Autore: Dr. Enrico Cravanzola

  • Le asimmetrie nelle performance di salto

    Le asimmetrie nelle performance di salto

    Qual è il rapporto fra le asimmetrie ed i salti verso l’alto? È un problema avere una gamba più forte dell’altra? Scopriamolo insieme!

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive presso l’Università degli Studi di Torino (Unito). Buona lettura.

    Prestazioni

    In letteratura scientifica sono presenti un paio di studi che in particolare che hanno correlato l’asimmetria ad un calo delle prestazioni di salto [1,2]. Secondo Bailey et al. [2] vi è una correlazione negativa fra le asimmetrie palesate durante il test di tirata isometrica a metà coscia (isometric midthigh pull, IMTP) e l’effetiva performance nei salti verso l’alto (minor altezza raggiunta); tuttavia, l’indagine non ha esaminato l’asimmetria durante le attività di salto, né riporta la relazione tra forza di picco IMTP e asimmetria IMTP.

    Sopra, il test dell’isometric midthigh pull (Bailey et al., 2013).

    In un altro studio ancora [3], sempre Bailey e colleghi hanno confrontato le asimmetrie registrate in prestazioni di salto e nei test dell’IMPT (isometric midthingh pull), in una coorte di atleti del college. È venuto fuori che gli atleti con la maggior forza di picco nell’IMPT avevano un certo grado di corrispondenza fra le asimmetrie palesate nei salti e quelle nel test citato poco fa.

    Va però specificato che gli atleti più esperti ed allenati solitamente presentano un minor livello di asimmetrie, al contrario dei meno allenati [4,5]. A riguardo di ciò, uno studio del 2014 ha dimostrato come siano sufficienti 7 settimane di allenamento per ridurre un’asimmetria di forza riscontrata nello squat isometrico con bilanciere (si parla sempre di soggetti poco allenati o totalmente sedentari) [5]. Pertanto è buona cosa misurare le asimmetrie di forza, e considerare i dati ottenuti come attendibili, solo quando gli atleti hanno una buona confidenza con il gesto tecnico.

    Qui sotto, il mezzo squat isometrico, da Bazyler C. D. et al. (2014).

    Bell D. R. e colleghi non hanno notato alcuna influenza, né positiva né negativa, delle asimmetrie di forza fra gli arti inferiori (inter-limb) sulle prestazioni di salto (CMJ), osservazione tra l’altro avallata da un più recente studio che, nonostante delle asimmetrie medie del 9,3% in degli atleti maschili, non ha osservato cali nelle prestazioni di salto80.

    Sopra, la raffigurazione del grado di asimmetria in 13 atleti di sesso maschile da Teixeira R at al. (2020).

    Non ci sono però dati che possano concretamente far pensare ad un maggiore rischio infortuni associato ad eventuali asimmetrie.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    [1] Chris Bailey, Kimitake Sato, Ryan Alexander, Chieh-Ying Chiang, Michael H. Stone – Isometric force production symmetry and jumping performance in collegiate athletes. Journal of Trainology 2013:2:1-5.

    [2] Bell DR, Sanfilippo JL, Binkley N, Heiderscheit BC – Lean mass asymmetry influences force and power asymmetry during jumping in collegiate athletes. J Strength Cond Res. 2014 Apr;28(4):884-91.

    [3] Bailey CA, Sato K, Burnett A, Stone MH – Carry-over of force production symmetry in athletes of differing strength levels. J Strength Cond Res. 2015 Nov;29(11):3188-96.

    [4] Bailey CA, Sato K, Burnett A, Stone MH – Force production asymmetry in male and female athletes of differing strength levels. Int J Sports Physiol Perform. 2015 May;10(4):504-8.

    [5] Caleb D. Bazyler, Chris A. Bailey, Chieh-Ying Chiang, Kimitake Sato, Michael H. Stone – The effects of strength training on isometric force production symmetry in recreationally trained males. Journal of Trainology 2014:3:6-10.

    [6] Rômulo Vasconcelos Teixeira, Victor Sabino de Queiros, Breno Guilherme Araújo Tinoco Cabral – Asymmetry inter-limb and performance in amateur athletes involved in high intensity functional training. Isokinetics and exercise science 28(1):83-89

  • Stacco con Trap-Bar: una analisi teorico-pratica

    Stacco con Trap-Bar: una analisi teorico-pratica

    Chi segue il canale Youtube di questo sito sa di un certo apprezzamento del sottoscritto nei confronti dello stacco da terra con la trap bar (o hex bar, bilanciere esagonale).

    Introduzione: complementare o fondamentale?

    Lo stacco con bilanciere esagonale viene solitamente visto come una delle tante varianti dello stacco tradizionale, forse perché l’ambiente dei pesi, almeno in questo caso, è un po’ figlio di una visione “powerlifter-centrica” degli esercizi. Se è indiscutibilmente vero che nel powerlifting (squat, panca, stacco) il “trap bar deadlifts” è un’alzata complementare, pertanto qualcosa di non fondamentale o prioritario, in un allenamento improntato sulla crescita muscolare (fitness/bodybuilding) o sul miglioramento della propria condizione atletica, la musica è differente. Riguardo a quest’ultimo punto, un programma ragionato di strength and conditioning potrebbe integrare lo stacco con trap bar principalmente in tre modi:

    • Esercizio complementare (forza): un atleta fa squat/leg press/stacco convenzionale più, in certi momenti, il trap bar deadlifts;
    • Esercizio fondamentale (forza): all’interno di un macrociclo di allenamento un atleta basa sul trap bar deadlifts l’aumento (o il mantenimento) della propria forza massimale;
    • Esercizio (fondamentale o complementare) di potenza: si eseguono dei salti esplosivi utilizzando come sovraccarico il bilanciere esagonale e un tot di dischi (trap bar jump deadlift).

    Ma ora andiamo un po’ più nello specifico.

    Punti a favore dell’esercizio
    • Maggiore attivazione dei quadricipiti rispetto allo stacco tradizionale;
    • Alzata relativamente semplice a livello tecnico;
    • Minor stress sulla zona lombare;
    • A differenza del deadlift classico, il bilanciere non va mai a contatto con le tibie (assenza di abrasioni);
    • Permette di muovere il bilanciere con una certa velocità, anche con carichi sub-massimali (90% 1RM);
    • Generalmente si sollevano carichi leggermente superiori, sempre se lo confrontiamo all’alzata sua cugina.
    Criticità
    • A livello biomeccanico il movimento potrebbe, giustamente, ricordare molto uno squat, ma il ROM (range di movimento) dell’accosciata è minore;
    • Se uno o più studi evidenziano una elevata potenza meccanica (sul bilanciere spostato) ed una notevole potenza metabolica muscolare, ciò non è detto che significhi: atleta che diventa più forte e potente (sempre se paragonato ad un ipotetico collega che si allena con altri esercizi multiarticolari).
    Discutiamone un attimo

    Il trap bar deadlift ed il deadlift standard hanno differente centro di massa, in questo il primo è più simile allo squat. In più, nel primo non vi è lo sticking point al ginocchio (punto critico dell’alzata), pertanto il sollevamento risulta un po’ più rapido e semplice.

    Le immagini riportate sopra raffigurano i due tipi di stacco e provengono da uno studio che mettendo a confronto le due alzate ha osservato alcune cose interessanti1. Come già accennato nel precedente paragrafo, con la trap bar il carico massimo sollevabile (1RM) è un po’ superiore (+6%) e la velocità nei sollevamenti impegnativi (90% 1RM) è significativamente a favore dello stacco con bilanciere esagonale (+15%). Nello studio in questione, con lo stacco regular il bilanciere ha avuto una accelerazione che è durata per il 60% dell’intero tempo di alzata, mentre con trap bar per circa l’82% del tempo. Anche un altro studio condotto su soggetti esperti aveva evidenziato la tendenza degli atleti a sollevare qualche kg in più con la trap bar2.

    Qui sotto, un po’ di dati (Lake J. et al., 2017):

    Nella seconda immagine potete osservare come il momento più impegnativo nello stacco tradizionale (linea rossa) sia quasi a metà alzata: si parte rapidi, per poi rallentare l’alzata quando il bilanciere si trova nei pressi del ginocchio, discorso ben diverso per quello con trap bar. In quest’ultimo le incertezze vi sono all’inizio – momento della partenza -, poi tutto fila piuttosto liscio.

    Greg Nuckols, coach e powerlifter d’élite, scrive che:

    «It’s common to argue that conventional deadlifts should be trained instead of trap bar deadlifts because a trap bar deadlift isn’t a true “hinge” movement – more like a hinge/squat hybrid.  So, the thinking goes, since you’re already training the squat (or at least you should be), you’re wasting your time with the trap bar deadlift since it won’t train the hinge pattern very well by itself, and it doesn’t train the squat pattern as well as actually squatting. While it’s true that trap bar deadlifts are a little bit “squattier” than conventional barbell deadlifts, they’re much closer to a “hinge” than a squat».

    In poche parole, il trap bar deadlift non è un vero “hinge movement”, cioè un movimento a cerniera, molto anca-dipendente (come nello stacco tradizionale dove il grosso del movimento lo fa questa articolazione) ma nemmeno un movimento più ginocchio-dipendente (come il normale squat con bilanciere). Ciò tuttavia non significa che nei propri allenamenti non si debba dedicare del tempo a questo movimento (discorso diverso per i powerlifter, loro in gara portano direttamente lo stacco regular).

    Circa il range di movimento, anche a seconda delle leve del soggetto in questione, lo stacco trap bar pare una sorta di via di mezzo fra uno squat classico (femore parallelo al terreno) ed un mezzo squat. Questo non rende sempre ottimale il lavoro muscolare, ma c’è un piccolo trucco per ovviare al problema (rialzo sotto ai piedi). Nel video in basso potete osservare un modo pratico per aumentare il ROM dello stacco con bilanciere esagonale: deficit trap bar deadlift.

    Anche se raramente si vede effettuare qualcosa di diverso dallo stacco, col bilanciere esagonale si possono effettuare anche salti esplosivi, facendo oppure no la fase eccentrica sovraccaricata. Come? Molto semplicemente si salta verso l’alto (come in uno squat jump o 1/2 squat jump) e si atterra. Va tenuto a mente che occorre essere ben condizionati per tollerare l’impatto a terra con tutto il carico senza farsi male. Per rendere più leggero l’esercizio si può lasciare andare il bilanciere qualche istante prima di toccare il suolo coi piedi, facendolo rimbalzare sul pavimento (sempre che il proprietario della palestra non vi cacci via…).

    Va citata anche una analisi elettromiografica pubblicata su Journal of Strength and Conditioning Research3 che ha sottolineato come durante la fase concentrica ed eccentrica dello stacco da terra, il bilanciere esagonale coinvolga maggiormente il vasto laterale, mentre il movimento dello stacco col bilanciere dritto il bicipite femorale (durante la concentrica) e gli erettori spinali (durante l’eccentrica).

    Conclusioni

    L’esercizio magico non esiste, l’arma vincente è sempre (o quasi) la variazione degli stimoli allenamenti sul lungo periodo. Anche se uno degli studi3 qui presi in esame, traducendo, arriva alle seguenti conclusioni: «Questi risultati suggeriscono che […] il bilanciere esagonale possa essere più efficace (rispetto a quello normale, ndr) nello sviluppo di forza, potenza e velocità massima», dobbiamo tenere a mente che non necessariamente una maggior potenza generata in un sollevamento porterà a futuri incrementi di forza, potenza o ipertrofia. Ciò non toglie che il bilanciere esagonale, spesso ingiustamente sottovalutato, possa essere un ottimo alleato per coach, atleti e personal trainer.

    Buon allenamento!


    Ho deciso di scrivere questo articolo anche grazie a dei post di Simone Calabretto che mi hanno fatto appassionare all’argomento. A lui vanno i miei ringraziamenti.

    Bibliografia

    1 Jason Lake, Freddie Duncan, Matt Jackson, David Naworynsky – Effect of a Hexagonal Barbell on the Mechanical Demand of Deadlift Performance. Sports (Basel) . 2017 Oct 24;5(4):82.

    2 Paul A Swinton, Arthur Stewart, Ioannis Agouris, Justin W L Keogh, Ray Lloyd – A biomechanical analysis of straight and hexagonal barbell deadlifts using submaximal loads. J Strength Cond Res . 2011 Jul;25(7):2000-9.

    3 Kevin D Camara, Jared W Coburn, Dustin D Dunnick, Lee E Brown, Andrew J Galpin, Pablo B Costa – An Examination of Muscle Activation and Power Characteristics While Performing the Deadlift Exercise With Straight and Hexagonal Barbells. J Strength Cond Res . 2016 May;30(5):1183-8.

    Greg Nuckols – Trap Bar Deadlifts are Underrated (2017)

  • Le asimmetrie nel tennis

    Le asimmetrie nel tennis

    Articolo dopo articolo, asimmetria dopo asimmetria, ora tocca parlare del tennis, sport molto particolare date le esigenze tecniche.

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive. Buona lettura.

    Ipertrofia e non solo

    In sport come il tennis solitamente gli atleti tendono a usare di più un arto superiore rispetto all’altro, palesando quindi una preferenza laterale. Non a caso questo sport viene associato a delle asimmetrie scapolari (e non solo)1,2.

    Uno studio di Calbet J. A. et al.3 ha osservato che nell’età prepuberale (11-13 anni) i giovani tennisti hanno una asimmetria fra l’arto dominante e quello non dominante più marcata (20%) rispetto ai tennisti professionisti uomini (deltoidi, tricipiti, flessori del braccio e flessori superficiali dell’avambraccio del lato dominante erano più ipertrofizzati del 11-15%). Anche altri successivi studi, metodologicamente più accurati, hanno confermato una “asimmetria ipertrofica” abbastanza importante (12-13%)2,4. Va sottolineato come il grosso dell’ipertrofia sul braccio forte venga ottenuta quando gli atleti iniziano ad allenarsi molto giovani, specialmente a livello dell’avambraccio3, forse per questioni ormonali, oppure per il differente rapporto fra il peso della racchetta ed il volume muscolare dell’avambraccio dei bambini («ratio weight of racket/forearm muscle volume in children»)5,6,7,8,9. Basandoci sul materiale attualmente presente in letteratura scientifica sappiamo che l’asimmetria fra i due arti superiori include anche la muscolatura dei deltoidi (asimmetria simile fra professionisti e fascia d’età prepuberale: 16 e 13%)4, discorso differente per i tricipiti ed i flessori del braccio (tipicamente coracobrachiale, bicipite brachiale e brachiale). Questi ultimi muscoli sono asimmetrici nei giocatori adulti e professionisti ma non nei giovani in fase prepuberale4, ma questa differenza potrebbe essere comunque spiegabile. È possibile che le differenze nei tricipiti e nei flessori del braccio tra giovanissimi tennisti e atleti professionisti derivino dalla maggiore richiesta di forza e potenza dei colpi nei professionisti, specialmente durante il servizio10,11.

    Sopra, il grado di asimmetria fra giovani tennisti (fase prepuberale) e coetanei sedentari che non praticano tennis (Sanchis-Moysi J. et al., 2012).

    Possibili infortuni

    Più studi dimostrano come durante i colpi del tennis (dritto, rovescio, servizio, colpo al volo) vi sia una attivazione asimmetrica dei muscoli della zona inferiore del tronco12,13. Asimmetrie muscolari dell’ileopsoas e del grande gluteo14 sono state associate al dolore lombare15, dolore cronico all’inguine16, borsite e tendinite all’ileopsoas, più dolori al gran trocantere17. Infine, uno studio condotto su 61 tennisti professionisti ha palesato una notevole incidenza di infortuni, lesioni muscolari, al retto addominale, nello specifico situate nel lato non dominante18.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Cools A. M. et al. – Prevention of shoulder injuries in overhead athletes: a science-based approach – Braz J Phys Ther. 2015 Sep- Oct;19(5):331-9.
    2 Sanchis-Moysi J, Idoate F, Serrano-Sanchez JA, Dorado C, Calbet JA – Muscle hypertrophy in prepubescent tennis players: a segmentation MRI study – PLoS One. 2012;7(3):e33622.
    3 Calbet JA, Moysi JS, Dorado C, Rodríguez LP – Bone mineral content and density in professional tennis players. Calcif Tissue Int. 1998 Jun;62(6):491-6.
    4 Sanchís-Moysi J, Idoate F, Olmedillas H, Guadalupe-Grau A, Alayón S, Carreras A, Dorado C, Calbet JA – The upper extremity of the professional tennis player: muscle volumes, fiber-type distribution and muscle strength.
    Scand J Med Sci Sports. 2010 Jun;20(3):524-34.
    5 Morris M, Jobe FW, Perry J, Pink M, Healy BS – Electromyographic analysis of elbow function in tennis players. Am J Sports Med. 1989 Mar- Apr;17(2):241-7.
    6 Blackwell JR, Cole KJ – Wrist kinematics differ in expert and novice tennis players performing the backhand stroke: implications for tennis elbow. J Biomech. 1994 May;27(5):509-16.
    7 Knudson D, Blackwell J – Upper extremity angular kinematics of the one-handed backhand drive in tennis players with and without tennis elbow. Int J Sports Med. 1997 Feb;18(2):79- 82.
    8 Wei SH, Chiang JY, Shiang TY, Chang HY – Comparison of shock transmission and forearm electromyography between experienced and recreational tennis players during backhand strokes. Clin J Sport
    Med. 2006 Mar;16(2):129-35.
    9 Giangarra CE, Conroy B, Jobe FW, Pink M, Perry J – Electromyographic and cinematographic analysis of elbow function in tennis players using singleand double-handed backhand strokes. Am J Sports Med. 1993 May-
    Jun;21(3):394-9.
    10 Elliot B. C. – Biomechanics of tennis (1992)
    11 Sanchís-Moysi J. et al. – Large asymmetric hypertrophy of rectus abdominis muscle in professional tennis players. PLoS One. 2010 Dec 31;5(12):e15858.
    12 Chow JW, Park SA, Tillman MD – Lower trunk kinematics and muscle activity during different types of tennis serves. Sports Med Arthrosc Rehabil Ther Technol. 2009 Oct 13;1(1):24.
    13 Wang LH, Lin HT, Lo KC, Hsieh YC, Su FC – Comparison of segmental linear and angular momentum transfers in two-handed backhand stroke stances for different skill level tennis players. J Sci Med Sport. 2010
    Jul;13(4):452- 9.
    14 Sanchis-Moysi J, Idoate F, Izquierdo M, Calbet JA, Dorado C. – Iliopsoas and Gluteal Muscles Are Asymmetric in Tennis Players but Not in Soccer Players. PLoS One. 2011;6(7):e22858.
    15 Nelson-Wong E, Gregory DE, Winter DA, Callaghan JP – Gluteus medius muscle activation patterns as a predictor of low back pain during standing. Clin Biomech (Bristol, Avon). 2008 Jun;23(5):545- 53.
    16 Holmich P. – Long-standing groin pain in sportspeople falls into three primary patterns, a ‘‘clinical entity’’ approach: a prospective study of 207 patients. Br J Sports Med. 2007 Apr;41(4):247-52.
    17 Williams BS, Cohen SP – Greater trochanteric pain syndrome: a review of anatomy, diagnosis and treatment. Anesth Analg. 2009 May;108(5):1662- 70.
    18 Balius R. et al. – Ultrasound assessment of asymmetric hypertrophy of the rectus abdominis muscle and prevalence of associated injury in professional tennis players. Skeletal Radiol. 2012 Dec;41(12):1575-81.

  • La genetica nello sport: fra scienza e filosofia

    La genetica nello sport: fra scienza e filosofia

    La genetica è ingiusta, anti-meritocratica, avvantaggia alcuni ed affossa altri. Spesso può capitare di sentire discorsi di questo tipo nelle palestre o sui social, ma cosa c’è di vero? Domanda retorica…

    Qualche tempo fa è stato pubblicato un bell’articolo in inglese (Genetics and Elite Athletes), spero che prenderne in prestito alcuni punti possa giovare anche al pubblico non anglofono. Buona lettura!

    Introduzione

    Non siamo tutti uguali e per accorgersi di questo bastano due occhi ed un cervello, in realtà neanche due gemelli omozigoti lo sono. C’è chi è un po’ più alto,chi più basso,chi più predisposto alla crescita muscolare, allo sviluppo della velocità, a quello della resistenza… O ancora, chi apprende un compito motorio nella metà del tempo rispetto ad un soggetto meno predisposto, chi è più soggetto a infortuni, malattie, e chi più ne ha ne metta.

    Capisci l’importanza della genetica quando un ragazzo che non ha mai fatto del movimento in vita sua mette piede in palestra e in un paio d’anni ottiene i tuoi medesimi risultati, peccato solo che tu ti alleni dal triplo – se non quadruplo – del suo tempo, cercando di fare le cose a modo, lui magari neanche sa eseguire bene gli esercizi.

    Genetica e forza

    In base a come un muscolo si inserziona su un osso, od un complesso articolare, molte cose possono cambiare. Una giusta inserzione può permettere a un soggetto di eseguire più velocemente un determinato movimento tramite un maggior sviluppo di forza1,2.

    Gli studi ortopedici hanno effettivamente dimostrato che cambiare il sito di attacco di un tendine in una posizione meno vantaggiosa dal punto di vista meccanico, può ridurre il range di movimento di un’articolazione e la coppia articolare in varie posizioni (quando i muscoli si contraggono o si allungano, creano forza muscolare, questa forza muscolare attira le ossa creando una coppia articolare)3.

    Il punto in cui il muscolo si “attacca” all’osso è determinato da questioni genetiche4, non lo scegliamo noi, inutile piangersi addosso o incolpare i genitori. Allo stesso tempo, anche la forza generata da due muscoli di analoga dimensione e inserzione può essere differente, basti pensare alla diversa distribuzione di fibre muscolari5. Di esse, tipologie e caratteristiche, avevamo già abbondantemente parlato qui.

    Sopra potete osservare i cambiamenti del livello di forza dei quadricipiti di 53 soggetti sedentari che hanno eseguito un 4×10 (80% 1RM) di leg extension per 9 settimane (tre allenamenti a settimana). Vi è stata un’ampia variabilità fra i risultati ottenuti dai praticanti: c’è chi è migliorato tantissimo (forza incrementata di quasi il 50%) e chi quasi non è progredito per nulla (uno addirittura è peggiorato). Da Robert M. Erskine et al., 201028.

    Genetica e sviluppo muscolare

    L’ipertrofia può dipendere da una moltitudine di fattori. Ad esempio, a livello genetico, può essere fortemente influenzata dalla miostatina (un gene). Mutazioni geniche potrebbero portare certi soggetti fortunati ad accumulare più muscoli del normale6. Inoltre, è assai probabile che una carenza di miostatina giochi un ruolo importante nel reclutamento di cellule satellite. Quest’ultime sono sostanzialmente delle cellule staminali, stem cells, del muscolo. Quando le fibre muscolari subiscono dei danni, le stem cells vengono attivate per fornire assistenza nel processo di adattamento e ricostruzione muscolare7. Sempre le cellule satellite possono donare i loro nuclei alle cellule muscolari per consentirne la crescita8.

    In letteratura scientifica si è visto come il reclutamento di cellule satellite sia estremamente variabile da persona a persona9,10. E’ stato quindi ipotizzato che la capacità di attivazione delle stem cells sia un fattore genetico11 che premia, parlando di ipertrofia, gli individui in grado di reclutare meglio queste particolari cellule8. Quindi se avete un amico che pur allenandosi un po’ alla carlona cresce molto bene a livello muscolare, è probabile che egli sia inconsciamente capace di reclutare naturalmente le cellule satellite a ritmi molto superiori al normale.

    Sopra, stesso studio preso in esame poc’anzi28, è mostrato l’incremento della sezione trasversale dei quadricipiti dopo le solite 9 settimane di leg extension (4×10 all’80% 1RM, 3xweek). La crescita muscolare media è stata del 5,7%; anche qui i soggetti più predisposti hanno visto aumentare i propri volumi muscolari di quasi il 20% e quelli meno fortunati hanno avuto dei lievi peggioramenti (-3% circa). Come sempre, vi è stata una grande variabilità individuale.

    Genetica e velocità

    I velocisti d’élite possiedono muscoli mediamente più dotati di fibre bianche rispetto a una popolazione di comuni sedentari12,13. Si è anche osservato che i pesisti olimpici, atleti notoriamente molto esplosivi, hanno percentuali molto alte di fibre bianche14. Pare quindi ovvio constatare che gli atleti ben messi in quanto a fibre bianche rapide (tipo II) abbiano un enorme vantaggio sugli sport di velocità e/o potenza rispetto agli sportivi meno “geneticamente fortunati”. La maggior velocità ed efficienza muscolare di un soggetto rispetto a un altro non data unicamente dalla forza contrazione, ma anche dalla fase di rilassamento. «Possiamo suddividere la contrazione e il rilassamento muscolare in tre fasi principali, ovvero la contrazione, il rilassamento ed infine la fase latente, fase che segue lo stimolo, ma nella quale non c’è risposta. Questo complesso sistema di reazioni chimiche determinerà lo scorrimento di un filamento sull’altro, e quindi la contrazione del sarcomero. A seguito della contrazione la troponina rilascia ioni Ca2+ che tornano nel reticolo sarcoplasmatico»15. Più velocemente si possono rilassare le fibre muscolari, più velocemente il muscolo si accorcerà, generando una maggiore potenza complessiva16. Questo processo è mediato da più enzimi all’interno del muscolo che sono necessari per la risintesi dell’ATP, il legame del calcio e altri complicati processi biochimici16. Il celebre allenatore sovietico Yuri Verkhoshansky sosteneva che i velocisti talentuosi di natura rispondessero all’allenamento principalmente migliorando i tassi di rilassamento più che la forza muscolare effettiva16. Ben lungi dall’avere delle certezze, ci sono effettivamente dei dati che avallano la tesi del Prof. Verkhoshansky17. Sfortunatamente, anche i tassi di rilassamento sembrano essere altamente ereditari poiché gli studi hanno dimostrato che né l’età, né il sesso hanno alcuna correlazione con essi18.

    Un altro fattore determinante della prestazione atletica può essere l’isteresi del tendine. L’isteresi del tendine si riferisce all’efficienza con cui un tendine assorbe e reindirizza la forza19. I tendini sono il tessuto connettivo tra muscolo e ossa, si allungano quando un muscolo si allunga e si contraggono quando un muscolo si accorcia. Pertanto, la capacità di un tendine di trasmettere efficacemente la forza dall’allungamento all’accorciamento può determinare la quantità di potenza complessiva che può essere trasferita all’osso e alla locomozione complessiva19. Come riportato in letteratura scientifica20 i tendini durante un ciclo di accorciamento-stiramento e durante le contrazioni isometriche massimali possono allungarsi fino dal 6 fino al 14%, inoltre se il tendine è lungo, i fascicoli muscolari si allungano di meno. Un tendine che è più rigido, per questioni genetiche ma anche adattamento all’attività fisica, è più prestante (assicura maggior potenza e velocità nei movimenti) ma è più soggetto agli infortuni.

    Genetica e resistenza

    Direttamente correlato all’idea di isteresi tendinea è l’economia del gesto nella corsa su lunghe distanze effettuata da atleti esperti. È stato teorizzato nel corso degli anni che i maratoneti d’élite sono semplicemente più bravi a “dissipare il calore” rispetto agli altri corridori21,22. Un corridore inefficiente, può manifestare un maggiore accumulo di calore a causa, in parte, della scarsa isteresi del tendine che accelera il processo di affaticamento durante una corsa protratta nel tempo19. A livello biochimico, diversi enzimi all’interno del muscolo sono necessari per determinare il “tasso metabolico” di uno sforzo fisico. Il più grande degli atleti di endurance può essere tale perché semplicemente ha degli enzimi più attivi dei suoi avversari di gara22. Ci sono infatti degli studi che mostrano come alcuni corridori particolarmente performanti siano in grado di mantenere velocità elevate a un VO2 max (massimo consumo di ossigeno) inferiore ai valori di altri soggetti meno allenati (o meno portati)23. Un po’ come se due veicoli andassero alla stessa velocità per innumerevoli chilometri e uno consumasse il 10% di carburante in meno rispetto all’altro.

    Sempre riguardo alla corsa, una miglior economicità del gesto (andatura efficiente) può essere dovuta alla preponderanza di fibre muscolari di tipo I, quindi lente e rosse. Queste fibre, come molti sanno, sono le più adatte per impegni fisici protratti nel tempo: accumulano meno sottoprodotti metabolici e si affaticano più lentamente. Inoltre, uno dei fattori limitanti dei lavori di resistenza è l’afflusso di ossigeno ai muscoli. Questo, entro un certo limite, può essere migliorato con l’allenamento ma esistono anche qui persone più inclini di altre ad essere resistenti grazie a una maggior capacità (innata) di rifornire i propri muscoli di ossigeno24. Anche la densità capillare può essere influenzata dalla genetica individuale24,25. I capillari sono il sito dello scambio di ossigeno tra il sistema vascolare e il muscolo. È qui che l’ossigeno viene fornito al muscolo e i prodotti metabolici di scarto vengono rimossi. Pertanto, è facile intuire che più capillari ha un atleta nel tessuto muscolare, più ossigeno può essere erogato e più rifiuti metabolici possono essere smaltiti o riconvertiti25.

    Genetica e infortuni

    Come sottolineato da Collins M. et al.26, gli sforzi eccessivi che portano a lesioni dei tessuti molli del sistema muscolo-scheletrico, derivanti da lavori usuranti o attività fisica, sono influenzate dalla genetica individuale. In special modo quelle al tendine d’Achille (caviglia), alla cuffia dei rotatori (spalla) ed ai legamenti crociati (ginocchia). Le varianti di sequenza all’interno dei geni che codificano le diverse proteine ​​di matrice extracellulare dei tendini e/o dei legamenti sono state associate a specifici infortuni di specifiche zone dei tessuti. Per esempio le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C (TNC), COL5A1 ed Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3) sono state collegate alle tendinopatie del tendine d’Achille. Entrando un po’ più nel dettaglio, le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C sono state associate sia alle tendinopatie che alle rotture del tendine d’Achille. mentre le varianti del COL5A1 e COL1A1, geni che forniscono le istruzioni genetiche per realizzare le componenti del collagene di tipo I e V, sono state correlate ad infortuni al legamento crociato posteriore.

    Inoltre, una meta-analisi del 2015, quindi alto impatto statistico, ha raccolto i dati provenienti da studi pubblicati in letteratura scientifica fra il 1984 ed il 2014 (trent’anni precisi). I ricercatori – Longo U. G. et al. – hanno confermato tutto ciò che avevano dedotto Collins e Raeligh nel 2009, aggiungendo che, oltre alla genetica, contano ovviamente diversi altri fattori, in primis lo stile di vita27.

    Altre letture utili:

    - L’abc della genetica
    - Genetica e predisposizione agli infortuni
    - Genetica - Muscoli e allenamento: quanto conta?
    - Tendini: salute e performance
    - Tessuto muscolare: componenti, forma, contrazione e ipertrofia
    - La forza nello sport e in palestra: consigli ed errori da evitare
    - Ormoni androgeni: fisiologia di base, benefici ed effetti collaterali
    Una lotteria della natura?

    Nella seconda metà dello scorso secolo ci fu un interessante confronto intellettuale, dovuto a una netta divergenza di opinioni, tra i filosofi d’oltreoceano John Rawls e Robert Nozick. Il primo era un grande sostenitore dell’equità in ogni aspetto della vita sociale, il secondo – ideologicamente più a destra – no. Quest’ultimo, ricorrendo all’esempio di una partita di basket, sosteneva che i tifosi dovessero essere liberi di pagare il prezzo del biglietto facendo arricchire, direttamente o indirettamente, un giocatore particolarmente bravo (spendere i propri soldi in quel modo è un loro diritto). Qualora quel giocatore attirasse milioni di appassionati, egli ben presto diventerebbe molto ricco.

    Ovviamente Rawls era in totale disaccordo: un società giusta non dovrebbe permettere a un uomo, sportivo o meno, di accumulare troppi soldi, salvo che ciò non porti dei vantaggi ai più poveri. Stando sempre al pensiero di J. Rawls, un grande talento nello sport o un’intelligenza superiore alla media è solo frutto di una fortuna sfacciata. Noi potremmo dire: genetica favorevole. Per questo filosofo, notevoli doti fisiche o intellettive non sono altro che una vittoria alla “lotteria della natura“, qualcosa che con la meritocrazia non ha nulla a che vedere. Per il collega Nozick, era invece giusto che l’eccellenza fosse meglio retribuita (anche con cifre milionarie). A distanza di anni, quello dell’equità e dei guadagni è ancora un argomento che infiamma il dibattito pubblico, saltuariamente anche in campo sportivo.

    Conclusioni

    In un certo senso potremmo dire che non siamo noi a selezionare scientemente uno sport da fare, ma è lo sport a scegliere noi. La pratica e la dedizione, non solo riguardo l’attività fisica, possono far migliorare praticamente chiunque e mettere delle pezze a certe lacune. Certo è che, a parità di impegno, chi ha ricevuto i biglietti fortunati per la lotteria della natura sarà sempre un passo avanti agli altri, anche senza averlo voluto.

    Buon allenamento.


    Bibliografia

    1 Lieber, R. L., & Shoemaker, S. D. (1992). Muscle, joint, and tendon contributions to the torque profile of frog hip joint. American Journal of Physiology-Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, 263(3), R586-R590.
    2 Duda, G. N., Brand, D., Freitag, S., Lierse, W., & Schneider, E. (1996). Variability of femoral muscle attachments. Journal of Biomechanics, 29(9), 1185-1190.
    3 Yamamoto, N., Itoi, E., Tuoheti, Y., Seki, N., Abe, H., Minagawa, H., & Okada, K. (2007). Glenohumeral joint motion after medial shift of the attachment site of the supraspinatus tendon: a cadaveric study. Journal of Shoulder and Elbow Surgery, 16(3), 373-378.
    4 Thomis, M. A. I., Beunen, G. P., Leemputte, M. V., Maes, H. H., Blimkie, C. J., Claessens, A. L. & Vlietinck, R. F. (1998). Inheritance of static and dynamic arm strength and some of its determinants. Acta Physiologica Scandinavica, 163(1), 59-71.
    5 Tesch, P. A., Wright, J. E., Vogel, J. A., Daniels, W. L., Sharp, D. S., & Sjödin, B. (1985). The influence of muscle metabolic characteristics on physical performance. European Journal of Applied Physiology and Occupational Physiology, 54(3), 237-243.
    6 Schuelke, M., Wagner, K. R., Stolz, L. E., Hübner, C., Riebel, T., Kömen, W., … & Lee, S. J. (2004). Myostatin mutation associated with gross muscle hypertrophy in a child. New England Journal of Medicine, 350(26), 2682-2688.
    7 Allen, D. L., Roy, R. R., & Edgerton, V. R. (1999). Myonuclear domains in muscle adaptation and disease. Muscle & Nerve, 22(10), 1350-1360.
    8 Petrella, J. K., Kim, J. S., Mayhew, D. L., Cross, J. M., & Bamman, M. M. (2008). Potent myofiber hypertrophy during resistance training in humans is associated with satellite cell-mediated myonuclear addition: a cluster analysis. Journal of Applied Physiology, 104(6), 1736-1742.
    9 Petrella, J. K., Kim, J. S., Cross, J. M., Kosek, D. J., & Bamman, M. M. (2006). Efficacy of myonuclear addition may explain differential myofiber growth among resistance-trained young and older men and women. American Journal of Physiology-Endocrinology and Metabolism, 291(5), E937-E946.
    10 Timmons, J. A. (2010). Variability in training-induced skeletal muscle adaptation. Journal of Applied Physiology, 110(3), 846-853.
    11 Bouchard, C., & Rankinen, T. (2001). Individual differences in response to regular physical activity. Medicine and Science in Sports and Exercise, 33(6 Suppl), S446-51.
    12 Costill, D. L., Daniels, J., Evans, W., Fink, W., Krahenbuhl, G., & Saltin, B. (1976) – Skeletal muscle enzymes and fiber composition in male and female track athletes. Journal of Applied Physiology, 40(2), 149-154.
    13 Thorstensson, A., Larsson, L., Tesch, P., & Karlsson, J. (1977) – Muscle strength and fiber composition in athletes and sedentary men. Medicine and Science in Sports, 9(1), 26-30.
    14 Nathan Serrano,Lauren M. Colenso-Semple,Kara K. Lazauskus,Jeremy W. Siu,James R. Bagley,Robert G. Lockie,Pablo B. Costa,Andrew J. Galpin – Extraordinary fast-twitch fiber abundance in elite weightlifters. PLoS One 2019 Mar 27;14(3):e0207975.
    15 Contrazione muscolare – Wikipedia
    16 Verkhoshansky, Y. V. (1996). Quickness and velocity in sports movements. New Studies in Athletics, 11, 29-38.
    17 Komi, P. V., Rusko, H., Vos, J., & Vihko, V. (1977). Anaerobic performance capacity in athletes. Acta Physiologica Scandinavica, 100(1), 107-114.
    18 Lennmarken, C., Bergman, T., Larsson, J., & Larsson, L. E. (1985). Skeletal muscle function in man: force, relaxation rate, endurance and contraction time-dependence on sex and age. Clinical Physiology (Oxford, England), 5(3), 243-255.
    19 Finni, T., Peltonen, J., Stenroth, L., & Cronin, N. J. (2013). On the hysteresis in the human Achilles tendon. American Journal of Physiology-Heart and Circulatory Physiology, (114), 515-517.
    20 Thom J. M. et al. – Passive elongation of muscle fascicles in human muscles with short and long tendons. Physiol Rep. 2017 Dec;5(23):e13528.
    21 Coyle, E. F. (2007). Physiological regulation of marathon performance. Sports Medicine, 37(4-5), 306-311.
    22 Marino, F. E., Lambert, M. I., & Noakes, T. D. (2004) – Superior performance of African runners in warm humid but not in cool environmental conditions. Journal of Applied Physiology, 96(1), 124-130.
    23 Weston, A. R., Mbambo, Z., & Myburgh, K. H. (2000) – Running economy of African and Caucasian distance runners. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(6), 1130-1134.
    24 Bassett, D. R., & Howley, E. T. (2000) – Limiting factors for maximum oxygen uptake and determinants of endurance performance. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(1), 70-84.
    25 Joyner, M. J., & Coyle, E. F. (2008) – Endurance exercise performance: the physiology of champions. The Journal of Physiology, 586(1), 35-44.
    26 Collins M. et al. – Genetic risk factors for musculoskeletal soft tissue injuries (2009)
    27 Longo U. G. et al. – Unravelling the genetic susceptibility to develop ligament and tendon injuries (2015)
    28 Robert M Erskine, David A Jones, Alun G. Williams, Claire E. Stewart, Hans Degens – Inter-individual variability in the adaptation of human muscle specific tension to progressive resistance training. Eur J Appl Physiol. 2010 Dec;110(6):1117-25.
    Charlie Ottinger – Genetics and Elite Athletes (2018)
    John Rawls – Una teoria della giustizia (1971)
    Nigel Warburton – Breve storia della filosofia (2011)

  • Le asimmetrie nel calcio

    Le asimmetrie nel calcio

    Prosegue la serie di articoli sulle asimmetrie, è giunto il momento di trattare lo sport più amato dagli italiani.

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive. Buona lettura.

    Movimenti nel calcio

    Abilità come il calciare il pallone e superare gli avversari con cambi di direzione sono chiaramente unilaterali, pertanto richiedono degli schemi motori e adattamenti asimmetrici1,2. Tali adattamenti possono portare a squilibri tra gruppi muscolari antagonisti3.

    Performance e infortuni

    Un po’ come per la pallavolo, non è detto che le modificazioni posturali e muscolari siano necessariamente qualcosa di patologico, o comunque rischioso per la salute. Tuttavia, non bisogna sottovalutarle, tenendo anche conto del fatto che nel calcio gli arti inferiori sono la zona più colpita da infortuni4.

    Sopra, il modello teorico preso da Fousekis et al. (2010) che mette in relazione le asimmetrie preesistenti con, fra le altre cose, gli infortuni nello sport.

    Le pubblicazioni scientifiche che hanno messo in luce sbilanciamenti di forza fra gli arti inferiori in questo sport sono numerose5,6,7,8. Uno studio pubblicato l’anno scorso sul Journal of Strength and Conditioning Research (tabella sotto)9 ha sottoposto a dei test fisici monopodalici (salti) e degli sprint una squadra giovanile di calcio femminile con una sufficiente anzianità di allenamento (almeno 9 mesi, con due brevi sedute a settimana di preparazione atletica).

    I risultati dello studio hanno evidenziato come le atlete che mostravano una maggior asimmetria di forza fra i due arti erano mediamente meno rapide negli sprint (10 e 20 m) rispetto alle altre compagne di squadra.

    Una review sistematica venuta fuori alcuni mesi più tardi, opera del medesimo autore, ha corroborato la tesi dello studio preso in esame poco fa, suggerendo una influenza negativa della differenza di forza fra gli arti sulla performance nei movimenti di calcio (anche di salto e ciclismo) ma non sulla salute10. Allo stesso tempo però ci sono studi che hanno trovato delle correlazioni fra asimmetrie nel calcio e incidenza degli infortuni5, pertanto la situazione è tutt’ora poco chiara. Fousekis K. et al. (2010) hanno condotto uno studio su 115 giocatori professionisti di varie fasce d’età, notando che le asimmetrie di forza (isocinetica) erano più marcate nei giocatori con meno anzianità di allenamento (5-10 anni) rispetto a quelli più esperti (>11 anni), probabilmente perché i primi per questioni tecniche tendono a compiere certi gesti con un arto in particolare, mentre gli altri – più abili – godono di un maggiore equilibrio nella loro preferenza laterale. Anche un altro più vecchio studio osservativo6 aveva messo in luce una variazione del rapporto di forza fra flessori ed estensori del ginocchio dell’arto dominante in base all’esperienza nell’allenamento (l’asimmetria era meno significativa nei calciatori più “navigati”).

    Gambe “storte”?

    Quando si parla delle asimmetrie e adattamenti indotti dalla pratica sportiva del calcio non si può non citare il “genu varum” o le “bowlegs”, volgarmente conosciuti come le cosiddette “gambe storte del calciatore”.

    Al riguardo una review con meta-analisi del 2018 ha messo insieme i dati provenienti da tre studi, per un totale di 1344 calciatori e 1277 altri pazienti (gruppo controllo)7. È stata analizzata e misurata la distanza fra il condilo laterale di ciascun femore (ICD) ed è emerso che i giovani (10-17 anni) calciatori agonisti hanno un “ICD” significativamente più elevato rispetto agli altri individui (mediamente +1,5 cm di ICD).

    Sopra, valutazione clinica e radiologica della “geometria” degli arti inferiori. HKA = Hip-knee angle; ICD = intercondylar distance; IMD = intermalleolar distance; mLDFA = mechanical lateral distal femoral angle; MPTA = medial proximal femoral angle; TFA = tibiofemoral angle (Thaller H. P. et al., 2018)

    Come concludono gli stessi ricercatori, alle conoscenze attuali risulta allarmistico etichettare come potenzialmente dannosa anche la pratica non intensa o non agonistica , tuttavia gli addetti ai lavori dovrebbero mettere in guardia atleti e genitori su questi diffusi adattamenti che derivano dalla pratica calcistica, specie quando gli atleti sono molto giovani (fase prepuberale, fino a 10-11 anni di età). I dati disponibili in letteratura scientifica non permettono permettono di capire quali sono le cause specifiche di questa asimmetria, ma è possibile che possa aumentare il rischio di infortuni.

    Un cross sectional study, quindi uno studio basato su un campionamento trasversale, pubblicato sul Clinical Journal of Sport Medicine8 ha confermato la tendenza dei calciatori (maschi) che competono a buoni livelli a sviluppare un varismo (ginocchia in fuori) rispetto agli altri sport (tennis), soprattutto dai 13 anni di età in poi, quindi si parla di età puberale e adolescenza. Per concludere ci sono altri studi che segnalano come stress ripetuti sull’articolazione del ginocchio11, altezza, età, peso, BMI12, carenza di vitamina D13, rapidi movimenti di cambio di direzione e corse prolungate14,15,16 possano favorire il varismo degli arti inferiori. Inoltre, analizzando il movimento della gamba quando calcia un pallone notiamo che esso consiste banalmente nella flesso-estensione dell’anca e del ginocchio, più una certa adduzione.

    Questa adduzione potrebbe avere un ruolo importante nel “genu varum”, tuttavia occorre non sbilanciarsi, dato che parliamo di una eziologia multifattoriale e siamo ben lontani dall’avere delle certezze17,18.

    L’ultima figura è presa da Nunome H. et al. (2002).

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Fousekis K. et al. – Lower limb strength in professional soccer players: profile, asymmetry, and training age (2010)
    2 Reilly T. – Motion analysis and physiological demands (1996)
    3 Fousekis K et al. – Multivariate isokinetic strength asymmetries of the knee and ankle in professional soccer players (2009)
    4 Le Gall F. et al. – Incidence of injuries in elite French youth soccer players: a 10-season study (2006)
    5 Croisier J. L. et al. – Strength imbalances and prevention of hamstring injury in professional soccer players: a prospective study (2008)
    6 Voutselas – Years of training and hamstring-quadriceps ratio of soccer players (2007)
    7 Thaller H. P. et al. – Bowlegs and Intensive Football Training in Children and Adolescents. A Systematic Review and Meta-Analysis (2018)
    8 Yaniv N. et al. – Prevalence of bowlegs among child and adolescent soccer players (2006)
    9 Bishop C. et al. – Vertical and Horizontal Asymmetries are Related to Slower Sprinting and Jump Performance in Elite Youth Female Soccer Players (2018)
    10 Bishop C. et al. – Effects of inter-limb asymmetries on physical and sports performance: a systematic review (2018)
    11 Asadi K. et al. – Association of Soccer and Genu Varum in Adolescents (2015)
    12 Rezende L. et al. – Does soccer practice stress the degrees of genu varo? (2011)
    13 Voloc A. et al. – High prevalence of genu varum/valgum in European children with low vitamin D status and insufficient dairy products/calcium intakes (2010)
    14 Witvrouw E. et al. – Does soccer participation lead to genu varum? (2009)
    15 Bangsbo J. et al. – Activity profile of competition soccer (1991)
    16 Volpon J. B. et al. – Population study of knee alignment in the frontal plane during development (1986)
    17 Isokawa M. et al. – A biomechanical analysis of the instep kick motion in soccer (1988)
    18 Nunome H. et al. – Three-dimensional kinetic analysis of side-foot and instep soccer kicks (2002)

  • Monitorare il recupero fisico (calcolo IR)

    Monitorare il recupero fisico (calcolo IR)

    Parlando di sport di performance e preparazione atletica ad essi dedicata, fra i vari parametri di monitorare, e con cui nerdeggiare, vi è anche l’IR, ossia l’indice di recupero.

    Avere un recupero, per quanto possibile, rapido e di qualità è indispensabile per essere fisicamente efficienti e “freschi” dopo aver eseguito uno sforzo fisico. In allenamento e ancor di più in gara.

    Introduzione: concetti chiave

    Dopo aver portato a conclusione uno sforzo fisico il corpo comincia a rigenerare i serbatoi energetici di ATP e CP (fosfocreatina), paga il debito di ossigeno e riossigena la mioglobina. Pertanto, è fondamentale che il sangue trasporti in tempi brevi l’ossigeno e le sostanze necessarie per colmare i debiti organici. All’aumento della velocità e capacità di trasporto del sangue migliorerà anche la capacità dell’organismo di riprendersi dopo uno stress fisico più o meno intenso.

    Il test (Rockport Walking test)

    La frequenza cardiaca (FC) è un ottimo indicatore dello stato di affaticamento dell’organismo, non a caso compare sia al numeratore che al denominatore della formula di calcolo dell’IR utilizzata per il Rockport Walking test (vedi sotto).

    Il test consiste nel camminare per un miglio (1609 metri) alla massima velocità possibile (tapis roulant o percorso pianeggiante).

    Spiegando quanto illustrato sopra, l’indice di recupero è uguale alla frequenza cardiaca massima rilevata durante la prova (meglio avere un cardiofrequenzimetro) meno la FC rilevata a 3 minuti dal termine della prova, fratto la FC max della prova (come prima) meno la FC a riposo (qualche ora prima o qualche ora dopo l’allenamento). Il tutto moltiplicato per 100.

    Legenda:
    Ir = indice di recupero
    FC max = frequenza cardiaca massima raggiunta sotto sforzo
    FC 3 min = frequenza cardiaca registrata a 3 minuti dalla fine dello sforzo
    FC rest = frequenza cardiaca a riposo

    Il test può essere eseguito una volta ogni 3-4 mesi in modo da confrontare i valori dell’IR nel tempo ed appuntarsi i miglioramenti.

    Secondo test (variante)

    Una variante del test, molto in voga fra gli atleti è quella di Ruffier. Quelli che seguono sono i quattro passaggi del test.

    1. Rilevazione del battito a riposo, in stato di rilassamento (a).

    2. Eseguire 30 air squat (accosciate a corpo libero) con un buon ritmo (trenta nell’arco di 45 secondi).

    3. Rilevare il battito cardiaco appena terminata la prova (b).

    4. Ci si sdraia per un minuto e poi si prende nuovamente la FC (c).

    Ora non resta che eseguire il calcolo: (a+b+c – 200): 10 = ?

    Ricapitolando: FC a riposo + FC post sforzo + FC 1′ dopo lo sforzo – 200, il tutto diviso per 10. Sotto la tabella dei risultati.

    RisultatiValutazione
    0-1Eccellente
    2Ottima
    3-4Buona
    5-6Discreta
    7-9Scarsa
    10 o piùPessima

    Come per il Rockport Walking di prima, anche il test di Ruffier può e deve essere ripetuto nel tempo, ogni tot di mesi, in modo da monitorare le variazioni della capacità dell’organismo di recuperare le energie al termine di uno sforzo fisico.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Fabrizio Fagioli, Luca Bartoli – Allenarsi con il cardiofrequenzimetro (5a Edizione, 2002)

  • Battle rope training: effetti allenanti delle corde nautiche

    Battle rope training: effetti allenanti delle corde nautiche

    Negli ultimi anni, soprattutto per via del CrossFit, stanno spopolando questi allenamenti “funzionali” eseguiti con le corde nautiche. Una moda sciocca oppure qualcosa che può tornare utile a molti?

    Buona lettura!

    Introduzione

    Le “battle rope” altro non sono che corde utilizzate per eseguire più tipi di movimento. Il movimento classico, il più diffuso è quello delle alternating waves (letteralmente, onde alternate), seguito da quello delle doppie onde (double waves). Poi vi sono tutta una serie di varianti più o meno semplici da eseguire. Una delle più interessanti è la hip to hip toss, variante che si ispira alla proiezione tipica del judo e che consiste nell’eseguire in contemporanea uno spostamento degli arti superiori verso un lato, destra o sinistra, più una torsione del busto (con le gambe che accompagnano il movimento).

    Anche limitandosi solamente a questi tre esercizi è possibile coinvolgere ed allenare buona parte dei muscoli dell’upper body: flessori dell’avambraccio (coracobrachiale, bicipite brachiale e brachiale), petto, deltoidi, core, trapezi e molto altro ancora.

    Aspetti metabolici

    Uno studio pubblicato nel 20151 ha mostrato come allenamenti anche molto brevi con le corde possono essere ottimi per bruciare calorie. Entrando più nel dettaglio (vedere sotto)…

    Numero soggetti11
    Età media24 anni
    Altezza media172 cm
    Peso corporeo75,7 kg

    Con, in totale, 10 soli minuti di allenamento (15″ di double wave e 45″ di recupero x 10 reps) fra gli 11 atleti vi è stata una spesa energetica media di 111.6 kcal (calorie bruciate). Come riportato nel paper stesso: «Our results suggest that rope training can provide a high-intensity stimulus for strength and conditioning professionals who seek alternative or reduced impact-conditioning methods for athletes or clients». In sintesi, il “battle rope training” (BRT) è ottimo per lavorare ad alta intensità mantenendo un basso impatto sui distretti articolari (scarsa probabilità di infortunarsi).

    Un altro studio ancora di Ratamess NA e colleghi2 definisce l’allenamento con le corde come un significativo stimolo metabolico e cardiovascolare, molto impegnativo sotto l’aspetto del VO2 max, l’accumulo di lattato ematico, la ventilazione ed i picchi della frequenza cardiaca. Nello specifico, sulle 8 serie di allenamento con 30″ di lavoro e 1 o 2 minuti di recupero (30″-1′ On:Off ; 30″-2′ On:Off) il recupero più corto (1′), come prevedibile, si è rivelato essere molto più allenante. Infine, qualora ve ne fosse bisogno, è stato provato3 come in acuto le richieste metaboliche del battle rope training (VO2 max) siano piuttosto superiori a quelle dei classici esercizi coi pesi liberi (bodybuilding e fitness) o col peso del proprio corpo (per esempio i piegamenti sulle braccia).

    Attivazione muscolare

    Uno dei pochissimi studi che ha analizzato l’attività muscolare tramite elettromiografia (EMG) durante l’alternating waves ed il double waves ha messo in luce come il capo anteriore dei deltoidi (spalle), l’obliquo esterno (addome) e l’erettore spinale a livello lombare (muscolo sacrospinale) lavorino parecchio in entrambe le varianti.

    Nella foto sopra: A = Double waves; B = Alternating waves (fonte).

    Come unica differenza tangibile, l’obliquo è stato maggiormente coinvolto nelle alternating waves rispetto alle doppie, discorso opposto per il muscolo sacrospinale (più attivo nelle double waves)4.

    Uno articolo più recente5 ha evidenziato un marcato utilizzo del trapezio superiore (parte discendente) e del muscolo palmare lungo (vicino al polso). Un po’ meno importante il lavoro del grande gluteo (dipende da quanto sono piegati gli arti inferiori durante il BRT) e quello del retto addominale (grafici sotto).

    Trovate cerchiati in rosso il double waves e l’alternating waves.

    Potenza e resistenza

    Un programma di strength & conditioning di 8 settimane basato sul BRT (3 sedute a settimana), testato su dei giocatori di basket, ha incrementato in maniera significativa la potenza aerobica, più la potenza (chest pass speed) e la resistenza alla potenza (power endurance) della parte superiore del corpo. Inoltre, si sono visti miglioramenti sulla resistenza del core (core endurance) e la potenza degli arti inferiori su salti come il vertical jump6. Sono stati utilizzati cinque tipi di movimenti: alternating waves, double waves, hip to hip toss (tutti e tre citati ad inizio articolo), side to side waves e in-out waves. L’allenamento con corde nautiche si è rivelato essere mediamente superiore agli interval training fatti con gli scatti (sprint).

    Conclusioni

    Anche se non di rado il BRT viene usato a sproposito – la moda è la moda – non vi è alcun dubbio che, dati ed esperienza alla mano, questa metodica di allenamento possa portare grandi benefici sotto più fronti.

    Un interessante lavoro che si potrebbe fare con le corde è anche quello di work capacity. Come illustrato qui, dato che la parte superiore del corpo è maggiormente interessata dal BRT (si affatica di più) è possibile principiare l’allenamento con degli esercizi come l’alternating wave o hip to hip toss per poi passare a del lavoro tecnico riguardante principalmente l’utilizzo degli arti inferiori. Ad esempio i tiri “terzo tempo” nel basket, calci nelle arti marziali, sacco e footwork nella boxe e così via. Non resta che provare.

    Sopra un protocollo redatto dal pugile professionista e coach Dario Morello finalizzato al miglioramento della work capacity (endurance specifica).

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Fountaine CJ, Schmidt BJ – Metabolic cost of rope training. J Strength Cond Res. 2015 Apr;29(4):889-93.
    2 Ratamess NA, Smith CR, Beller NA, Kang J, Faigenbaum AD, Bush JA – Effects of Rest Interval Length on Acute Battling Rope Exercise Metabolism. J Strength Cond Res. 2015 Sep;29(9):2375-87.
    3 Ratamess NA, Rosenberg JG, Klei S, Dougherty BM, Kang J, Smith CR, Ross RE, Faigenbaum AD – Comparison of the acute metabolic responses to traditional resistance, body-weight, and battling rope exercises. J Strength Cond Res. 2015 Jan;29(1):47-57.
    4 Calatayud J, Martin F, Colado JC, Benítez JC, Jakobsen MD, Andersen LL – Muscle Activity During Unilateral vs. Bilateral Battle Rope Exercises. J Strength Cond Res. 2015 Oct;29(10):2854-9.
    5 Austin Salzgeber, John P. Porcari, Charlend Howard, Blaine E. Arney, Attila Kovacs, Cordial Gillette, Carl Foster – Muscle Activation during Several Battle Rope Exercises. (2019) Int J Res Ex Phys. 14(2):1-10.
    6 Chen WH, Yang WW, Lee YH, Wu HJ, Huang CF, Liu C – Acute Effects of Battle Rope Exercise on Performance, Blood Lactate Levels, Perceived Exertion, and Muscle Soreness in Collegiate Basketball Players. J Strength Cond Res. 2018 Jul 17.

  • Preparare un match di MMA secondo un allenatore UFC

    Preparare un match di MMA secondo un allenatore UFC

    Qual è l’opinione di un grande coach di MMA e pugilato, che lavora con molti atleti del roster UFC, sulla preparazione di un fighter in vista di un incontro?

    Ne ha parlato l’ottimo Trevor Wittman ad una puntata del podcast di Joe Rogan: Joe Rogan Experience (qui la puntata completa).

    Il succo del discorso

    «Sì, perché le settimane 5 e 6 (della preparazione) sono settimane dure, sono come l’inizio di quelle due ultime settimane di picco. Perché poi a ridosso dell’incontro rallentiamo il motore senza spegnerlo. Quindi le settimane 5 e 6 (weeks out, quando mancano cinque-sei settimane al match) sono molto dure, la 4 è di scarico – faremo 2 o 3 giorni molto leggeri – e poi si riprende. Le settimane 2 e 3 sono quelle del picco, facciamo sparring da 5 round, non 6 o 7. Vogliamo essere sicuri di poter fare 5 minuti intensi e duri per ogni round, stare sul pezzo, senza impigrirsi».

    • Se dovessi dire il tempo perfetto di un camp completo per un match normale?

    «Se sei in forma discreta, 8 settimane, se sei fuori forma 12 settimane… Perché se non sollevi pesi per un po’ e poi ritorni a sollevare dopo qualche mese sentirai tanto dolore. Così devi aggiungere quel periodo di adattamento in cui il tuo corpo si adatta dai dolori. Devi fare un periodo di pre-allenamento e dopo cominci a darci dentro duramente perché non puoi cominciare subito a darci dentro a 12 settimane dall’incontro, ti spezzi».

    Mettiamo i puntini sulle “i”

    Trevor Wittman, coach fra gli altri di Justin Gaethje e Rose Namajunas, parla a Joe Rogan del suo approccio a un match. Essendo americano, quando parla di settimane si riferisce alle “weeks out”, ovvero alle settimane che mancano al match (un contro alla rovescia). Come ben sappiamo, un training camp per sport da combattimento prevede una periodizzazione volta ad alternare periodi dove ci si allena più duramente, ad altri un po’ meno impegnativi. Slogan motivazionali a parte, se ci si allenasse sempre al 100% dello sforzo possibile si passerebbe più tempo con l’ortopedico o col fisioterapista che con gli sparring partner. Quando mancano 5-6 settimane all’incontro il lavoro (tecnica, tattica, sparring, preparazione atletica) è molto tosto. La successiva (4 weeks out) è un microciclo di scarico attivo, quindi ci si allena ad una intensità sensibilmente inferiore. Spesso in fase di scarico si prediligono lavori su footwork, spostamenti, sparring leggero, un 30% in meno di carico sul bilanciere in sala pesi, tecniche di recupero fisico (CWI, massaggi) e tanto stretching. Dopo la settimana di scarico (4 weeks out), ci sono due settimane di fuoco e fiamme (2-3 weeks out) dove si raggiunge la massima intensità e specificità di allenamento (simulazione del match con lo sparring, ripasso della strategia, colpitori, conversione della forza in potenza…). Generalmente gli atleti con un buon livello di forza massimale (qui i numeri di riferimento) possono smettere di allenarla 4-5 settimane prima della competizione, limitandosi magari qualche seduta di richiamo. Inoltre, gli sparring pesanti il più delle volte cessano di essere svolti una quindicina di giorni prima della gara, in modo da non far accumulare troppi traumi agli atleti e ridurre il rischio infortuni. Con la fight week (settimana dell’incontro) coincide un ultimo importante scarico attivo, dove l’atleta solitamente interrompe del tutto le sedute di strength and conditioning (preparazione atletica) e si dedica unicamente a ripassare la strategia e le tecniche – a vuoto e con i compagni – che dovranno farlo prevalere sull’avversario. La fight week, per i professionisti, vuol dire anche taglio del peso, ma non è questo l’articolo adatto per parlarne.

    Trevor Wittman, poco dopo, parla di un periodo di allenamento iniziale del camp che etichetta come “pre-allenamento”. Ecco, quello altro non è che l’adattamento anatomico, cioè un periodo di 1 o 2 settimane dove ci si concentra su lavori generali ed aspecifici, ad intensità e volume medio-bassi, per far adattare il corpo a ciò che un po’ alla volta verrà fatto nelle successive settimane di preparazione, collaudando le articolazioni e il sistema nervoso. Come dice lo stesso allenatore, è di fondamentale importanza un periodo di adattamento anatomico «…perché non puoi cominciare subito a darci dentro a 12 settimane dall’incontro, ti spezzi».

    Un vecchio articolo riportava un esempio della preparazione atletica da seguire per due settimane di adattamento anatomico. Eccone un estratto:

    Intensità e volume di lavoro medio-bassi. Si ripassa la tecnica degli esercizi (con carichi del 50-60% 1RM), ci si limita a qualche allungo blando sul campo di atletica e si gettano e basi aerobiche (capacità) tramite le classiche “corsette” da 30-90′ (60-75% FC).

    Altre letture consigliate:
    - La curva di forza velocità e la sua applicazione nello sport
    - Ultimate Conditioning for Martial Arts
    - Periodizzazione dell'allenamento sportivo
    - Ultimate MMA Conditioning
    - L’allenamento in vista di un match secondo Greg Jackson
    Conclusioni

    Pur non volendo cadere in banalità, è innegabile che la questione sia la solita: bisogna farsi il cul*. Talento o non talento, bisogna mettere i piedi sul tatami, ring, gaggia o sala pesi e sputare sangue. Allenarsi sì col cervello, quindi periodizzando nella maniera più opportuna, ma duramente.

    Everything negative – pressure, challenges – is all an opportunity for me to rise.

    Kobe Bryant

    Grazie per l’attenzione.


    Approfondimenti

    Articoli sulla preparazione atletica → qui

  • Allenamento e nutrizione per le donne: concetti chiave

    Allenamento e nutrizione per le donne: concetti chiave

    Vi sono delle effettive differenze nel modo in cui si devono allenare gli uomini e le donne? E riguardo alla nutrizione? Possono seguire diete simili?

    Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un bel video riguardante una chiacchierata di 50 minuti fra Michele Fresiello ed uno dei due ragazzi di Bodybuilding & Performance riguardante appunto l’allenamento in rosa. Avendo un po’ di tempo libero ho deciso di riassumerne qui i punti chiave. Buona lettura!

    Punti chiave #1 – Breve confronto uomo-donna

    Per ovvie ragioni fisiologiche, soprattutto ormonali, una donna non potrà mai raggiungere i volumi muscolari e di tiraggio di un uomo. Tuttavia, le donne mediamente riescono a reggere volumi di allenamento piuttosto alti (anche superiori a quelli dell’altro sesso), va però sottolineato che non sempre gli alti volumi sono accompagnati da fenomeni adattivi e quindi da una buona risposta ipertrofica. Quando ciò accade si entra in quel loop di infiammazione dei tessuti, ritenzione idrica e stress, che non porta a nulla di positivo per la persona che si allena, né a livello estetico, né a livello psicologico (questo fenomeno è meno diffuso nel sesso maschile).

    #2 – Differenze di allenamento

    La donna può e deve allenarsi in maniera simile ad un uomo, dando priorità magari a gruppi muscolari differenti a seconda dei suoi obiettivi estetici. I fondamentali utili sono sicuramente lo squat e lo stacco, un po’ meno la panca piana (sempre in ottica fitness e non di performance). Se si vuole far lavorare il petto di una donna neofita, più che le distensioni su panca, è meglio ricorrere ai piegamenti sulle braccia, che possono anche insegnare a controllare il core e migliorare la stabilità del cingolo scapolo-omerale. Riguardo al lower body, se la donna è ginoide, quindi quasi sicuramente quadricipite dominante, è bene calibrare al meglio il lavoro da fare cercando di stressare al punto giusto i muscoli che la persona ginoide, per sua natura, utilizza di meno. Fin da subito è consigliabile lavorare sulla tecnica, in modo da apprendere gli schemi motori ed attivare efficientemente la catena posteriore. Sempre in una prima fase si può anche optare pe degli schemi di allenamento PHA (Peripherial Heart Action), cioè l’alternanza di lavoro fra la parte superiore del corpo e quella inferiore: un esercizio per l’upper body, seguito da uno per il lower body, poi uno per l’upper, poi uno per il lower e così via (spesso a circuito). Per non danneggiare il microcircolo è meglio rimandare ad un futuro prossimo, quando la persona sarà più “atleta”, il lavoro molto lattacido.

    #3 – Ciclo e programmazione allenamenti

    Chiaramente il periodo premestruale nella donna è qualcosa di compromettente e bisogna tenerne conto nello stilare un programma di allenamento. Qualora i feedback che la donna dà al personal trainer indichino un certo (e fisiologico) malessere fisico bisogna inevitabilmente intervenire modificando la tabella di marcia. Cardio a bassa intensità e pochi (e leggeri) esercizi con sovraccarico sono spesso scelte ottimali in fase premestruale, come anche quella di limitare il sodio (a causa degli alti livelli di aldosterone). Va però specificato che la cosa è molto soggettiva, infatti alcune donne il periodo pre-ciclo non lo soffrono più di tanto; solitamente la sindrome premestruale è più debole quando i livelli di massa grassa (BF) sono contenuti. Alle volte, il sesso femminile può accusare delle fitte addominali durante il periodo di ovulazione (collocato a metà del ciclo). Anche in questa fase, qualora sia necessario, si può tirare il freno a mano e levare in toto, oppure limitare, il lavoro addominale.

    #4 – Carboidrati e calorie

    Vanno limitati i picchi insulinici, pertanto è cosa saggia non lasciarsi andare con pasti troppo corposi (eccesso calorico) specialmente in quanto a carboidrati. Va ricordato, anche se è una banalità, che la donna tende ad accumulare più adipe rispetto all’uomo e ad accumularlo in zone differenti (recettorialità ormonale).

    #5 – Allenamento gambe e glutei

    Solitamente le donne riescono a generare una buona forza negli esercizi riguardanti gli arti inferiori. Nulla quindi vieta loro di sbizzarrirsi con allenamenti di forza (dopo un periodo di condizionamento) seguiti da isometrie di picco. Sotto un esempio pratico.

    Back Squat4×4 (75% 1RM)
    Hip thrust4×6 (3″ iso)
    Leg curl3-4×10
    3″ iso = durante la fase finale della fase concentrica, quindi della spinta (quando il sedere è in alto), si rimane fermi per tre secondi

    Nella parte finale del podcast, Michele Fresiello dice di trovarsi bene nel far variare nel tempo il volume (vi dev’essere un lento e costante incremento), mettendo poche fasi di intensificazione (periodi in cui si solleva più dell’80% 1RM). Un’idea nelle fasi di intensificazione è quella di abbinare allenamenti incentrati su un paio di fondamentali (es. squat e hip thrust) ad altri riguardanti circuiti metabolici. La forza ovviamente non può venire allenata seriamente fin da subito se la donna non ha mai messo piede in una palestra e non conosce la corretta esecuzione di squat, stacco o hip thrust.

    Qui il video della puntata completa (46 minuti e 6 secondi).

    Grazie per l’attenzione!

    Buon allenamento.



    Approfondimenti
  • Cardio per fighter in quarantena: guida pratica

    Cardio per fighter in quarantena: guida pratica

    Non avete a disposizione grandi mezzi ma volete ugualmente impegnare in maniera utile le vostre ore in quarantena? Ecco a voi qualche home workout da fare!

    N.B: le seguenti proposte di allenamento sono finalizzate all’incremento della capacità aerobica e della potenza aerobica. Altre capacità organico-muscolari e sistemi energetici non verranno trattati in questo articolo.

    Introduzione

    Gli allenamenti qui riportati possono considerarsi come dei validi sostituti alla classica corsetta (o pedalata) di un’oretta, o agli sforzi più intensi (vogatore, sacco, corsa veloce). In breve…

    Capacità aerobica = capacità dell’organismo di portare avanti sforzi che coinvolgono grosse masse muscolari per periodi di tempo più o meno lunghi (almeno 30 minuti) a intensità media o medio-alta (60-80% FC max), lavorando sulla gittata cardiaca.

    Potenza aerobica = capacità dell’organismo di portare avanti sforzi che coinvolgono grosse masse muscolari per periodi di tempo limitati (2-8 minuti), lavorando ad alta intensità (≥ 90% FC) e a VO2max.

    Aerobic capacity (tre esempi)

    AC – Home workout 1

    Shadow boxing (70-80% FC)1′
    Burpees (70-80% FC)1′
    Schivate e spostamenti, rec. attivo (60% FC)1′

    Un esercizio (vuoto) ad una buona intensità, seguito da un secondo a intensità analoga, più un terzo valevole come recupero attivo (intensità sensibilmente minore). Tutto è da eseguire di fila, il singolo giro (3′) è da ripetere per 10 volte, senza alcuna pausa fra un giro e l’altro (30 minuti di lavoro in totale). È consigliato l’utilizzo di un cardiofrequenzimetro al fine di monitorare il principale parametro allenante (la frequenza cardiaca sotto sforzo), in alternativa ci si può autoregolare “a sensazione”, con la scala degli RPE.

    AC – Home workout 2

    Jump rope (80% FC)1′
    Shadow boxing (70-80% FC)1′
    Burpees (70-80% FC)1′
    Schivate e spostamenti, rec. attivo (60% FC)1′

    Tre minuti di lavoro (1′ – 1′ – 1′) consecutivi a intensità medio-alta, seguiti da un minuto di recupero attivo, quindi di intensità più moderata (schivate e spostamenti). Come prima, le quattro “stazioni” sono da eseguire di fila e fra un giro e l’altro non c’è alcun recupero. In totale sono 10 giri (4′ x 10), quindi 40 minuti di lavoro.

    AC – Home workout 3

    Jump rope (80% FC)1′
    Shadow boxing (70-80% FC)1′
    Burpees (70-80% FC)1′
    Shadow boxing (70-80% FC)1′
    Schivate e spostamenti, rec. attivo (60% FC)1′

    Quattro minuti di lavoro (1′ – 1′ – 1′ – 1′) consecutivi a intensità medio-alta, seguiti da un minuto di recupero attivo, quindi di intensità più moderata (schivate e spostamenti). Le cinque “stazioni” sono da eseguire di fila e fra un giro e l’altro non c’è alcun recupero. In totale sono 10 giri (5′ x 10), quindi 50 minuti di lavoro.

    Aerobic power (tre esempi)

    AP – Home workout (Tabata) 1

    Burpees 8×20″ (rec. 10″) x 3-4 giri (3-4′)

    Un blocco consta di 8 serie da 20 secondi di lavoro ad alta intensità (≥ 90% FC), intervallate da 10 secondi di recupero (passivo). Si eseguono 3 o 4 blocchi, separati da un recupero, sempre passivo, di 3 o 4 minuti. È consigliabile rimanere entro i 20 minuti di lavoro netto (quindi recuperi esclusi).

    AP – Home workout 2

    Shadow boxing 3-4×3′ (rec. 3-4′), ≥ 85-90% FC

    Tre o quattro serie di vuoto ad alta intensità separate da un lungo recupero (passivo).

    AP – Home workout 3

    Shadow boxing (≥ 85-90% FC)1′
    Burpees (≥ 85-90% FC)1′
    Shadow boxing (≥ 85-90% FC)1′

    Quello riportato sopra è un singolo giro da ripetere 3 o 4 volte (3-4′ di recupero fra un giro e l’altro).

    E poi?

    Qualora voleste maggiori informazioni, o consulenze personalizzate, potete ricorrere al altri servizi qui descritti.

    Grazie per l’attenzione.


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