pliometrico illustrate e spiegate dai nostri colleghi di @boxingscience. Durante l’atterraggio da un salto l’organismo può assorbire forze d’impatto pari a 3-10 volte il proprio peso [11,12], pertanto è necessario usare delle progressioni per creare un “adattamento anatomico” delle articolazioni ai salti pliometrici. Senza un adeguato condizionamento dell’apparato locomotore (attivo e passivo) gli infortuni sono sempre dietro l’angolo. Da qui l’importanza di utilizzare in una prima fase del training camp gli shock jump, per poi passare a salti più rapidi e impegnativi.
La PAP è una metodica di allenamento molto simile al più classico metodo a contrasto. Essa prevede lo stressare duramente l’organismo con uno sforzo sub-massimale per poi passare ad uno sforzo vagamente simile, senza peso, per incrementare le performance atletiche in un determinato gesto atletico.
Nel video l’atleta passa dall’eseguire 1/4 di squat per due volte (ripetizioni spezzate) al saltare più in alto che può (gesto atletico a corpo libero).
Se un atleta salta 60 cm, cifra d’esempio, l’obiettivo è quello di utilizzare la PAP per abituare il corpo, in tempi medio-brevi, a saltare quei 4 o 5 cm in più [13,14,15].
La PAP può essere utilizzata per rendere più veloci e potenti gli atleti in esercizi generici (salti di vario genere) o in movimenti più specifici. Volendo ci si può sbizzarrire abbinando l’esercizio di forma sub-massimale ad una breve combinazione di boxe, dei calci al sacco, un esercizio balistico, uno pliometrico, e così via. Esercizi con schemi di movimento, reclutamento di unità motorie e sequenziamento di muscoli e articolazioni simili devono essere accoppiati insieme per migliorare l’effetto di potenziamento.
Esempi pratici
PAP generica
Squat 4×2 (serie x ripetizioni) + Depth Jumps 4×4
Nello schema riportato sopra dopo ogni serie di squat (due ripetizioni) vengono eseguiti quattro depth jump (nel mezzo è consigliabile una breve pausa).
Weighted Pull-Ups 4×3 + Reactive Med Ball Slams 4×4
Affondi con manubri verso dietro 4×4 (a lato) + ginocchiate contro sacco/pad 4×4
Panca piana con catene 4×3 + pugni al sacco pesante 4×6 sec.
Sempre riguardo alla PAP è consigliabile tenere un basso volume (3-5 serie x 4-6 ripetizioni) di allenamento in modo da non sporcare troppo la tecnica e scongiurare un prematuro affaticamento. Di contro, l’intensità dev’essere piuttosto elevata per l’alzata pesante (1-3 RM) e molto leggera sul secondo esercizio (<30% 1RM o corpo libero). Bisogna inoltre motivare l’atleta affinché egli esegua gli esercizi alla massima esplosività possibile.
A differenza del metodo a contrasto, dove si passa dall’alzata pesante all’esercizio esplosivo senza pause, qui si consiglia un recupero di 30-60 secondi fra i due esercizi e 2-3 minuti fra le serie. Vi sono anche studi che parlano di tempi di recupero nella serie (fra i due esercizi) vicini o superiori addirittura ai 10 minuti (Wilson J. M. et al., 2013), tuttavia ciò è poco funzionale a causa dell’enorme dilatazione dei tempi di lavoro e l’esperienza pratica porta a suggerire di rimanere su tempi più umani (30″-1′), in modo da poter accumulare un maggiore volume di allenamento.
Conclusioni
Come sempre, questi metodi e suggerimenti dovrebbero essere considerati insieme agli obiettivi dell’atleta, alla storia dell’allenamento e a vari tratti individuali che possono limitare determinati approcci. L’approccio misto risulta spesso il più indicato ma nulla vieta di concentrarsi su uno o due metodi inseriti nei momenti più opportuni all’interno di un macrociclo di allenamento.
Per ulteriori approfondimenti vi sono altre letture da fare (elenco sotto), oppure potete scegliere una consulenza Skype col sottoscritto o farvi allenare(anche a distanza).
PJ Nestler – Optimizing Power for MMA (2019) 1 Franchini, E. et al. – Physiological Profiles of Elite Judo Athletes (2011) 2 Loturco, Irineu, et al. – Strength and Power Qualities Are Highly Associated With Punching Impact in Elite Amateur Boxers (2016) 3 Stone, M., Stone, M., & Lamont, H. (n.d.). Explosive Exercise. Retrieved November 20, 2017 4 Cormie P. et al. – Power Versus Strength-Power Jump Squat Training (2007) 5 Fatouros I. G. et al. – Evaluation of Plyometric Exercise Training, Weight Training, and Their Combination on Vertical Jumping Performance and Leg Strength (2000) 6 Cronin J. et al. – The role of maximal strength and load on initial power production (2000) 7 Antonio, J. – Nonuniform response of skeletal muscle to heavy resistance training: can bodybuilders induce regional muscle hypertrophy? (2000) 8 Behm, D. – Neuromuscular implications and applications of resistance training (1995) 9 Hori N. et al. – Does Performance of Hang Power Clean Differentiate Performance of Jumping, Sprinting, and Changing of Direction? (2008) 10 James, Lachlan – Mixed methods power development for mixed martial arts: A review of the literature (2014) 11 Witzke K. et al. – Effects of plyometric jump training on bone mass in adolescent girls (2000) 12 Hayes W. et al. – Toward a definition of impact loading in exercise studies of bone (1997) 13 Baudry S. et al. – Postactivation potentiation in human muscle is not related to the type of maximal conditioning contraction (2004) 14 French D. N. et al. – Changes in Dynamic Exercise Performance Following a Sequence of Preconditioning Isometric Muscle Actions (2003) 15 Wilson J. M. et al. – Meta-Analysis of Postactivation Potentiation and Power (2013)
Ogni tanto si legge di atleti, magari anche famosi, che alternano le proprie sessioni tecniche (boxe/mma/muay thai/lotta) ad allenamenti in piscina. La cosa può funzionare? Discutiamone brevemente.
Principio di Archimede e articolazioni
Chiunque abbia un minimo di memoria riguardo ciò che ha studiato al liceo si ricorderà della legge (o principio) di Archimede. Secondo quest’ultima, un corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido, in questo caso l’acqua, riceve una spinta dal basso verso l’alto di intensità uguale a quella del fluido spostato.
Immergersi in acqua non fa valere le solite regole della forza di gravità terrestre, questo rende il nuoto meno stressante per le articolazioni umane, da qui l’interesse che molti praticanti di sport di combattimento nutrono nei confronti dell’acquaticità.
Nuoto o movimento in acqua?
Va specificato che “allenarsi in acqua” non significa necessariamente mettersi a nuotare e fare vasche su vasche.
Moltissimi atleti si limitano semplicemente a fare movimento in acqua con balzi, shadow boxing o a spostare oggetti (bilancieri di plastica, maniglie di gomma).
Occorre sottolineare che la maggior parte delle persone, sportive e non, generalmente non ha una buona tecnica natatoria. Eventuali lezioni di nuoto toglierebbero tempo ed energie, anche mentali, ad altri allenamenti più utili e specifici.
In acqua la propriocezione e l’esterocezione sono assolutamente alterate rispetto a quel che poi succederà sul ring, tatami o gabbia. Per questo sarebbe meglio relegare questi stimoli allenanti alla preparazione generale (GPP).
Qui sotto un allenamento di power endurance fatto svolgere a Marvin Vettori (atleta UFC).
Conclusioni
In un protocollo di strength & conditioning molte cose possono funzionare, il nuoto ed il movimento in acqua non fanno eccezione, a patto che sia monitorata la frequenza cardiaca (parametro di fondamentale importanza) e che, come detto poco fa, i lavori acquatici rientrino nella fase di preparazione atletica generale.
Il numero massimo di trazioni che riuscite a fare è inferiore a 10?
Allora questa proposta di allenamento potrebbe fare al caso vostro!
Il programma che segue, ideato prendendo spunto dalle storie Instagram del coach Alessio Ferlito, è piuttosto semplice. Può essere seguito sia da chi si allena in palestra che da chi si allena per altri sport, o magari anche per chi si approccia all’allenamento a corpo libero.
TCback
Quanto segue è applicabile per tutti i tipi di trazioni (presa prona, presa supina, trazioni agli anelli); ma bando alle ciance, andiamo al punto.
Prendete il vostro massimale di trazioni, se non lo conoscete allora fate un test massimale (quante trazioni riesco ad eseguire in un’unica serie a sfinimento, mantenendo una buona tecnica esecutiva).
Massimale: 5 trazioni (esempio), due allenamenti a settimana, si utilizza volutamente un numero basso di ripetizioni (2) in modo da riuscire a gestire molte serie.
TCback
WEEK 1
All. A. 5x2, rec. 1' (serie x ripetizioni)
All. B. 6x2 (rec. 1')
WEEK 2
A. 6x2 (rec. 1')
B. 7x2 (rec. 1')
WEEK 3
A. 7x2 (rec. 1')
B. 8x2 (rec. 1')
WEEK 4
A. 8x2 (rec. 1')
B. 9x2 (rec. 1')
WEEK 5
A. 9x2 (rec. 1')
B. 10x2 (rec. 1')
WEEK 6
A. 10x2 (rec. 1')
B. Nuovo test massimale
Nel programma appena illustrato, si arriva a fare un volume di allenamento per singola seduta (10×2) superiore di quattro volte al proprio massimale (5 reps). Dopo due sedute di allenamento che quadruplicano il massimale iniziale (10×2 = 20), si deve fare un nuovo test massimale.
Un mio cliente tramite questo semplice protocollo è passato da 4 trazioni scarse – presa prona – a 8 ben eseguite (per poco non ha chiuso la nona).
Se testate questo programma, poi scriveteci dicendoci come l’avete trovato.