Quando l’URSS esisteva ancora, decenni or sono, da questa ampia regione giungevano a noi testi inerenti la preparazione atletica applicata ai più svariati sport, soprattutto olimpici.
Per divenire a noi fruibili, spesso questi libri tecnici subivano i seguenti passaggi: venivano tradotti dal russo al tedesco, dal tedesco all’inglese e dall’inglese all’italiano.
Salvo qualche ristampa più o meno recente, molti di essi ora sono pezzi da collezione ammantati di un certo fascino storico, che conferisce loro un valore economico non alla portata di tutti.
The resistance & endurance training paradox
C’era un libro in particolare, dal valore stimato di alcune migliaia di dollari, che parlava di un interessante paradosso che legava, e lega tuttora, l’allenamento con i pesi e quello di resistenza. Stiamo parlando del rarissimo “The Soviet Training & Recovery Methods for Competitive Athletes“.
Copertina del libro
All’interno di esso, l’autore Ben Tabachnik parlava del paradosso citato poco fa (the resistance & endurance training paradox); in cosa consiste(va) questo paradosso?
L’allenatore russo aveva notato come stimoli allenanti molto differenti, per esempio una corsa medio-lunga ed un allenamento con i pesi piuttosto voluminoso, stressassero in maniera analoga il sistema nervoso centrale (SNC).
Alain Riccaldi, biologo e preparatore atletico italiano, riporta i seguenti valori espressi nel libro in questione:
Fase iniziale di adattamento → volume alto per la forza (8-12 reps, 60-70% 1RM), situazione analoga per l’endurance (60-120′, 60-70% FCmax).
Fase volume → volume medio per la forza (4-6 reps, 75-85% 1RM), stessa cosa per la resistenza (15-30′, 80-90% FCmax).
Fase di intensificazione → volume basso per la forza (1-3 reps, 85-100% 1RM) ed esercitazioni molto intense anche per la resistenza (tolleranza lattacida, 85-90% FCmax).
Queste bizzarre similitudini fra sforzi che, almeno apparentemente, sono agli antipodi, fanno sì che l’organismo umano possa tollerare e adattarsi a stimoli molto differenti fra loro, un po’ come avviene nel concurrent training.
Questo paradosso in qualche modo spiega come sia possibile per un atleta prepararsi a competizioni come quelle del CrossFit, o per un fighter seguire un protocollo di strength and conditioning in vista di un match.
Come sempre, inquadrare per bene l’atleta, lo sport in questione e periodizzare per bene il programma di allenamento è la miglior cosa per ottimizzare le prestazioni, scongiurando sovrallenamento e infortuni.
Quella che segue è la terza ed ultima parte della breve serie di articoli sulla traumatologia sportiva. La prima parte è recuperabile qui e la seconda a questo link.
Tendinopatie
Le tendinopatie sono patologie di tipo degenerativo che, talvolta, possono prevedere un processo infiammatorio nelle fasi iniziali (prime settimane). Le evidenze scientifiche hanno stabilito che la loro eziologia è multifattoriale (D. Factor e coll.).
Possiamo distinguere principalmente quattro tipologie di tendinopatie: tendinosi, tendinite/rottura parziale, paratenonite e paratenonite con tendinosi.
La tendinosi è una degenerazione intra-tendinea (patologia cronica), dovuta generalmente all’invecchiamento ed a micro-traumi. Non è necessariamente sintomatica.
La tendinite è invece una degenerazione sintomatica del tendine che consiste parziali rotture ed una successiva risposta infiammatoria riparatoria.
Paratenonite, infiammazione dello stato esterno del tendine (il “peritenonio” è una membrana elastica che riveste i tendini che non hanno guaina tendinea e che permette lo scorrimento del tendine).
Infine, la paratenonite con tendinosi è una patologia che può associarsi con aspetti di degenerazione intra-tendinea.
Trattamenti per gli infortuni
Veniamo ora ai principali protocolli con cui vengono trattati gli infortuni sportivi (terapie di recupero).
Protocollo R.I.C.E.
Rest: mettere a riposo la parte del corpo infortunata; cercare di non farla lavorare (eventuale uso di stampelle).
Ice: applicare ghiaccio per le successiva 4 ore ma non in maniera continuativa (20-30 minuti di ghiaccio per ogni ora).
Compression: effettuare un bendaggio (elastico) per controllare il gonfiore.
Elevation: mantenere la parte interessata al di sopra del livello del cuore.
Protocollo P.R.I.C.E.
Protection: proteggere la persona infortunata, fermare il gioco (ad esempio una partita di rugby), portare l’atleta in una zona sicura.
Rest: mettere a riposo la parte del corpo infortunata; cercare di non farla lavorare (eventuale uso di stampelle).
Ice: applicare ghiaccio per le successiva 4 ore ma non in maniera continuativa (20-30 minuti di ghiaccio per ogni ora).
Compression: effettuare un bendaggio (elastico) per controllare il gonfiore.
Elevation: mantenere la parte interessata al di sopra del livello del cuore.
Protocollo P.O.L.I.C.E.
Protection: proteggere la persona infortunata, fermare il gioco e portare l’atleta in una zona sicura.
OL (optimal loading): significa sostituire al più presto possibile il riposo (dannoso se troppo duraturo) con la mobilizzazione, assicurando il carico adeguato nelle varie fasi del trattamento della lesione per una efficace riabilitazione.
Ice: applicare ghiaccio per le successiva 4 ore ma non in maniera continuativa (20-30 minuti di ghiaccio per ogni ora).
Compression: effettuare un bendaggio (elastico) per controllare il gonfiore.
Elevation: mantenere la parte interessata al di sopra del livello del cuore.
Protocollo M.E.A.T.
Movement: il movimento controllato degli arti interessati può stimolare il flusso sanguigno, ridurre la formazione delle fibre collagene impropriamente allineate (tessuto cicatriziale) e quindi migliorare effettivamente il recupero.
Exercise: il concetto di esercizio qui è strettamente legato al movimento precedentemente già descritto. Attraverso una controllata ed opportuna prescrizione di esercizi si avranno le potenzialità per migliorare il recupero.
Analgesics: analgesici naturali per controllare il dolore e non FANS (anti-infiammatori non steroidei), visto che questi ultimi rischierebbero di inibire il processo di guarigione.
Treatment: trattamenti fisioterapici di vario tipo che vanno ad incrementare il flusso sanguigno e quindi a favorire il processo di guarigione.
Prevenzione infortuni
Mentiremmo se dicessimo che esiste un modo unico ed infallibile per evitare di infortunarsi, purtroppo. Le patologie che possono colpire muscoli e articolazioni sono innumerevoli e spesso sono scollegate dalla pratica, più o meno intensa, di attività fisica.
Fattori come, per esempio, l’invecchiamento e la predisposizione genetica sfuggono al nostro controllo. Tuttavia, con la giusta dose di esercizio fisico è possibile rinforzare il tessuto muscolare e, in secondo luogo, le strutture articolari, diminuendo il rischio di farsi male.
La prevenzione infortuni può dipendere da fattori che derivanti dalla persona in questione, da altri che non dipendono da essa e da altri fattori ancora, inerenti le attrezzature e l’ambiente esterno.
I primi sono lo stile di vita, l’alimentazione, la preparazione fisica, tecnica e psicologica, il sonno, la prudenza. Quelli della categoria successiva, come già accennato qualche riga più su, sono fattori ereditari, pertanto non modificabili. Possiamo citare la struttura scheletrica, le inserzioni muscolari, la predisposizione dei muscoli a crescere (ipertrofia) e quella delle articolazioni ad essere danneggiate da determinati stimoli (danni) meccanici. Nell’ultima categoria, quella delle attrezzatura e dell’ambiente, rientrano la manutenzione e l’idoneità del terreno di gioco, le condizioni climatiche e microclimatiche delle strutture indoor, l’utilizzo di un abbigliamento idoneo (tessuti traspiranti, adeguatamente elasticizzati), di eventuali protezioni, e così via.
La ricetta base per la prevenzione infortuni è l’allenamento fisico. Senza entrare troppo nel dettaglio, possiamo dare delle indicazioni generali sul da farsi:
Effettuare un buon riscaldamento prima di ogni allenamento;
Lavorare sulla mobilità articolare (se serve anche in sedute separate);
Possedere una buona tecnica esecutiva per tutti gli esercizi;
Dare all’organismo degli stimoli allenanti graduali (ad esempio, crescita lenta ma costante dei carichi di lavoro, intesi come volume, intensità e densità);
Evitare di stressare la medesima articolazione con troppi esercizi “pesanti”;
Non vi sono segreti né particolari strategie per prevenire gli infortuni, se non allenarsi con la testa, e all’occorrenza essere seguiti da qualche professionista delle Scienze Motorie o della riabilitazione.
Continuiamo a parlare di traumatologia sportiva con questa serie di articoli. Per chi se la fosse persa, la prima parte è visibile a questo link. Buona lettura!
Fratture
Per frattura si intende l’interruzione della continuità di un osso. Può essere di due tipologie: frattura traumatica (tipica degli infortuni) e frattura da stress.
Nella frattura traumatica l’intensità della sollecitazione esterna è così elevata da superare i limiti della fisiologica resistenza ossea. Questa frattura può essere a sua volta suddivisa in quattro categorie* principali:
F. traumatica completa = quando l’interruzione riguarda l’intera sezione dell’osso.
F. traumatica incompleta = quando l’interruzione interessa solo una parte della sezione ossea.
F. traumatica composta = i frammenti della frattura mantengono la loro posizione anatomica.
F. traumatica scomposta = i frammenti della frattura risultano essere spostati.
*a seconda dei testi di riferimento la suddivisione può avere qualche leggera variazione.
Invece, la frattura da stress, detta anche da fatica, è dovuta a sollecitazioni continue e ripetute nel tempo, anche se poco intense. In poche parole, le sollecitazioni, alla lunga, sbilanciano l’attività degli osteoblasti e degli osteoclasti, rendendo meno efficienti i primi e più “aggressivi” i secondi. Ne consegue un assottigliamento della porzione corticale dell’osso e la comparsa di fenomeni riguardanti l’osteoporosi (approfondimenti qui).
Distorsioni
La distorsione è una lesione dell’articolazione e delle strutture ad essa associate. La lesione può essere causata da movimenti troppo bruschi eseguiti lungo un normale piano di movimento o, più facilmente, su piani differenti da quelli del movimento fisiologico.
Esistono tre tipi di distorsione: di primo, secondo e terzo grado.
Distorsione di 1°grado: lieve danno legamentoso, senza instabilità articolare o movimento anomalo dell’articolazione.
Distorsione di 2°grado: danno moderato che coinvolge più fibre legamentose e determina una leggere instabilità dell’articolazione interessata.
Distorsione di 3°grado: danno grave che comporta una rottura legamentosa ed una instabilità articolare piuttosto marcata.
Infortuni muscoalri
Gli infortuni che colpiscono i muscoli, possono essere da trauma diretto e da trauma indiretto. I primi hanno un’insorgenza acuta, gli altri, a seconda della tipologia, acuta, subacuta o cronica.
Infortuni muscolari da trauma diretto: sono infortuni di origine meccanica provocati da una forza che agisce sul muscolo dall’esterno. Parliamo quindi di contusioni, alle volte con ferite/lacerazioni (l’insorgenza è acuta).
A seconda dell’intensità la contusione può essere di grado lieve, moderato o severo. Lieve quando l’arco di movimento compiuto dall’arto è superiore alla metà del ROM (range of movement) standard, moderato quando il ROM è inferiore alla metà ma superiore ad 1/3 del range di movimento fisiologico. Ed infine, severo quando l’arco di movimento è inferiore ad 1/3 del totale.
Infortuni muscolari da trauma indiretto: sono i crampi (insorgenza acuta), contrattura (ins. subacuta), stiramenti (ins. acuta), strappi (ins. acuta), DOMS (ins. subacuta) e l’intolleranza all’allenamento (ins. cronica).
Vediamoli ora nel dettaglio…
Crampo: contrazione muscolare involontarie e dolorosa. E’ la conseguenza di uno stato di affaticamento transitorio che si risolve sempre spontaneamente. Le cause principali sono gli squilibri idro-elettrici e la scarsa efficienza del sistema energetico nella risintesi dell’ATP (in quest’ultimo caso vi è una repentina diminuzione delle riserve di glicogeno muscolare).
Contrattura: dolore muscolare che insorge a qualche ora di distanza dalla cessazione di uno sforzo fisico. Si manifesta uno stato di affaticamento localizzato ed una alterazione del tono muscolare. Tuttavia, nelle contratture non ci sono delle lesioni anatomiche evidenti.
Stiramento: conseguenza di un episodio doloroso, acuto, durante lo svolgimento di attività fisica che costringe l’atleta colpito ad interrompere forzatamente l’allenamento o la sua gara. Il muscolo stirato presenta un’ipertonia ed il dolore provato dal soggetto infortunato non passa in tempi brevi (discorso diverso dal crampo).
Strappo: si manifesta con dolore acuto e intenso che compare durante lo svolgimento di attività fisica. Questo dolore deriva dalla lacerazione di un numero variabile di fibre muscolari con conseguente stravaso ematico, più o meno evidente a seconda dell’entità della lacerazione e della sua localizzazione. A seconda della gravità, lo strappo può essere classificato secondo gradi (tre). Di 1° grado quando l’impotenza funzionale è minima (58% dei casi), di 2° quando è importante (39% dei casi) e di 3° quando è totale (3% dei casi).
DOMS (delayed onset muscle soreness): micro-lacerazioni a livello muscolare, derivanti soprattutto da contrazioni eccentriche. Dolori e fastidi compaiono a entro 24 h dal termine dell’allenamento e persistono per 48-72 ore (o poco più) per poi sparire. Entro un tempo massimo di 7-10 giorni il processo di riparazione delle fibre muscolari termina.
Intolleranza all’allenamento: patologia derivante dall’accumulo cronico (anni) di grandi volumi allenanti inerenti l’attività aerobica. I sintomi tipici sono il mancato recupero dei DOMS (l’organismo fatica a riparare le micro-lacerazioni), il peggioramento della performance e le alterazioni ultrastrutturali delle fibre muscolari.
Nella tabella riportata sopra – presa da “Gli infortuni muscolari dello sportivo” di G. S. Roi (modificata da Parodi G.) – potete osservare un riassunto delle caratteristiche degli infortuni muscolari da trauma indiretto. Ulteriori approfondimenti li potete trovare a questo link.
Fine del secondo articolo. La terza ed ultima parte è presente qui!
Parodi G. – Medicina dello sport (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2016/2017) Roi G. S. – Gli infortuni muscolari dello sportivo (2008) Cravanzola E. – DOMS: cosa sono e tecniche per ridurli (2017)
Oltre alla miriade di cose in cui interviene la genetica, nel bene e nel male, essa è in grado di influenzare anche la struttura legamentosa e tendinea del corpo, aumentando o diminuendo così la predisposizione agli infortuni.
Cenni di fisiologia articolare
Prima di passare a piatto caldo, è necessario partire dalle basi. Le ossa dello scheletro (lunghe, corte, irregolari, piatte) si uniscono tra di loro attraverso articolazioni, o per continuità o per contiguità.
Le articolazioni continue prendono il nome di sinartrosi dove la continuità è caratterizzata dalla interposizione di un tessuto cartilagineo fibroso (sono la maggioranza delle articolazioni). Quelle per contiguità invece, prendono il nome di diartrosi, o giunture sinoviali, e sono formate da due capi articolari, una capsula articolare ed una cavità articolare. I capi articolari sono rivestiti da uno strato di cartilagine (più frequentemente ialina che fibrosa), di spessore variabile da 0,2 a 0,5 mm, che conferisce quella caratteristica d superficie liscia. La capsula articolare, lassa oppure tesa, è strutturata all’interno con due strati di membrana sinoviale e all’esterno con una membrana fibrosa. Nella membrana sinoviale prendono posto anche strutture nervose e vasi sanguigni. La cavità articolare infine, è uno spazio a forma di fessura contenente il liquido sinoviale che, oltre ad avere la capacità di lubrificare l’articolazione, nutre la cartilagine articolare.
Le articolazioni si compongono inoltre di: legamenti (di rinforzo, conduzione ed arresto), borse e guaine articolari, dischi e menischi articolari, labbra articolari.
Le articolazioni sono soggette ad usura a causa della degenerazione cartilaginea che si verifica per una non appropriata non capillarizzazione che, nel tempo, favorisce la perdita di plasticità propria della cartilagini, producendo patologie artrosiche degenerative.
Come sottolineato da Collins M. e Raeligh S., gli sforzi eccessivi che portano a lesioni dei tessuti molli del sistema muscolo-scheletrico, derivanti da lavori usuranti o attività fisica, sono influenzate dalla genetica individuale. In special modo quelle al tendine d’Achille (caviglia), alla cuffia dei rotatori (spalla) ed ai legamenti crociati (ginocchia). Le varianti di sequenza all’interno dei geni che codificano le diverse proteine di matrice extracellulare dei tendini e/o dei legamenti sono state associate a specifici infortuni di specifiche zone dei tessuti. Per esempio le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C (TNC), COL5A1 ed Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3) sono state collegate alle tendinopatie del tendine d’Achille. Entrando un po’ più nel dettaglio, le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C sono state associate sia alle tendinopatie che alle rotture del tendine d’Achille. mentre le varianti del COL5A1 e COL1A1, geni che forniscono le istruzioni genetiche per realizzare le componenti del collagene di tipo I e V, sono state correlate ad infortuni al legamento crociato posteriore.
Tuttavia, gli stessi ricercatori specificano che è difficile capire in che misura questi fattori genetici possano influenzare gli infortuni, aggiungendo che in futuro potranno essere fatti dei programmi riabilitativi personalizzati proprio sulla base di queste informazioni legate ai geni [1].
Una meta-analisi del 2015, quindi alto impatto statistico, ha raccolto i dati provenienti da studi pubblicati in letteratura scientifica fra il 1984 ed il 2014 (trent’anni precisi). I ricercatori – Longo U. G. et al. – hanno confermato tutto ciò che avevano dedotto Collins e Raeligh nel 2009, aggiungendo che, oltre alla genetica, contano ovviamente diversi altri fattori, in primis lo stile di vita [2].
Più di un decennio fa, September A. V. e coll. in una review avevano parlato del ruolo della genetica negli infortuni. Dicendo però che mentre per le problematiche al crociato posteriore e al tendine d’Achille vi sono delle sequenze genomiche “incriminate”, per il crociato anteriore e la cuffia dei rotatori no. Per queste ultime due sono necessari più studi e più dati [3,4].
Conclusioni
Come già accennato, molte cose devono ancora essere scoperte, al giorno d’oggi sappiamo che la salute di alcuni tendini e legamenti è fortemente influenzata dalla genetica, quindi dai caratteri ereditari non modificabili. Sta alla scienza scoprire quali altri lo sono e come può essere individualizzato un programma di allenamento e di riabilitazione, in modo minimizzare il rischio infortuni e recuperare l’efficienza articolare al meglio possibile.
Ma accantonando un attimo tutte queste nozioni teoriche, essere attivi fisicamente è il miglior modo per preservare una buona salute articolare, in modo da prevenire l’osteoporosi ed evitare posture errate. Per quanto riguarda invece gli sportivi, un buon riscaldamento e una corretta esecuzione tecnica degli esercizi (con i sovraccarichi ed a corpo libero) rimangono le cose migliori da fare per evitare infortuni, le uniche, visto che di integratori con una reale efficacia non ce ne sono (la glucosamina non fa eccezione).
Weineck J. – Biologia dello sport (Calzetti Mariucci, 2013) Pruna R. et al. – Influence of Genetics on Sports Injuries (2017) September A. V. et al. – Application of genomics in the prevention, treatment and management of Achilles tendinopathy and anterior cruciate ligament ruptures (2012) 1 Collins M. et al. – Genetic risk factors for musculoskeletal soft tissue injuries (2009) 2 Longo U. G. et al. – Unravelling the genetic susceptibility to develop ligament and tendon injuries (2015) 3 September A. V. et al. – Tendon and ligament injuries: the genetic component (2007) 4 Orth T. et al. – Current concepts on the genetic factors in rotator cuff pathology and future implication for sports physical therapists (2017)
Vi servono informazioni circa la traumatologia dello sport? Questa breve serie di articoli allora può fare per voi!
Buona lettura.
Cos’è un infortunio?
Un infortunio, in senso medico-sportivo, è un evento che si verifica quando l’atleta è impegnato nell’attività sportiva e subisce un qualsiasi danno alla propria struttura corporea. Per essere un vero e proprio infortunio, questo danno dev’essere tale da influire, negativamente, sulla frequenza o intensità di allenamento (o di partecipazione all’attività sportiva).
Si chiama morte improvvisa da sport, abbreviata con MIS ed esiste veramente. Ora, senza farci prendere dal becero sensazionalismo, vediamo in cosa consiste.
Cos’è la MIS?
La morte improvvisa da sport è una morte che avviene entro un’ora dall’inizio dei sintomi acuti, in coincidenza temporale con l’attività sportiva ed in assenza di cause esterne atte di per sé a provocarla.
Osteoporosi, problematica che riguarda milioni di persone. Vediamo più nel dettaglio di cosa si tratta e come allenamento e dieta possono influire, positivamente o negativamente, su di essa.
Che cos’è l’osteoporosi?
L’osteoporosi è una condizione che porta lo scheletro umano ad essere meno efficiente a causa di una perdita di massa ossea, che porta ad una scarsa
I principi su cui su basa la fisiologia umana, ovvero quella scienza che studia il funzionamento di un organismo vivente e della parti che lo compongono.
Buona lettura!
Omeostasi
L’omeostasi è quell’insieme di processi biochimici che atti a far mantene l’equilibrio ad un determinato ambiente. In altre parole l’omeostati è un equilibrio che il nostro organismo deve conservare al fine di (altro…)
Lo stretching, pratica tanto conosciuta quanto sottovalutata e trascurata dai più.
Prima di dedicarci a alle tecniche di stretching è però necessario dare alcune basiche definizioni, tre per la precisione.
La prima riguarda la mobilità articolare, da alcuni autori considerata una capacità condizionale, che corrisponde alla capacità di una o più articolazioni di muoversi liberamente entro il proprio range di movimento fisiologico, senza dolori o problemi di alcun genere. La seconda definizione che occorre fornire è quella dell’estensibilità muscolare, ovvero la capacità che ha un muscolo di allungarsi, come prima, entro un limite fisiologico.
Infine, abbiamo la flessibilità, cioè l’unione della mobilità articolare e dell’estensibilità muscolare.
Inoltre, per chi non lo sapesse, c’è il range di movimento (ROM) è l’escursione permessa dalla flessibilità individuale. Che può essere più o meno ampia a seconda della persona ed anche per scelta di quest’ultima. Basti per esempio pensare all’utilizzo di “ROM incompleti” nel bodybuilding (mezze ripetizioni) per mantenere una tensione continua sul muscolo target.
Cenni di fisiologia
Lo stretching, insieme di tecniche volte ad incrementare la flessibilità corporea, si basa sul fenomeno neurofisiologico noto come riflesso miotatico, anche detto da stiramento. I recettori propriocettivi presenti nel muscolo, durante un qualsiasi allungamento inviano dei segnali al sistema nervoso centrale (SNC). I recettori sono i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi (OTG).
Per farla semplice, durante i primi secondi di allungamento, i fusi neuromuscolari si oppongono allo stretching, inviando segnali al SNC che portano quest’ultimo ad ordinare ai muscoli in questione di contrarsi (riflesso miotatico) in modo da evitare eventuali danni e/o infortuni. Tuttavia, se lo stretching continua e lo stato di allungamento perdura, tramite l’azione degli OTG si verifica una sorta di riflesso miotatico inverso che porta il muscolo a rilassarsi ed allungarsi.
È per questa ragione che nei canonici protocolli di stretching si consiglia di tenere certe posizioni per almeno 10-15 secondi, dato che tempi inferiori ostacolerebbero l’effetto del riflesso inverso citato poco fa, rendendo poco efficace l’allungamento. Va però specificato che se l’estensione muscolare è molto lenta difficilmente i fusi neuromuscolari si attivano.
I fattori che influenzano la flessibilità che, ovviamente, è molto soggettiva e variabile, sono principalmente i seguenti:
Estensibilità dei tendini, dei legamenti, delle capsule articolari e della pelle
Temperatura ambientale e corporea*
Livello di attività fisica (se esposti ad escursioni articolari limitate, i tessuti connettivi tendono a diventare meno flessibili).
*a causa della maggior temperatura corporea, i muscoli risultano essere più flessibili dopo il riscaldamento, pertanto generalmente si consiglia di effettuare lo stretching dopo il riscaldamento iniziale.
Le variazioni della flessibilità dipendono principalmente da un paio di fattori, due adattamenti tissutali: elasticità e plasticità. La prima consiste nella capacità del muscolo di ritornare alla lunghezza di riposo dopo l’allungamento. La seconda invece, è la tendenza ad assumere e mantenere una nuova e maggiore lunghezza dopo un allungamento. Il muscolo ha proprietà elastiche, legamenti e tendini hanno proprietà sia elastiche che plastiche.
In altre parole, se il fine è quello di incrementare la flessibilità, tramite svariate tecniche di stretching bisogna cercar di far sì che la plasticità prevalga sull’elasticità.
Maggior flessibilità = plasticità > elasticità
Un po’ come per crescere muscolarmente, in quest’ultimo caso occorre che l’anabolismo sia maggiore del catabolismo.
I benefici dello stretching, a grandi linee, sono quelli che seguono: aumento della flessibilità, prevenzione infortuni (è giusto specificare che le evidenze non così solide), miglioramento della circolazione sanguigna, stimolazione della lubrificazione articolare, effetti rilassanti e miglioramento generale della performance (in cronico). Ovviamente possono esserci anche degli effetti negativi, di questi però ne parleremo più avanti, fra qualche riga.
Tipologie di stretching
Qui di seguito potete trovare le forme più note ed efficaci di stretching.
Stretching statico (attivo e passivo): lo stretching statico attivo è il classico stretching che consiste nel raggiungere lentamente delle posizioni di allungamento e mantenerle per 15-30 secondi (il tutto in maniera autonoma). Invece, quello passivo viene effettuato grazie all’aiuto di un compagno di allenamento che tende a “forzare” l’allungamento, incrementandolo (fig. sotto).
Stretching statico passivo
Stretching dinamico (attivo e balistico): stretching che, non essendo statico, fa uso di movimenti di molleggio, slanci e quant’altro. Quello attivo è molto controllato, il balistico no (quest’ultimo comprende slanci e balzi più rapidi e intensi).
Essendo, almeno in linea teorica, piuttosto simili, alcuni autori non fanno distinzioni (Weineck J.) e considerano come stretching dinamico (o balistico) tutte le forme di allungamento che prevedono dei movimenti più o meno ampi.
I principali tipi di stretching (da Page P. – Current concepts in muscle stretching for exercise and rehabilitation, 2012, modificato)
Stretching PNF: lo stretching PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation), molto in voga negli ultimi anni, è un tipo di allungamento che punta ad incrementare la flessibilità tramite delle contrazioni isometriche (quindi che avvengono senza un effettivo accorciamento del muscolo).
Weighted/Loaded stretching: in maniera poco tecnica potremmo nominare questa metodica come uno stretching zavorrato, che quindi si avvale di sovraccarichi per migliorare la flessibilità generale. Il “weighted stretching” è uno stretching relativamente giovane e che non ha alle spalle un’ampia letteratura scientifica, pertanto viene difficile approfondirlo e compararlo con gli allungamenti più tradizionali.
Isometria in allungamento
Christian Thibaudeau, coach di fama internazionale, sostiene che con lo stretching zavorrato sia possibile allungare i muscoli e, al contempo, massimizzare l’ipertrofia muscolare. Ma il sospetto più logico è che questo allungamento sia maggiormente utile per la crescita del fisico che per la flessibilità.
Per ulteriori approfondimenti vi rimandiamo ad un suon articolo pubblicato su T Nation.
Alcune considerazioni
Una importante review sistematica del 2017 ha preso in esame ben 28 studi riguardanti lo stretching e nessuno di questi ha mostrato effetti negativi dello stretching sulla performance [1]. Anzi, uno di questi riguardava sedici pesisti, con un carico massimale (1RM) di panca piana medio di circa 130 kg ed ha messo in mostra un lieve incremento dei carichi sul bilanciere [2]. Si è visto inoltre come su soggetti non allenati lo stretching possa aumentare in modo abbastanza significativo la forza muscolare [3].
E’ di fondamentale importanza la tempistica con cui viene effettuato l’allungamento. Se non si vuole rischiare di vedere un peggioramento delle prestazioni, è buona cosa evitare di eccedere con lo stretching se questo viene svolto subito prima di una seduta di allenamento. Infatti, come si è visto in decine di studi raccolti in una nota review [4], lo stretching statico spesso e volentieri, in acuto, porta a peggioramenti nelle performance di forza e potenza. Risultati simili li ha dati un lavoro più recente condotto su giocatori professionisti di football [5].
Behm D. G. et al. (2011)
Behm D. G. et al. (2011)
Behm D. G. et al. (2011)
Mode a parte, uno studio ben condotto pubblicato sulla rivista scientifica Physical Therapy in Sport, non ha trovato metodologie come lo stretching PNF particolarmente superiori rispetto al canonico allungamento statico [6]. Riguardo a questa faccenda, la comunità scientifica non ha ancora una una posizione unanime, servono altri studi per sperare di avere delle certezze.
Inoltre, lo stretching – in generale – non sembra essere in grado di influire significativamente sul recupero muscolare, al contrario di ciò che è credenza comune [7]. Ma questa è una questione assai intricata, di cui magari parleremo più nel dettaglio in futuro con altri articoli.
«Una […] ricerca di Kay, A. D., and A. J. Blazevich del 2012, ha affermato che lo stretching statico per un totale di 45 sec può essere utilizzato come routine senza il rischio di una diminuzione significativa nella performance delle attività forza o di velocità. Per tempi di allungamento più lunghi(ad esempio, 60 s) ci sono maggiori probabilità di causare una piccola o moderata riduzione delle prestazioni» [8].
Applicazioni pratiche – linee guida
Bisogna dedicare allo stretching più sedute settimanali per fare sì che questo sia realmente allenante; durante l’allenamento della flessibilità dobbiamo percepire una certa tensione muscolare ma non del dolore, in quest’ultimo caso andiamo incontro a più rischi che benefici.
Si consigliano almeno un paio di esercizi per ogni grande gruppo muscolare, con delle tenute (ripetute) di una certa durata. Per essere più precisi…
Frequenza: ≥3 volte a settimana
Ripetizioni: 3-5 per ogni posizione
Tempo: tenere ogni posizione per 15-45 secondi
Quanto riportato sopra, valevole per lo stretching statico, può essere eseguito nelle classiche sedute di allenamento, oppure in sedute a parte.
Lo stretching dinamico è invece indicato per essere eseguito prima che inizi l’allenamento vero e proprio, dopo un buon riscaldamento.
Conclusioni
Lo stretching, da alcuni sottovalutato da altri sopravvalutato, è indubbiamente un qualcosa che va fatto. Non esiste una ricetta unica, le tipologie sono diverse e lo stretching andrebbe prescritto da persona a persona, in base allo stato di salute, la condizione fisica, l’obiettivo, lo sport praticato, e così via.
Nessun dubbio sul fatto che, se eseguito a caso, possa avere più svantaggi che benefici. Ma in quel caso la colpa è del singolo individuo o dell’allenatore incompetente, non dello stretching in sé.
R. D’Isep e M. Gollin – Fitness e muscolazione (2001)
Ganzini A. – Flessibilità e mobilità articolare (Dispense FIPE)
Segina M. – Gli effetti “reali” dello stretching (link)
Pansini L. – Stretching: una retrospettiva dalla ricerca (Body Comp Academy, 2017)
Leite T. B. et al. – Effects of Different Number of Sets of Resistance Training on Flexibility (2017)
[1] Medeiros D. M. et al. – Influence of chronic stretching on muscle performance: Systematic review (2017)
[2] Wilson G. J. et al. – Stretch shorten cycle performance enhancement through flexibility training (1992)
[3] Nelson A. G. et al. – A 10-week stretching program increases strength in the contralateral muscle (2012)
[4] Behm D. G. et al. – A review of the acute effects of static and dynamic stretching on performance (2011)
[5] Kurt C. – Comparison of the acute effects of static and dynamic stretching exercises on flexibility, agility and anaerobic performance in professional football players (2016)
[6] Azevedo D. C. et al. – Uninvolved versus target muscle contraction during contract: relax proprioceptive neuromuscular facilitation stretching (2011)
[7] Herbert R. D. -et al. – Stretching to prevent or reduce muscle soreness after exercise (2007)
[8] Ferrari M. – Stretching: cosa dicono le ricerche (IlCoach, 2015)
La genetica, nel settore sportivo citata soprattutto quando si parla di crescita muscolare, è quel «ramo delle biologia che si occupa del materiale ereditario, cioè della sua struttura, del suo modo di funzionare, delle modalità della sua trasmissione, sia da una cellula alle sue discendenti (se si tratta di cellule dello stesso organismo si parla di g. somatica) sia da una generazione all’altra di organismi pluricellulari, e della sua storia evolutiva» (Vocabolario Treccani).
Acidi nucleici, DNA e RNA
Gli acidi nucleici sono polimeri specializzati (altro…)