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  • Catecolamine ed esercizio fisico

    Catecolamine ed esercizio fisico

    Già citate nell’articolo dedicato alle sostanze eccitanti, torniamo ora a parlare delle catecolamine e del loro ruolo nell’attività fisica.

    Le catecolamine sono ormoni secreti dalle ghiandole surrenali (parte midollare) e da alcune terminazioni nervose. Esse rivestono un importante ruolo nel controllo delle funzioni vegetative, motorie e psichiche, data la loro interazione con il sistema nervoso simpatico.

    Le catecolamine derivano dalla tirosina, un aminoacido, e sono principalmente tre: dopaminanoradrenalina ed adrenalina.

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    Tirosina

    Le catecolamine agiscono su due sistemi di trasmissione: dopaminergico ed adrenergico. Su quest’ultimo intervengono la noradrenalina e l’adrenalina, su quello dopaminergico agisce invece la dopamina. La noradrenalina si “occupa” principalmente del sistema nervoso, l’adrenalina dei tessuti periferici.

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    Da sinistra a destra: dopamina, noradrenalina e adrenalina

    Come già detto, repetita iuvant, le catecolamine interagiscono con vari organi e tessuti grazie ai recettori situati proprio su questi ultimi. La dopamina interagisce con i recettori dopaminergici, mentre noradrenalina e adrenalina con quelli adrenergici.

    Recettori dopaminergici: D1, D2, D3, D4, D5.
    Recettori adrenergici: α1, α2, β1, β2, β3.

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    Come evidenziato nella tabella riportata sopra, l’azione delle catecolamine sui recettori, in particolar modo quelli β (adrenergici), può portare ad effetti graditi per gli sportivi.

    Inoltre, le catecolamine, una volta rilasciate, possono dilatare le pupille ed intervenire nella risposta “attacco o fuga”.

    Vengono secrete quando si svolge dell’attività fisica, quando c’è la percezione del  pericolo, in condizioni di ipoglicemia, durante delle emorragie e in seguito a stress.

    Relazione con l’esercizio fisico

    L’allenamento determina un rilascio di catecolamine direttamente proporzionale all’intensità dello sforzo fisico. Però l’allenamento, sul lungo periodo, tende ad abbassare il rilascio di catecolamine (a parità di sforzo) [1].

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    Variazione dei livelli di adrenalina e noradrenalina durante l’esercizio aerobico. PRE = primo test; 5D = test dopo 5 giorni di allenamento; 31 = test dopo 31 giorni di allenamento

    Il calo della secrezione di catecolamine illustrato nel grafico riportato sopra avviene perché il corpo nel tempo si adatta e ad uno stesso stimolo risponde sempre con adattamenti via via decrescenti.

    Le catecolamine stimolano la lipolisi e l’aumento degli acidi grassi liberi nel sangue. Quando questo effetto avviene non per l’esercizio fisico, con relativa utilizzazione degli acidi grassi, bensì per stress di altro tipo, possono derivare effetti metabolici negativi per il mancato utilizzo degli acidi grassi liberi.

    Lo stress pre-gara può accentuare i livelli di catecolamine circolanti ed i loro effetti (sia positivi che negativi).

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Parodi G. – Medicina dello sport (Dispense SUISM, a.a. 2016/2017)
    Cravanzola E. – Sostanze eccitanti per il dimagrimento e la performance sportiva (2017)
    1 Phillips, S. M. et al. – Effects of training duration on substrate turnover and oxidation during exercise (1996)

  • Allenamenti Sovietici: il paradosso della forza e della resistenza

    Allenamenti Sovietici: il paradosso della forza e della resistenza

    Quando l’URSS esisteva ancora, decenni or sono, da questa ampia regione giungevano a noi testi inerenti la preparazione atletica applicata ai più svariati sport, soprattutto olimpici.

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    Per divenire a noi fruibili, spesso questi libri tecnici subivano i seguenti passaggi: venivano tradotti dal russo al tedesco, dal tedesco all’inglese e dall’inglese all’italiano.

    Salvo qualche ristampa più o meno recente, molti di essi ora sono pezzi da collezione ammantati di un certo fascino storico, che conferisce loro un valore economico non alla portata di tutti.

    The resistance & endurance training paradox

    C’era un libro in particolare, dal valore stimato di alcune migliaia di dollari, che parlava di un interessante paradosso che legava, e lega tuttora, l’allenamento con i pesi e quello di resistenza. Stiamo parlando del rarissimo “The Soviet Training & Recovery Methods for Competitive Athletes“.

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    Copertina del libro

    All’interno di esso, l’autore Ben Tabachnik parlava del paradosso citato poco fa (the resistance & endurance training paradox); in cosa consiste(va) questo paradosso?

    L’allenatore russo aveva notato come stimoli allenanti molto differenti, per esempio una corsa medio-lunga ed un allenamento con i pesi piuttosto voluminoso, stressassero in maniera analoga il sistema nervoso centrale (SNC).

    Alain Riccaldi, biologo e preparatore atletico italiano, riporta i seguenti valori espressi nel libro in questione:

    • Fase iniziale di adattamento → volume alto per la forza (8-12 reps, 60-70% 1RM), situazione analoga per l’endurance (60-120′, 60-70% FCmax).
    • Fase volume →  volume medio per la forza (4-6 reps, 75-85% 1RM), stessa cosa per la resistenza (15-30′, 80-90% FCmax).
    • Fase di intensificazione → volume basso per la forza (1-3 reps, 85-100% 1RM) ed esercitazioni molto intense anche per la resistenza (tolleranza lattacida, 85-90% FCmax).

    Queste bizzarre similitudini fra sforzi che, almeno apparentemente, sono agli antipodi, fanno sì che l’organismo umano possa tollerare e adattarsi a stimoli molto differenti fra loro, un po’ come avviene nel concurrent training.

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    Leggi anche: Allenamento parallelo di forza e resistenza: vantaggi e svantaggi
    Conclusioni

    Questo paradosso in qualche modo spiega come sia possibile per un atleta prepararsi a competizioni come quelle del CrossFit, o per un fighter seguire un protocollo di strength and conditioning in vista di un match.

    Come sempre, inquadrare per bene l’atleta, lo sport in questione e periodizzare per bene il programma di allenamento è la miglior cosa per ottimizzare le prestazioni, scongiurando sovrallenamento e infortuni.

    Grazie per l’attenzione.

    Buon allenamento!


    Bibliografia

    Ben Tabachnik – The Soviet Training & Recovery Methods for Competitive Athletes (1990)

  • Traumatologia e sport (3/3): tendinopatie, terapie e prevenzione degli infortuni

    Traumatologia e sport (3/3): tendinopatie, terapie e prevenzione degli infortuni

    Quella che segue è la terza ed ultima parte della breve serie di articoli sulla traumatologia sportiva. La prima parte è recuperabile qui e la seconda a questo link.

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    Tendinopatie

    Le tendinopatie sono patologie di tipo degenerativo che, talvolta, possono prevedere un processo infiammatorio nelle fasi iniziali (prime settimane). Le evidenze scientifiche hanno stabilito che la loro eziologia è multifattoriale (D. Factor e coll.).

    Possiamo distinguere principalmente quattro tipologie di tendinopatie: tendinosi, tendinite/rottura parziale, paratenonite e paratenonite con tendinosi.

    • La tendinosi è una degenerazione intra-tendinea (patologia cronica), dovuta generalmente all’invecchiamento ed a micro-traumi. Non è necessariamente sintomatica.
    • La tendinite è invece una degenerazione sintomatica del tendine che consiste parziali rotture ed una successiva risposta infiammatoria riparatoria.
    • Paratenonite, infiammazione dello stato esterno del tendine (il “peritenonio” è una membrana elastica che riveste i tendini che non hanno guaina tendinea e che permette lo scorrimento del tendine).
    • Infine, la paratenonite con tendinosi è una patologia che può associarsi con aspetti di degenerazione intra-tendinea.
     
    Trattamenti per gli infortuni

    Veniamo ora ai principali protocolli con cui vengono trattati gli infortuni sportivi (terapie di recupero).

    Protocollo R.I.C.E.

    Rest: mettere a riposo la parte del corpo infortunata; cercare di non farla lavorare (eventuale uso di stampelle).

    Ice: applicare ghiaccio per le successiva 4 ore ma non in maniera continuativa (20-30 minuti di ghiaccio per ogni ora).

    Compression: effettuare un bendaggio (elastico) per controllare il gonfiore.

    Elevation: mantenere la parte interessata al di sopra del livello del cuore.

    Protocollo P.R.I.C.E.

    Protection: proteggere la persona infortunata, fermare il gioco (ad esempio una partita di rugby), portare l’atleta in una zona sicura.

    Rest: mettere a riposo la parte del corpo infortunata; cercare di non farla lavorare (eventuale uso di stampelle).

    Ice: applicare ghiaccio per le successiva 4 ore ma non in maniera continuativa (20-30 minuti di ghiaccio per ogni ora).

    Compression: effettuare un bendaggio (elastico) per controllare il gonfiore.

    Elevation: mantenere la parte interessata al di sopra del livello del cuore.

    Protocollo P.O.L.I.C.E.

    Protection: proteggere la persona infortunata, fermare il gioco e portare l’atleta in una zona sicura.

    OL (optimal loading): significa sostituire al più presto possibile il riposo (dannoso se troppo duraturo) con la mobilizzazione, assicurando il carico adeguato nelle varie fasi del trattamento della lesione per una efficace riabilitazione.

    Ice: applicare ghiaccio per le successiva 4 ore ma non in maniera continuativa (20-30 minuti di ghiaccio per ogni ora).

    Compression: effettuare un bendaggio (elastico) per controllare il gonfiore.

    Elevation: mantenere la parte interessata al di sopra del livello del cuore.

    Protocollo M.E.A.T.

    Movement: il movimento controllato degli arti interessati può stimolare il flusso sanguigno, ridurre la formazione delle fibre collagene impropriamente allineate (tessuto cicatriziale) e quindi migliorare effettivamente il recupero.

    Exercise: il concetto di esercizio qui è strettamente legato al movimento precedentemente già descritto. Attraverso una controllata ed opportuna prescrizione di esercizi si avranno le potenzialità per migliorare il recupero.

    Analgesics: analgesici naturali per controllare il dolore e non FANS (anti-infiammatori non steroidei), visto che questi ultimi rischierebbero di inibire il processo di guarigione.

    Treatment: trattamenti fisioterapici di vario tipo che vanno ad incrementare il flusso sanguigno e quindi a favorire il processo di guarigione.

    Prevenzione infortuni

    Mentiremmo se dicessimo che esiste un modo unico ed infallibile per evitare di infortunarsi, purtroppo. Le patologie che possono colpire muscoli e articolazioni sono innumerevoli e spesso sono scollegate dalla pratica, più o meno intensa, di attività fisica.

    Fattori come, per esempio, l’invecchiamento e la predisposizione genetica sfuggono al nostro controllo. Tuttavia, con la giusta dose di esercizio fisico è possibile rinforzare il tessuto muscolare e, in secondo luogo, le strutture articolari, diminuendo il rischio di farsi male.

    La prevenzione infortuni può dipendere da fattori che derivanti dalla persona in questione, da altri che non dipendono da essa e da altri fattori ancora, inerenti le attrezzature e l’ambiente esterno.

    I primi sono lo stile di vita, l’alimentazione, la preparazione fisica, tecnica e psicologica, il sonno, la prudenza. Quelli della categoria successiva, come già accennato qualche riga più su, sono fattori ereditari, pertanto non modificabili. Possiamo citare la struttura scheletrica, le inserzioni muscolari, la predisposizione dei muscoli a crescere (ipertrofia) e quella delle articolazioni ad essere danneggiate da determinati stimoli (danni) meccanici. Nell’ultima categoria, quella delle attrezzatura e dell’ambiente, rientrano la manutenzione e l’idoneità del terreno di gioco, le condizioni climatiche e microclimatiche delle strutture indoor, l’utilizzo di un abbigliamento idoneo (tessuti traspiranti, adeguatamente elasticizzati), di eventuali protezioni, e così via.

    La ricetta base per la prevenzione infortuni è l’allenamento fisico. Senza entrare troppo nel dettaglio, possiamo dare delle indicazioni generali sul da farsi:

    1. Effettuare un buon riscaldamento prima di ogni allenamento;
    2. Lavorare sulla mobilità articolare (se serve anche in sedute separate);
    3. Possedere una buona tecnica esecutiva per tutti gli esercizi;
    4. Dare all’organismo degli stimoli allenanti graduali (ad esempio, crescita lenta ma costante dei carichi di lavoro, intesi come volume, intensità e densità);
    5. Evitare di stressare la medesima articolazione con troppi esercizi “pesanti”;
    6. Avere un sonno regolare;
    7. Eventuale uso di integratori alimentari.
    Conclusioni

    Non vi sono segreti né particolari strategie per prevenire gli infortuni, se non allenarsi con la testa, e all’occorrenza essere seguiti da qualche professionista delle Scienze Motorie o della riabilitazione.

    Approfondimenti:
    - Articolazioni: le basi da conoscere
    - Genetica e predisposizione agli infortuni
    - Allenamento della propriocezione per la prevenzione degli infortuni
    - Glucosamina: un integratore controverso
    - Perché fatichiamo? Per imparare a supercompensarci!
    - Sonno e rischio infortuni
    - La periodizzazione dell'allenamento: teoria e pratica
    - Colonna vertebrale: osteologia e patologie principali

    Grazie per l’attenzione e buon allenamento!


    oc
    Bibliografia

    Parodi G. – Medicina dello Sport (Dispense SUISM, a.a. 2016/2017)
    Factor D. et al. – Current concepts of rotator cuff tendinopathy (2014)

  • Perché è così difficile cambiare certe opinioni?

    Perché è così difficile cambiare certe opinioni?

    Tifo sportivo, politica, religione e non solo, sono argomenti che come pochi altri riescono a dividere e polarizzare le persone. «Divide et impera» diceva già più di duemila anni fa qualcuno. Ma come mai l’essere umano, una volta che si è fossilizzato su un’idea, salvo rari casi, non è disponibile a ritrattarla?

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    In questo articolo cercheremo di dare una risposta alla domanda che ci siamo appena posti.

    Psicologia

    La difficoltà che proviamo nel cambiare opinione è data principalmente dal alcuni bias più o meno radicati nella psicologia umana. I bias cognitivi altro non sono che costrutti basati su percezioni errate della realtà e/o pregiudizi che di frequente possono portare le persone a fare affermazioni e pensieri errati sui più svariati argomenti.

    I bias strettamente legati all’argomento centrale di questo articolo sono i seguenti:

    • Bias di conferma: qualunque nuova informazione conferma le nostre convinzioni precedenti, confutando quelle opposte.
    • Bias di gruppo: bias che ci porta a sopravvalutare le capacità ed il valore del nostro gruppo di appartenenza, attribuendo perentoriamente alla sfortuna gli eventi negativi e al merito e talento quelli positivi.
    • Effetto carovana: rappresenta la tendenza a credere in qualcosa solo perché molte altre persone vicine a noi ci credono (questo fenomeno si sopra bene con la religione e la politica).
    • Bias conservativo: ogni novità viene vista con grande sospetto e sottovalutata rispetto alle precedenti convinzioni. Se per esempio leggo una rivista che porta avanti la tesi della nocività del latte di vacca per l’essere umano ed inizio a credere a questa tesi, difficilmente prenderò in considerazione le opinioni di chi smentisce questa nocività, indipendentemente dall’autorevolezza delle fonti.
    • Bias di proiezione: percezione distolta della realtà. Riteniamo di pensare e vedere le cose sempre nella maniera giusta e ci sembra che anche le altre persone la pensino come noi (falso consenso).
    Questione di cervello

    Dietro al mutamento delle idee c’è anche un aspetto se vogliamo più concreto e tangibile, per quanto può essere tangibile un cambiamento strutturale di pochi micron all’interno del cervello.

    Quando una nostra opinione ben consolidata viene messa in discussione, attaccata, il nostro cervello si difende. Quasi come se quest’ultimo avesse un sistema immunitario pronto a contrastare ogni pericolo esterno, se per pericolo esterno intendiamo informazioni che rischierebbero di far crollare le nostre certezze. Al riguardo, come asserisce lo psicologo americano Jonas Kaplan: «La responsabilità primaria del cervello è prendersi cura del corpo, proteggere il corpo. Il sé psicologico è l’estensione del cervello. Quando il nostro sé si sente attaccato, il nostro cervello fa valere le stesse difese che ha per proteggere il corpo».

    Quanto detto in queste ultime righe vale in particolar modo per le ideologie politiche, dato che esse le percepiamo come qualcosa di fortemente legato alla nostra identità personale, quasi fossero connaturate all’animo umano. Magari le abbiamo ereditate dall’ambiente (familiare e non solo) in cui siamo cresciuti ed abbandonarle, o più semplicemente rivalutarle, ci farebbe sentire indifesi – visto l’attacco al nostro sé – e tremendamente insicuri.

    «Un uomo è sempre preda delle proprie verità. Quando le abbia riconosciute, egli non è capace di staccarsene», Albert Camus.

    Uno studio discretamente famoso pubblicato su Nature [1] ha mostrato tramite la risonanza magnetica funzionale (RMF) quali sono le aree del cervello maggiormente attive durante un dibattito con una persona che mette fortemente in discussione le nostre convinzioni politiche più radicate (immagine sotto).

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    In rosso e giallo, le regioni del cervello che hanno mostrato un aumento del “segnale” durante l’elaborazione di conversazioni a sfondo politico (P> NP). In blu e verde, le regioni del cervello che hanno mostrato un aumento del segnale durante delle discussioni non inerenti temi politici (NP> P).

    Cos’è emerso? Durante i momenti più accesi del dibattito le zone del cervello maggiormente attive erano quelle che si pensava corrispondessero all’identità personale (self-identity) e alle emozioni negative (amigdala). Vedendo la differenza dell’intensità di segnale fra le questioni politiche e non politiche, J. Kaplan e colleghi hanno bollato come “default mode network” l’insieme di strutture cerebrali implicate nel pensare a se stessi, alla propria identità, alla memoria ed al mind-wandering (tendenza della mente a vagare ed a spostare l’attenzione su altro).

    In sintesi, il cervello attiva automaticamente le aree predisposte alla contemplazione di noi stessi ed ai cattivi pensieri e probabilmente lo fa per mettere una sorta di blocco, un ostacolo al cambiamento delle idee più radicate. Le persone dello studio citato poco fa potevano cambiare idea su argomenti non politici dove non avevano grande interesse o credenze solide (ad esempio il valore delle scoperte di Edison o Albert Einstein), ma sulle questioni politiche la cosa era molto più ostica (grafico sotto).

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    Cambiare le idee più radicate è difficilissimo (Kaplan T. J. et al., 2016)

    Quando affrontiamo seriamente un dibattito, guardiamo un documentario, leggiamo un libro o ragioniamo su un film appena visto al cinema, il nostro cervello subisce delle modificazioni strutturali. Parliamo ovviamente di cambiamenti minimi, quasi impercettibili, visibili unicamente col microscopio elettronico a scansione. Tutto ciò è garantito dalla plasticità del nostro cervello, ovvero la capacità dell’encefalo di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità in base all’attività dei propri neuroni.

    Al riguardo ci sentiamo di consigliarvi le seguenti letture:
    
    - Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione (J. Haidt)Cervello. Manuale dell'utente. Guida semplificata alla macchina più complessa del mondo (Magrini M.)
    - Flessibilità cognitiva e scelte elettorali (Le Scienze)
    Inefficacia del debunking

    Proprio a causa dei pregiudizi riportati nel precedente paragrafo il debunking, ovvero quell’insieme di attività che hanno come fine lo smascheramento di bufale (fake news) molto spesso è poco efficace. Ma come mai lo è?

    Per rispondere a questa domanda dobbiamo ricollegarci al concetto del bias di conferma. Infatti: «Nel valutare notizie e idee, la nostra mente è più attenta a riconoscersi in un gruppo di appartenenza, che rafforza la nostra identità, che non a valutare l’accuratezza delle informazioni» [2]. Inoltre, il bias di conferma va a nozze con le cosiddette bugie blu, restando in tema politico: «I bambini iniziano a dire bugie egoistiche verso i tre anni, quando scoprono che gli adulti non possono leggere i loro pensieri: non ho rubato quel giocattolo, papà ha detto che potevo, mi ha picchiato lui per primo. A circa sette anni iniziano a dire “bugie bianche” motivate da sentimenti di empatia e compassione: che bello il tuo disegno, i calzini sono un bel regalo di Natale, sei divertente.

    Le “bugie blu” appartengono a una categoria del tutto diversa: sono allo stesso tempo egoiste e vantaggiose per gli altri, ma solo se appartengono al proprio gruppo. Come spiega Kang Lee, psicologo all’Università di Toronto, queste bugie cadono a metà fra quelle “bianche” dette per altruismo e quelle “nere” di tipo egoista. “Si può dire una bugia blu contro un altro gruppo”, dice Lee, e questo rende chi la dice allo stesso tempo altruista ed egoista. “Per esempio, si può mentire su una scorrettezza commessa dalla squadra in cui giochi, che è una cosa antisociale, ma aiuta la tua squadra.”

    In uno studio del 2008 su bambini di 7, 9 e 11 anni – il primo del suo genere – Lee e colleghi hanno scoperto che i bambini diventano più propensi a raccontare e approvare le bugie blu via via che crescono. Per esempio, potendo mentire a un intervistatore sulle scorrettezze avvenuta durante la fase di selezione delle squadre in un torneo scolastico di scacchi, molti erano abbastanza disposti a farlo, e i ragazzi grandi più di quelli più giovani. I bambini che mentivano non avevano nulla da guadagnare personalmente; lo stavano facendo per la loro scuola. Questa ricerca suggerisce che le bugie nere isolano le persone, le bugie bianche le uniscono, e le bugie blu coalizzano alcune persone e ne allontanano altre. […] Questa ricerca – e queste storie – evidenziano una dura verità sulla nostra specie: siamo creature intensamente sociali, ma siamo inclini a dividerci in gruppi competitivi, in gran parte per il controllo della distribuzione delle risorse. […] “La gente perdona le bugie contro le nazioni nemiche, e dato che oggi in America molte persone vedono quelli dall’altra parte politica come nemici, possono ritenere – quando le riconoscono – che siano strumenti di guerra appropriati”, dice George Edwards, politologo alla Texas A & M e uno dei più importanti studiosi nazionali della presidenza» [3].

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    Per avviarci alla conclusione del paragrafo, questo meccanismo psicologico è direttamente collegato al concetto della post-verità (post–truth), cioè alla non importanza della veridicità di una notizia. Vera o falsa che sia, l’unico fine di quest’ultima è quello di rafforzare i pregiudizi delle persone. Ecco spiegato il perché dello scarso potere del debunking nel far cambiare idea alle persone su determinati argomenti, anche quando la fake news è lapalissiana.

    Come riporta uno noto studio italiano: «I nostri risultati mostrano che i post di debunking rimangono principalmente confinati all’interno della echo-chamber scientifica e solo pochi utenti solitamente esposti a richieste non comprovate interagiscono attivamente con le correzioni. Le informazioni di dissenso vengono principalmente ignorate e, se guardiamo al sentimento espresso dagli utenti nei loro commenti, troviamo un ambiente piuttosto negativo. Inoltre, dimostriamo che i pochi utenti della camera di congiunzione delle cospirazioni che interagiscono con i post di smascheramento manifestano una maggiore tendenza a commentare, in generale. Tuttavia, se osserviamo il loro tasso di commenti e gradimento, cioè il numero giornaliero di commenti e mi piace, scopriamo che la loro attività nella eco-chamber della cospirazione aumenta dopo l’interazione (quindi nonostante lo sbufalamento, la loro passione per i complotti aumenta, ndr).

    Pertanto, le informazioni dissenzienti online vengono ignorate. In effetti, i nostri risultati suggeriscono che le informazioni di debunking restano confinate all’interno della camera d’eco scientifico e che pochissimi utenti della camera di eco della cospirazione interagiscono con i post di debunking. Inoltre, l’interazione sembra portare ad un crescente interesse per contenuti di tipo cospirativo.

    Dal nostro punto di vista, la diffusione di contenuti fasulli è in qualche modo correlata alla crescente sfiducia delle persone rispetto alle istituzioni, al crescente livello di analfabetismo funzionale, ovvero all’incapacità di comprendere correttamente le informazioni che interessano i paesi occidentali, nonché all’effetto combinato di bias di conferma al lavoro su un enorme bacino di informazioni in cui la qualità è scarsa. Secondo queste impostazioni, le attuali campagne di debunking e le soluzioni algoritmiche non sembrano essere le migliori opzioni. I nostri risultati suggeriscono che il principale problema alla base della disinformazione è il conservatorismo piuttosto che la creduloneria» [4].

    Studi ancor più recenti, purtroppo, confermano la scarsa utilità del debunking [5].

    Qui un approccio più “filosofico” all’argomento…

    Conclusioni

    Paradossalmente capire qualche cosa di più sulle nostre vie cognitive ci ha permesso di far luce su alcuni nostri limiti fisiologici ma allo stesso tempo ci ha portato a porci altre domande, nuove paranoie.

    Del resto, come diceva il celebre fisico statunitense John Archibald: «Quando cresce l’isola della conoscenza, cresce anche la costa della nostra ignoranza».

    Se il nostro cervello cerca di essere conservativo e restio al cambiamento di certe opinioni, è completamente impossibile maturare e cambiarle? Non esiste un modo per aggirare questo blocco? E qualora ci fosse, sarebbe gestibile? Dopotutto, il restare ancorati a certe posizioni è uno stratagemma a cui ricorre la mente umana per darci stabilità, senza venire travolti dal cambiamento.

    Chi ha scritto questo articolo non ha le risposte, voi lettori nemmeno ma è proprio questo il bello della scienza (e anche della filosofia), la ricerca eterna di verità a cui probabilmente non si giungerà mai, almeno non in maniera definitiva.

    «Bisogna sempre tener presenti questi […] principi: cambiar parere se trovi qualcuno capace di correggerti, rimuovendoti da una certa opinione. Questo nuovo parere, comunque, deve sempre avere una ragione verosimile, come la giustizia o l’interesse comune, come la giustizia o l’interesse comune, ed esclusivamente tali devono essere i motivi che determinano la tua scelta, non il fatto che ti sia parsa più piacevole o tale da procurarti maggior gloria» (Marco Aurelio).

    Grazie per l’attenzione.

    yoda
    Bibliografia

    1 Kaplan T. J. et al. – Neural correlates of maintaining one’s political beliefs in the face of counterevidence (2016)
    2 Le Scienze – Perché crediamo al nostro partito politico (2018)
    3 Le Scienze – Perché le “bugie blu” non fanno perdere consensi (2017)
    4 Zollo F. et al. – Debunking in a world of tribes (2017)
    5 Heidi J Larson, David A Broniatowski – Why Debunking Misinformation Is Not Enough to Change People’s Minds About Vaccines. Am J Public Health. 2021 Jun;111(6):1058-1060.
    Magrini M. – Cervello. Manuale dell’utente (Giunti Editore, 2017)
    Haidt J.Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione (Codice Edizioni, 2014)
    Cravanzola E. – Bias cognitivi e fallace logiche: fra scienza e quotidianità (2019)
    Resnick B. – A new brain study sheds light on why it can be so hard to change someone’s political beliefs (2017)
    Le Scienze – Flessibilità cognitiva e scelte elettorali (2018)
    Il Post – Smentire le bufale è inutile? (2015)

  • Traumatologia e sport (2/3): fratture, distorsioni e infortuni muscolari

    Traumatologia e sport (2/3): fratture, distorsioni e infortuni muscolari

    Continuiamo a parlare di traumatologia sportiva con questa serie di articoli. Per chi se la fosse persa, la prima parte è visibile a questo link. Buona lettura!

    Fratture

    Per frattura si intende l’interruzione della continuità di un osso. Può essere di due tipologie: frattura traumatica (tipica degli infortuni) e frattura da stress.

    Nella frattura traumatica l’intensità della sollecitazione esterna è così elevata da superare i limiti della fisiologica resistenza ossea. Questa frattura può essere a sua volta suddivisa in quattro categorie* principali:

    • F. traumatica completa = quando l’interruzione riguarda l’intera sezione dell’osso.
    • F. traumatica incompleta = quando l’interruzione interessa solo una parte della sezione ossea.
    • F. traumatica composta = i frammenti della frattura mantengono la loro posizione anatomica.
    • F. traumatica scomposta = i frammenti della frattura risultano essere spostati.

    *a seconda dei testi di riferimento la suddivisione può avere qualche leggera variazione.

    fratture

    Invece, la frattura da stress, detta anche da fatica, è dovuta a sollecitazioni continue e ripetute nel tempo, anche se poco intense. In poche parole, le sollecitazioni, alla lunga, sbilanciano l’attività degli osteoblasti e degli osteoclasti, rendendo meno efficienti i primi e più “aggressivi” i secondi. Ne consegue un assottigliamento della porzione corticale dell’osso e la comparsa di fenomeni riguardanti l’osteoporosi (approfondimenti qui).

    Distorsioni

    La distorsione è una lesione dell’articolazione e delle strutture ad essa associate. La lesione può essere causata da movimenti troppo bruschi eseguiti lungo un normale piano di movimento o, più facilmente, su piani differenti da quelli del movimento fisiologico.

    Esistono tre tipi di distorsione: di primo, secondo e terzo grado.

    Distorsione di grado: lieve danno legamentoso, senza instabilità articolare o movimento anomalo dell’articolazione.

    Distorsione di grado: danno moderato che coinvolge più fibre legamentose e determina una leggere instabilità dell’articolazione interessata.

    Distorsione di grado: danno grave che comporta una rottura legamentosa ed una instabilità articolare piuttosto marcata.

    Infortuni muscoalri

    Gli infortuni che colpiscono i muscoli, possono essere da trauma diretto e da trauma indiretto. I primi hanno un’insorgenza acuta, gli altri, a seconda della tipologia, acuta, subacuta o cronica.

    Infortuni muscolari da trauma diretto: sono infortuni di origine meccanica provocati da una forza che agisce sul muscolo dall’esterno. Parliamo quindi di contusioni, alle volte con ferite/lacerazioni (l’insorgenza è acuta).

    A seconda dell’intensità la contusione può essere di grado lieve, moderato o severo. Lieve quando l’arco di movimento compiuto dall’arto è superiore alla metà del ROM (range of movement) standard, moderato quando il ROM è inferiore alla metà ma superiore ad 1/3 del range di movimento fisiologico. Ed infine, severo quando l’arco di movimento è inferiore ad 1/3 del totale.

    Infortuni muscolari da trauma indiretto: sono i crampi (insorgenza acuta), contrattura (ins. subacuta), stiramenti (ins. acuta), strappi (ins. acuta), DOMS (ins. subacuta) e l’intolleranza all’allenamento (ins. cronica).

    Vediamoli ora nel dettaglio…

    • Crampo: contrazione muscolare involontarie e dolorosa. E’ la conseguenza di uno stato di affaticamento transitorio che si risolve sempre spontaneamente. Le cause principali sono gli squilibri idro-elettrici e la scarsa efficienza del sistema energetico nella risintesi dell’ATP (in quest’ultimo caso vi è una repentina diminuzione delle riserve di glicogeno muscolare).
    • Contrattura: dolore muscolare che insorge a qualche ora di distanza dalla cessazione di uno sforzo fisico. Si manifesta uno stato di affaticamento localizzato ed una alterazione del tono muscolare. Tuttavia, nelle contratture non ci sono delle lesioni anatomiche evidenti.
    • Stiramento: conseguenza di un episodio doloroso, acuto, durante lo svolgimento di attività fisica che costringe l’atleta colpito ad interrompere forzatamente l’allenamento o la sua gara. Il muscolo stirato presenta un’ipertonia ed il dolore provato dal soggetto infortunato non passa in tempi brevi (discorso diverso dal crampo).
    • Strappo: si manifesta con dolore acuto e intenso che compare durante lo svolgimento di attività fisica. Questo dolore deriva dalla lacerazione di un numero variabile di fibre muscolari con conseguente stravaso ematico, più o meno evidente a seconda dell’entità della lacerazione e della sua localizzazione. A seconda della gravità, lo strappo può essere classificato secondo gradi (tre). Di grado quando l’impotenza funzionale è minima (58% dei casi), di quando è importante (39% dei casi) e di quando è totale (3% dei casi).
    • DOMS (delayed onset muscle soreness): micro-lacerazioni a livello muscolare, derivanti soprattutto da contrazioni eccentriche. Dolori e fastidi compaiono a entro 24 h dal termine dell’allenamento e persistono per 48-72 ore (o poco più) per poi sparire. Entro un tempo massimo di 7-10 giorni il processo di riparazione delle fibre muscolari termina.
    • Intolleranza all’allenamento: patologia derivante dall’accumulo cronico (anni) di grandi volumi allenanti inerenti l’attività aerobica. I sintomi tipici sono il mancato recupero dei DOMS (l’organismo fatica a riparare le micro-lacerazioni), il peggioramento della performance e le alterazioni ultrastrutturali delle fibre muscolari.
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    Nella tabella riportata sopra – presa da “Gli infortuni muscolari dello sportivo” di G. S. Roi (modificata da Parodi G.) – potete osservare un riassunto delle caratteristiche degli infortuni muscolari da trauma indiretto. Ulteriori approfondimenti li potete trovare a questo link.

    Fine del secondo articolo. La terza ed ultima parte è presente qui!

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Parodi G. – Medicina dello sport (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2016/2017)
    Roi G. S. – Gli infortuni muscolari dello sportivo (2008)
    Cravanzola E. – DOMS: cosa sono e tecniche per ridurli (2017)

  • Genetica e predisposizione agli infortuni

    Genetica e predisposizione agli infortuni

    Oltre alla miriade di cose in cui interviene la genetica, nel bene e nel male, essa è in grado di influenzare anche la struttura legamentosa e tendinea del corpo, aumentando o diminuendo così la predisposizione agli infortuni.

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    Cenni di fisiologia articolare

    Prima di passare a piatto caldo, è necessario partire dalle basi. Le ossa dello scheletro (lunghe, corte, irregolari, piatte) si uniscono tra di loro attraverso articolazioni, o per continuità o per contiguità.

    Le articolazioni continue prendono il nome di sinartrosi dove la continuità è caratterizzata dalla interposizione di un tessuto cartilagineo fibroso (sono la maggioranza delle articolazioni). Quelle per contiguità invece, prendono il nome di diartrosi, o giunture sinoviali, e sono formate da due capi articolari, una capsula articolare ed una cavità articolare. I capi articolari sono rivestiti da uno strato di cartilagine (più frequentemente ialina che fibrosa), di spessore variabile da 0,2 a 0,5 mm, che conferisce quella caratteristica d superficie liscia. La capsula articolare, lassa oppure tesa, è strutturata all’interno con due strati di membrana sinoviale e all’esterno con una membrana fibrosa. Nella membrana sinoviale prendono posto anche strutture nervose e vasi sanguigni. La cavità articolare infine, è uno spazio a forma di fessura contenente il liquido sinoviale che, oltre ad avere la capacità di lubrificare l’articolazione, nutre la cartilagine articolare.

    Le articolazioni si compongono inoltre di: legamenti (di rinforzo, conduzione ed arresto), borse e guaine articolari, dischi e menischi articolari, labbra articolari.

    Le articolazioni sono soggette ad usura a causa della degenerazione cartilaginea che si verifica per una non appropriata non capillarizzazione che, nel tempo, favorisce la perdita di plasticità propria della cartilagini, producendo patologie artrosiche degenerative.

    Ulteriori approfondimenti:
    - Il tessuto osseo
    - Articolazioni: le basi da conoscere
    - L'abc della genetica
    - Traumatologia e sport (1/3): infortuni, tessuti, entità delle lesioni e statistiche
    Cosa c’entra la genetica?

    Come sottolineato da Collins M. e Raeligh S., gli sforzi eccessivi che portano a lesioni dei tessuti molli del sistema muscolo-scheletrico, derivanti da lavori usuranti o attività fisica, sono influenzate dalla genetica individuale. In special modo quelle al tendine d’Achille (caviglia), alla cuffia dei rotatori (spalla) ed ai legamenti crociati (ginocchia). Le varianti di sequenza all’interno dei geni che codificano le diverse proteine ​​di matrice extracellulare dei tendini e/o dei legamenti sono state associate a specifici infortuni di specifiche zone dei tessuti. Per esempio le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C (TNC), COL5A1 ed Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3) sono state collegate alle tendinopatie del tendine d’Achille. Entrando un po’ più nel dettaglio, le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C sono state associate sia alle tendinopatie che alle rotture del tendine d’Achille. mentre le varianti del COL5A1 e COL1A1, geni che forniscono le istruzioni genetiche per realizzare le componenti del collagene di tipo I e V, sono state correlate ad infortuni al legamento crociato posteriore.

    Tuttavia, gli stessi ricercatori specificano che è difficile capire in che misura questi fattori genetici possano influenzare gli infortuni, aggiungendo che in futuro potranno essere fatti dei programmi riabilitativi personalizzati proprio sulla base di queste informazioni legate ai geni [1].

    Una meta-analisi del 2015, quindi alto impatto statistico, ha raccolto i dati provenienti da studi pubblicati in letteratura scientifica fra il 1984 ed il 2014 (trent’anni precisi). I ricercatori – Longo U. G. et al. – hanno confermato tutto ciò che avevano dedotto Collins e Raeligh nel 2009, aggiungendo che, oltre alla genetica, contano ovviamente diversi altri fattori, in primis lo stile di vita [2].

    Più di un decennio fa, September A. V. e coll. in una review avevano parlato del ruolo della genetica negli infortuni. Dicendo però che mentre per le problematiche al crociato posteriore e al tendine d’Achille vi sono delle sequenze genomiche “incriminate”, per il crociato anteriore e la cuffia dei rotatori no. Per queste ultime due sono necessari più studi e più dati [3,4].

    Conclusioni

    Come già accennato, molte cose devono ancora essere scoperte, al giorno d’oggi sappiamo che la salute di alcuni tendini e legamenti è fortemente influenzata dalla genetica, quindi dai caratteri ereditari non modificabili. Sta alla scienza scoprire quali altri lo sono e come può essere individualizzato un programma di allenamento e di riabilitazione, in modo minimizzare il rischio infortuni e recuperare l’efficienza articolare al meglio possibile.

    Ma accantonando un attimo tutte queste nozioni teoriche, essere attivi fisicamente è il miglior modo per preservare una buona salute articolare, in modo da prevenire l’osteoporosi ed evitare posture errate. Per quanto riguarda invece gli sportivi, un buon riscaldamento e una corretta esecuzione tecnica degli esercizi (con i sovraccarichi ed a corpo libero) rimangono le cose migliori da fare per evitare infortuni, le uniche, visto che di integratori con una reale efficacia non ce ne sono (la glucosamina non fa eccezione).

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Weineck J. – Biologia dello sport (Calzetti Mariucci, 2013)
    Pruna R. et al. – Influence of Genetics on Sports Injuries (2017)
    September A. V. et al. – Application of genomics in the prevention, treatment and management of Achilles tendinopathy and anterior cruciate ligament ruptures (2012)
    1 Collins M. et al. – Genetic risk factors for musculoskeletal soft tissue injuries (2009)
    2 Longo U. G. et al. – Unravelling the genetic susceptibility to develop ligament and tendon injuries (2015)
    3 September A. V. et al. – Tendon and ligament injuries: the genetic component (2007)
    4 Orth T. et al. – Current concepts on the genetic factors in rotator cuff pathology and future implication for sports physical therapists (2017)

  • Traumatologia e sport (1/3): Infortuni, tessuti, entità delle lesioni e statistiche

    Traumatologia e sport (1/3): Infortuni, tessuti, entità delle lesioni e statistiche

    Vi servono informazioni circa la traumatologia dello sport? Questa breve serie di articoli allora può fare per voi!

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    Buona lettura.

    Cos’è un infortunio?

    Un infortunio, in senso medico-sportivo, è un evento che si verifica quando l’atleta è impegnato nell’attività sportiva e subisce un qualsiasi danno alla propria struttura corporea. Per essere un vero e proprio infortunio, questo danno dev’essere tale da influire, negativamente, sulla frequenza o intensità di allenamento (o di partecipazione all’attività sportiva).

    (altro…)
  • Bias cognitivi e fallacie logiche: fra scienza e quotidianità

    Bias cognitivi e fallacie logiche: fra scienza e quotidianità

    Vi siete mai chiesti quali sono i processi che stanno dietro alla selezione delle fonti quando dobbiamo informarci su un determinato argomento? Come mai noi tendiamo a propendere per un articolo piuttosto che un altro? In che modo possono influenzarci i pregiudizi?

    Se la risposta è negativa, questo è l’articolo che fa per voi!

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    A differenza di quel che si potrebbe pensare in un primo momento, l’argomento di questo articolo è perfettamente attinente all’ambiente del benessere e dello sport, anzi, lo è a tutti gli aspetti dell’esistenza umana.

    Definizione

    I bias cognitivi sono costrutti basati su percezioni errate della realtà e/o pregiudizi che di frequente possono portare le persone a fare affermazioni e pensieri errati su i più svariati argomenti. Invece, le fallacie logiche (o sofismi) sono errori nascosti nel ragionamento che comportano la violazione delle regole di un confronto argomentativo corretto.

    E’ tutt’altro che raro – soprattutto su internet – quando i commenti sono espressi in maniera civile, vedere utenti consapevoli di essere di parte o pieni di pregiudizi circa un determinato tema, principiare una discussione con frasi del tipo: «Premetto che riguardo all’argomento x ho i miei bias, …».

    Quanti tipi di bias esistono?

    Esistono svariate decine di bias cognitivi. Qui di seguito ne elencheremo i principali:

    • bias di conferma: qualunque nuova informazione conferma le nostre convinzioni precedenti, confutando quelle opposte. Questo è in assoluto uno dei pregiudizi più comuni, è infatti fortemente legato alle posizioni religiose e politiche: «Nel valutare notizie e idee, la nostra mente è più attenta a riconoscersi in un gruppo di appartenenza, che rafforza la nostra identità, che non a valutare l’accuratezza delle informazioni» [1]. Inoltre, il bias di conferma va a nozze con le cosiddette bugie blu, restando in tema politico: «I bambini iniziano a dire bugie egoistiche verso i tre anni, quando scoprono che gli adulti non possono leggere i loro pensieri: non ho rubato quel giocattolo, papà ha detto che potevo, mi ha picchiato lui per primo. A circa sette anni iniziano a dire “bugie bianche” motivate da sentimenti di empatia e compassione: che bello il tuo disegno, i calzini sono un bel regalo di Natale, sei divertente.
      Le “bugie blu” appartengono a una categoria del tutto diversa: sono allo stesso tempo egoiste e vantaggiose per gli altri, ma solo se appartengono al proprio gruppo. Come spiega Kang Lee, psicologo all’Università di Toronto, queste bugie cadono a metà fra quelle “bianche” dette per altruismo e quelle “nere” di tipo egoista. “Si può dire una bugia blu contro un altro gruppo”, dice Lee, e questo rende chi la dice allo stesso tempo altruista ed egoista. “Per esempio, si può mentire su una scorrettezza commessa dalla squadra in cui giochi, che è una cosa antisociale, ma aiuta la tua squadra.”
      In uno studio del 2008 su bambini di 7, 9 e 11 anni – il primo del suo genere – Lee e colleghi hanno scoperto che i bambini diventano più propensi a raccontare e approvare le bugie blu via via che crescono. Per esempio, potendo mentire a un intervistatore sulle scorrettezze avvenuta durante la fase di selezione delle squadre in un torneo scolastico di scacchi, molti erano abbastanza disposti a farlo, e i ragazzi grandi più di quelli più giovani. I bambini che mentivano non avevano nulla da guadagnare personalmente; lo stavano facendo per la loro scuola. Questa ricerca suggerisce che le bugie nere isolano le persone, le bugie bianche le uniscono, e le bugie blu coalizzano alcune persone e ne allontanano altre. […] Questa ricerca – e queste storie – evidenziano una dura verità sulla nostra specie: siamo creature intensamente sociali, ma siamo inclini a dividerci in gruppi competitivi, in gran parte per il controllo della distribuzione delle risorse. […] “La gente perdona le bugie contro le nazioni nemiche, e dato che oggi in America molte persone vedono quelli dall’altra parte politica come nemici, possono ritenere – quando le riconoscono – che siano strumenti di guerra appropriati”, dice George Edwards, politologo alla Texas A & M e uno dei più importanti studiosi nazionali della presidenza» [2]. Per concludere, questo meccanismo psicologico è direttamente collegato al concetto della post-verità (posttruth), cioè alla non importanza della veridicità di una notizia. Vera o falsa che sia, l’unico fine di quest’ultima è quello di rafforzare i pregiudizi delle persone, è anche per questo motivo che il Debunking (sbufalamento) spesso e volentieri risulta essere inefficace [3]. Circa quest’ultimo punto, un dato teoricamente dovrebbe correggere una nostra errata convinzione, in realtà – paradossalmente – rischia di radicalizzare ulteriormente la stessa (backfire effect). Contestando un’affermazione vi è la possibilità che questa si pianti ancor più a fondo nel cervello (transparency of denial).
    • Bias di gruppo: bias che ci porta a sopravvalutare le capacità ed il valore del nostro gruppo di appartenenza, attribuendo perentoriamente alla sfortuna gli eventi negativi e al talento quelli positivi (basti pensare alle vittorie e sconfitte nello sport).
    • Bias d’autorità: detto ache principio d’autorità, porta le persone a credere per filo e per segno a tutto ciò che asserisce chi è in possesso di una laurea od un ottimo curriculum, anche se magari questo fantomatico esperto esce dalla sua sfera di competenze. Per la scienza i dati e gli studi contano più delle opinioni dei singoli individui, laureati o meno che siano. Ne aveva parlato bene il chimico e ricercatore Dario Bressanini nel suo articolo: Il potere mediatico del camice bianco.
    • Bias della negatività: tendenza a focalizzarsi principalmente sugli avvenimenti negativi, ignorando – almeno parzialmente – quelli positivi. Ciò può portare a sminuire se stessi e ad essere stressati.
    • Bias dell’ottimismo: l’optimis bias è molto più diffuso di quel che si potrebbe pensare e consiste nel vedere il proprio futuro in maniera molto più rosea di ciò che ci suggerirebbe la razionalità. Questo è una specie di trucco che mette in atto la nostra mente per ricercare serenità in periodi difficili.
    • Bias di ancoraggio: la prima informazione recepita diventa il capo saldo, l’ancora, del ragionamento successivo. Su di esso fanno leva tutte le persone che vogliono vendere qualcosa: si parte da un prezzo X e dopo si propongono prezzi un po’ più bassi che al confronto del prezzo iniziale (X) sembrano veramente convenienti.
    • Effetto carovana: rappresenta la tendenza a credere in qualcosa solo perché molte altre persone ci credono (i fedeli di Jim Jones ne sapevano qualcosa…).
    • Media bias: questo bias colpisce diversi giornalisti e fabbricatori di notizie. Riguarda la selezione delle notizie, delle storie ed il modo in cui esse vengono riportate.
    • Bias dello status quo: il cambiamento spaventa? Allora si tenta, anche inconsciamente, di prendere le decisioni più facili, quelle che lasciano le cose così come stanno.
    • Bias del presente: questo bias ci fa prendere delle decisioni che hanno il fine di gratificarci sul momento, in acuto, non valutando la bontà delle nostre scelte sul lungo periodo. Ciò si riflette soprattutto sui nostri acquisti e sul cibo che mangiamo (ruolo edonistico dell’alimentazione).
    • Bias d’azione: le persone sono portate ad agire anche quando intervenire porta a più svantaggi che altro.
    • Bias di omissione: al contrario di prima, le persone non agiscono anche se sarebbe logico farlo, probabilmente perché timorose di eseguire una azione (errata) e successivamente rimpiangerla. Venne osservato ciò durante le vaccinazioni che avevano lo scopo di contrastare un’epidemia (maggiori approfondimenti qui).
    • Bias di proiezione: percezione distolta della realtà. Riteniamo di pensare e vedere le cose sempre nella maniera giusta e ci sembra che anche le altre persone la pensino come noi (falso consenso).
    • Bias conservativo: ogni novità viene vista con grande sospetto e sottovalutata rispetto alle precedenti convinzioni.
    • Illusione della trasparenza: illusione di conoscere e percepire con estrema precisione lo stato mentale ed i pensieri di un’altra persona.
    • Effetto alone: la percezione di alcuni tratti è fortemente influenzata da altre caratteristiche dell’individuo che non hanno niente a che fare con i primi. Ne è un esempio il fatto che alcune persone tendano a considerare come intelligente un uomo solo perché elegante e di bell’aspetto.
    • Effetto alone inverso: il contrario di prima. Se un individuo od un oggetto ha una caratteristica negativa, allora anche gli altri tratti vengono percepiti come tali.
    • Ottimismo retrospettivo: visione distorta del passato, che ci porta a considerare e vedere in modo diverso (e migliore) gli avvenimenti che lo riguardano. Questo bias cognitivo è simile alla nostalgia, tuttavia quest’ultima non implica necessariamente una visione falsata. Ergo, si può essere nostalgici senza sopravvalutare a tutti i costi il passato. L’ottimismo retrospettivo è fortemente legato al declinismo, cioè quel bias che ci porta a pensare che tutto vada peggio rispetto ad una volta, anche quando oggettivamente non è così (Eh, ai miei tempi…).
    • Effetto novità: le nuove informazioni, specialmente se bizzarre e divertenti, vengono memorizzate meglio avendo una priorità nei meccanismo cognitivi della mente umana. Al contrario, le informazioni meno insolite – più “normali” – non vengono viste come prioritarie.
    • Bias dello scommettitore: errata percezione delle probabilità matematiche. Se alla tombola sono stati estratti di seguito quattro numeri pari, il quinto, seguendo questa (errata) logica, sarà molto probabilmente un numero dispari. Nulla di più sbagliato, le probabilità sono sempre 50 e 50.
    • Bias dell’angolo cieco: si manifesta nel momento in cui si ha la sensazione che le persone che ci stanno intorno vengano condizionate dai bias molto di più rispetto a noi.

    La cosa peggiore è che noi il più delle volte siamo corrotti da bias e prendiamo decisioni sbagliate senza nemmeno rendercene conto…

    Fallacie logiche
    • Argumentum ad hominem: durante una discussione vengono messe da parte le argomentazioni ed i contenuti per concentrarsi su degli attacchi alla persona.
    • Cherry Picking: il cherry picking è una tattica argomentativa, talvolta involontaria, che consiste nel rafforzare una tesi con l’ausilio di argomentazioni o prove ad essa favorevoli, escludendo a priori tutte quelle sfavorevoli, che pertanto la confuterebbero.
    • Argumentum ad ignorantiam: “l’assenza di evidenza non è essa stessa un’evidenza“, ma non lo sa chi cade, o ricorre, a questa fallacia logica. Se ad esempio non può essere provata la non esistenza di qualcosa (fantasmi, mostri vari, extraterrestri) ciò non sta a significare che quel qualcosa esista per forza.
    • Fallacia della brutta china: partendo da una determinata tesi si ipotizza  l’accadere di una sequenza di conseguenze (spesso gravi). Il più delle volte queste conseguenze vengono viste come pressoché inevitabili. Ad esempio, se si parte a bere una birra, di lì a poco si diventa alcolizzati. E se si prova uno spinello, sicuramente si passerà poi all’eroina.
    • Petitio principii: fallacia logica in cui si incappa quando la conclusione di un ragionamento conferma la premessa iniziale dello stesso. “Stephen King è un grande scrittore? Allora il suo ultimo romanzo è un gran bel libro!“.
    • Post hoc ergo propter hoc: tradotto letteralmente come “dopo di questo, quindi a causa di questo“, consiste nel ricondurre (con causalità) un avvenimento a ciò che è avvenuto subito prima. “Abbiamo pregato per ore ed il Signor Rossi si è risvegliato dal coma? Allora il Signor Rossi è stato salvato dalle nostre preghiere!” ma ovviamente un eventuale nesso temporale non sta necessariamente ad indicare un rapporto causa-effetto (anzi, spesso non è così).

    Altre considerazioni

    Non sempre è facile accorgersi degli errori insiti nelle proprie logiche argomentative e rivedere le proprie posizioni. Pensiamo ad esempio alla politica: quanto è piacevole discutere con persone del nostro medesimo orientamento politico – che quindi confermano le nostre posizioni di pensiero – e quanto è sgradevole, alle volte perfino irritante, farlo con chi ha idee molto diverse dalle nostre, magari diametralmente opposte o moralmente inaccettabili?

    Quando affrontiamo seriamente un dibattito, guardiamo un documentario, leggiamo un libro o ragioniamo su un film appena visto al cinema, il nostro cervello subisce delle modificazioni strutturali. Parliamo ovviamente di cambiamenti minimi, quasi impercettibili, visibili unicamente col microscopio elettronico a scansione. Tutto ciò è garantito dalla plasticità del nostro cervello.

    Al riguardo ci sentiamo di consigliarvi le seguenti letture:
    
    - Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione (J. Haidt)Cervello. Manuale dell'utente. Guida semplificata alla macchina più complessa del mondo (Magrini M.)
    - L'importanza dei romanzi per l'empatia e lo sviluppo sociale (Le Scienze)
    Bias e ricerca scientifica

    Nessuno è immune ai bias, ci mancherebbe altro. Ma la stessa ricerca scientifica è “livellata” per far sì che certi tipi di studi (i più attendibili) siano, per quanto possibile, esenti dai bias dei pazienti e degli stessi ricercatori.

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    Per esempio, i trial clinici (studi sperimentali) per contrastare pregiudizi e convinzioni personali di pazienti e ricercatori possono essere di 3-4 differenti tipologie:

    • Randomizzati: i soggetti sono stati inseriti in maniera del tutto casuale all’interno di uno dei gruppi di studio (gruppo che riceve il trattamento o gruppo placebo).
    • Cieco: i soggetti dell’esperimento non sanno quale trattamento ricevano.
    • Doppio cieco: nemmeno i ricercatori sanno qual è il trattamento somministrato a ciascuno dei soggetti dell’esperimento.
    • Triplo cieco: se oltre ai ricercatori e ai pazienti vi sono degli esaminatori esterni, anche questi non sono a conoscenza della natura della somministrazione del trattamento (placebo oppure no) a cui vanno incontro i pazienti.

    Senza questi “trucchi”, la ricerca scientifica non progredirebbe da secoli.

    Qui un video di Dario Bressanini molto interessante inerente la “Sindrome da Premio Nobel”, che riprende un po’ il discorso sul principio d’autorità di cui abbiamo trattato prima.

    Per ulteriori approfondimenti vi consigliamo le seguenti letture:
    - Invito alla ricerca. Metodologia e tecniche del lavoro scientifico (García J. M.)
    - Capire gli studi scientifici, mini-guida (E. Cravanzola)
    Conclusioni

    Bias, fallacie e modi di pensare, come già detto, il più delle volte sfuggono al nostro controllo ed alla nostra volontà. Difficilmente riconoscibili per i diretti interessati, è come se rientrassero nell’imponderabile. Sappiamo che ci sono e ci possiamo fare poco, indipendentemente di nostri sforzi.

    Dato che tutto ciò è connaturato alla mente umana, non vi è una soluzione, un antidoto, un vaccino. Pesare le proprie parole, mettersi in discussione, non sentirsi sempre e comunque superiori alle altre persone è forse un buon modo per limitare l’influenza dei bias nella quotidianità ma il raggiungimento di una sorta di immunità è impossibile. In fondo, anche la sensazione di essere inscalfibili dai bias è data da un pregiudizio bello e buono (bias dell’angolo cieco).

    Grazie per l’attenzione.



    Referenze

    Magrini M. – Cervello. Manuale dell’utente (2017)

    Bias ed euristiche: cosa sono e quali sono i più frequenti (link)

    Bressanini D. – Il potere mediatico del camice bianco (2016)

    Di Schiena R. et al. – Bias di omissione: Un contributo al dibattito attraverso la proposta di un test empirico (2007)

    Silverman C. – Lies, Damn Lies and Viral Content (2015)

    [1] Le Scienze – Perché crediamo al nostro partito politico (2018)

    [2] Le Scienze – Perché le “bugie blu” non fanno perdere consensi (2017)

    [3] Zollo F. et al. – Debunking in a world of tribes (2017)

  • Morte improvvisa da sport: come, quando e perché

    Morte improvvisa da sport: come, quando e perché

    Si chiama morte improvvisa da sport, abbreviata con MIS ed esiste veramente. Ora, senza farci prendere dal becero sensazionalismo, vediamo in cosa consiste.

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    Cos’è la MIS?

    La morte improvvisa da sport è una morte che avviene entro un’ora dall’inizio dei sintomi acuti, in coincidenza temporale con l’attività sportiva ed in assenza di cause esterne atte di per sé a provocarla.

    (altro…)
  • Integrazione di caffeina per gli sport da combattimento e le arti marziali

    Integrazione di caffeina per gli sport da combattimento e le arti marziali

    Come già accennato in passato (qui), la caffeina per tutta una serie di motivi risulta essere utile agli sportivi, compresi i praticanti di sport da combattimento e arti marziali. Ora, cercheremo di soffermarci sui suoi benefici per i fighters.

    Buona lettura!

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    Cos’è la caffeina?

    La caffeina è una trimeltixantina, alcaloide naturale presente in alcune piante (caffè, cacao, matè, ecc.). Questa sostanza è una stimolante del sistema nervoso centrale (SNC) ed è  (altro…)