Il numero massimo di trazioni che riuscite a fare è inferiore a 10?
Allora questa proposta di allenamento potrebbe fare al caso vostro!
Il programma che segue, ideato prendendo spunto dalle storie Instagram del coach Alessio Ferlito, è piuttosto semplice. Può essere seguito sia da chi si allena in palestra che da chi si allena per altri sport, o magari anche per chi si approccia all’allenamento a corpo libero.
TCback
Quanto segue è applicabile per tutti i tipi di trazioni (presa prona, presa supina, trazioni agli anelli); ma bando alle ciance, andiamo al punto.
Prendete il vostro massimale di trazioni, se non lo conoscete allora fate un test massimale (quante trazioni riesco ad eseguire in un’unica serie a sfinimento, mantenendo una buona tecnica esecutiva).
Massimale: 5 trazioni (esempio), due allenamenti a settimana, si utilizza volutamente un numero basso di ripetizioni (2) in modo da riuscire a gestire molte serie.
TCback
WEEK 1
All. A. 5x2, rec. 1' (serie x ripetizioni)
All. B. 6x2 (rec. 1')
WEEK 2
A. 6x2 (rec. 1')
B. 7x2 (rec. 1')
WEEK 3
A. 7x2 (rec. 1')
B. 8x2 (rec. 1')
WEEK 4
A. 8x2 (rec. 1')
B. 9x2 (rec. 1')
WEEK 5
A. 9x2 (rec. 1')
B. 10x2 (rec. 1')
WEEK 6
A. 10x2 (rec. 1')
B. Nuovo test massimale
Nel programma appena illustrato, si arriva a fare un volume di allenamento per singola seduta (10×2) superiore di quattro volte al proprio massimale (5 reps). Dopo due sedute di allenamento che quadruplicano il massimale iniziale (10×2 = 20), si deve fare un nuovo test massimale.
Un mio cliente tramite questo semplice protocollo è passato da 4 trazioni scarse – presa prona – a 8 ben eseguite (per poco non ha chiuso la nona).
Se testate questo programma, poi scriveteci dicendoci come l’avete trovato.
Lo stretching, pratica tanto conosciuta quanto sottovalutata e trascurata dai più.
Prima di dedicarci a alle tecniche di stretching è però necessario dare alcune basiche definizioni, tre per la precisione.
La prima riguarda la mobilità articolare, da alcuni autori considerata una capacità condizionale, che corrisponde alla capacità di una o più articolazioni di muoversi liberamente entro il proprio range di movimento fisiologico, senza dolori o problemi di alcun genere. La seconda definizione che occorre fornire è quella dell’estensibilità muscolare, ovvero la capacità che ha un muscolo di allungarsi, come prima, entro un limite fisiologico.
Infine, abbiamo la flessibilità, cioè l’unione della mobilità articolare e dell’estensibilità muscolare.
Inoltre, per chi non lo sapesse, c’è il range di movimento (ROM) è l’escursione permessa dalla flessibilità individuale. Che può essere più o meno ampia a seconda della persona ed anche per scelta di quest’ultima. Basti per esempio pensare all’utilizzo di “ROM incompleti” nel bodybuilding (mezze ripetizioni) per mantenere una tensione continua sul muscolo target.
Cenni di fisiologia
Lo stretching, insieme di tecniche volte ad incrementare la flessibilità corporea, si basa sul fenomeno neurofisiologico noto come riflesso miotatico, anche detto da stiramento. I recettori propriocettivi presenti nel muscolo, durante un qualsiasi allungamento inviano dei segnali al sistema nervoso centrale (SNC). I recettori sono i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi (OTG).
Per farla semplice, durante i primi secondi di allungamento, i fusi neuromuscolari si oppongono allo stretching, inviando segnali al SNC che portano quest’ultimo ad ordinare ai muscoli in questione di contrarsi (riflesso miotatico) in modo da evitare eventuali danni e/o infortuni. Tuttavia, se lo stretching continua e lo stato di allungamento perdura, tramite l’azione degli OTG si verifica una sorta di riflesso miotatico inverso che porta il muscolo a rilassarsi ed allungarsi.
È per questa ragione che nei canonici protocolli di stretching si consiglia di tenere certe posizioni per almeno 10-15 secondi, dato che tempi inferiori ostacolerebbero l’effetto del riflesso inverso citato poco fa, rendendo poco efficace l’allungamento. Va però specificato che se l’estensione muscolare è molto lenta difficilmente i fusi neuromuscolari si attivano.
I fattori che influenzano la flessibilità che, ovviamente, è molto soggettiva e variabile, sono principalmente i seguenti:
Estensibilità dei tendini, dei legamenti, delle capsule articolari e della pelle
Temperatura ambientale e corporea*
Livello di attività fisica (se esposti ad escursioni articolari limitate, i tessuti connettivi tendono a diventare meno flessibili).
*a causa della maggior temperatura corporea, i muscoli risultano essere più flessibili dopo il riscaldamento, pertanto generalmente si consiglia di effettuare lo stretching dopo il riscaldamento iniziale.
Le variazioni della flessibilità dipendono principalmente da un paio di fattori, due adattamenti tissutali: elasticità e plasticità. La prima consiste nella capacità del muscolo di ritornare alla lunghezza di riposo dopo l’allungamento. La seconda invece, è la tendenza ad assumere e mantenere una nuova e maggiore lunghezza dopo un allungamento. Il muscolo ha proprietà elastiche, legamenti e tendini hanno proprietà sia elastiche che plastiche.
In altre parole, se il fine è quello di incrementare la flessibilità, tramite svariate tecniche di stretching bisogna cercar di far sì che la plasticità prevalga sull’elasticità.
Maggior flessibilità = plasticità > elasticità
Un po’ come per crescere muscolarmente, in quest’ultimo caso occorre che l’anabolismo sia maggiore del catabolismo.
I benefici dello stretching, a grandi linee, sono quelli che seguono: aumento della flessibilità, prevenzione infortuni (è giusto specificare che le evidenze non così solide), miglioramento della circolazione sanguigna, stimolazione della lubrificazione articolare, effetti rilassanti e miglioramento generale della performance (in cronico). Ovviamente possono esserci anche degli effetti negativi, di questi però ne parleremo più avanti, fra qualche riga.
Tipologie di stretching
Qui di seguito potete trovare le forme più note ed efficaci di stretching.
Stretching statico (attivo e passivo): lo stretching statico attivo è il classico stretching che consiste nel raggiungere lentamente delle posizioni di allungamento e mantenerle per 15-30 secondi (il tutto in maniera autonoma). Invece, quello passivo viene effettuato grazie all’aiuto di un compagno di allenamento che tende a “forzare” l’allungamento, incrementandolo (fig. sotto).
Stretching statico passivo
Stretching dinamico (attivo e balistico): stretching che, non essendo statico, fa uso di movimenti di molleggio, slanci e quant’altro. Quello attivo è molto controllato, il balistico no (quest’ultimo comprende slanci e balzi più rapidi e intensi).
Essendo, almeno in linea teorica, piuttosto simili, alcuni autori non fanno distinzioni (Weineck J.) e considerano come stretching dinamico (o balistico) tutte le forme di allungamento che prevedono dei movimenti più o meno ampi.
I principali tipi di stretching (da Page P. – Current concepts in muscle stretching for exercise and rehabilitation, 2012, modificato)
Stretching PNF: lo stretching PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation), molto in voga negli ultimi anni, è un tipo di allungamento che punta ad incrementare la flessibilità tramite delle contrazioni isometriche (quindi che avvengono senza un effettivo accorciamento del muscolo).
Weighted/Loaded stretching: in maniera poco tecnica potremmo nominare questa metodica come uno stretching zavorrato, che quindi si avvale di sovraccarichi per migliorare la flessibilità generale. Il “weighted stretching” è uno stretching relativamente giovane e che non ha alle spalle un’ampia letteratura scientifica, pertanto viene difficile approfondirlo e compararlo con gli allungamenti più tradizionali.
Isometria in allungamento
Christian Thibaudeau, coach di fama internazionale, sostiene che con lo stretching zavorrato sia possibile allungare i muscoli e, al contempo, massimizzare l’ipertrofia muscolare. Ma il sospetto più logico è che questo allungamento sia maggiormente utile per la crescita del fisico che per la flessibilità.
Per ulteriori approfondimenti vi rimandiamo ad un suon articolo pubblicato su T Nation.
Alcune considerazioni
Una importante review sistematica del 2017 ha preso in esame ben 28 studi riguardanti lo stretching e nessuno di questi ha mostrato effetti negativi dello stretching sulla performance [1]. Anzi, uno di questi riguardava sedici pesisti, con un carico massimale (1RM) di panca piana medio di circa 130 kg ed ha messo in mostra un lieve incremento dei carichi sul bilanciere [2]. Si è visto inoltre come su soggetti non allenati lo stretching possa aumentare in modo abbastanza significativo la forza muscolare [3].
E’ di fondamentale importanza la tempistica con cui viene effettuato l’allungamento. Se non si vuole rischiare di vedere un peggioramento delle prestazioni, è buona cosa evitare di eccedere con lo stretching se questo viene svolto subito prima di una seduta di allenamento. Infatti, come si è visto in decine di studi raccolti in una nota review [4], lo stretching statico spesso e volentieri, in acuto, porta a peggioramenti nelle performance di forza e potenza. Risultati simili li ha dati un lavoro più recente condotto su giocatori professionisti di football [5].
Behm D. G. et al. (2011)
Behm D. G. et al. (2011)
Behm D. G. et al. (2011)
Mode a parte, uno studio ben condotto pubblicato sulla rivista scientifica Physical Therapy in Sport, non ha trovato metodologie come lo stretching PNF particolarmente superiori rispetto al canonico allungamento statico [6]. Riguardo a questa faccenda, la comunità scientifica non ha ancora una una posizione unanime, servono altri studi per sperare di avere delle certezze.
Inoltre, lo stretching – in generale – non sembra essere in grado di influire significativamente sul recupero muscolare, al contrario di ciò che è credenza comune [7]. Ma questa è una questione assai intricata, di cui magari parleremo più nel dettaglio in futuro con altri articoli.
«Una […] ricerca di Kay, A. D., and A. J. Blazevich del 2012, ha affermato che lo stretching statico per un totale di 45 sec può essere utilizzato come routine senza il rischio di una diminuzione significativa nella performance delle attività forza o di velocità. Per tempi di allungamento più lunghi(ad esempio, 60 s) ci sono maggiori probabilità di causare una piccola o moderata riduzione delle prestazioni» [8].
Applicazioni pratiche – linee guida
Bisogna dedicare allo stretching più sedute settimanali per fare sì che questo sia realmente allenante; durante l’allenamento della flessibilità dobbiamo percepire una certa tensione muscolare ma non del dolore, in quest’ultimo caso andiamo incontro a più rischi che benefici.
Si consigliano almeno un paio di esercizi per ogni grande gruppo muscolare, con delle tenute (ripetute) di una certa durata. Per essere più precisi…
Frequenza: ≥3 volte a settimana
Ripetizioni: 3-5 per ogni posizione
Tempo: tenere ogni posizione per 15-45 secondi
Quanto riportato sopra, valevole per lo stretching statico, può essere eseguito nelle classiche sedute di allenamento, oppure in sedute a parte.
Lo stretching dinamico è invece indicato per essere eseguito prima che inizi l’allenamento vero e proprio, dopo un buon riscaldamento.
Conclusioni
Lo stretching, da alcuni sottovalutato da altri sopravvalutato, è indubbiamente un qualcosa che va fatto. Non esiste una ricetta unica, le tipologie sono diverse e lo stretching andrebbe prescritto da persona a persona, in base allo stato di salute, la condizione fisica, l’obiettivo, lo sport praticato, e così via.
Nessun dubbio sul fatto che, se eseguito a caso, possa avere più svantaggi che benefici. Ma in quel caso la colpa è del singolo individuo o dell’allenatore incompetente, non dello stretching in sé.
R. D’Isep e M. Gollin – Fitness e muscolazione (2001)
Ganzini A. – Flessibilità e mobilità articolare (Dispense FIPE)
Segina M. – Gli effetti “reali” dello stretching (link)
Pansini L. – Stretching: una retrospettiva dalla ricerca (Body Comp Academy, 2017)
Leite T. B. et al. – Effects of Different Number of Sets of Resistance Training on Flexibility (2017)
[1] Medeiros D. M. et al. – Influence of chronic stretching on muscle performance: Systematic review (2017)
[2] Wilson G. J. et al. – Stretch shorten cycle performance enhancement through flexibility training (1992)
[3] Nelson A. G. et al. – A 10-week stretching program increases strength in the contralateral muscle (2012)
[4] Behm D. G. et al. – A review of the acute effects of static and dynamic stretching on performance (2011)
[5] Kurt C. – Comparison of the acute effects of static and dynamic stretching exercises on flexibility, agility and anaerobic performance in professional football players (2016)
[6] Azevedo D. C. et al. – Uninvolved versus target muscle contraction during contract: relax proprioceptive neuromuscular facilitation stretching (2011)
[7] Herbert R. D. -et al. – Stretching to prevent or reduce muscle soreness after exercise (2007)
[8] Ferrari M. – Stretching: cosa dicono le ricerche (IlCoach, 2015)
Parlando di strength and conditioning per sport da combattimento qualcuno avrà magari sentito nominare gli “shock jump“. Ma qual è di preciso il loro ruolo? Scopriamolo insieme!
Tecnica di base
Quello riportato nella foto sopra è uno shock jump. Una caduta da un rialzo (altro…)
Nel vasto mondo degli sport da combattimento e delle arti marziali, discipline come la lotta (wrestling), grappling (no-gi), il classico brazilian jiu jitsu (gi), il judo, ecc. rappresentano una categoria differente rispetto alle solite specialità fatte principalmente di percussioni (striking).
Non occorre di certo una perspicacia fuori dal comune per intuire che le capacità condizionali e le richieste energetiche a cui l’organismo va incontro durante una gara di grappling non siano le medesime necessarie per competere nel pugilato piuttosto che nella kickboxing.
In questo scritto tratteremo proprio di fisiologia sportiva applicata alla categoria di sport da combattimento (SdC) citata ad inizio articolo. Buona lettura!
Introduzione
Chiunque abbia mai calcato, anche solo a livello amatoriale, un tatami od una gabbia sa bene quanto sia duro ed energeticamente dispendioso allenarsi e magari anche gareggiare negli sport da combattimento. Le sottomissioni del grappling, dagli strangolamenti alle leve articolari, le mille proiezioni della lotta libera e greco-romana, le fasi di transizione, i passaggi di guardia.
Proprio perché sono molto duri, occorre essere fisicamente ben preparati, oltre che tecnicamente anche fisicamente. Esistono cinture nere che in quanto a strength and conditioning sono poco più che cinture gialle e cinture gialle che dal punto di vista atletico sono cinture nere.
Ecco, per quanto possibile, bisogna tentare di ottimizzare il tutto. Cinture nere nello sport e cinture nere nella preparazione atletica.
Diventare eruditi circa il condizionamento fisico per gli SdC non è facile, soprattutto se non si è poliglotti e non si hanno basi di alcun tipo. Questo articolo può essere un buon punto di partenza.
Sistemi energetici e capacità condizionali
Come già accennato in precedenza, vi è una marcata differenza fra i livelli di capacità condizionali (forza, resistenza, velocità) e di utilizzo dei substrati energetici richiesti dal corpo di un lottatore, rispetto a quelli necessari ad uno striker per essere performante.
La tabella riportata sopra, presa dal libro “Ultimate Conditioning for Martial Arts“, mostra a grandi linee i tempi di lavoro (in competizioni ufficiali) di tre SdC legati da alcune similitudini.
In tutti e tre è ovviamente richiesta una solida base di forza massimale, una buona velocità, potenza e resistenza. Inoltre, nel wrestling e grappling/bjj ricopre una certa importanza l’efficienza del sistema aerobico. Il quale ha il compito di smaltire e riconvertire i prodotti di scarto del metabolismo anaerobico lattacido. Per resistere invece all’accumulo di acido lattico è importante possedere una buona resistenza anaerobica lattacida e alattacida (potenza e capacità a/lattacida).
Logicamente, dato che i sistemi energetici lavorano in contemporanea (fig. sotto), vi è una componente energetica aerobica anche in sport come il judo, anche se minore (raggiunge invece il suo apice in SdC come la boxe professionistica).
Le differenze inerenti l’utilizzo delle capacità condizionali negli SdC dipendono principalmente dalla velocità con cui una forza viene applicata. Con lo sviluppo di tensione, nel muscolo si verifica un accorciamento, questo accorciamento avviene in una determinata quantità di tempo, per cui, secondo la relazione fisica spazio/tempo si può riuscire a quantificare il tempo in cui questa contrazione avviene. Per sviluppare la massima forza esprimibile necessaria per un determinato movimento occorre tempo. Il tempo per raggiungere il picco di forza varia da persona a persona (leve, coordinazione inter e intramuscolare, fibre muscolari, capacità di reclutamento) e dal tipo di movimento.
Normalmente il tempo necessario per raggiungere il valore del picco della forza (F) è poco superiore a 0,4 secondi. Se paragoniamo gli 0,4″ con il tempo necessario per sviluppare forza in alcuni sport, capiamo perché in alcuni di essi l’allenamento con alti sovraccarichi a basse velocità è un importante aspetto della preparazione atletica e in altri no.
Specialmente nelle discipline di velocità, il tempo disponibile per imprimere forza (spinta a terra) è brevissimo (tabella), ciò ci dà un’idea delle priorità della preparazione atletica per questi sport.
Tanto per essere più chiari, in tutti gli esempi riportati sopra, potranno essere raggiunti livelli di forza più o meno alti ma mai massimali. Non è un caso che i lanciatori del giavellotto allenino molto meno la forza massimale (spostamento di alti sovraccarichi a basse velocità), rispetto a chi fa lancio del peso (il giavellotto è molto più leggero del peso, pertanto può essere espressa tramite il lancio di esso una minor Fmax).
Allo stesso modo, il jab di un abile boxeur (colpo dritto e rapido) si muove con una velocità ben diversa rispetto ad una normale proiezione di un lottatore (hip toss, double leg, single leg…). Quindi a livello fisiologico, fisico e biomeccanico cosa succede? Se siete stati attenti l’avrete sicuramente capito. Il pugile non esprimerà mai e poi mai tutta la sua forza in quel colpo, è impossibile, i suoi segmenti corporei ed i relativi muscoli si muovono troppo velocemente, non c’è il tempo necessario per sviluppare grandi livelli di forza. Al contempo, il lottatore portando un takedown sarà un po’ più lento ma riuscirà ad imprimere molta più forza in quella tecnica.
Attorno a questi tediosi ma importanti concetti gira tutto il discorso sulle giuste capacità condizionali per gli sport da combattimento. Bisogna quindi fermarsi un attimo a riflettere per cercare di comprendere cosa serve per lo sport che si pratica.
Andando al nocciolo della questione, un lottatore o grappler deve essere rapido per afferrare un arto dell’avversario oppure per fare un’entrata alle gambe, tuttavia per rendere efficace il proprio takedown deve obbligatoriamente imprimere una certa forza nel gesto atletico, specialmente se l’avversario o lo sparring partner è pesante ed oppone molta resistenza.
Per questa ragione, a causa delle richieste di forza ed alle fasi statiche – basti pensare ad un fighter che prova disperatamente ad uscire da una brutta situazione come la monta od una sottomissione quasi completamente chiusa – ogni grappler e lottatore se vuole avere delle buone prestazioni deve necessariamente allenare ciò che segue:
Forza massimale
Forza resistente
Forza esplosiva/potenza
Velocità/rapidità
Resistenza (aerobica ed anaerobica)
Ai lettori più nerd, facciamo notare come la differenza tra la forza di un jab (Fm, forza massimale raggiunta in determinate condizioni) e quella di un potente takedown (Fmm, il più elevato dei valori di forza massimale raggiunti nelle condizioni più favorevoli) è misurabile ed ha un nome: deficit di forza esplosiva (explosive strength deficit – ESD).
Dopo tanta teoria passiamo a dare qualche indicazione su come mettere in pratica quanto detto finora.
Mettiamo caso che un atleta di buon livello abbia un match importante e circa quattro mesi di tempo per allenarsi, dividiamo quindi il tempo totale a disposizione (macrociclo) in 3 mesocicli.
Sopra, le tre principali fasi temporali di una periodizzazione.
Tenendo a mente quali sono le priorità di allenamento elencate poco fa, proviamo a mettere nero su bianco una successione dei mesocicli ed a seguirla.
Mesociclo n.1 (microcicli 1-2-3-4)
Mesociclo n.2 (microcicli 5-6-7-8)
Mesociclo n.3 (microcicli 9-10-11-12)
Mesociclo n.4 (microcicli 13-14-15-16)
Come molti già sapranno la periodizzazione, a seconda della tipologia di lavoro svolto, è suddivisibile in tre macro-aree: periodo di preparazione generale (GPP) – Periodo specifico (PPS) – Periodo competitivo (PC) – Periodo transitorio (PT).
Generalmente la preparazione generale dura più di quella specifica (rapporto temporale di 2:1). Come facilmente intuibile dai nomi, il GPP consiste in lavori più aspecifici, dissimili da ciò che poi verrà fatto in gara (un lottatore sul tatami di gara non solleva bilancieri). Invece, la seguente PPS si pone come via di mezzo fra un lavoro aspecifico e la competizione vera e propria, durante il periodo di preparazione specifica vengono chiamati in causa gesti ed esercizi un po’ più simili a quelli dello sport in sé (stessa cosa per le tempistiche di lavoro).
Quello del PC è il periodo dove si compete. Può essere rappresentato da un singolo match o da più incontri spalmati in una stessa giornata o in più giorni.
Infine, abbiamo il periodo transitorio che è generalmente rappresentato da un paio di microcicli rigenerativi molto aspecifici, con una frequenza di allenamento più bassa e con poco volume e intensità.
Per essere più chiari…
Molto indicativamente, una “tabella di marcia” potrebbe essere quella mostrata sopra, con un periodo di preparazione generale (settimana 1-10), una fase di preparazione specifica (sett. 11-15) ed il periodo competitivo (ultima settimana).
Dopo un paio di settimane di adattamento anatomico con un volume di allenamento medio ed un’intensità medio-bassa (carichi non superiori al 50-60% 1RM), si inizia ad aumentare il lavoro di resistance training, sia per l’incremento della forza massimale che resistente. In questo periodo si può anche andare ad utilizzare con esercizi mono-articolari per sviluppare i muscoli più carenti (nel caso questi siano particolarmente deboli rispetto agli altri). Per i lavori di forza resistente (continui o a circuito) si possono utilizzare esercizi coi sovraccarichi, a corpo libero e con compagno.
Al fine di costruire una solida base aerobica si ricorre alla corsa o alla bicicletta, non superando il 70-75% della frequenza cardiaca su lavori continui della durata di 30-60 minuti (capacità aerobica). Invece, riguardo alla potenza aerobica, si fanno corse alla soglia del VO2max per 3-4′ o interval training particolarmente intensi (HIIT). Nel grafico riportato sotto, è osservabile il miglioramento del massimo consumo di ossigeno e della gittata sistolica, entrambi ottenuti tramite un allenamento ad intervalli (15/15) ed uno di corsa prolungata per tempi modesti (4×4 min).
Aerobic high-intensity intervals improve VO2max more than moderate training (Helgerud J. et al., 2007); grafico a cura del Dott. Paolo Evangelista.
Fra la fine della GPP e l’inizio della fase più specifica possiamo sbizzarrirci (per modo di dire) con lavori esplosivi con kettlebell, metodo a contrasto, palle mediche (anche simulando i gesti di gara), balzi, eccetera. E sulla velocità è bene usare degli sprint su brevi distante (10-50 metri) e lavorare sulla capacità di reazione.
Per ultima, ma non meno importante, la resistenza anaerobica. Si cerca di rendere l’organismo più tollerante all’accumulo di acido lattico, in modo da migliorare la tenuta atletica generale, ricorrendo a circuiti che possono mischiare esercizi a corpo libero o gesti da gara. I tempi di lavoro sono riportati poco più sotto.
A grandi linee, quelli che seguono sono i metodi di lavoro.
Forza massimale: 3-6 sets x 3-7 ripetizioni (75-90% 1RM)
Forza resistente aerobica (capacità): 10-15′ di lavoro (rec. incompleto, 2-4′)
Forza resistente aerobica (potenza): 3-5′ di lavoro (rec. completo)
Forza resistente anaerobica (capacitàlattacida): 90-120″ di lavoro (rec. incompleto, circa 1′)
Forza resistente an. (potenza lattacida): 40-90″ di lavoro (recupero completo)
Forza resistente an. (capacità alattacida): 12-20″ di lavoro (rec. incompleto, circa 1′)
Forza resistente an. (potenza alattacida): 5-10″ di lavoro (rec. completo, 2-3′)
Forza esplosiva/power: 3-6 sets x 1-5 ripetizioni
Resistenza aerobica (capacità): 30-60′ di lavoro (65-75% FCmax)
Resistenza aerobica (potenza): 3-4′ di lavoro (85% Fcmax) ripetuti 3-4 volte (rec. 2-4′)
Velocità/rapidità: sprint di vario genere su brevi distanze (10-50 m) con rec. completo
Potenza resistente (capacità lattacida): 60-120″ di lavoro (rec. 60-90″)
Potenza resistente (potenza lattacida): 40-90″ di lavoro (rec. 3-5′)
Potenza resistente (capacità alattacida): 12-20″ di lavoro (rec. 10-45″)
Potenza resistente (potenza alattacida): 5-12″ di lavoro (rec. 1-3′).
Intensità: percentuale del carico sollevato rispetto al proprio massimale (% 1RM), percentuale della frequenza cardiaca massima (% FCmax).
Volume: serie x volume x kg sollevati (tonnellaggio), serie di corsa x metri corsi (chilometraggio totale).
Densità: rapporto fra lavoro e recupero (work on/off).
Per monitorare la frequenza cardiaca è vivamente consigliato l’utilizzo di un cardiofrequenzimetro.
Gli esercizi da utilizzare, alcuni li abbiamo già accennati, bene o male sono quelli che tutti gli addetti ai lavori già conoscono: sollevamenti con bilanciere, trap bar e manubri, kettlebell, palle mediche, corsa, bici e/o cyclette, vogatore, balzi di vario genere, slitta, sprint su brevi distanze (anche con cambi di direzione), battle rope, esercizi a corpo libero e con partner, elastici, macchine isotoniche, gesti tecnici tipici dello sport praticato e così via.
Sopra, una camminata prolungata volta all’incremento della forza resistente di tipo aerobico (aerobic strength endurance).
Con 2-3 sedute di allenamento (preparazione atletica) a settimana si possono ottenere dei bei risultati.
Cosa manca? Di altro ovviamente c’è da allenare la coordinazione, equilibrio e propriocezione e fare il giusto stretching più eventuali sedute dedicate alle tecniche di recupero (massaggi, bagni freddi). La flessibilità (stretching) va allenata durante tutto il macrociclo; coordinazione, equilibrio e propriocezione trovano il loro collocamento principalmente durante la fase di preparazione fisica generale (GPP).
Sia nella GPP che SSP è inoltre consigliabile allenare con moderazione il collo.
Ovviamente durante l’intera preparazione ci saranno moltissimi allenamenti “tradizionali” con il maestro ed i compagni, dove si andrà a lavorare sulla tecnica, lo sparring e su eventuali scelte tattiche e strategiche. Di ciò però non parliamo dato che non è compito del preparatore atletico occuparsi di queste cose. Va comunque specificato, perdonate la banalità, che è inutile massacrarsi di preparazione atletica se non si è sufficientemente bravi nel proprio sport. Sul tatami di gara non si va a squattare, saltare o ad eseguire circuiti, ma a combattere con un avversario. È follia pensare a una cintura blu di bjj che passa più tempo a sollevare pesi che a rollare con i compagni di allenamento!
Conclusioni
Gli sport da combattimento sono sport estremamente complessi, anche sotto al profilo dello strength and conditioning. Allenarsi tanto ma soprattutto bene, alternando gli stimoli allenanti, individualizzando il lavoro e periodizzando il tutto si può fare molto, elevando le performance sportive di chiunque. Dall’atleta più portato a quello più scarso.
In futuro torneremo a parlare di questi argomenti, approfondendo alcuni concetti, anche in base all’apprezzamento che lettori, atleti e coach avranno nei riguardi di questo articolo.
Landow L. – Ultimate Conditioning for Martial Arts (2016) Bompa T. e Buzzichelli C. –Periodizzazione dell’allenamento sportivo (2017) Joel Jamieson – Ultimate MMA Conditioning (2009) Jan Helgerud, Kjetill Høydal, Eivind Wang, Trine Karlsen, Pålr Berg, Marius Bjerkaas, Thomas Simonsen, Cecilies Helgesen, Ninal Hjorth, Ragnhild Bach, Jan Hoff – Aerobic high-intensity intervals improve VO2max more than moderate training. Med Sci Sports Exerc. 2007 Apr;39(4):665-71.
L’allenamento propriocettivo, molto in voga negli ultimi anni, come ormai assodato in letteratura scientifica, è un ottimo mezzo per migliorare la percezione ed il controllo motorio, l’equilibrio e prevenire gli infortuni. In questo articolo ci concentreremo proprio su quest’ultimo punto.
Da definizione, la propriocezione altro non è che la capacità di percepire e riconoscere i segmenti corporei nello spazio ed il grado di (altro…)
L’hip thrust è un’esercizio che interessa principalmente gli arti inferiori, tornato alla ribalta negli ultimi anni grazie ad alcuni coach e studiosi d’oltreoceano, come per esempio Bret Contreras.
Oltre alla meraipertrofia, l’hip thrust può trovare il suo spazio anche all’interno di una preparazione atletica finalizzata al miglioramento delle capacità condizionali. In questo (altro…)
Questa particolare ed estrema branca del Ghiri Sport altro non è che la specialità “di fondo” riguardante appunto le gare di sollevamento delle Ghirie o Kettlebell.
Un po’ di teoria
Come già affrontato in precedenti articoli da me prodotti, l’uso del kettlebell è estremamente (altro…)
I glutei non crescono in alcun modo, anche allenandoli duramente? Che voi siate uomini o donne poco importa, perché in questo articolo andremo a parlare di un esercizio potenzialmente adatto a chiunque: l’hip thrust. Buona lettura!
Ah ma è Ronco?
Dat ass
Esecuzione tecnica
Si appoggia la base delle scapole ad una panca, tenendo il busto dritto, parallelo al suolo, tibia e femore devono creare un angolo retto (90° circa). I piedi devono essere ben piantati a terra, è importante che la superficie di appoggio non sia scivolosa. Il bilanciere deve essere posizionato all’altezza della anche. Si accompagna il peso verso il basso sfiorando il pavimento con il sedere e successivamente si spinge il peso verso l’alto, sfruttando più che si può la mobilità dell’anca (foto sotto). Per evitare infortuni, riveste una certa importanza l’atteggiamento della colonna vertebrale, specialmente quello della regione lombare. La spina dorsale deve avere un posizionamento neutro, non deve essere iperestesa. Al limite, per evitare ciò, si può provare a “guardare in avanti” con la testa, ricercando così una leggera e momentanea cifosi cervicale.
Inizio concentrica
Fine concentrica
Perché può essere migliore dello squat?
Il gluteo, lavorando come estensore dell’anca, è il muscolo maggiormente coinvolto nell’intero esercizio. E le elettromiografie, benché non esenti da limiti, lo confermano [1]. In sinergia con i glutei lavorano anche molti altri muscoli, in primis gli ischiocrurali ed il grande adduttore (anche loro sono estensori dell’anca). Se l’esecuzione dell’esercizio è corretta, lo scarso movimento di estensione e flessione dell’articolazione del ginocchio fa si che l’attivazione di altri grossi muscoli (es. quadricipiti) sia parecchio limitata. Questo ultimo punto ci spiega perché l’hip thrust sia un esercizio in grado di isolare meglio i glutei. Quest’ultimi lavorano molto anche nello squat, tuttavia nel movimento di accosciata intervengono anche una miriade di altri muscoli, invece nell’hip thrust il movimento è più “concentrato” sui glutei. Non che la cosa sia necessariamente negativa, tutt’altro, resta però il fatto che se si vuole andare a colpire il lato B, l’hip thrust sia più funzionale.
Inoltre, per eseguire lo squat è necessaria una certa lordosi nella bassa schiena, nell’hip thrust no, per quest’ultimo è richiesto un atteggiamento neutro della spina dorsale, pertanto anche le persone con una scarsa lordosi possono beneficiare di questo esercizio (ciò riguarda soprattutto le donne).
Come iniziare a farlo
E’ consigliabile apprendere lo schema motorio prima a corpo libero, poi con dei carichi molto bassi, utilizzando magari l’elastico, per poi passare a sovraccarichi più importanti. Perché l’elastico? Perché a livello propriocettivo può essere utile posizionare una banda elastica qualche centimetro sopra le ginocchia, questo perché il gluteo è un abduttore dell’anca e trovando l’opposizione della resistenza elastica si contrae anche per evitare l’adduzione degli arti inferiori.
Come mostrato nella foto qui sotto, l’hip thrust può essere eseguito anche con altri tipi di sovraccarico oltre al classico bilanciere (dischi, manubri, kettlebells). Anche se indubbiamente il bilanciere rimane l’attrezzo con cui è possibile caricare più peso, ricordiamo che il concetto di sovraccarico progressivo è uno dei pilastri dello sviluppo muscolare, inoltre i grossi carichi aumentano il reclutamento muscolare (legge di Henneman) [2,3,4].
In un contesto di allenamento in monofrequenza, cioè in cui si allenano specificamente gli arti inferiori (glutei compresi), un esempio di routine potrebbe essere:
Lunedì: petto, spalle, tricipiti;
Mercoledì: dorso, bicipiti, addome
Venerdì: gambe e glutei
Hip thrust 4x8
Leg extension 3x15
Leg curl 3x12
Calf machine 4x10
Invece, in multifrequenza (più di un allenamento a settimana):
A-B-A
A = petto, dorso, tricipiti, polpacci, addome
B = spalle, trapezi, bicipiti, gambe e glutei
Lento avanti con manubri 4x8
Alzate laterali 4x12
Scrollate con manubri 3x10
Curl su panca inclinata 3x10
Hammer curl ai cavi 3x8-8-8 (drop set)
Squat 5x8
Hip thrust 4x10
Ovviamente la scheda è un esempio, qualcosa di molto indicativo. L’allenamento va cucito su misura ad ogni persona, possibilmente da un personal trainer competente.
Per una corretta crescita muscolare l’alternanza degli stimoli allenanti è sempre la miglior cosa, insieme alla costanza
Conclusioni
Specificato che gli esercizi magici e adatti a tutti purtroppo non esistono, seguendo le regole dettate dalla fisiologia articola e biomeccanica umana, l’hip thrust è indubbiamente un movimento molto interessante per gli arti inferiori, specialmente per i glutei. Sulla carta anche migliore dello squat, degli affondi, degli esercizi alle macchine, eccetera. E, se opportunamente periodizzato, nel lungo periodo può portare a grandi risultati, sia in termini estetici (ipertrofia) che di forza.
1 Contreras B. et al. – A Comparison of Gluteus Maximus, Biceps Femoris, and Vastus Lateralis Electromyographic Activity in the Back Squat and Barbell Hip Thrust Exercises (2015) 2 Henneman E. et al. – Functional significance of cell size in spinal motoneurons (1965) 3 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a homogeneous red muscle (soleus) of the cat (1965) 4 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a heterogeneous pale muscle (m. gastrocnemius) of the cat (1965)
Tempo fa avevo parlato di alcune metodiche per il potenziamento particolarmente utili agli sport che prevedono una lotta in piedi fatta di percussioni (striking), ora ne torno a parlare esponendovi uno studio risalente al 2004, condotto da dei ricercatori italiani.