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  • Corsa e boxe: correre serve a un pugile?

    Corsa e boxe: correre serve a un pugile?

    “Io corro sulla strada, molto prima di danzare sotto le luci”, questa è solo una delle tanto celebri frasi di Muhammad Ali, che era solito percorrere diversi km di corsa la mattina presto per allenare il fisico, ma anche per temprare la sua anima. Abbiamo tutti negli occhi Rocky che corre inseguito da uno sciame di ragazzini, saltando panchine e sfrecciando sulla scalinata di Philadelphia.

    Introduzione

    A chiunque abbia praticato sport da combattimento sarà capitato di arrivare esausto o non arrivare proprio al termine di una seduta di sparring e sentirsi dire: ”Vai a correre, non hai abbastanza fiato!”.
    Se quindi per quella che possiamo considerare la “vecchia scuola”, la corsa, anche estensiva per lunghe distanze, era da considerarsi uno dei capisaldi della preparazione fisica di un pugile, nella nuova generazione si sta facendo largo l’idea opposta della totale inutilità di tale pratica e di come la parte di conditioning debba essere portata avanti con metodologie diverse.

    Domanda e risposta

    La domanda a cui l’articolo presente cerca di dare una risposta, basandosi sull’evidence based, ma in modo da restare comprensibile a tutti, è quindi la seguente: la corsa serve o meno ad un pugile?
    Per dare una risposta corretta ed esaustiva al quesito bisogna prima analizzare il modello prestativo dello sport a cui si fa riferimento e, di conseguenza, ai sistemi energetici che entrano in gioco. La durata dei round è di 3’ con 1’ di recupero fra essi, il loro numero totale può variare da un minimo di 3 nel dilettantismo ad un massimo di 12 nei match professionistici titolati. All’interno del round stesso si possono alternare fasi di studio (60% aerobico/anaerobico alternato) a fasi di scambio (40% anaerobico lattacido), mentre il minuto di recupero è in condizioni di aerobica.

    Sopra potete osservare il diverso intervento dei sistemi energetici durante la corsa continua su varie distanze (dagli 800 metri alla maratona).1

    Dunque per quanto riguarda la bioenergetica utilizzata “i sistemi energetici dominanti, utilizzati nella boxe, sono quello anaerobico alattacido, anaerobico lattacido e quello aerobico, e l’attività è classificata come misto alternato (aerobico-anaerobico), con prevalenza di fasi anaerobiche” (Bompa, 2001).

    Andiamo a vedere brevemente in cosa consistono i tre sistemi energetici sopracitati per fare chiarezza.

    • Il sistema anaerobico alattaccido è un sistema con una forte disponibilità di energia, ma limitata nel tempo, si esaurisce entro 6-8 secondi, durante i quali non vi è accumulo di acido lattico e non vi è richiesta di ossigeno.
    • Il sistema anaerobico lattacido si attiva dopo i 6-8 secondi, raggiunge il picco entro i 30-45 secondi e si esaurisce in 120 secondi, non necessita di ossigeno ma si verifica un accumulo di acido lattico proporzionale all’intensità dell’esercizio.
    • Il sistema aerobico, infine, entra in gioco per attività di lunga durata, ma bassa intensità, richiede la presenza di ossigeno e sfrutta le riserve muscolari ed epatiche di glicogeno come “carburante”.

    Da questa analisi parrebbe che un lavoro estensivo come la corsa, in cui il sistema energetico preponderante è quello aerobico, a dispetto di un modello prestativo in cui questo sistema energetico ha un ruolo marginale, farebbe pensare che la “nuova generazione” che considera inutile questa pratica possa aver ragione, ma andiamo ad analizzare cosa dice la scienza a riguardo.
    I benefici della corsa estensiva sono molteplici. Quelli che più ci interessano sono principalmente due: il miglioramento dell’efficienza del sistema cardiocircolatorio ed il miglioramento della capacità di ossidazione del sistema muscolare, questi, infatti, permetteranno all’atleta di migliorare la capacità di recupero, abbassare la frequenza cardiaca a riposo, migliorare la capacità e la velocità di smaltimento del lattato. Ne consegue dunque che correre costituisce il metodo migliore e più semplice per incrementare l’efficienza e l’efficacia del sistema aerobico e del suo relativo potenziale di produzione energetica.

    I sistemi energetici anaerobico lattacido e alattacido sono fondamentali, ma non saranno mai al top della loro efficienza, se di base non vi è un solido sistema energetico aerobico. Non si può migliorare
    il cardio, solo con i circuiti, perché sono un metodo ad alta intensità in cui si arriva velocemente a superare la soglia anaerobica con conseguente accumulo di lattato e lo sforzo richiesto è così elevato da non rendere possibile svolgere un lavoro continuativo di durata.
    Correre e perfezionare quindi sistema energetico aerobico, non farà solo essere più performanti a basse intensità, ma anche ad alte intensità, in quanto di riflesso diventerà più efficiente anche il sistema energetico anaerobico lattacido grazie all’innalzamento positivo della soglia anaerobica e la velocità e la capacità di smaltimento del lattato saranno incrementate.2
    In opposizione a questo parere, alcuni giovani preparatori vedono la corsa come “la mortificazione del sistema nervoso” e la ritengono poco utile o addirittura dannosa, “se ho X riprese da 3 minuti, perché devo correre per un’ora consecutiva?”.
    Gli adattamenti cardiaci eccentrici, ossia legati ad un alto volume di lavoro dovuto alla corsa estensiva, sono inversamente proporzionali ad adattamenti concentrici, ossia legati a lavori ad alta intensità, trasformando quindi i pugili in moderni Forrest Gump e fondisti mancati.3
    Da un punto di vista fisiologico muscolare si può notare quali sono gli effetti del lavoro aerobico come la corsa, durante questa pratica si ha un passaggio dalle fibre Fast Twich (FT) più rapide, ma più affaticabili, a fibre Slow Twitch (ST), che presentano una capacità ossidativa maggiore grazie a maggior numero e dimensione dei mitocondri rispetto alle FT. 4
    Di conseguenza questo ultimo elemento è in disaccordo con uno sport in cui potenza e velocità rappresentano qualità fondamentali. Risulta, così evidente che la classica corsa continua di 10-12 km può risultare controproducente durante la preparazione di un match.
    In ossequio all’idea aristotelica del “giusto mezzo”, si può dire che la corsa è utile, ma solo se utilizzata con metodi e modulazioni corrette e programmate. La corsa estensiva potrebbe essere utilizzata in periodi precisi della stagione agonistica, ad esempio all’inizio dell’anno sportivo, nel caso di uno stop per le vacanze, al ritorno da un infortunio o come mantenimento in fasi di scarico. Si parte quindi da metodi estensivi in cui l’obiettivo è il progressivo aumento del volume, mantenendo una frequenza cardiaca moderata (intorno al 60% della FC max) e si proseguirà spostando il focus sull’intensità che aumenterà gradualmente fino a lavori di soglia anaerobica, con una riduzione del volume.

    Conclusioni

    Nella speranza di essere stato abbastanza esaustivo nei contenuti e di facile comprensione nella forma, vi auguro una buona lettura ed una buona corsa programmata!

    I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione.

    Muhammad Ali

    Grazie per l’attenzione.

    Articolo di Christian Nicolino
    Laureato in Scienze e Tecniche Avanzate dello Sport
    Preparatore Fisico UIPASC

    Bibliografia

    1 Prof.ssa Paola Trevisson – Tecnica e didattica dell’atletica leggera (Dispense SUISM, a.a. 2014/2015)
    2 Perché un fighter deve correre anche se non gli serve?; Alain Riccaldi; 14 marzo 2015, projectinvictus.com
    3 Corsa e sport da combattimento: quando proporla?; Fabio Zappitelli; 23 marzo 2019, corebosport.com
    4 I miti degli sport da combattimento; Lorenzo Mosca; 5 marzo 2017; manipulusmosca.com

  • Il vuoto con i pesetti: cosa dice la scienza?

    Il vuoto con i pesetti: cosa dice la scienza?

    Basta guardare la saga di Rocky o entrare in una qualsiasi palestra in cui si praticano sport da combattimento, per vedere i ragazzi praticare la “shadow boxe” o quello che più patriotticamente è conosciuto come “vuoto”, con dei pesetti in mano.

    Introduzione

    Andando a curiosare anche gli allenamenti degli atleti veri, quelli che riempiono i palazzetti, vendono milioni di pay-per-view e possono fregiarsi di cinture mondiali in vita, si può notare come anche loro, a volte siano soliti portare i colpi con dei piccoli sovraccarichi in mano, in quanto il vuoto con i pesi rientra nel vasto insieme dei gesti atletici specifici sovraccaricati. Questi piccoli manubri, solitamente pesano tra 0,5 e 2kg, ma capita di vedere anche carichi maggiori, ma qual è lo scopo di questa pratica? Cosa si spera di ottenere portando i colpi con dei pesi in mano? Il ragionamento che sta alla base è piuttosto semplice, se “mi abituo” a boxare con della zavorra in mano, una volta posati i pesetti ed indossati i guantoni, i miei colpi saranno velocissimi ed il pugno più potente, ma vediamo cosa dice la scienza a riguardo.

    Analisi del gesto

    Se nel nostro paese la preparazione fisica in generale, ma soprattutto negli sport da combattimento, è una tematica relativamente giovane, nell’Est Europa questo è un argomento già consolidato con studi scientifici ad avvalorare qualsiasi tesi. I primi di questi studi vennero effettuati in Russia su lanciatori del disco, del giavellotto e del martello, essi dimostrarono che gli allenamenti fatti utilizzando questi attrezzi specifici di peso superiore, non andavano a determinare nessun effettivo miglioramento sul gesto atletico specifico di gara. L’atleta migliorava la sua performance con l’attrezzo più pesante, ma poi, spesso, peggiorava la performance con l’attrezzo di gara. Quello che tutti questi studi avevano dimostrato era lo sviluppo di uno schema motorio del gesto atletico specifico dello sport di riferimento che risultava simile, ma non effettivamente uguale.1

    Tornando al nostro vuoto con i pesi, sono principalmente due le critiche che vengono mosse a questa pratica:

    • l’alterazione dello schema motorio del colpo, in quanto il vettore di forza del pesetto è verticale, poiché portato in basso dalla gravità, risultando quindi perpendicolare al vettore di forza del pugno che è orizzontale, l’applicazione del sovraccarico, quindi, non è ottimale;
    • la “frenata” del pugno, per non rischiare l’infortunio. Per salvaguardare le articolazioni di gomito e spalla, l’atleta si trova costretto ad arrestare il colpo prima della completa estensione dell’arto. Questo fenomeno è conosciuto come co-contrazione e consiste in una doppia attivazione simultanea del muscolo agonista e dell’antagonista, questa co-attivazione sembra essere una forma di prevenzione del corpo, in quanto la doppia attivazione rende l’articolazione più compressa e protetta.

    Andando ad analizzare nel dettaglio la prima delle due critiche che vengono mosse alla pratica del vuoto con i pesi, possiamo notare come, il sovraccarico, il pesetto in questo caso, determina più o meno volontariamente la modificazione degli angoli della traiettoria del pugno. Il peso forza l’arto a seguire una traiettoria rettilinea, ma direzionata verso il basso a causa delle forze gravitazionali che agiscono sull’arto sovraccaricato. Se mi trovo supino, con due manubri in mano, la forza di gravità spingerà questi gravi verso il basso ed io mi opporrò ad essa spingendo dalla parte opposta, sfruttando il sovraccarico in maniera funzionale. In orizzontale, il manubrio, sarà soggetto ad una forza che lo spinge in basso, e pertanto non rappresenterà un vero e proprio sovraccarico funzionale al mio gesto, poiché il vero sforzo sarà compiuto dalla spalla, al fine di tenere le braccia sollevate. La suddetta articolazione si troverà notevolmente stressata a causa della leva molto svantaggiosa che si viene a creare, rendendo l’esercizio non solo inutile, ma anche potenzialmente dannoso a causa degli stress articolari accentuati. Il rischio a cui si va incontro è quindi quello di una modificazione, più o meno sostanziale, di quello che è lo schema motorio del pugno.

    La seconda critica che viene mossa è, invece, la mancata estensione totale dell’arto al fine di salvaguardare le articolazioni da possibili infortuni. Questo fenomeno, come detto, è conosciuto come co-contrazione ed è una situazione neurologica dove sia l’agonista che l’antagonista si contraggono nello stesso momento, normalmente, invece, in un unico movimento articolare, un muscolo antagonista è inibito per consentire ad un muscolo agonista di funzionare fluentemente; questo processo è chiamato inibizione reciproca. In realtà, parlare di muscoli agonisti e antagonisti non è più sufficiente per spiegare un gesto muscolare, in quanto il corpo non attiva le catene muscolari su questo principio, ma le attiva a seconda delle proprie necessità del movimento che vuole compiere. Dai test kinesiologici effettuati sembra che le aree coinvolte nella co-attivazione siano il Cervelletto, l’Area Integrativa Comune e l’incapacità dell’emisfero sinistro nel mantenere la consequenzialità del gesto e dell’emisfero destro di mantenere un’armonia del movimento. La macchina umana, lavorando a ritmi sostenuti per velocizzare il movimento, mantiene parte delle fibre muscolari (sia agoniste che antagoniste) contratte, in questo modo il cervello pensa di essere più veloce nel compiere il gesto, ma in realtà la persona perde di velocità, in quanto il gesto è “frenato” dal muscolo opposto contratto e consuma più energia per mantenere l’ipertonicità di entrambi i muscoli. Un’altra circostanza in cui avviene questa co-contrazione è con atleti neofiti o quando si richiede ad un atleta esperto un movimento non ancora ben conosciuto e meccanizzato. Più si diventa esperti di un movimento e più il Sistema Nervoso capisce che sta lavorando in sicurezza ed attiva meno la co-contrazione, più l’apprendimento motorio diventa perfettamente sincronizzato in ogni passaggio e maggiore sarà la sensazione dell’atleta di essere nel “flow”, nella performance ottimale.2 Meno si è esperti e più il corpo fa fatica e si contrae, attivando anche muscoli non necessari. Il corpo umano preferisce rendere stabili le articolazioni, anche a costo di sprecare energie in movimenti non ottimizzati, piuttosto che rischiare di esporre le articolazioni a stimoli che si potrebbero rivelare eccessivi.

    Dopo aver visto le critiche che vengono mosse a questa pratica, non si vuole demonizzarla, ma semplicemente valutarne il fine per la quale la si pratica. Si crede che questo esercizio possa essere specifico per migliorare la rapidità e la potenza dei colpi, quando invece il vuoto con i pesetti permette di andare a lavorare sulla Forza Resistente Locale dei muscoli chiamati in causa per tenere alta la guardia come spalle e trapezi. Esiste una massima relativa alla preparazione fisica negli Sport da Combattimento che dice “la Forza in sala pesi e la Resistenza sul ring”, essa è valida anche in questo caso, la forza resistente delle spalle, infatti, può essere allenata in maniera più specifica che con i pesetti, ad esempio, con delle ripetute al sacco. Un’altra valida alternativa potrebbe essere quella di utilizzare nel vuoto e nelle ripetute al sacco dei guanti di una pezzatura maggiore rispetto a quelli di gara, il guantone essendo parte integrante del gesto atletico specifico non ne altera lo schema motorio, esso rappresenta un sovraccarico naturale, abitua a lavorare con le stesse dinamiche del match ufficiale, permettendo di non andare a modificare in negativo il timing caratteristico dei pugni.

    Finora si è visto qual è la reale utilità della pratica della boxe a vuoto con i pesetti, si è visto quali sono le alternative per migliorare la forza resistente locale, ma resta il quesito principale per il quale questi pesetti erano stati utilizzati, cioè rendere i colpi più rapidi e potenti. La Forza Esplosiva del colpo si può allenare, migliorando la Forza Massimale generale e trasformandola in Forza Specifica tramite l’impiego di esercizi SPE (Specialized Preparatory Exercises) come i lanci della palla medica. Questo attrezzo è tipico delle esercitazioni di tipo balistico, che non prevedono una fase di frenata del colpo, andando ad avere un “transfer” positivo nello schema motorio specifico del colpo.

    Conclusioni

    Per concludere, possiamo dire che il vuoto con i pesetti può essere una buona pratica per il miglioramento della forza resistenza locale, ma, a causa dell’alterazione dello schema motorio e l’alto rischio di infortuni, ci sono altre metodologie più specifiche ed adatte a tale scopo. L’apparente velocità acquistata quando si ritorna a fare vuoto senza pesetti non è un reale beneficio, ma solamente un’errata percezione neuromuscolare.

    Articolo di Christian Nicolino
    Laureato in Scienze e Tecniche Avanzate dello Sport
    Preparatore Fisico UIPASC

    Bibliografia

    1Utilizzare i pesetti per aumentare la velocità delle tecniche di pugno serve realmente al praticante di SDC?”; Alain Riccaldi; 3 Marzo 2014; projectinvictus.it
    2Co-attivazione muscolare e kinesiologia specializzata”; Silvano Schiochet; kinesiologiaspecializzata.it

  • Allenare la potenza nelle MMA: guida teorico-pratica

    Allenare la potenza nelle MMA: guida teorico-pratica

    Fra balzi esplosivi, bilancieri e palle mediche siete confusi e non sapete come organizzare una routine di allenamento? Questo articolo potrebbe fare al caso vostro!

    bilancieri

    Quanto segue è un riassunto, traduzione e adattamento di un articolo straniero (con qualche mia aggiunta). Buona lettura!

    Introduzione

    Il generare potenza è un aspetto cruciale di una performance nelle arti marziali miste (MMA). La potenza è alla base di molte delle tecniche più comuni nelle MMA, dal lanciarsi in un takedown, al portare un high kick o mettere a segno il pugno risolutore che metterà KO l’avversario. È proprio l’utilizzo della forza ad alte velocità (potenza) il fattore che determinerà l’efficacia delle proprie skills nella gabbia. Il portare bene, e con la giusta potenza, le combinazioni tecniche può fare la differenza: non è la stessa cosa vincere con una bella finalizzazione prima del limite o svegliarsi su un lettino d’ospedale in seguito ad un trauma cranico. Anche in letteratura scientifica è stato ben documentato che l’espressione della massima potenza è una caratteristica che distingue i fighter d’élite da quelli più mediocri [1]. Un altro studio scientifico di Loturco et al. (2016) ha dimostrato come le qualità di forza-potenza influiscano per circa il 75% sulla forza di impatto del pugno [2].

    Punti chiave
    • Il miglioramento della tecnica porta a generare una maggior potenza nel proprio sport;
    • Un approccio che prevede l’utilizzo di più metodi di allenamento è superiore ad una approccio basato su un singolo metodo allenante (variare razionalmente gli stimoli è sempre cosa buona e giusta);
    • La forza rappresenta l’abc, la capacità fondamentale su cui poter costruire il resto;
    • La pliometria e l’allenamento balistico sono i metodi suggeriti per migliorare la capacità di generare forza in tempi brevi;
    • La capacità di sviluppare potenza può essere ulteriormente incrementata tramite il metodo P.A.P. (Post-activation potentiation) di cui parleremo al fondo dell’articolo.

    Va ricordato che ciò che serve ad un praticante di sport da combattimento è innanzitutto un bel bagaglio tecnico, la giusta condizione atletica ottenibile tramite un intelligente protocollo di strength & conditioning è solo uno degli elementi necessari per ottenere la vittoria. Per quanto sia utile l’allenamento con sovraccarichi al fine di migliorare qualsiasi parametro delle prestazioni fisiche [3], l’allenamento specifico (tecnica, colpitori, sparring) è insostituibile.

    Senza stress non c’è adattamento

    Molti allenatori ritengono che la pliometria o gli esercizi leggermente zavorrati eseguiti ad alta velocità siano il metodo migliore (e talvolta solo) per migliorare la potenza per le MMA. Altri hanno un punto di vista più tradizionale, sostenendo che il metodo più efficace è lo sviluppo della forza massima attraverso un allenamento pesante. I sostenitori del sollevamento pesi in stile olimpico sostengono che il weightlifting è la miglior via per aumentare la potenza specifica delle MMA. Come con la maggior parte degli aspetti delle prestazioni di alto livello, la vera risposta sta nel mezzo.

    Volendo essere chiari e sintetici potremmo dire che la potenza è il prodotto di forza e velocità. Potenza = Forza x Velocità (P = F x v).

    Ciò significa che la massima potenza ha sia una componente di forza che di velocità. Se la forza spinge o “tira” un oggetto la velocità contribuisce a spostare quest’ultimo in una certa direzione a determinati m/s.

    Tutto sta nel trovare un compromesso fra l’allenamento della forza massimale e quello della velocità.

    Altre letture consigliate:
    - La curva di forza velocità e la sua applicazione nello sport
    - La forza nello sport e in palestra: consigli ed errori da evitare
    - Allenamento della forza negli sport da combattimento (periodizzazione)

    Ci sono varie scuole di pensiero e metodi di lavoro. Si può allenare la forza massimale (pesi impegnativi spostati a bassa velocità), praticare weightlifting (alti pesi e alte velocità), praticare allenamento balistico (alta e bassa forza / alta velocità) o pliometria (bassa forza / alta velocità).

    Ricapitolando…

    • Heavy strength training (high force/low velocity)
    • Weightlifting (high force/high velocity)
    • Ballistic training (high-low force/high velocity)
    • Plyometric exercises (low force/high velocity)

    Come già accennato, non concentrarsi su un unico metodo ma alternarli è la cosa più saggia da fare, anche i test lo confermano [4,5].

    Heavy Strength Training

    L’allenamento della forza con carichi intensi ( ≥ 80% 1RM) è utile all’atleta per molte ragioni: aumenta la forza massimale, la coordinazione inter e intramuscolare, l’ipertrofia, la potenza, il tasso di sviluppo di forza (RFD, rate force-development), e così via [6,7,8]. Migliorando la forza, a cascata, entro un certo limite miglioreranno anche la velocità e la potenza. Per queste ragioni lo strength training deve far parte del protocollo di allenamento di ogni atleta di MMA. Tuttavia, se l’allenamento della forza ad alti carichi dà importanti miglioramenti sugli atleti principianti e intermedi (soggetti che non si allenano coi pesi da molti anni), con gli atleti più esperti la musica cambia. Chi si allena da molti anni e solleva carichi (kg) importanti non ha benefici significativi nel provare ad aumentare ulteriormente i dischi sul bilanciere nella panca piana o nello squat. Per questi atleti è importante continuare ad allenare la forza mantenendo buoni carichi di lavoro, evitando così il deallenamento, ma per eccellere in quanto a potenza devono concentrarsi su altro.

    Weightlifting

    Le alzate olimpiche sono efficacissime per migliorare potenza, RFD (rate force-development), coordinazione e gesti atletici molto comuni come il salto o la corsa veloce [9]. Il sequenziamento delle azioni muscolari è tra l’altro un importante principio di specificità, pertanto questi esercizi hanno un grande transfer sul gesto (specifico) di gara.

    Il tuo compito è trovare il metodo più rapido ed efficiente per ottenere il risultato desiderato

    Il weightlifting ha però un difetto non trascurabile: per molti le alzate sono tecnicamente difficili da eseguire, quasi impraticabili (a meno che qualcuno non voglia infortunarsi). Di conseguenza servono tanto tempo e pazienza per imparare a farle, ed ancora più tempo per riuscire a farle con carichi decenti sul bilanciere (uno strappo od uno slancio con 40 kg di carico non sono realmente allenanti per un atleta che di lì a poco dovrà entrare in gabbia). Bisogna mettere in conto che un atleta ventenne che vede per la prima volta un vero bilanciere olimpico magari non riuscirà mai a destreggiarsi nel clean & jerk (video sotto) con dei pesi dignitosi.

    Come diceva l’allenatore Ado Gruzza in un suo libro, dopo 2 o 3 anni ben fatti di squat, panca e stacco da terra (powerlifting) un soggetto inizialmente principiante sarà diventato un bel torello, forte e potente, col weightlifting invece?

    Sta quindi al coach capire se il proprio atleta può utilizzare le alzate olimpiche (eseguibili anche con kettlebell) o se è meglio concentrarsi su altri esercizi più alla sua portata, senza mettere troppa carne al fuoco.

    Allenamento balistico

    Un esercizio si dice balistico quando un atleta al termine della fase concentrica lascia andare l’attrezzo senza eseguire una fase eccentrica. Esempio pratico: se Giovanni lancia la palla medica contro il muro esegue solo la fase di spinta (concentrica) e poi lascia andare la palla (se non la lasciasse andare e richiamasse la braccia eseguirebbe anche la fase eccentrica). Possiamo considerare come balistici molti esercizi, dai salti al lancio di attrezzi. Il solo allenamento balistico è meno efficace dell’accoppiata allenamento balistico + allenamento della forza [10].

    Il momento migliore per eseguire esercizi balistici è ad inizio allenamento, quando si è ancora freschi, o in accoppiata con esercizi volti all’incremento della forza massimale.

    Pliometria

    L’allenamento pliometrico si differenzia da quello balistico per la presenza di una breve contrazione eccentrica che ha come fine quello di potenziare la successiva fase concentrica. Il veloce passaggio da una fase eccentrica ad una successiva concentrica è detta stretch-shortening cycle (SSC) che possiamo tradurre come ciclo di stiramento-accorciamento. Infatti, un più rapido SSC può aumentare l’efficacia delle tecniche di striking, schivate o entrate alle gambe. Senza voler entrare troppo nei tecnicismi, come riportato dal team di Science for Sport nella pliometria i tempi di contatto fra l’estremità di un arto (o degli arti) e il terreno, a seconda della durata, possono essere divisi in due categorie: movimenti pliometrici veloci (≤ 0,250 sec.) e lenti (≥ 0,251 sec.).

    Sopra vengono riportati i tempi medi di contatto con il terreno (istanti in cui avviene il ciclo di stiramento-accorciamento) in millisecondi. Tanto per fare degli esempi, gli sprint sono pliometria veloce, anche i salti in lungo ma non i salti con contro-movimento (slow plyometric exercise).

    Sopra, le fasi di un salto pliometrico illustrate e spiegate dai nostri colleghi di @boxingscience. Durante l’atterraggio da un salto l’organismo può assorbire forze d’impatto pari a 3-10 volte il proprio peso [11,12], pertanto è necessario usare delle progressioni per creare un “adattamento anatomico” delle articolazioni ai salti pliometrici. Senza un adeguato condizionamento dell’apparato locomotore (attivo e passivo) gli infortuni sono sempre dietro l’angolo. Da qui l’importanza di utilizzare in una prima fase del training camp gli shock jump, per poi passare a salti più rapidi e impegnativi.

    Post-activation potentiation (PAP)

    La PAP è una metodica di allenamento molto simile al più classico metodo a contrasto. Essa prevede lo stressare duramente l’organismo con uno sforzo sub-massimale per poi passare ad uno sforzo vagamente simile, senza peso, per incrementare le performance atletiche in un determinato gesto atletico.

    Qui sotto un breve esempio.

    Nel video l’atleta passa dall’eseguire 1/4 di squat per due volte (ripetizioni spezzate) al saltare più in alto che può (gesto atletico a corpo libero).

    Se un atleta salta 60 cm, cifra d’esempio, l’obiettivo è quello di utilizzare la PAP per abituare il corpo, in tempi medio-brevi, a saltare quei 4 o 5 cm in più [13,14,15].

    La PAP può essere utilizzata per rendere più veloci e potenti gli atleti in esercizi generici (salti di vario genere) o in movimenti più specifici. Volendo ci si può sbizzarrire abbinando l’esercizio di forma sub-massimale ad una breve combinazione di boxe, dei calci al sacco, un esercizio balistico, uno pliometrico, e così via. Esercizi con schemi di movimento, reclutamento di unità motorie e sequenziamento di muscoli e articolazioni simili devono essere accoppiati insieme per migliorare l’effetto di potenziamento.

    Esempi pratici

    PAP generica

    Squat 4×2 (serie x ripetizioni) + Depth Jumps 4×4

    Nello schema riportato sopra dopo ogni serie di squat (due ripetizioni) vengono eseguiti quattro depth jump (nel mezzo è consigliabile una breve pausa).

    Weighted Pull-Ups 4×3 + Reactive Med Ball Slams 4×4

    PAP sport specifica

    Affondi con manubri verso dietro 4×4 (a lato) + ginocchiate contro sacco/pad 4×4

    Panca piana con catene 4×3 + pugni al sacco pesante 4×6 sec.

    Sempre riguardo alla PAP è consigliabile tenere un basso volume (3-5 serie x 4-6 ripetizioni) di allenamento in modo da non sporcare troppo la tecnica e scongiurare un prematuro affaticamento. Di contro, l’intensità dev’essere piuttosto elevata per l’alzata pesante (1-3 RM) e molto leggera sul secondo esercizio (<30% 1RM o corpo libero). Bisogna inoltre motivare l’atleta affinché egli esegua gli esercizi alla massima esplosività possibile.

    A differenza del metodo a contrasto, dove si passa dall’alzata pesante all’esercizio esplosivo senza pause, qui si consiglia un recupero di 30-60 secondi fra i due esercizi e 2-3 minuti fra le serie. Vi sono anche studi che parlano di tempi di recupero nella serie (fra i due esercizi) vicini o superiori addirittura ai 10 minuti (Wilson J. M. et al., 2013), tuttavia ciò è poco funzionale a causa dell’enorme dilatazione dei tempi di lavoro e l’esperienza pratica porta a suggerire di rimanere su tempi più umani (30″-1′), in modo da poter accumulare un maggiore volume di allenamento.

    Conclusioni

    Come sempre, questi metodi e suggerimenti dovrebbero essere considerati insieme agli obiettivi dell’atleta, alla storia dell’allenamento e a vari tratti individuali che possono limitare determinati approcci. L’approccio misto risulta spesso il più indicato ma nulla vieta di concentrarsi su uno o due metodi inseriti nei momenti più opportuni all’interno di un macrociclo di allenamento.

    Per ulteriori approfondimenti vi sono altre letture da fare (elenco sotto), oppure potete scegliere una consulenza Skype col sottoscritto o farvi allenare (anche a distanza).

    Altre letture consigliate:
    - Test atletici per sport da combattimento
    - Ultimate Conditioning for Martial Arts
    - Struttura base di un training camp per sport da combattimento
    - Programma di allenamento per le MMA (4 settimane)
    - Preparazione atletica per Lotta e Grappling: una panoramica generale
    - MMA: l'allenamento in vista di un match secondo Greg Jackson
    - La periodizzazione dell'allenamento: teoria e pratica
    - Sport da combattimento ed allenamenti errati
    - Metodi di potenziamento per gli sport da combattimento
    - Le caratteristiche del Fighter
    - Shock jump: la loro utilità nella preparazione atletica
    - Deallenamento: cosa, quando e perché
    - Come creare transfer: proposta d'allenamento per gli sport da combattimento
    - La preparazione atletica e la sconfitta: Georges St-Pierre, Mike Tyson e l’esperienza quotidiana
    - Allenamenti Sovietici: il paradosso della forza e della resistenza

    Grazie per l’attenzione .


    Referenze

    PJ Nestler – Optimizing Power for MMA (2019)
    1 Franchini, E. et al. – Physiological Profiles of Elite Judo Athletes (2011)
    2 Loturco, Irineu, et al. – Strength and Power Qualities Are Highly Associated With Punching Impact in Elite Amateur Boxers (2016)
    3 Stone, M., Stone, M., & Lamont, H. (n.d.). Explosive Exercise. Retrieved November 20, 2017
    4 Cormie P. et al. – Power Versus Strength-Power Jump Squat Training (2007)
    5 Fatouros I. G. et al. – Evaluation of Plyometric Exercise Training, Weight Training, and Their Combination on Vertical Jumping Performance and Leg Strength (2000)
    6 Cronin J. et al. – The role of maximal strength and load on initial power production (2000)
    7 Antonio, J. – Nonuniform response of skeletal muscle to heavy resistance training: can bodybuilders induce regional muscle hypertrophy? (2000)
    8 Behm, D. – Neuromuscular implications and applications of resistance training (1995)
    9 Hori N. et al. – Does Performance of Hang Power Clean Differentiate Performance of Jumping, Sprinting, and Changing of Direction? (2008)
    10 James, Lachlan – Mixed methods power development for mixed martial arts: A review of the literature (2014)
    11 Witzke K. et al. – Effects of plyometric jump training on bone mass in adolescent girls (2000)
    12 Hayes W. et al. – Toward a definition of impact loading in exercise studies of bone (1997)
    13 Baudry S. et al. – Postactivation potentiation in human muscle is not related to the type of maximal conditioning contraction (2004)
    14 French D. N. et al. – Changes in Dynamic Exercise Performance Following a Sequence of Preconditioning Isometric Muscle Actions (2003)
    15 Wilson J. M. et al. – Meta-Analysis of Postactivation Potentiation and Power (2013)

  • Programma di allenamento per le MMA (4 settimane)

    Programma di allenamento per le MMA (4 settimane)

    Dopo aver parlato di potenziamento per gli sport da combattimento (SdC) e fornito delle linee guida per la preparazione atletica dedicata alla lotta/grappling, è giunto il momento di passare alle arti marziali miste, più note come MMA.

    Buona lettura!

    Introduzione

    Quello che segue è un programma di allenamento della durata di 4 settimane, ad alta intensità e (altro…)

  • La preparazione atletica e la sconfitta: Georges St-Pierre, Mike Tyson e l’esperienza quotidiana

    La preparazione atletica e la sconfitta: Georges St-Pierre, Mike Tyson e l’esperienza quotidiana

    Scrivo queste brevi riflessioni in una piovosa, e incredibilmente fredda, domenica di fine maggio, spero vi tornino utili. Buona lettura.

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    George Saint-Pierre e Mike Tyson ultimi filosofi

    Di recente due “miei” atleti – curo la loro preparazione atletica – hanno combattuto nella muay thai (pro) e nel savate (light contact).

    Prima di dirvi i risultati (altro…)

  • Allenamenti Sovietici: il paradosso della forza e della resistenza

    Allenamenti Sovietici: il paradosso della forza e della resistenza

    Quando l’URSS esisteva ancora, decenni or sono, da questa ampia regione giungevano a noi testi inerenti la preparazione atletica applicata ai più svariati sport, soprattutto olimpici.

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    Per divenire a noi fruibili, spesso questi libri tecnici subivano i seguenti passaggi: venivano tradotti dal russo al tedesco, dal tedesco all’inglese e dall’inglese all’italiano.

    Salvo qualche ristampa più o meno recente, molti di essi ora sono pezzi da collezione ammantati di un certo fascino storico, che conferisce loro un valore economico non alla portata di tutti.

    The resistance & endurance training paradox

    C’era un libro in particolare, dal valore stimato di alcune migliaia di dollari, che parlava di un interessante paradosso che legava, e lega tuttora, l’allenamento con i pesi e quello di resistenza. Stiamo parlando del rarissimo “The Soviet Training & Recovery Methods for Competitive Athletes“.

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    Copertina del libro

    All’interno di esso, l’autore Ben Tabachnik parlava del paradosso citato poco fa (the resistance & endurance training paradox); in cosa consiste(va) questo paradosso?

    L’allenatore russo aveva notato come stimoli allenanti molto differenti, per esempio una corsa medio-lunga ed un allenamento con i pesi piuttosto voluminoso, stressassero in maniera analoga il sistema nervoso centrale (SNC).

    Alain Riccaldi, biologo e preparatore atletico italiano, riporta i seguenti valori espressi nel libro in questione:

    • Fase iniziale di adattamento → volume alto per la forza (8-12 reps, 60-70% 1RM), situazione analoga per l’endurance (60-120′, 60-70% FCmax).
    • Fase volume →  volume medio per la forza (4-6 reps, 75-85% 1RM), stessa cosa per la resistenza (15-30′, 80-90% FCmax).
    • Fase di intensificazione → volume basso per la forza (1-3 reps, 85-100% 1RM) ed esercitazioni molto intense anche per la resistenza (tolleranza lattacida, 85-90% FCmax).

    Queste bizzarre similitudini fra sforzi che, almeno apparentemente, sono agli antipodi, fanno sì che l’organismo umano possa tollerare e adattarsi a stimoli molto differenti fra loro, un po’ come avviene nel concurrent training.

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    Leggi anche: Allenamento parallelo di forza e resistenza: vantaggi e svantaggi
    Conclusioni

    Questo paradosso in qualche modo spiega come sia possibile per un atleta prepararsi a competizioni come quelle del CrossFit, o per un fighter seguire un protocollo di strength and conditioning in vista di un match.

    Come sempre, inquadrare per bene l’atleta, lo sport in questione e periodizzare per bene il programma di allenamento è la miglior cosa per ottimizzare le prestazioni, scongiurando sovrallenamento e infortuni.

    Grazie per l’attenzione.

    Buon allenamento!


    Bibliografia

    Ben Tabachnik – The Soviet Training & Recovery Methods for Competitive Athletes (1990)

  • Stretching: teoria e pratica

    Stretching: teoria e pratica

    Lo stretching, pratica tanto conosciuta quanto sottovalutata e trascurata dai più.

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    Prima di dedicarci a alle tecniche di stretching è però necessario dare alcune basiche definizioni, tre per la precisione.

    La prima riguarda la mobilità articolare, da alcuni autori considerata una capacità condizionale, che corrisponde alla capacità di una o più articolazioni di muoversi liberamente entro il proprio range di movimento fisiologico, senza dolori o problemi di alcun genere. La seconda definizione che occorre fornire è quella dell’estensibilità muscolare, ovvero la capacità che ha un muscolo di allungarsi, come prima, entro un limite fisiologico.

    Infine, abbiamo la flessibilità, cioè l’unione della mobilità articolare e dell’estensibilità muscolare.

    Flessibilità = mobilità articolare + estensibilità muscolare

    Inoltre, per chi non lo sapesse, c’è il range di movimento (ROM) è l’escursione permessa dalla flessibilità individuale. Che può essere più o meno ampia a seconda della persona ed anche per scelta di quest’ultima. Basti per esempio pensare all’utilizzo di “ROM incompleti” nel bodybuilding (mezze ripetizioni) per mantenere una tensione continua sul muscolo target.

    Cenni di fisiologia

    Lo stretching, insieme di tecniche volte ad incrementare la flessibilità corporea, si basa sul fenomeno neurofisiologico noto come riflesso miotatico, anche detto da stiramento. I recettori propriocettivi presenti nel muscolo, durante un qualsiasi allungamento inviano dei segnali al sistema nervoso centrale (SNC). I recettori sono i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi (OTG).

    Per farla semplice, durante i primi secondi di allungamento, i fusi neuromuscolari si oppongono allo stretching, inviando segnali al SNC che portano quest’ultimo ad ordinare ai muscoli in questione di contrarsi (riflesso miotatico) in modo da evitare eventuali danni e/o infortuni. Tuttavia, se lo stretching continua e lo stato di allungamento perdura, tramite l’azione degli OTG si verifica una sorta di riflesso miotatico inverso che porta il muscolo a rilassarsi ed allungarsi.

    È per questa ragione che nei canonici protocolli di stretching si consiglia di tenere certe posizioni per almeno 10-15 secondi, dato che tempi inferiori ostacolerebbero l’effetto del riflesso inverso citato poco fa, rendendo poco efficace l’allungamento. Va però specificato che se l’estensione muscolare è molto lenta difficilmente i fusi neuromuscolari si attivano.

    Recettori

    I fattori che influenzano la flessibilità che, ovviamente, è molto soggettiva e variabile, sono principalmente i seguenti:

    • Età
    • Sesso
    • Predisposizioni ossee di origine costituzionale
    • Eccessi di massa grassa
    • Eccessi di massa muscolare
    • Accorciamenti della muscolatura
    • Cicatrici e problemi della cute
    • Eventuali patologie o infortuni
    • Estensibilità dei tendini, dei legamenti, delle capsule articolari e della pelle
    • Temperatura ambientale e corporea*
    • Livello di attività fisica (se esposti ad escursioni articolari limitate, i tessuti connettivi tendono a diventare meno flessibili).

    *a causa della maggior temperatura corporea, i muscoli risultano essere più flessibili dopo il riscaldamento, pertanto generalmente si consiglia di effettuare lo stretching dopo il riscaldamento iniziale.

    Le variazioni della flessibilità dipendono principalmente da un paio di fattori, due adattamenti tissutali: elasticità e plasticità. La prima consiste nella capacità del muscolo di ritornare alla lunghezza di riposo dopo l’allungamento. La seconda invece, è la tendenza ad assumere e mantenere una nuova e maggiore lunghezza dopo un allungamento. Il muscolo ha proprietà elastiche, legamenti e tendini hanno proprietà sia elastiche che plastiche.

    In altre parole, se il fine è quello di incrementare la flessibilità, tramite svariate tecniche di stretching bisogna cercar di far sì che la plasticità prevalga sull’elasticità.

    Maggior flessibilità = plasticità > elasticità

    Un po’ come per crescere muscolarmente, in quest’ultimo caso occorre che l’anabolismo sia maggiore del catabolismo.

    I benefici dello stretching, a grandi linee, sono quelli che seguono: aumento della flessibilità, prevenzione infortuni (è giusto specificare che le evidenze non così solide), miglioramento della circolazione sanguigna, stimolazione della lubrificazione articolare, effetti rilassanti e miglioramento generale della performance (in cronico). Ovviamente possono esserci anche degli effetti negativi, di questi però ne parleremo più avanti, fra qualche riga.

    Tipologie di stretching

    Qui di seguito potete trovare le forme più note ed efficaci di stretching.

    Stretching statico (attivo e passivo): lo stretching statico attivo è il classico stretching che consiste nel raggiungere lentamente delle posizioni di allungamento e mantenerle per 15-30 secondi (il tutto in maniera autonoma). Invece, quello passivo viene effettuato grazie all’aiuto di un compagno di allenamento che tende a “forzare” l’allungamento, incrementandolo (fig. sotto).

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    Stretching statico passivo

    Stretching dinamico (attivo e balistico): stretching che, non essendo statico, fa uso di movimenti di molleggio, slanci e quant’altro. Quello attivo è molto controllato, il balistico no (quest’ultimo comprende slanci e balzi più rapidi e intensi).

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    Essendo, almeno in linea teorica, piuttosto simili, alcuni autori non fanno distinzioni (Weineck J.) e considerano come stretching dinamico (o balistico) tutte le forme di allungamento che prevedono dei movimenti più o meno ampi.

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    I principali tipi di stretching (da Page P. – Current concepts in muscle stretching for exercise and rehabilitation, 2012, modificato)

    Stretching PNF: lo stretching PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation), molto in voga negli ultimi anni, è un tipo di allungamento che punta ad incrementare la flessibilità tramite delle contrazioni isometriche (quindi che avvengono senza un effettivo accorciamento del muscolo).

    Weighted/Loaded stretching: in maniera poco tecnica potremmo nominare questa metodica come uno stretching zavorrato, che quindi si avvale di sovraccarichi per migliorare la flessibilità generale. Il “weighted stretching” è uno stretching relativamente giovane e che non ha alle spalle un’ampia letteratura scientifica, pertanto viene difficile approfondirlo e compararlo con gli allungamenti più tradizionali.

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    Isometria in allungamento

    Christian Thibaudeau, coach di fama internazionale, sostiene che con lo stretching zavorrato sia possibile allungare i muscoli e, al contempo, massimizzare l’ipertrofia muscolare. Ma il sospetto più logico è che questo allungamento sia maggiormente utile per la crescita del fisico che per la flessibilità.

    Per ulteriori approfondimenti vi rimandiamo ad un suon articolo pubblicato su T Nation.

    Alcune considerazioni

    Una importante review sistematica del 2017 ha preso in esame ben 28 studi riguardanti lo stretching e nessuno di questi ha mostrato effetti negativi dello stretching sulla performance [1]. Anzi, uno di questi riguardava sedici pesisti, con un carico massimale (1RM) di panca piana medio di circa 130 kg ed ha messo in mostra un  lieve incremento dei carichi sul bilanciere [2]. Si è visto inoltre come su soggetti non allenati lo stretching possa aumentare in modo abbastanza significativo la forza muscolare [3].

    E’ di fondamentale importanza la tempistica con cui viene effettuato l’allungamento. Se non si vuole rischiare di vedere un peggioramento delle prestazioni, è buona cosa evitare di eccedere con lo stretching se questo viene svolto subito prima di una seduta di allenamento. Infatti, come si è visto in decine di studi raccolti in una nota review [4], lo stretching statico spesso e volentieri, in acuto, porta a peggioramenti nelle performance di forza e potenza. Risultati simili li ha dati un lavoro più recente condotto su giocatori professionisti di football [5].

    Mode a parte, uno studio ben condotto pubblicato sulla rivista scientifica Physical Therapy in Sport, non ha trovato metodologie come lo stretching PNF particolarmente superiori rispetto al canonico allungamento statico [6]. Riguardo a questa faccenda, la comunità scientifica non ha ancora una una posizione unanime, servono altri studi per sperare di avere delle certezze.

    Inoltre, lo stretching – in generale – non sembra essere in grado di influire significativamente sul recupero muscolare, al contrario di ciò che è credenza comune [7]. Ma questa è una questione assai intricata, di cui magari parleremo più nel dettaglio in futuro con altri articoli.

    «Una […] ricerca di Kay, A. D., and A. J. Blazevich del 2012, ha affermato che lo stretching statico per un totale di 45 sec può essere utilizzato come routine senza il rischio di una diminuzione significativa nella performance delle attività forza o di velocità. Per tempi di allungamento più lunghi(ad esempio, 60 s) ci sono maggiori probabilità di causare una piccola o moderata riduzione delle prestazioni» [8].

    Applicazioni pratiche – linee guida

    Bisogna dedicare allo stretching più sedute settimanali per fare sì che questo sia realmente allenante; durante l’allenamento della flessibilità dobbiamo percepire una certa tensione muscolare ma non del dolore, in quest’ultimo caso andiamo incontro a più rischi che benefici.

    Si consigliano almeno un paio di esercizi per ogni grande gruppo muscolare, con delle tenute (ripetute) di una certa durata. Per essere più precisi…

    • Frequenza: ≥3 volte a settimana
    • Ripetizioni: 3-5 per ogni posizione
    • Tempo: tenere ogni posizione per 15-45 secondi

    Quanto riportato sopra, valevole per lo stretching statico, può essere eseguito nelle classiche sedute di allenamento, oppure in sedute a parte.

    Lo stretching dinamico è invece indicato per essere eseguito prima che inizi l’allenamento vero e proprio, dopo un buon riscaldamento.

    Conclusioni

    Lo stretching, da alcuni sottovalutato da altri sopravvalutato, è indubbiamente un qualcosa che va fatto. Non esiste una ricetta unica, le tipologie sono diverse e lo stretching andrebbe prescritto da persona a persona, in base allo stato di salute, la condizione fisica, l’obiettivo, lo sport praticato, e così via.

    Nessun dubbio sul fatto che, se eseguito a caso, possa avere più svantaggi che benefici. Ma in quel caso la colpa è del singolo individuo o dell’allenatore incompetente, non dello stretching in sé.

    Grazie per l’attenzione.

    Buon allenamento!


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    Bibliografia

    Weineck J. – Biologia dello sport (2013)

    Page P. – Current concepts in muscle stretching for exercise and rehabilitation (2012)

    De Angelis D. – Power-Flex Stretching (2007)

    R. D’Isep e M. Gollin – Fitness e muscolazione (2001)

    Ganzini A. – Flessibilità e mobilità articolare (Dispense FIPE)

    Segina M. – Gli effetti “reali” dello stretching (link)

    Pansini L. – Stretching: una retrospettiva dalla ricerca (Body Comp Academy, 2017)

    Leite T. B. et al. – Effects of Different Number of Sets of Resistance Training on Flexibility (2017)

    [1] Medeiros D. M. et al. – Influence of chronic stretching on muscle performance: Systematic review (2017)

    [2] Wilson G. J. et al. – Stretch shorten cycle performance enhancement through flexibility training (1992)

    [3] Nelson A. G. et al. – A 10-week stretching program increases strength in the contralateral muscle (2012)

    [4] Behm D. G. et al. – A review of the acute effects of static and dynamic stretching on performance (2011)

    [5] Kurt C. – Comparison of the acute effects of static and dynamic stretching exercises on flexibility, agility and anaerobic performance in professional football players (2016)

    [6] Azevedo D. C. et al. – Uninvolved versus target muscle contraction during contract: relax proprioceptive neuromuscular facilitation stretching (2011)

    [7] Herbert R. D. -et al. – Stretching to prevent or reduce muscle soreness after exercise (2007)

    [8] Ferrari M. – Stretching: cosa dicono le ricerche (IlCoach, 2015)

  • Trazioni e attivazione muscolare

    Trazioni e attivazione muscolare

    Quello di cui andremo a parlare oggi riguarda uno studio che ha preso in esame tre tipi di trazioni, analizzando le differenze nell’attivazione muscolare (misurate tramite elettromiografie, EMG) [1].

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    Avevamo giù trattato l’argomento in un episodio del nostro Podcast, prendendo spunto da un post di Alessio Ferlito. Ma ora veniamo a noi… (altro…)

  • Shock jump: la loro utilità nella preparazione atletica

    Shock jump: la loro utilità nella preparazione atletica

    Parlando di strength and conditioning per sport da combattimento qualcuno avrà magari sentito nominare gli “shock jump“. Ma qual è di preciso il loro ruolo? Scopriamolo insieme!

    shock jump

    Tecnica di base

    Quello riportato nella foto sopra è uno shock jump. Una caduta da un rialzo  (altro…)