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  • La genetica nello sport: fra scienza e filosofia

    La genetica nello sport: fra scienza e filosofia

    La genetica è ingiusta, anti-meritocratica, avvantaggia alcuni ed affossa altri. Spesso può capitare di sentire discorsi di questo tipo nelle palestre o sui social, ma cosa c’è di vero? Domanda retorica…

    Qualche tempo fa è stato pubblicato un bell’articolo in inglese (Genetics and Elite Athletes), spero che prenderne in prestito alcuni punti possa giovare anche al pubblico non anglofono. Buona lettura!

    Introduzione

    Non siamo tutti uguali e per accorgersi di questo bastano due occhi ed un cervello, in realtà neanche due gemelli omozigoti lo sono. C’è chi è un po’ più alto,chi più basso,chi più predisposto alla crescita muscolare, allo sviluppo della velocità, a quello della resistenza… O ancora, chi apprende un compito motorio nella metà del tempo rispetto ad un soggetto meno predisposto, chi è più soggetto a infortuni, malattie, e chi più ne ha ne metta.

    Capisci l’importanza della genetica quando un ragazzo che non ha mai fatto del movimento in vita sua mette piede in palestra e in un paio d’anni ottiene i tuoi medesimi risultati, peccato solo che tu ti alleni dal triplo – se non quadruplo – del suo tempo, cercando di fare le cose a modo, lui magari neanche sa eseguire bene gli esercizi.

    Genetica e forza

    In base a come un muscolo si inserziona su un osso, od un complesso articolare, molte cose possono cambiare. Una giusta inserzione può permettere a un soggetto di eseguire più velocemente un determinato movimento tramite un maggior sviluppo di forza1,2.

    Gli studi ortopedici hanno effettivamente dimostrato che cambiare il sito di attacco di un tendine in una posizione meno vantaggiosa dal punto di vista meccanico, può ridurre il range di movimento di un’articolazione e la coppia articolare in varie posizioni (quando i muscoli si contraggono o si allungano, creano forza muscolare, questa forza muscolare attira le ossa creando una coppia articolare)3.

    Il punto in cui il muscolo si “attacca” all’osso è determinato da questioni genetiche4, non lo scegliamo noi, inutile piangersi addosso o incolpare i genitori. Allo stesso tempo, anche la forza generata da due muscoli di analoga dimensione e inserzione può essere differente, basti pensare alla diversa distribuzione di fibre muscolari5. Di esse, tipologie e caratteristiche, avevamo già abbondantemente parlato qui.

    Sopra potete osservare i cambiamenti del livello di forza dei quadricipiti di 53 soggetti sedentari che hanno eseguito un 4×10 (80% 1RM) di leg extension per 9 settimane (tre allenamenti a settimana). Vi è stata un’ampia variabilità fra i risultati ottenuti dai praticanti: c’è chi è migliorato tantissimo (forza incrementata di quasi il 50%) e chi quasi non è progredito per nulla (uno addirittura è peggiorato). Da Robert M. Erskine et al., 201028.

    Genetica e sviluppo muscolare

    L’ipertrofia può dipendere da una moltitudine di fattori. Ad esempio, a livello genetico, può essere fortemente influenzata dalla miostatina (un gene). Mutazioni geniche potrebbero portare certi soggetti fortunati ad accumulare più muscoli del normale6. Inoltre, è assai probabile che una carenza di miostatina giochi un ruolo importante nel reclutamento di cellule satellite. Quest’ultime sono sostanzialmente delle cellule staminali, stem cells, del muscolo. Quando le fibre muscolari subiscono dei danni, le stem cells vengono attivate per fornire assistenza nel processo di adattamento e ricostruzione muscolare7. Sempre le cellule satellite possono donare i loro nuclei alle cellule muscolari per consentirne la crescita8.

    In letteratura scientifica si è visto come il reclutamento di cellule satellite sia estremamente variabile da persona a persona9,10. E’ stato quindi ipotizzato che la capacità di attivazione delle stem cells sia un fattore genetico11 che premia, parlando di ipertrofia, gli individui in grado di reclutare meglio queste particolari cellule8. Quindi se avete un amico che pur allenandosi un po’ alla carlona cresce molto bene a livello muscolare, è probabile che egli sia inconsciamente capace di reclutare naturalmente le cellule satellite a ritmi molto superiori al normale.

    Sopra, stesso studio preso in esame poc’anzi28, è mostrato l’incremento della sezione trasversale dei quadricipiti dopo le solite 9 settimane di leg extension (4×10 all’80% 1RM, 3xweek). La crescita muscolare media è stata del 5,7%; anche qui i soggetti più predisposti hanno visto aumentare i propri volumi muscolari di quasi il 20% e quelli meno fortunati hanno avuto dei lievi peggioramenti (-3% circa). Come sempre, vi è stata una grande variabilità individuale.

    Genetica e velocità

    I velocisti d’élite possiedono muscoli mediamente più dotati di fibre bianche rispetto a una popolazione di comuni sedentari12,13. Si è anche osservato che i pesisti olimpici, atleti notoriamente molto esplosivi, hanno percentuali molto alte di fibre bianche14. Pare quindi ovvio constatare che gli atleti ben messi in quanto a fibre bianche rapide (tipo II) abbiano un enorme vantaggio sugli sport di velocità e/o potenza rispetto agli sportivi meno “geneticamente fortunati”. La maggior velocità ed efficienza muscolare di un soggetto rispetto a un altro non data unicamente dalla forza contrazione, ma anche dalla fase di rilassamento. «Possiamo suddividere la contrazione e il rilassamento muscolare in tre fasi principali, ovvero la contrazione, il rilassamento ed infine la fase latente, fase che segue lo stimolo, ma nella quale non c’è risposta. Questo complesso sistema di reazioni chimiche determinerà lo scorrimento di un filamento sull’altro, e quindi la contrazione del sarcomero. A seguito della contrazione la troponina rilascia ioni Ca2+ che tornano nel reticolo sarcoplasmatico»15. Più velocemente si possono rilassare le fibre muscolari, più velocemente il muscolo si accorcerà, generando una maggiore potenza complessiva16. Questo processo è mediato da più enzimi all’interno del muscolo che sono necessari per la risintesi dell’ATP, il legame del calcio e altri complicati processi biochimici16. Il celebre allenatore sovietico Yuri Verkhoshansky sosteneva che i velocisti talentuosi di natura rispondessero all’allenamento principalmente migliorando i tassi di rilassamento più che la forza muscolare effettiva16. Ben lungi dall’avere delle certezze, ci sono effettivamente dei dati che avallano la tesi del Prof. Verkhoshansky17. Sfortunatamente, anche i tassi di rilassamento sembrano essere altamente ereditari poiché gli studi hanno dimostrato che né l’età, né il sesso hanno alcuna correlazione con essi18.

    Un altro fattore determinante della prestazione atletica può essere l’isteresi del tendine. L’isteresi del tendine si riferisce all’efficienza con cui un tendine assorbe e reindirizza la forza19. I tendini sono il tessuto connettivo tra muscolo e ossa, si allungano quando un muscolo si allunga e si contraggono quando un muscolo si accorcia. Pertanto, la capacità di un tendine di trasmettere efficacemente la forza dall’allungamento all’accorciamento può determinare la quantità di potenza complessiva che può essere trasferita all’osso e alla locomozione complessiva19. Come riportato in letteratura scientifica20 i tendini durante un ciclo di accorciamento-stiramento e durante le contrazioni isometriche massimali possono allungarsi fino dal 6 fino al 14%, inoltre se il tendine è lungo, i fascicoli muscolari si allungano di meno. Un tendine che è più rigido, per questioni genetiche ma anche adattamento all’attività fisica, è più prestante (assicura maggior potenza e velocità nei movimenti) ma è più soggetto agli infortuni.

    Genetica e resistenza

    Direttamente correlato all’idea di isteresi tendinea è l’economia del gesto nella corsa su lunghe distanze effettuata da atleti esperti. È stato teorizzato nel corso degli anni che i maratoneti d’élite sono semplicemente più bravi a “dissipare il calore” rispetto agli altri corridori21,22. Un corridore inefficiente, può manifestare un maggiore accumulo di calore a causa, in parte, della scarsa isteresi del tendine che accelera il processo di affaticamento durante una corsa protratta nel tempo19. A livello biochimico, diversi enzimi all’interno del muscolo sono necessari per determinare il “tasso metabolico” di uno sforzo fisico. Il più grande degli atleti di endurance può essere tale perché semplicemente ha degli enzimi più attivi dei suoi avversari di gara22. Ci sono infatti degli studi che mostrano come alcuni corridori particolarmente performanti siano in grado di mantenere velocità elevate a un VO2 max (massimo consumo di ossigeno) inferiore ai valori di altri soggetti meno allenati (o meno portati)23. Un po’ come se due veicoli andassero alla stessa velocità per innumerevoli chilometri e uno consumasse il 10% di carburante in meno rispetto all’altro.

    Sempre riguardo alla corsa, una miglior economicità del gesto (andatura efficiente) può essere dovuta alla preponderanza di fibre muscolari di tipo I, quindi lente e rosse. Queste fibre, come molti sanno, sono le più adatte per impegni fisici protratti nel tempo: accumulano meno sottoprodotti metabolici e si affaticano più lentamente. Inoltre, uno dei fattori limitanti dei lavori di resistenza è l’afflusso di ossigeno ai muscoli. Questo, entro un certo limite, può essere migliorato con l’allenamento ma esistono anche qui persone più inclini di altre ad essere resistenti grazie a una maggior capacità (innata) di rifornire i propri muscoli di ossigeno24. Anche la densità capillare può essere influenzata dalla genetica individuale24,25. I capillari sono il sito dello scambio di ossigeno tra il sistema vascolare e il muscolo. È qui che l’ossigeno viene fornito al muscolo e i prodotti metabolici di scarto vengono rimossi. Pertanto, è facile intuire che più capillari ha un atleta nel tessuto muscolare, più ossigeno può essere erogato e più rifiuti metabolici possono essere smaltiti o riconvertiti25.

    Genetica e infortuni

    Come sottolineato da Collins M. et al.26, gli sforzi eccessivi che portano a lesioni dei tessuti molli del sistema muscolo-scheletrico, derivanti da lavori usuranti o attività fisica, sono influenzate dalla genetica individuale. In special modo quelle al tendine d’Achille (caviglia), alla cuffia dei rotatori (spalla) ed ai legamenti crociati (ginocchia). Le varianti di sequenza all’interno dei geni che codificano le diverse proteine ​​di matrice extracellulare dei tendini e/o dei legamenti sono state associate a specifici infortuni di specifiche zone dei tessuti. Per esempio le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C (TNC), COL5A1 ed Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3) sono state collegate alle tendinopatie del tendine d’Achille. Entrando un po’ più nel dettaglio, le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C sono state associate sia alle tendinopatie che alle rotture del tendine d’Achille. mentre le varianti del COL5A1 e COL1A1, geni che forniscono le istruzioni genetiche per realizzare le componenti del collagene di tipo I e V, sono state correlate ad infortuni al legamento crociato posteriore.

    Inoltre, una meta-analisi del 2015, quindi alto impatto statistico, ha raccolto i dati provenienti da studi pubblicati in letteratura scientifica fra il 1984 ed il 2014 (trent’anni precisi). I ricercatori – Longo U. G. et al. – hanno confermato tutto ciò che avevano dedotto Collins e Raeligh nel 2009, aggiungendo che, oltre alla genetica, contano ovviamente diversi altri fattori, in primis lo stile di vita27.

    Altre letture utili:

    - L’abc della genetica
    - Genetica e predisposizione agli infortuni
    - Genetica - Muscoli e allenamento: quanto conta?
    - Tendini: salute e performance
    - Tessuto muscolare: componenti, forma, contrazione e ipertrofia
    - La forza nello sport e in palestra: consigli ed errori da evitare
    - Ormoni androgeni: fisiologia di base, benefici ed effetti collaterali
    Una lotteria della natura?

    Nella seconda metà dello scorso secolo ci fu un interessante confronto intellettuale, dovuto a una netta divergenza di opinioni, tra i filosofi d’oltreoceano John Rawls e Robert Nozick. Il primo era un grande sostenitore dell’equità in ogni aspetto della vita sociale, il secondo – ideologicamente più a destra – no. Quest’ultimo, ricorrendo all’esempio di una partita di basket, sosteneva che i tifosi dovessero essere liberi di pagare il prezzo del biglietto facendo arricchire, direttamente o indirettamente, un giocatore particolarmente bravo (spendere i propri soldi in quel modo è un loro diritto). Qualora quel giocatore attirasse milioni di appassionati, egli ben presto diventerebbe molto ricco.

    Ovviamente Rawls era in totale disaccordo: un società giusta non dovrebbe permettere a un uomo, sportivo o meno, di accumulare troppi soldi, salvo che ciò non porti dei vantaggi ai più poveri. Stando sempre al pensiero di J. Rawls, un grande talento nello sport o un’intelligenza superiore alla media è solo frutto di una fortuna sfacciata. Noi potremmo dire: genetica favorevole. Per questo filosofo, notevoli doti fisiche o intellettive non sono altro che una vittoria alla “lotteria della natura“, qualcosa che con la meritocrazia non ha nulla a che vedere. Per il collega Nozick, era invece giusto che l’eccellenza fosse meglio retribuita (anche con cifre milionarie). A distanza di anni, quello dell’equità e dei guadagni è ancora un argomento che infiamma il dibattito pubblico, saltuariamente anche in campo sportivo.

    Conclusioni

    In un certo senso potremmo dire che non siamo noi a selezionare scientemente uno sport da fare, ma è lo sport a scegliere noi. La pratica e la dedizione, non solo riguardo l’attività fisica, possono far migliorare praticamente chiunque e mettere delle pezze a certe lacune. Certo è che, a parità di impegno, chi ha ricevuto i biglietti fortunati per la lotteria della natura sarà sempre un passo avanti agli altri, anche senza averlo voluto.

    Buon allenamento.


    Bibliografia

    1 Lieber, R. L., & Shoemaker, S. D. (1992). Muscle, joint, and tendon contributions to the torque profile of frog hip joint. American Journal of Physiology-Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, 263(3), R586-R590.
    2 Duda, G. N., Brand, D., Freitag, S., Lierse, W., & Schneider, E. (1996). Variability of femoral muscle attachments. Journal of Biomechanics, 29(9), 1185-1190.
    3 Yamamoto, N., Itoi, E., Tuoheti, Y., Seki, N., Abe, H., Minagawa, H., & Okada, K. (2007). Glenohumeral joint motion after medial shift of the attachment site of the supraspinatus tendon: a cadaveric study. Journal of Shoulder and Elbow Surgery, 16(3), 373-378.
    4 Thomis, M. A. I., Beunen, G. P., Leemputte, M. V., Maes, H. H., Blimkie, C. J., Claessens, A. L. & Vlietinck, R. F. (1998). Inheritance of static and dynamic arm strength and some of its determinants. Acta Physiologica Scandinavica, 163(1), 59-71.
    5 Tesch, P. A., Wright, J. E., Vogel, J. A., Daniels, W. L., Sharp, D. S., & Sjödin, B. (1985). The influence of muscle metabolic characteristics on physical performance. European Journal of Applied Physiology and Occupational Physiology, 54(3), 237-243.
    6 Schuelke, M., Wagner, K. R., Stolz, L. E., Hübner, C., Riebel, T., Kömen, W., … & Lee, S. J. (2004). Myostatin mutation associated with gross muscle hypertrophy in a child. New England Journal of Medicine, 350(26), 2682-2688.
    7 Allen, D. L., Roy, R. R., & Edgerton, V. R. (1999). Myonuclear domains in muscle adaptation and disease. Muscle & Nerve, 22(10), 1350-1360.
    8 Petrella, J. K., Kim, J. S., Mayhew, D. L., Cross, J. M., & Bamman, M. M. (2008). Potent myofiber hypertrophy during resistance training in humans is associated with satellite cell-mediated myonuclear addition: a cluster analysis. Journal of Applied Physiology, 104(6), 1736-1742.
    9 Petrella, J. K., Kim, J. S., Cross, J. M., Kosek, D. J., & Bamman, M. M. (2006). Efficacy of myonuclear addition may explain differential myofiber growth among resistance-trained young and older men and women. American Journal of Physiology-Endocrinology and Metabolism, 291(5), E937-E946.
    10 Timmons, J. A. (2010). Variability in training-induced skeletal muscle adaptation. Journal of Applied Physiology, 110(3), 846-853.
    11 Bouchard, C., & Rankinen, T. (2001). Individual differences in response to regular physical activity. Medicine and Science in Sports and Exercise, 33(6 Suppl), S446-51.
    12 Costill, D. L., Daniels, J., Evans, W., Fink, W., Krahenbuhl, G., & Saltin, B. (1976) – Skeletal muscle enzymes and fiber composition in male and female track athletes. Journal of Applied Physiology, 40(2), 149-154.
    13 Thorstensson, A., Larsson, L., Tesch, P., & Karlsson, J. (1977) – Muscle strength and fiber composition in athletes and sedentary men. Medicine and Science in Sports, 9(1), 26-30.
    14 Nathan Serrano,Lauren M. Colenso-Semple,Kara K. Lazauskus,Jeremy W. Siu,James R. Bagley,Robert G. Lockie,Pablo B. Costa,Andrew J. Galpin – Extraordinary fast-twitch fiber abundance in elite weightlifters. PLoS One 2019 Mar 27;14(3):e0207975.
    15 Contrazione muscolare – Wikipedia
    16 Verkhoshansky, Y. V. (1996). Quickness and velocity in sports movements. New Studies in Athletics, 11, 29-38.
    17 Komi, P. V., Rusko, H., Vos, J., & Vihko, V. (1977). Anaerobic performance capacity in athletes. Acta Physiologica Scandinavica, 100(1), 107-114.
    18 Lennmarken, C., Bergman, T., Larsson, J., & Larsson, L. E. (1985). Skeletal muscle function in man: force, relaxation rate, endurance and contraction time-dependence on sex and age. Clinical Physiology (Oxford, England), 5(3), 243-255.
    19 Finni, T., Peltonen, J., Stenroth, L., & Cronin, N. J. (2013). On the hysteresis in the human Achilles tendon. American Journal of Physiology-Heart and Circulatory Physiology, (114), 515-517.
    20 Thom J. M. et al. – Passive elongation of muscle fascicles in human muscles with short and long tendons. Physiol Rep. 2017 Dec;5(23):e13528.
    21 Coyle, E. F. (2007). Physiological regulation of marathon performance. Sports Medicine, 37(4-5), 306-311.
    22 Marino, F. E., Lambert, M. I., & Noakes, T. D. (2004) – Superior performance of African runners in warm humid but not in cool environmental conditions. Journal of Applied Physiology, 96(1), 124-130.
    23 Weston, A. R., Mbambo, Z., & Myburgh, K. H. (2000) – Running economy of African and Caucasian distance runners. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(6), 1130-1134.
    24 Bassett, D. R., & Howley, E. T. (2000) – Limiting factors for maximum oxygen uptake and determinants of endurance performance. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(1), 70-84.
    25 Joyner, M. J., & Coyle, E. F. (2008) – Endurance exercise performance: the physiology of champions. The Journal of Physiology, 586(1), 35-44.
    26 Collins M. et al. – Genetic risk factors for musculoskeletal soft tissue injuries (2009)
    27 Longo U. G. et al. – Unravelling the genetic susceptibility to develop ligament and tendon injuries (2015)
    28 Robert M Erskine, David A Jones, Alun G. Williams, Claire E. Stewart, Hans Degens – Inter-individual variability in the adaptation of human muscle specific tension to progressive resistance training. Eur J Appl Physiol. 2010 Dec;110(6):1117-25.
    Charlie Ottinger – Genetics and Elite Athletes (2018)
    John Rawls – Una teoria della giustizia (1971)
    Nigel Warburton – Breve storia della filosofia (2011)

  • Le asimmetrie nel calcio

    Le asimmetrie nel calcio

    Prosegue la serie di articoli sulle asimmetrie, è giunto il momento di trattare lo sport più amato dagli italiani.

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive. Buona lettura.

    Movimenti nel calcio

    Abilità come il calciare il pallone e superare gli avversari con cambi di direzione sono chiaramente unilaterali, pertanto richiedono degli schemi motori e adattamenti asimmetrici1,2. Tali adattamenti possono portare a squilibri tra gruppi muscolari antagonisti3.

    Performance e infortuni

    Un po’ come per la pallavolo, non è detto che le modificazioni posturali e muscolari siano necessariamente qualcosa di patologico, o comunque rischioso per la salute. Tuttavia, non bisogna sottovalutarle, tenendo anche conto del fatto che nel calcio gli arti inferiori sono la zona più colpita da infortuni4.

    Sopra, il modello teorico preso da Fousekis et al. (2010) che mette in relazione le asimmetrie preesistenti con, fra le altre cose, gli infortuni nello sport.

    Le pubblicazioni scientifiche che hanno messo in luce sbilanciamenti di forza fra gli arti inferiori in questo sport sono numerose5,6,7,8. Uno studio pubblicato l’anno scorso sul Journal of Strength and Conditioning Research (tabella sotto)9 ha sottoposto a dei test fisici monopodalici (salti) e degli sprint una squadra giovanile di calcio femminile con una sufficiente anzianità di allenamento (almeno 9 mesi, con due brevi sedute a settimana di preparazione atletica).

    I risultati dello studio hanno evidenziato come le atlete che mostravano una maggior asimmetria di forza fra i due arti erano mediamente meno rapide negli sprint (10 e 20 m) rispetto alle altre compagne di squadra.

    Una review sistematica venuta fuori alcuni mesi più tardi, opera del medesimo autore, ha corroborato la tesi dello studio preso in esame poco fa, suggerendo una influenza negativa della differenza di forza fra gli arti sulla performance nei movimenti di calcio (anche di salto e ciclismo) ma non sulla salute10. Allo stesso tempo però ci sono studi che hanno trovato delle correlazioni fra asimmetrie nel calcio e incidenza degli infortuni5, pertanto la situazione è tutt’ora poco chiara. Fousekis K. et al. (2010) hanno condotto uno studio su 115 giocatori professionisti di varie fasce d’età, notando che le asimmetrie di forza (isocinetica) erano più marcate nei giocatori con meno anzianità di allenamento (5-10 anni) rispetto a quelli più esperti (>11 anni), probabilmente perché i primi per questioni tecniche tendono a compiere certi gesti con un arto in particolare, mentre gli altri – più abili – godono di un maggiore equilibrio nella loro preferenza laterale. Anche un altro più vecchio studio osservativo6 aveva messo in luce una variazione del rapporto di forza fra flessori ed estensori del ginocchio dell’arto dominante in base all’esperienza nell’allenamento (l’asimmetria era meno significativa nei calciatori più “navigati”).

    Gambe “storte”?

    Quando si parla delle asimmetrie e adattamenti indotti dalla pratica sportiva del calcio non si può non citare il “genu varum” o le “bowlegs”, volgarmente conosciuti come le cosiddette “gambe storte del calciatore”.

    Al riguardo una review con meta-analisi del 2018 ha messo insieme i dati provenienti da tre studi, per un totale di 1344 calciatori e 1277 altri pazienti (gruppo controllo)7. È stata analizzata e misurata la distanza fra il condilo laterale di ciascun femore (ICD) ed è emerso che i giovani (10-17 anni) calciatori agonisti hanno un “ICD” significativamente più elevato rispetto agli altri individui (mediamente +1,5 cm di ICD).

    Sopra, valutazione clinica e radiologica della “geometria” degli arti inferiori. HKA = Hip-knee angle; ICD = intercondylar distance; IMD = intermalleolar distance; mLDFA = mechanical lateral distal femoral angle; MPTA = medial proximal femoral angle; TFA = tibiofemoral angle (Thaller H. P. et al., 2018)

    Come concludono gli stessi ricercatori, alle conoscenze attuali risulta allarmistico etichettare come potenzialmente dannosa anche la pratica non intensa o non agonistica , tuttavia gli addetti ai lavori dovrebbero mettere in guardia atleti e genitori su questi diffusi adattamenti che derivano dalla pratica calcistica, specie quando gli atleti sono molto giovani (fase prepuberale, fino a 10-11 anni di età). I dati disponibili in letteratura scientifica non permettono permettono di capire quali sono le cause specifiche di questa asimmetria, ma è possibile che possa aumentare il rischio di infortuni.

    Un cross sectional study, quindi uno studio basato su un campionamento trasversale, pubblicato sul Clinical Journal of Sport Medicine8 ha confermato la tendenza dei calciatori (maschi) che competono a buoni livelli a sviluppare un varismo (ginocchia in fuori) rispetto agli altri sport (tennis), soprattutto dai 13 anni di età in poi, quindi si parla di età puberale e adolescenza. Per concludere ci sono altri studi che segnalano come stress ripetuti sull’articolazione del ginocchio11, altezza, età, peso, BMI12, carenza di vitamina D13, rapidi movimenti di cambio di direzione e corse prolungate14,15,16 possano favorire il varismo degli arti inferiori. Inoltre, analizzando il movimento della gamba quando calcia un pallone notiamo che esso consiste banalmente nella flesso-estensione dell’anca e del ginocchio, più una certa adduzione.

    Questa adduzione potrebbe avere un ruolo importante nel “genu varum”, tuttavia occorre non sbilanciarsi, dato che parliamo di una eziologia multifattoriale e siamo ben lontani dall’avere delle certezze17,18.

    L’ultima figura è presa da Nunome H. et al. (2002).

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Fousekis K. et al. – Lower limb strength in professional soccer players: profile, asymmetry, and training age (2010)
    2 Reilly T. – Motion analysis and physiological demands (1996)
    3 Fousekis K et al. – Multivariate isokinetic strength asymmetries of the knee and ankle in professional soccer players (2009)
    4 Le Gall F. et al. – Incidence of injuries in elite French youth soccer players: a 10-season study (2006)
    5 Croisier J. L. et al. – Strength imbalances and prevention of hamstring injury in professional soccer players: a prospective study (2008)
    6 Voutselas – Years of training and hamstring-quadriceps ratio of soccer players (2007)
    7 Thaller H. P. et al. – Bowlegs and Intensive Football Training in Children and Adolescents. A Systematic Review and Meta-Analysis (2018)
    8 Yaniv N. et al. – Prevalence of bowlegs among child and adolescent soccer players (2006)
    9 Bishop C. et al. – Vertical and Horizontal Asymmetries are Related to Slower Sprinting and Jump Performance in Elite Youth Female Soccer Players (2018)
    10 Bishop C. et al. – Effects of inter-limb asymmetries on physical and sports performance: a systematic review (2018)
    11 Asadi K. et al. – Association of Soccer and Genu Varum in Adolescents (2015)
    12 Rezende L. et al. – Does soccer practice stress the degrees of genu varo? (2011)
    13 Voloc A. et al. – High prevalence of genu varum/valgum in European children with low vitamin D status and insufficient dairy products/calcium intakes (2010)
    14 Witvrouw E. et al. – Does soccer participation lead to genu varum? (2009)
    15 Bangsbo J. et al. – Activity profile of competition soccer (1991)
    16 Volpon J. B. et al. – Population study of knee alignment in the frontal plane during development (1986)
    17 Isokawa M. et al. – A biomechanical analysis of the instep kick motion in soccer (1988)
    18 Nunome H. et al. – Three-dimensional kinetic analysis of side-foot and instep soccer kicks (2002)

  • Monitorare il recupero fisico (calcolo IR)

    Monitorare il recupero fisico (calcolo IR)

    Parlando di sport di performance e preparazione atletica ad essi dedicata, fra i vari parametri di monitorare, e con cui nerdeggiare, vi è anche l’IR, ossia l’indice di recupero.

    Avere un recupero, per quanto possibile, rapido e di qualità è indispensabile per essere fisicamente efficienti e “freschi” dopo aver eseguito uno sforzo fisico. In allenamento e ancor di più in gara.

    Introduzione: concetti chiave

    Dopo aver portato a conclusione uno sforzo fisico il corpo comincia a rigenerare i serbatoi energetici di ATP e CP (fosfocreatina), paga il debito di ossigeno e riossigena la mioglobina. Pertanto, è fondamentale che il sangue trasporti in tempi brevi l’ossigeno e le sostanze necessarie per colmare i debiti organici. All’aumento della velocità e capacità di trasporto del sangue migliorerà anche la capacità dell’organismo di riprendersi dopo uno stress fisico più o meno intenso.

    Il test (Rockport Walking test)

    La frequenza cardiaca (FC) è un ottimo indicatore dello stato di affaticamento dell’organismo, non a caso compare sia al numeratore che al denominatore della formula di calcolo dell’IR utilizzata per il Rockport Walking test (vedi sotto).

    Il test consiste nel camminare per un miglio (1609 metri) alla massima velocità possibile (tapis roulant o percorso pianeggiante).

    Spiegando quanto illustrato sopra, l’indice di recupero è uguale alla frequenza cardiaca massima rilevata durante la prova (meglio avere un cardiofrequenzimetro) meno la FC rilevata a 3 minuti dal termine della prova, fratto la FC max della prova (come prima) meno la FC a riposo (qualche ora prima o qualche ora dopo l’allenamento). Il tutto moltiplicato per 100.

    Legenda:
    Ir = indice di recupero
    FC max = frequenza cardiaca massima raggiunta sotto sforzo
    FC 3 min = frequenza cardiaca registrata a 3 minuti dalla fine dello sforzo
    FC rest = frequenza cardiaca a riposo

    Il test può essere eseguito una volta ogni 3-4 mesi in modo da confrontare i valori dell’IR nel tempo ed appuntarsi i miglioramenti.

    Secondo test (variante)

    Una variante del test, molto in voga fra gli atleti è quella di Ruffier. Quelli che seguono sono i quattro passaggi del test.

    1. Rilevazione del battito a riposo, in stato di rilassamento (a).

    2. Eseguire 30 air squat (accosciate a corpo libero) con un buon ritmo (trenta nell’arco di 45 secondi).

    3. Rilevare il battito cardiaco appena terminata la prova (b).

    4. Ci si sdraia per un minuto e poi si prende nuovamente la FC (c).

    Ora non resta che eseguire il calcolo: (a+b+c – 200): 10 = ?

    Ricapitolando: FC a riposo + FC post sforzo + FC 1′ dopo lo sforzo – 200, il tutto diviso per 10. Sotto la tabella dei risultati.

    RisultatiValutazione
    0-1Eccellente
    2Ottima
    3-4Buona
    5-6Discreta
    7-9Scarsa
    10 o piùPessima

    Come per il Rockport Walking di prima, anche il test di Ruffier può e deve essere ripetuto nel tempo, ogni tot di mesi, in modo da monitorare le variazioni della capacità dell’organismo di recuperare le energie al termine di uno sforzo fisico.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Fabrizio Fagioli, Luca Bartoli – Allenarsi con il cardiofrequenzimetro (5a Edizione, 2002)

  • Le asimmetrie nella pallavolo

    Le asimmetrie nella pallavolo

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive.

    Buona lettura.

    Asimmetrie nei contesti sportivi: una definizione

    Gli autori e ricercatori David Joyce e Daniel Lewindon, definiscono le asimmetrie sportive come: «la risposta naturale del corpo umano ad adattarsi alle esigenze atletiche aumentando la massa, sviluppando la forza o alterando la flessibilità dei tessuti molli posti sotto stress. A causa di ciò, gli atleti possono sviluppare asimmetrie o squilibri di corrispondenti tessuti molli, come ossa, muscoli o tendini. Ai fini della chiarezza, le ‘asimmetrie’ si riferiscono alle differenze da lato a lato in forza, dimensioni, flessibilità, raggio di movimento o posizionamento della stessa struttura anatomica» (Sports Injury Prevention and Rehabilitation, pag.88, 1a Ediz., 2015).

    Da non confondere con gli squilibri muscolari, i quali indicano delle anomalie nei rapporti di forza e flessibilità fra i muscoli agonisti e antagonisti.

    Pallavolo

    Wang H. K. et al.1 in un uno studio pubblicato sul The Journal of sport medicine and physical fitness nel 2001 non osservarono correlazioni statisticamente significative fra l’asimmetria scapolare e infortuni (o dolori) in pallavolisti inglesi d’élite, benché in certi casi l’asimmetria fra il braccio dominante e quello non dominante – misurata tramite lo “scapula lateral slide test” – fosse notevole.

    Nella figura sopra, il “lateral scapula slide test” (da Scapular dyskinesis: the surgeon’s perspective, Roche S. et al., 2015).

    Uno studio più recente2 ha esaminato l’asimmetria scapolare di atleti che praticavano sport che comprendevano movimenti degli arti superiori sopra la testa, alcuni di questi erano dei pallavolisti. I ricercatori sono ricorsi a dei dispositivi di tracciamento elettromagnetici al fine di misurare la cinematica scapolare bilaterale 3D del braccio (Bilateral 3D scapular kinematics). Citando testualmente la parte finale dello studio, le conclusioni sono le seguenti: «Clinicians should be aware that some degree of scapular asymmetry may be normal in some athletes. It should not be considered automatically as a pathological sign but rather an adaptation to sports practice and extensive use of upper limb».

    Conclusioni

    Traducendo: «I medici dovrebbero essere consapevoli del fatto che un certo grado di asimmetria scapolare può essere normale in alcuni atleti. Non dovrebbe essere considerato automaticamente come un segno patologico, ma piuttosto come un adattamento alla pratica sportiva e all’uso esteso dell’arto superiore». Ciò è confermato da un altro più recente lavoro EBM.3

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Wang H. K. et al. – Mobility impairment, muscle imbalance, muscle weakness, scapular asymmetry and shoulder injury in elite volleyball athletes (2001)
    2 Ribeiro A et al. – Resting scapular posture in healthy overhead throwing athletes (2013)
    3 Cools A. M. et al. – Prevention of shoulder injuries in overhead athletes: a science-based approach (2015)

  • L’atleta senza sonno

    L’atleta senza sonno

    Chi dorme non piglia pesci, ma chi non dorme non fa canestro (?)

    Una storia, tante storie

    È il pomeriggio del 26 febbraio, si giocano tre partite in quattro notti e il centrale dei Miami Heat, Hassan Whiteside, è in gran forma. L’indomani la squadra di quest’ultimo affronterà i Golden State Warrior e il giorno dopo ancora – 28 febbraio – voleranno tutti insieme a Houston per affrontare i Rockets. Ora però egli sta pensando all’orario a cui finirà la partita con i Warrior (22:00), quando saliranno in aereo per un altro volo (23:30), quando atterreranno a Huston (02:00) e quando giungeranno finalmente nell’hotel. Arriveranno lì almeno le tre di notte. Almeno. In quella stessa giornata dovranno poi giocare contro i Rockets.

    «Il sonno conta, – dice Whiteside – conta molto. Potrebbe essere la differenza fra una giocata di carriera ed una terribile». Ma è dentro questa bugia che sta l’enigma della “NBA life”. Il sonno è una cosa tanto importante quanto sfuggevole. Come dice Whiteside: «È così difficile ottenere il sonno di cui hai bisogno». Il giocatore dei Miami Heat spera di guadagnare qualche ora di sonno durante il viaggio in aereo per Huston, che il letto dell’albergo sia ok e che la frequente assunzione di melatonina lo aiuti a chiudere gli occhi. Ma anche con i giusti accorgimenti, nell’attuale calendario NBA è possibile ottenere un sonno duraturo e di qualità? «No», dice Whiteside. «È impossibile, è impossibile».

    Non preoccuparti. Nessuno è mai morto d’insonnia.

    (The Machinist, 2004)

    La stanchezza è stata a lungo una costante nella vita dei giocatori dell’NBA. Parliamo di un campionato con squadre che giocano 82 partite in meno di 6 mesi, volando fino a 80.000 chilometri a stagione, abbastanza per girare due volte il globo. Durante la stagione 2018/2019 le squadre dell’NBA si sono spostate in aereo con una media di oltre 400 km al giorno, per 25 settimane di fila. Molti addetti ai lavori – giocatori, allenatori, preparatori – hanno fatto notare come gli sforzi fisici tipici dello sport, le interruzioni circadiane, i continui spostamenti fra zone con fusi orari differenti – non si sposino bene in un’ottica di salvaguardia della salute dell’atleta. I dati finora raccolti evidenziano come la privazione del sonno sia un flagello per l’NBA, un vaiolo che colpisce i corpi e le menti dei cestisti, lasciando segni profondi. Ci sono manager che lavorano per l’NBA e che, oltre a sottolineare il «grosso problema», dicono: «Abbiamo una grande popolazione di vampiri, servono delle soluzioni».

    La salute e il benessere dei giocatori continuano a essere un punto focale per l’NBA

    (Ufficio stampa NBA)

    Nonostante le promesse e gli sfori della lega, la privazione del sonno è ancora uno dei principali fattori legati allo stato di salute degli atleti.

    Ora, spostiamoci di qualche centinaio di chilometri.

    Dalla sua postazione nello spogliatoio dello Staples Center di Los Angeles, Tobias Harris si guarda intorno. Poco dopo, indicando i suoi compagni di squadra dice: «Chiedi a chiunque nella stanza, sto parlando del sonno. Penso che fra un paio d’anni si parlerà dei problemi legati al sonno come ora si parla delle commozioni cerebrali nell’NFL (football americano, ndr)».

    Alcuni compagni ci scherzano su: «Oh, c’è un momento in cui devi andare a letto». Ma Harris sa bene che: «Devo essere in forma ai massimi livelli per affrontare al meglio l’indomani».

    Dati

    Quanto riportato sopra è parte di un articolo di ESPN (tradotto, adattato e riassunto per l’occasione). Cogliendo la palla al balzo, in letteratura scientifica è stato appurato come un sonno lungo e regolare possa portare benefici alle prestazioni dei giocatori di basket (maggior precisione sui tiri a canestro, velocità, vigore e minor affaticamento) [1]. Un sonno incostante e breve (perennemente inferiore alle 8 ore) sul lungo periodo pare aumenti sensibilmente il rischio di infortunarsi [2]. Tra l’altro, anche le neuroscienze hanno fatto notare come la privazione di sonno porti le persone a desiderare più facilmente il junk food (cibo spazzatura) [3].

    Amigdala ipotalamo, fra le altre cose, si occupano del famigerato “sistema della ricompensa“. Basta dormire poco anche solamente una o due volte per far cadere il cervello in questo tranello della ricompensa. Insomma, una carenza di sonno porta queste due componenti ad essere stimolate ben più del normale qualora i nostri occhi si posino sui cibi che, in un’ottica edonistica, più ci soddisfano.

    L’amigdala in particolare, se sovrastimolata, porta a far prediligere alle persone cibi notoriamente molto calorici (ricchi di zuccheri e grassi).

    Conclusioni

    Le conclusioni, per una volta, è il caso di lasciarle fare a qualcun altro.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Baxter Holmes – NBA exec: ‘It’s the dirty little secret that everybody knows about’ (2019)
    Migliaccio et al. – Finali notturne alle Olimpiadi: possibili influenze dei ritmi circadiani sulla perfomance? Studio pilota per Rio 2016. Da Strength & Conditioning Anno V, n.16 aprile-giugno (2016)
    Le Scienze – La carenza di sonno aumenta la voglia di Junk Food (2018)
    1 Cheri et al. – The Effects of Sleep Extension on the Athletic Performance of Collegiate Basketball Players (2011)
    2 Milewski M. D. et al. – Chronic lack of sleep is associated with increased sports injuries in adolescent athletes (2014)
    3 Rihm J. S. et al. – Sleep deprivation selectively up-regulates an amygdala-hypothalamic circuit involved in food reward (2018)

  • Il nuoto per i fighter: qualche appunto

    Il nuoto per i fighter: qualche appunto

    Ogni tanto si legge di atleti, magari anche famosi, che alternano le proprie sessioni tecniche (boxe/mma/muay thai/lotta) ad allenamenti in piscina. La cosa può funzionare? Discutiamone brevemente.

    gsp
    Principio di Archimede e articolazioni

    Chiunque abbia un minimo di memoria riguardo ciò che ha studiato al liceo si ricorderà della legge (o principio) di Archimede. Secondo quest’ultima, un corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido, in questo caso l’acqua, riceve una spinta dal basso verso l’alto di intensità uguale a quella del fluido spostato.

    Immergersi in acqua non fa valere le solite regole della forza di gravità terrestre, questo rende il nuoto meno stressante per le articolazioni umane, da qui l’interesse che molti praticanti di sport di combattimento nutrono nei confronti dell’acquaticità.

    Nuoto o movimento in acqua?

    Va specificato che “allenarsi in acqua” non significa necessariamente mettersi a nuotare e fare vasche su vasche.

    Moltissimi atleti si limitano semplicemente a fare movimento in acqua con balzi, shadow boxing o a spostare oggetti (bilancieri di plastica, maniglie di gomma).

    Occorre sottolineare che la maggior parte delle persone, sportive e non, generalmente non ha una buona tecnica natatoria. Eventuali lezioni di nuoto toglierebbero tempo ed energie, anche mentali, ad altri allenamenti più utili e specifici.

    In acqua la propriocezione e l’esterocezione sono assolutamente alterate rispetto a quel che poi succederà sul ring, tatami o gabbia. Per questo sarebbe meglio relegare questi stimoli allenanti alla preparazione generale (GPP).

    Qui sotto un allenamento di power endurance fatto svolgere a Marvin Vettori (atleta UFC).

    Conclusioni

    In un protocollo di strength & conditioning molte cose possono funzionare, il nuoto ed il movimento in acqua non fanno eccezione, a patto che sia monitorata la frequenza cardiaca (parametro di fondamentale importanza) e che, come detto poco fa, i lavori acquatici rientrino nella fase di preparazione atletica generale.

    Ulteriori approfondimenti qui e qui.

    Grazie per l’attenzione.


    Approfondimenti

    Articoli sulla preparazione atletica → qui

  • Tendini: salute e performance

    Tendini: salute e performance

    All’estremità di ogni fibra muscolare, la membrana plasmatica si fonde con una struttura fibrosa che si inserisce nell’osso (o sulla pelle), questa struttura è il tendine.

    Definizione generale

    I celebri ricercatori Wilmore e Costill nel libro Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport definiscono i tendini come strutture fatte di corde fibrose (o fili) di tessuto connettivo che trasmettono la forza generata dalle fibre muscolari alle ossa, creando così movimento. I tendini sono formati da fibroblasti e matrice extracellulare. I primi sintetizzano sostanze della matrice extracellulare, ossia il collagene (sostanza resistente) e l’elastina (sostanza più elastica).

    Come riporta uno studio di qualche anno fa [1], il tendine aiuta a facilitare il movimento e la stabilità articolare attraverso la tensione generata dal muscolo. I tendini possono anche immagazzinare preventivamente l’energia che poi sarà utilizzata per dei movimenti successivi. Ad esempio, il tendine di Achille può immagazzinare fino al 34% della potenza totale della caviglia.

    Salute

    Le fibre di collagene citate poco prima, sono fondamentali per fornire resistenza alla trazione del tendine. La disposizione parallela delle fibre di collagene fornisce resistenza al tendine permettendole di sperimentare grandi forze di trazione senza subire lesioni [2]. Quando un tendine sperimenta livelli di stress da carico superiori alla sua fisiologica capacità di trazione si verificano micro o macrotraumi, anche se difficilmente l’allenamento della forza porta a lesioni serie.

    Come ampiamente spiegato in passato (qui), la solidità dei tendini è in buona parte legata a fattori genetici individuali, quindi legati alla nascita e non modificabili. Pertanto con un corretto allenamento si può migliorare ma solo fino a un certo punto.

    Sopra, la classificazione degli infortuni tendinei (Brumitt J. et al., 2015).

    In caso di gravi danni al tendine, come una sua rottura dello stesso, il movimento è seriamente compromesso (perdita totale, o quasi).

    Letture consigliate
    - Genetica e predisposizione agli infortuni
    - Traumatologia e sport (1/3): infortuni, tessuti, entità delle lesioni e statistiche
    - Traumatologia e sport (2/3): fratture, distorsioni e infortuni muscolari
    - Traumatologia e sport (3/3): tendinopatie, terapie e prevenzione degli infortuni
    Adattamento, allenamento e performance

    Come evidenziano studi condotti sia sugli uomini che sugli animali, l’allenamento contro resistenze (pesi) è in grado di aumentare la rigidità dei tendini [3,4]. I tendini, sul lungo periodo, rispondono all’allenamento con i sovraccarichi aumentando il numero e la densità delle fibrille di collagene [5,6].

    Come riportato in letteratura scientifica [7] i tendini durante un ciclo di accorciamento-stiramento e durante le contrazioni isometriche massimali possono allungarsi fino dal 6 fino al 14%, inoltre se il tendine è lungo i fascicoli muscolari si allungano di meno. Un tendine più rigido è più prestante (assicura maggior potenza e velocità nei movimenti) ma è più soggetto agli infortuni.

    Qui sotto un riassunto di quanto detto finora.

    Conclusioni

    I tendini si adattano meno rapidamente dei muscoli agli stimoli allenanti, pertanto è sempre buona cosa ricordarsi che il tempo da dare all’organismo affinché esso recuperi e si adatti ai carichi di lavoro non è solo utile per il tessuto muscolare. Anche perché bisogna tenere a mente che spesso molti infortuni sono proprio di origine tendinea.

    Non si può non prendere in considerazione queste informazioni se si compila una scheda di allenamento o si lavora con degli atleti infortunati.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Brumitt J. et al. – Current concepts of muscle and tendon adaptation to strength and conditioning (2015)
    2 Lieber R. L. – Skeletal Muscle Structure, Function, and Plasticity (2010)
    3 Woo S. L. et al. – The effects of exercise on the biomechanical and biochemical properties of swine digital flexor tendons (1981)
    4 Kubo K. et al. – Effects of resistance and stretching training programmes on the viscoelastic properties of human tendon structures in vivo (2002)
    5 Huxley A. F. – Muscle structure and theories of contraction (1957)
    6 Wood T. O. et al. – The effect of exercise and anabolic steroids on the mechanical properties and crimp morphology of the rat tendon (1988)
    7 Thom J. M. et al. – Passive elongation of muscle fascicles in human muscles with short and long tendons (2017)

  • Il (non) problema delle asimmetrie

    Il (non) problema delle asimmetrie

    Quella che segue è una traduzione ed adattamento di un articolo particolarmente interessante del chinesiologo e coach Dean Somerset.

    Buona lettura!

    Un concetto chiave

    Una delle cose più importanti che desidero che le persone si portino a casa è la seguente: ogni individuo ha una propria anatomia, punti di forza, punti deboli e obiettivi. Pertanto, l’approccio a certi esercizi potrebbe non essere quello riportato sui comuni libri di testo. La compilazione del programma di allenamento, la scelta degli esercizi e l’approccio a quest’ultimi può variare da soggetto a soggetto.

    Gran parte della ricerca sulla variazione anatomica può mostrare che alcune persone hanno strutture che possono facilitare e consentire movimenti di un certo tipo, mentre per altre sarebbe più facile abbattere un muro di mattoni col labbro superiore piuttosto che eseguire una accosciata molto profonda, indipendentemente dai lavori sulla mobilità articolare e tessuti molli. Le loro articolazioni non hanno la conformazione idonea per fare certe cose!

    E anche guardando più in profondità nella tana anatomica del bianconiglio, uno stesso atleta può avere differenze significative fra l’arto destro e sinistro, superiore o inferiore che sia, specialmente se vi sono state delle esperienze sportive importanti prima dell’adolescenza (si parla di sport dove un lato del corpo è più impegnato rispetto alla controparte).

    Nella pratica

    I giocatori di baseball per esempio hanno la testa dell’omero del loro braccio di lancio leggermente deformata, questa “caratteristica” ovviamente non si presenta nel braccio che solitamente non viene utilizzato per i lanci. Cambiando sport, la postura che generalmente tengono i praticanti di hockey nell’impugnare il bastone li porta ad avere un’estensione dell’anca maggiore da un lato rispetto all’altro.

    Sopra, le variazioni anatomiche dell’angolatura del collo del femore.

    Guardando le differenze nell’angolo del collo femorale della gamba sinistra e destra nei bambini con paralisi cerebrale, Davids et al. (2002) hanno dimostrato che in alcuni bambini questa differenza può essere piccola, di pochi gradi, e in altri molti più netta (fino a più di 25 gradi). Questa differenza strutturale potrebbe stare a indicare che mentre un piede extraruota (turns out) l’altro magari intraruota (turns in).

    Uno studio di Zalawadia et al. (2010) ha mostrato come anche soggetti senza problemi cerebrali possano avere significative differenze nell’antiversione fra l’arto inferiore destro e sinistro (20 o più gradi). Al riguardo qui sotto potete osservare qualche numero.

    Pertanto, se in uno stesso individuo vi sono asimmetrie rilevanti, ma comunque fisiologiche, ricercare a tutti i costi asimmetrie nel movimento potrebbe essere impossibile, nonché inutile.

    Se io voglio stare con la punta del piede destro extrarotata è perché ho una differenza strutturale a livello dell’anca (la destra è differente dalla sinistra). I muscoli dell’anca sono relativamente bilanciati quando le articolazioni su cui agiscono sono a riposo, se però provo a stare in una stance perfettamente simmetrica durante l’esecuzione di un qualche esercizio l’equilibrio viene alterato.

    Forzare la simmetria su una struttura asimmetrica non aiuta a correggere gli squilibri muscolari. Anzi, è probabile che li causi.

    Spesso, per esercizi come squat o stacco da terra si cerca una stance simmetrica, simile a quella mostrata nella figura qui sotto.

    Secondo quanto affermato fino ad ora, potrebbe non essere una scelta saggia. Almeno in teoria, persone con strutture asimmetriche dovrebbero trovarsi più a loro agio in stance fisiologiche e che quindi rispettano le loro asimmetrie corporee (figura sotto).

    Oppure per certe persone sarebbe naturale avere un piede un po’ dietro l’altro (fig. sotto).

    Altre persone ancora potrebbero avere dei benefici in stance tipiche di esercizi dove non si appoggia sempre l’intera superficie del piede a terra (affondi/piegate).

    Discostandoci un attimo dall’articolo originale, le asimmetrie, particolarmente presenti negli atleti più navigati, secondo i dati attualmente presenti in letteratura scientifica il più delle volte sono da considerarsi come un qualcosa di assolutamente normale. Testimoniano ciò fior fior di studi. Ne è un esempio quello di Haugen T. et al. (2018) i cui numeri chiave sono riportati nella tabella qui sotto.

    Parecchie asimmetrie sono comunissime negli sprinter d’élite e non rappresentano in alcun modo un ostacolo alla performance od un pericolo per la salute. “Kinematic stride cycle asymmetry is not associated with sprint performance and injury prevalence in athletic sprinters” (immagine presa da qui).

    «Molti esperti di allenamento della forza, fisiologi e ricercatori hanno proposto che dovremmo cercare di ridurre l’asimmetria del movimento durante lo sport, al fine di migliorare le prestazioni e ridurre il rischio di infortuni. Tuttavia, come dimostra questo nuovo studio sugli sprinter di pista, l’asimmetria del movimento è estremamente comune durante lo sprint e non è correlata né alle prestazioni di sprint né al rischio di lesioni. È quasi come se l’asimmetria fosse una caratteristica del tutto naturale del movimento umano».

    Conclusioni

    Riguardo alle immagini dei piedi nel paragrafo precedente, qualcuna di quelle posizioni è sbagliata? No. Una posizione potrebbe essere completamente giusta per qualcuno, ma non funzionare affatto per qualcun altro. E va bene così. Non tutti abbiamo bisogno di fare le medesime cose, o muoverci allo stesso modo.

    Se pensiamo ad esempio alle visite oculistiche, è diffusissimo il fatto che le persone vedano bene da un occhio e meno bene dall’altro. Anche gli occhi, esteticamente identici, nelle persone sane non sono uguali, e lo stesso concetto è valido per le altre parti del corpo.

    Certi accorgimenti tecnici su gesti/esercizi sportivi potrebbero essere utilissimi per alcuni soggetti ed inutili per altri. Solo l’esperienza ed un occhio attento possono fare la differenza e capire quali esercizi e movimenti sono più adatti ad un individuo e quali meno. Distinguendo le asimmetrie fisiologiche – che sono la stragrande maggioranza – da quelle patologiche.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Somerset D. – Symmetry Doesn’t Even Matter, And Probably Causes More Problems Than It Solves (2018)
    Davids J. R. et al. – Assessment of femoral anteversion in children with cerebral palsy: accuracy of the trochanteric prominence angle test (2002)
    Zalawadia A. et al. – Study Of Femoral Neck Anteversion Of Adult Dry Femora In Gujarat Region (2010)
    Haugen T. et al. – Kinematic stride cycle asymmetry is not associated with sprint performance and injury prevalence in athletic sprinters (2018)

  • Rocky Marciano vs John Locke: fra filosofia, storia e sport

    Rocky Marciano vs John Locke: fra filosofia, storia e sport

    La filosofia, quella scienza incredibilmente noiosa e prolissa dove un manipolo di esponenti dell’intellighenzia di chissà quale luogo cercano con insistenza una verità fasulla, producendo fiumi di parole incomprensibili.

    john-locke

    Questa è all’incirca l’etichetta stereotipata che alcune persone poco informate affibbiano alla filosofia. Oggi però cercheremo di unire quest’ultima alla pratica sportiva e per farlo chiameremo in causa alcuni intellettuali del passato, fra cui John Locke, filosofo omonimo del forse più noto personaggio della serie cult Lost.

    Godetevi questa breve lettura!

    Allenare il corpo per forgiare la mente

    Il celebre filosofo John Locke sosteneva che solo sottoponendo il corpo a privazioni e dure prove fisiche fosse possibile temprare il carattere e favorire l’acquisizione del dominio del sé. Egli considerava quindi l’esercizio fisico un qualcosa di indispensabile per rendere il corpo e la mente idonei ad affrontare le sfide della vita, anche le più avverse.

    Rocky Marciano (storico pugile italo-americano)

    Allo stesso tempo, sempre secondo l’empirista britannico, sfogarsi ed impegnare il proprio tempo libero con lo sport era un ottimo modo per mettere in pausa il lavoro intellettuale e riprenderlo con maggiore impegno una volta terminata l’attività fisica.

    Insomma, una sorta di Antirrhetikos che vede nel movimento – invece che nella scrittura – un fedele alleato nella lotta contro ciò che di malvagio ci circonda.

    In definitiva, dietro a quello che per alcuni era banalmente l’insieme di sudore e inutili sacrifici, si celava qualcosa di molto più grande, la crescita del corpo e dello spirito.

    In tempi un po’ più recenti potremmo portare come esempio il divieto imposto alle donne di praticare sport a livelli competitivi, divieto risalente all’epoca fascista. Questo aveva una sua ragione. Quale? Contrasto all’emancipazione femminile, la donna atleta poteva rendersi conto delle sue reali capacità, del proprio potenziale sportivo (e non solo), diventando quindi meno incline a farsi sottomettere dall’uomo. Insomma, tramite l’attività fisica la donna – come per il genere maschile – poteva e può acquisire fiducia nei propri mezzi, consapevolezza di sé, migliorare le sue condizione di vita.

    A dir la verità non è stato l’unico intellettuale di un certo peso a lanciarsi in dichiarazioni simili, specie se facciamo brevemente un tuffo nell’antichità.

    Come riportato qui da Nunzia Fabrizio:«… abbiamo alcuni famosi esempi di come lo sport e il vigore fossero centrali nella vita romana. Svetonio, nelle biografie dei primi dodici imperatori, ci racconta dei “giochi” trionfali messi su da Cesare nel 45 a.C. Da lì si evince un’idea dello stato romano e l’importanza dell’atletica nei confronti delle altre forme di intrattenimento nella società romana. Svetonio scrive che gli spettacoli pubblici di Cesare erano di vario genere. Tra questi vi era un combattimento di gladiatori, degli stage di giochi in ogni quartiere di Roma eseguiti in tutte le lingue, le corse dei carri nel circo, varie gare di atletica, e una battaglia navale finta. Oltre a Svetonio abbiamo Galeno, il quale ha iniziato la sua carriera come gladiatore oscuro e poi come allenatore medico, diventando alla fine medico di corte dell’imperatore Marco Aurelio. Egli riflette le pratiche del suo tempo e scrive: “I più eminenti filosofi e medici dell’antichità hanno discusso in modo adeguato i benefici per la salute di esercizi di ginnastica e di dieta, ma nessuno ha mai stabilito la superiorità degli esercizi con la palla. Credo che il migliore di tutti gli esercizi è quello che esercita non solo il corpo, ma rinfresca anche lo spirito. Gli uomini che hanno inventato la caccia erano saggi e conoscono bene la natura dell’uomo, perché mescolano i loro sforzi con il piacere, la gioia, e la rivalità”» [1].

    Le caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.c.), di quello d’oriente d’Oriente (assedio di Costantinopoli, 1453 d.c.), sommate al lento e progressivo affermarsi del Cristianesimo, deturparono non poco la cultura sportiva. Più che il fisico era importante curare la mente, pensare troppo al fisico avrebbe allontanato le persone da Dio e dalle preghiere ad egli rivolte.

    Basti pensare alla scissione della mente dal corpo, sostenuta dal filosofo Cartesio (1596-1650). Quest’ultimo vedeva come predominante la prima sul secondo.

    Inoltre, con l’arrivo delle armi da fuoco diventò un po’ meno importante la prestanza fisica; in fin dei conti con fucili e cannoni si potevano stroncare vite senza passare per l’obsoleto e faticoso scontro corpo a corpo. Al riguardo, l’abate Antonio Genovesi mostrò non poche perplessità. Egli, pur essendo un uomo di chiesa, riteneva che il peggioramento fisico degli uomini potesse indebolirne a poco a poco lo spirito, portando allo sgretolamento dei popoli europei [2].

    Per avviarci alla conclusione, sottolineiamo come in tempi più recenti – dagli anni sessanta del ventesimo secolo in poi – lo sport sia tornato nuovamente sotto la lente di ingrandimento della filosofia.

    Nel 1969 venne pubblicato il libro riportato sopra: Sport: A Philosophic Inquiry del filosofo americano Paul Weiss. Nel decennio successivo videro la luce riviste e saggi filosofici incentrati proprio sul movimento, fino ai giorni nostri.

    Va citata ad esempio l’associazione BPSA, British Philosophy of Sport Association e le sue pubblicazioni (Sport, Ethics and Philosophy).

    Conclusioni

    Finora, la filosofia ha trattato solo marginalmente lo sport e non vi sono i presupposti perché in futuro le cose cambino. Tuttavia, è innegabile che questo rapporto fra corpo e mente, aggiungendoci magari anche la spiritualità, per quanto astruso, sia estremamente affascinante.

    «Mens sana in corpore sano» (Decimo Giunio Giovenale)

    Grazie per l’attenzione.

    Buon allenamento (e buono studio)!


    yoda
    Bibliografia

    Morandini M. C. – Pedagogia (Dispense Universitarie SUISM, a.a 2015/2016)
    John Locke – Pensieri sull’educazione (1693)
    1 Nunzia Fabrizio – Filosofia e sport (2015, link)
    2 Ballexserd J. – Dissertazione sull’educazione fisica dei fanciulli (1763)