La cellula è la più piccola unita di ogni organismo in grado di produrre vita. Nell’uomo, la grandezza di una cellula può variare da 5 a 200 micron e la durata della sua vita é variabile. Alcune cellule come ad esempio quelle bianche che rappresentano la stragrande maggioranza dell’adipe (altro…)
Categoria: Biologia dello sport
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Deallenamento: cosa, quando e perché
Un termine che non cade mai in disuso è indubbiamente quello che avete appena letto nel titolo di questo articolo, il deallenamento.

Il deallenamento è stato trattato ed approfondito in un episodio del nostro Podcast ascoltabile (e scaricabile) gratuitamente al seguente link. Cos’è?
Per deallenamento (detraining) si intende la perdita, più o meno marcata, di tutti quegli adattamenti fisiologici che l’organismo aveva avuto tramite l’allenamento fisico. Da quelli (altro…)
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DOMS: cosa sono e tecniche per ridurli
Sicuramente vi sarà capitato almeno una volta di provare dolore ai muscoli dopo qualche sforzo fisico. Bene, quel dolore non è altro che del DOMS, ovvero: indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata. Scopriamo insieme di cosa si tratta!

Cenni di fisiologia
In passato si ipotizzava che i DOMS (delayed onset muscle soreness) derivassero dall’accumulo di acido lattico, negli anni a venire è però stato dimostrato che l’acido lattico e gli scarti metabolici non c’entravano, almeno non sui dolori ad insorgenza ritardata. Si tratta infatti, secondo le teorie più accreditate, di micro-lacerazioni a livello muscolare derivanti soprattutto da contrazioni eccentriche [1,2,3].

Certi studiosi suggeriscono che alcuni radicali liberi (ROS) possano concorrere nella formazione dei DOMS [4], altri che interferiscano fattori metabolici e neurologici [5,6]. Ma date le scarse prove, quella del danno muscolare rimane comunque la teoria più attendibile.
L’indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata fa perdere forza alla contrazione muscolare. Secondo Warren e colleghi [7] questo è imputabile a tre macro-fattori: il danno al tessuto muscolare, una disfunzione nell’ambito del processo di accoppiamento eccitazione-contrazione ed una perdita delle proteine contrattili (il tutto è illustrato nella figura a sinistra).
Post allenamento
- I DOMS insorgono a 8-12h dal termine dell’allenamento
- Si acutizzano a 24-48h dal termine dell’allenamento
- Diminuiscono a 48-72h dal termine dell’allenamento
- Scompaiono a 72-120 ore dal termine dell’allenamento
Le cifre riportate sopra, ovviamente, sono molto indicative.
Se i DOMS sono particolarmente lievi, non è necessario rimandare gli allenamenti, un buon riscaldamento può far cessare l’indolenzimento.

Risposta tardiva all’esercizio fisico di diversi indici fisiologici (la densità di colore della barra corrisponde all’intensità della risposta nel tempo indicato) [8] Tecniche per ridurli
Alcuni modi per ridurre i DOMS sono i seguenti:
- Iniziare un nuovo programma/scheda di allenamento con un’intensità moderata, alzandola piano piano nel corso delle settimane
- Eseguire immersioni in acqua fredda (temperatura di 8-15° C per 11-15 minuti di bagno). Maggiori informazioni le trovate in questo articolo.
- Stretching
- Assunzione di una buona quota giornaliera di proteine
- Prendere della caffeina tramite caffè o compresse. Si è vista infatti una correlazione fra il calo del dolore muscolare e l’assunzione di questa sostanza eccitante [9].

Caffeina e riduzione dei DOMS (Hurley C. F. et al., 2013) Conclusioni
L’indolenzimento muscolare, acuto e ad insorgenza ritardata, è un evento assolutamente fisiologico. Tenere “a bada” i DOMS non è di fondamentale importanza per chi si allena in palestra, magari con schede full-body, 2-3 volte a settimana o per chi pratica sport a livello dilettantistico con una frequenza moderata. Tuttavia, per gli sportivi professionisti, o per gli agonisti che puntano a competere ad alti livelli, tenere a bada i DOMS è spesso di aiuto per limitare i dolori e non sfociare nell’overtraining.
Grazie per l’attenzione.
Bibliografia
Wilmore H. J., Costill L. D. – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Calzetti Mariucci, 2005)
1 Stone M. H. et al. – A hypothetical model for strength training (1981)
2 Schwane J. A. et al. – Delayed-onset muscular soreness and plasma CPK and LDH activities after downhill running (1983)
3 Schwane J. A. et al. – Is Lactic Acid Related to Delayed-Onset Muscle Soreness? (1983)
4 Close G. L. et al. – Eccentric exercise, isokinetic muscle torque and delayed onset muscle soreness: the role of reactive oxygen species (2004)
5 Malm C. et al. – Leukocytes, cytokines, growth factors and hormones in human skeletal muscle and blood after uphill or downhill running (2004)
6 Ayles S. et al. – Vibration-induced afferent activity augments delayed onset muscle allodynia (2011)
7 Warren G. L. et al. – Excitation-contraction uncoupling: major role in contraction-induced muscle injury (2001)
8 Evans W. J. et al. – The metabolic effects of exercise-induced muscle damage (1991)
9 Hurley C. F. et al. – The effect of caffeine ingestion on delayed onset muscle soreness (2013) -

I massaggi per il recupero fisico
I massaggi sono veramente utili per il recupero fisico? Scopriamolo insieme!

Concetti basilari
Se utilizzato nella maniera più opportuna, il massaggio può favorire recupero fisico e performance. Le tecniche manuali che si utilizzano nel massaggio sportivo sono lo (altro…)
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Ritmo scapolo-omerale: definizione ed utilità in palestra
Come da titolo, in questo articolo parleremo del ritmo scapolo-omerale. Un meccanismo forse sconosciuto ai più ma che riveste una certa importanza, anche in ambito pratico, se si sollevano pesi o si compiono sforzi con gli arti superiori. Buona lettura!

Cenni di fisiologia articolare
La spalla è l’articolazione più mobile del corpo umano. Permette movimenti sui tre assi principali (asse trasversale, antero-posteriore, verticale).
- Asse trasversale (piano frontale): permette movimenti di flesso-estensione sul piano eseguiti in un piano sagittale (fig. 1.a)
- Asse antero-posteriore: è contenuto nel piano sagittale. Permette movimenti di abduzione degli arti superiori (l’arto superiore si allontana dal piano si simmetria del corpo) e di adduzione (l’arto superiore si avvicina al piano si simmetria del corpo) eseguiti in un piano frontale (fig. 2.b)
- Asse verticale: determinato dell’inserzione del piano sagittale con quello frontale. Permette movimenti di flessione ed estensione eseguiti sul piano orizzontale, tenendo il braccio in abduzione a 90° gradi.
Altri movimenti della spalla e del braccio sono illustrati nella foto sotto

Ma ora veniamo a noi, il ritmo scapolo-omerale non è altro che il movimento contemporaneo di scapola ed omero. Durante l’elevazione della spalla, a seconda del grado di abduzione della scapola e dell’omero, lavoreranno più alcuni muscoli rispetto ad altri. Tutto ciò, ovviamente, è applicabile nello sport come in palestra. Alcuni gesti/esercizi interesseranno determinati distretti muscolari ed altri no.

Movimento combinato di scapola ed omero durante una abduzione Uno degli studi più quotati in fisiologia articolare [1] evidenzia come nei primi 80° di abduzione degli arti superiori, quindi con le braccia quasi parallele al suolo, il ritmo scapolo-omerale si concentri sull’omero, dando maggior lavoro al deltoide (rapporto scapola-omero di circa 1:3)*. Invece, dagli 80° ai 140°, inizia a “lavorare” di più la scapola, pertanto c’è una maggior attivazione degli elevatori scapolari (trapezio superiore), con un rapporto scapola-omero indicativamente di 1:2. Infine, oltre i 140 gradi aumenta sempre di più l’attivazione degli elevatori della scapola (trapezio superiore, muscolo elevatore della scapole, piccolo romboide e grande romboide), sottraendo così lavoro al deltoide (rapporto 1:1).
*a seconda dei testi possiamo trovare delle cifre un po’ differenti ma comunque sempre vicine al range dei 70-90°.
Ricapitolando…
- 0-80° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:3
- 80-140° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:2
- 140-170° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:1
80° 140° 170° Applicazioni pratiche
Per rendere più concrete tutte queste informazioni, ci basta pensare a quali esercizi prevedono una abduzione delle braccia (figura sopra). Gli esercizi più comuni che includono quel movimento sono le alzate laterali con manubri, le tirate al mento (o al petto) e le distensioni sopra la testa (military press).

Alzate laterali: consistono nell’impugnare un manubrio e, partendo dai fianchi, portarlo all’altezza della base del collo, anche se non è raro vedere della varianti che prevedono un range di movimento più ampio (oppure ridotto). Ragionando su quanto detto prima, possiamo arrivare a concludere che portare le braccia a parallele al suolo come in figura sia effettivamente la scelta più corretta a livello biomeccanico. Andando oltre i 90° di abduzione delle braccia, i deltoidi inizierebbero via via a lavorare meno, quindi se l’intento è quello di allenare i muscoli della spalla e non gli elevatori delle scapole, terminare la fase concentrica dell’alzata una volta raggiunti i 90° di abduzione è una cosa più che sensata.

Tirate al mento/petto: questo esercizio per comodità si esegue quasi sempre con il bilanciere. Si parte con le braccia completamente distese, vicino alla vita, e si compie un piegamento degli arti superiori, portando il bilanciere al petto o in prossimità del mento. La versione dell’esercizio da preferire è quella che prevede la fine del sollevamento all’altezza del petto, perché il grado di abduzione degli arti superiori è sufficiente a garantire una marcata attività del deltoide, limitando l’intra-rotazione dell’omero (figura sotto) e quindi il rischio di impingement (che è statisticamente più alto nei soggetti che eseguono molto di frequente le tirate al mento) [2]. Questa problematica infatti si verifica oltre i 70-90° gradi di abduzione dell’omero [3], per questo motivo è consigliabile fermare l’alzata prima che il bilanciere raggiunga il mento, facendo arrivare i gomiti poco sotto l’altezza delle spalle.

Con omero intra-rotato (fig. sopra), il capo laterale del deltoide tende a prevalere su quello anteriore, l’esatto contrario avviene invece con l’extra-rotazione [4,5,6].
Distensioni sopra la testa (lento avanti): consistono nel sollevamento di un carico sopra la testa (manubri, bilanciere, kettlebell). Da in piedi, o seduti su panca, partendo con il peso all’altezza del mento (gomito parallelo al corpo), si esegue una spinta verso l’alto, gli arti superiori si distendono e poi si piegano per tornare al punto di partenza.

L’omero compie tutto il suo percorso in una abduzione laterale. E’ da evidenziare inoltre l’intervento del tricipite in fase di spinta che ricordiamo essere l’estensore del gomito (ne avevamo già parlato qui). Pertanto, grazie al coinvolgimento di molti muscoli, questo è indubbiamente l’esercizio per le spalle in cui si può esprimere una maggior forza, sollevando più peso. In termini di ipertrofia, questo si traduce in un maggior stimolo meccanico, elemento base della crescita muscolare. E’ proprio per questo motivo che nelle distensioni sopra la testa il peso viene spinto molto in alto, facendo compiere all’omero una abduzione molto ampia, che inevitabilmente coinvolge molto anche gli elevatori della scapola. E’ bene sottolineare che il motore principale di questo gesto rimane sempre e comunque il deltoide, l’intervento di altri muscoli è secondario. Inoltre, se l’esecuzione è corretta questo esercizio ha un bassissimo rischio di impingement od infortunio, a patto che il soggetto che lo esegue sia perfettamente sano.
Illustrazioni prese dal libro di Nick Evans – Bodybuilding Anatomy
Conclusioni
Benché nell’allenamento conti molto la soggettività, ci sono basi biomeccaniche e fisiologiche comuni a tutti che devono essere rispettate. Non solo per quanto concerne l’ipertrofia ma anche per la salute. Gli esercizi citati nell’articolo possono essere utili per l’incremento della forza e della massa muscolare, basta saperli eseguire correttamente ed alternare gli stimoli allenanti nella maniera più opportuna.
Grazie per l’attenzione.
Bibliografia
Kapandji I. A. – Fisiologia articolare (1999)
Boccia G. – Basi del movimento (Dispense universitarie SUISM, a.a. 2014/2015)
1 Bagg S. D. et al. – A biomechanical analysis of scapular rotation during arm abduction in the scapular plane (1988)
2 Kolber MJ et al. – Characteristics of shoulder impingement in the recreational weight-training population (2014)
3 Schoenfeld BJ et al. – The upright row: implications for preventing subacromial impingement (2011)
4 Botton C. E. et al. – Electromyographical analysis of the deltoid between different strength training exercises (2013)
5 McAllister M. J. et al. – Effect of grip width on electromyographic activity during the upright row (2013)
6 Reinold M. M. et al. – Electromyographic analysis of the supraspinatus and deltoid muscles during 3 common rehabilitation exercises (2007) -

Assi e piani di movimento
Gli assi ed i piani di movimento rappresentano le basi teoriche del movimento umano. Argomenti relativamente semplici che vanno tenuti a mente, soprattutto se si vuole parlare di argomenti nerd come la biomeccanica.
Assi di movimento

Piani di movimento

Piano frontale (o coronale): asse longitudinale e trasversale (anteriore – posteriore).
Piano sagittale: asse sagittale e longitudinale (destra e sinistra).
Piano trasverso (o orizzontale): asse sagittale e trasversale (superiore – inferiore).
Queste nozioni, anche se un po’ noiose da tenere a mente, sono l’abc del movimento umano. Utili specialmente nella descrizione degli esercizi a corpo libero ed anche con i sovraccarichi.
Grazie per l’attenzione.
Bibliografia
Boccia G. – Basi del movimento (Dispense universitarie SUISM, a.a. 2014/2015)
Kapandji I. A. – Fisiologia articolare (1999) -

La sindrome da sovrallenamento
Overtraining e sovrallenamento, parole che tutti si mettono in bocca, alle volte anche a sproposito. Ora, partendo dalla fisiologia umana, andremo a capire cos’è il sovrallenamento, quali i fattori scatenanti, i sintomi e come evitarlo. Buona lettura!

«I was almost relieved when i injured my hamstring and had to curtail my competitive season»
Definizione e cenni di fisiologia sportiva
L’overtraining, o sovrallenamento, è una complessa sindrome psico-fisica nella quale lo sforzo fisico diventa insostenibile per l’organismo, quest’ultimo infatti non riesce più a recuperare dalla fatica accumulata. Ne consegue un calo delle prestazioni atletiche. Alle volte, il sovrallenamento culmina col il rifiuto da parte dell’atleta di allenarsi.

Gli stressors che agiscono durante l’allenamento sportivo causano considerevoli alterazioni all’omeostasi e/o alle funzioni dell’organismo che da essi sono stimolate, determinando una serie di adattamenti fisiologici sia a riposo che sotto sforzo.
Nelle persone comuni, che non vivono di sport, questa sindrome non è data unicamente dall’allenamento ma anche da altri fattori di stress quotidiano (famiglia, impegni lavorativi, eccetera).
L’overtraining non va confuso con l’overreaching (o sovraffaticamento), il quale indica un calo delle prestazioni ma a breve termine, da due o tre giorni ad un paio di settimane [1,2]. In altri termini, potremmo dire che il sovraffaticamento non è altro che un sovrallenamento più lieve.

Come mostrato nel grafico a sinistra, stimoli allenanti eccessivi, già nell’arco di pochi giorni possono alterare il corretto quadro ormonale. Il testosterone ha un netto calo, lo stesso vale per tiroxina (un ormone tiroideo), al contrario il cortisolo (ormone dello stress) schizza alle stelle. L’antagonismo fra testosterone e cortisolo è detto T/E ratio.
Un allenamento massimale che sfocia poi in uno stato di sovrallenamento, riduce la variabilità della frequenza cardiaca [3]. Ad esempio, se il signor Giancarlo durante uno sforzo fisico passa da 140 a 170 bpm (sbalzo di 30 battiti), in uno stato di sovrallenamento, durante il compimento del medesimo sforzo avrà uno “sbalzo” di bpm minore.
Il sovrallenamento arriva ad intaccare persino il sistema immunitario: riduzione delle immunoglobuline salivari IgA, riduzione della funzionalità dei globuli bianchi, riduzione rapporto linfociti T CD4/CD8 (helper/suppresor) ed infezioni virali ricorrenti.
Incidenza del sovrallenamento…
– 70% degli atleti di resistenza ad alto livello nell’arco della loro
carriera [4]– Più del 50% dei calciatori professionisti durante 5 mesi di stagione
agonistica [5]– 33% di giocatori di basket durante 6 settimane di sedute di
allenamento [6]A voler essere pignoli, il sovrallenamento è suddivisibile in due tipologie principali: sovrallenamento simpatico e sovrallenamento parasimpatico. Il primo è associato ad un eccesso di attività anaerobica (quindi intensa) e si “cura” con massaggi, bagni in acqua e recupero attivo (allenamenti leggeri, poco intensi). Invece, quello parasimpatico è attribuito a lavori aerobici molto voluminosi. Per tornare in un buono stato di salute, anche qui è consigliato fare bagni in acqua (possibilmente fredda) e recuperare attivamente con allenamenti poco intensi e poco voluminosi.
Sintomi
I sintomi (e segni) principali del sovrallenamento sono i seguenti:
- Affaticamento persistente
- Difficoltà a dormire
- Dolori muscolari cronici
- Apatia
- Difficoltà a concentrarsi
- Depressione
- Aumento frequenza cardiaca a riposo
- Aumento pressione arteriosa a riposo
- Disturbi gastro-intestinali
- Perdita di peso
- Squilibri ormonali
- Calo delle prestazioni
- Segni di una disfunzione neuro-endocrina [1] con elementi di dominanza o di riduzione del sistema nervoso simpatico.
Prevenzione e rimedi
Un po’ di indicazioni per prevenire il sovrallenamento…
- Monitorare parametri come la FC o la pressione a riposo
- Individualizzare l’allenamento
- “Giocare” bene con valori allenanti (intensità, volume, densità, frequenza)
- Evitare una eccessiva monotonia dell’allenamento
- Controllare le altre fonti di stress
- Periodo di scarico (attivo oppure passivo)*
- Ripresa dell’allenamento moderata (intensità contenuta)
- Tenere sotto controllo l’alimentazione, l’idratazione ed il sonno
- Sostenere il sistema immunitario con la vitamina C, D ed i grassi Omega-3
- Parlare molto con l’atleta, in modo da riceve i feedback sulle sue sensazioni e sul suo stato di salute psico-fisico
- Nei casi peggiori può essere utile rivolgersi a delle figure esterne (medico, psicologo, nutrizionista) ed effettuare degli esami clinici specifici (ematocrito, emoglobina, azotemia, cortisolo, testosterone, CPK).
*in Medicina dello sport, lo scarico attivo (minor volume e/o intensità di allenamento) è consigliato per l’overreaching e lo scarico passivo (periodo nel quale non ci si allena) per l’overtraining vero e proprio.

Riassunto di un po’ tutto quella che è stato detto fino ad ora [7] Conclusioni
Risulta chiaro che più che alle persone che si allenano per passione 2-3-4 volte a settimana, la popolazione maggiormente esposta al rischio overtraining sia quella degli sportivi professionisti. I professionisti possono arrivare ad allenarsi anche tre volte al giorno e proprio per questo motivo è di fondamentale importanza monitorare tutti i parametri precedentemente citati ed avere sempre un buon dialogo con gli atleti.
Grazie per l’attenzione.
Bibliografia
Parodi G. – Medicina dello sport (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2016/2017)
Weineck J. – Biologia dello sport (Calzetti Mariucci, 2013)
Wilmore H. J., Costill L. D. – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Ediz. Calzetti Mariucci, 2005)
Olsen L. – Overtraining: A Molecular Perspective (2016)
Armstrong L. E. et al. – The unknown mechanism of the overtraining syndrome: clues from depression and psychoneuroimmunology (2002)
Budgett, R. – Fatigue and underperformance in athletes: the overtraining syndrome (1998)
Budgett, R. – Overtraining syndrome (1990)
James D. V. B. et al. – Heart rate variability: Effect of exercise intensity on postexercise response (2012)
Kreher, J. B. et al. – Overtraining Syndrome: A Practical Guide (2012)
Burnstein B. D. – Sympathetic vs Parasympathetic overtraining – Selecting the proper modality to maximize recovery (2017)
1 Fry A. C. – Resistance exercise overtraining and overreaching. Neuroendocrine responses (1997)
2 Kuipers H. et al. – Overtraining in elite athletes. Review and directions for the future (1988)
3 Uusitalo A. L. et al. – Heart rate and blood pressure variability during heavy training and overtraining in the female athlete (2000)
4 Morgan et al. – Psychological monitoring of overtraining and staleness (1987)
5 Lehmann M. et al. – Training-Overtraining: Influence of a Defined Increase in Training Volume vs Training Intensity on Performance, Catecholamines and Some Metabolic Parameters in Experienced Middle- And Long-Distance Runners (1992)
6 Verma S. K. et al. – Effect of four weeks of hard physical training on certain physiological and morphological parameters of basket-ball players (1978)
7 Mackinnon L. et al. – Overtraining (1991)












