Per evitare che vada perso, consiglio caldamente a tutti di visionare questo interessantissimo video creato da Domenico Aversano (Skeptical Dragoon) che mostra con semplicità, attraverso degli esempi pratici, tutti i movimenti dell’omero sui vari piani di movimento. Buona visione!
Per approfondimenti sui piani di movimento, ritmo scapolo-omerale ed ossa vi rimandiamo ai soliti articoli:
Prima di parlare delle caratteristiche specifiche di un lottatore, è doveroso fare una premessa sulla definizione di “condizione fisica” (dal latino conditio = condizione per qualcosa; e physĭcus, derivazione di phŷsis = natura).
Tale definizione è utilizzata come riepilogativa di tutti i fattori fisici, tecnico – tattici, psichici, cognitivi e sociali che presenta l’atleta durante la prestazione. Questi fattori, si possono suddividere in capacità organico-muscolari (dette impropriamente anche “condizionali”) e capacità coordinative. Infine vi è una terza capacità che si pone a metà strada tra i due gruppi, ovvero la mobilità articolare (che non DEVE essere intesa come stretching), definibile come la capacità di eseguire i movimenti coordinati e con la massima escursione articolare possibile.
Negli sport da combattimento in generale, non vi è una capacità che predomina in maniera assoluta rispetto alle altre come del caso di un maratoneta o di un pesista facendo così rientrare il combattente in quella categoria di atleti che presentano caratteristiche anatomo-fisiologiche in diversi rapporti tra loro. In linea generale tali capacità si possono suddividere:
Forza: definita come la capacità di vincere una resistenza tramite la contrazione muscolare; tale capacità nel tempo, è stata suddivisa in varie tipologie da molti studiosi del settore, per capirne le varie differenze nelle applicazioni pratiche. Secondo Verchoshanskij e Zatsiorsky, esistono quattro differenti tipologie di forza:
F. Massimale: la massima forza che il sistema neuromuscolare è in grado di esprimere come contrazione volontaria;
F. Esplosiva: è la capacità di sviluppare alti gradienti di forza in tempi brevi;
F. Esplosiva Elastica: è una forza di tipo reattivo, ovvero che la muscolatura immagazzina ogni qual volta subisce, prima di contrarsi, uno stiramento;
F. Resistente: è la capacità del muscolo di opporsi alla fatica durante prestazioni di forza e di durata.
Nello specifico degli sport da combattimento, allenare e varie tipologie di forza è fondamentale per generare un potenza sufficiente a sferrare colpi e/o atterrare l’avversario allo scopo di finalizzare il match;
Resistenza: è la capacità psicofisica dell’atleta di opporsi all’affaticamento. La resistenza psichica comprende la capacità dell’atleta di riuscire a resistere il più a lungo possibile a uno stimolo che lo indurrebbe a interrompere lo sforzo. La resistenza fisica, invece, si riferisce alla capacità dell’intero organismo, o dei suoi singoli sistemi parziali, di resistere alla fatica. Nel caso del lottatore, è importante allenare le varie componenti della resistenza (aerobica, anaerobica, specifica, aspecifica, ecc.) in quanto permette all’atleta di sostenere lo sforzo prolungato (come nel pugilato che, a livello professionistico, ogni incontro contiene ben 12 round da tre minuti l’uno), ma soprattutto gli permette di mantenere la lucidità mentale sotto sforzo, in modo da poter realizzare le varie tecniche, portare colpi decisivi e potenti anche nelle fasi finali dell’incontro;
Rapidità: con questa capacità si intende la capacità di raggiungere, in determinate condizioni, la massima velocità di reazione e di movimento possibili, sulla base di processi cognitivi, di sforzi massimi di volontà e della funzionalità del sistema neuro – muscolare (Grosser, 1991). Pertanto la rapidità rappresenta un insieme di capacità, straordinariamente varie e complesse, che si manifesta in modi completamente differenti nei vari sport.
Lottatori, pugili, karateka, judoka, thai boxer, kick boxer, si caratterizzano tutti per un’elevata espressione alla rapidità, ma da molti punti di vista si differenziano per quanto riguarda la rapidità specifica del loro sport;
Potenza: si ottiene dal prodotto della forza applicata per la velocità di contrazione del muscolo in oggetto. Essendo la velocità una capacità di natura congenita e poco soggetta e miglioramenti, l’espressione e l’applicazione della potenza dipende soprattutto dalla forza applicata.
A primo impatto verrebbe da pensare che, per avere la massima potenza, si dovrebbe applicare la massima forza possibile ma ciò non è così come scoperto da A. V. Hill.
Senza entrare nel dettaglio, più una fibra muscolare si accorcia velocemente, meno forza può generare ai suoi capi e viceversa, in sostanza non si può avere tutto!
Pertanto per ottenere la massima potenza esprimibile da una catena cinetica si ottiene con una mediazione dei valori di forza e velocità. Nel caso specifico negli sport da combattimento, la potenza è fondamentale per sferrare colpi decisi, veloci e potenti in grado di colpire l’avversario e metterlo in difficoltà;
Timing: questa capacità, nonostante sia molto importante per saper attuare le tecniche al momento e nel modo giusto (sia che siano tecniche di percussione che di sottomissione), spesso viene trascurata e lasciata all’esperienza dell’atleta se non, peggio ancora, addirittura al caso, quando invece è un fattore da dover allenare anche in sessioni d’allenamento specifiche e a mente lucida e riposata. Saper attuare le tecniche giuste al momento giusto è un fattore che, spesso, risolve situazioni difficoltose e/o intricate decisive per la finalizzazione del match;
Agilità: anche se presenta una componente prevalentemente coordinativa, l’agilità è una delle qualità motorie di più difficile definizione, in quanto deriva dall’integrazione di diverse capacità, come equilibrio, coordinazione, velocità, riflessi, forza e resistenza. Pertanto l’agilità si potrebbe definire come la fusione delle capacità motorie, esaltate ai massimi livelli, tale per cui si può effettuare un qualsiasi movimento in modo efficiente ed efficace; ne consegue che l’agilità è una componente essenziale per un combattente poiché più è agile, più si potrà muovere coordinatamente in velocità ed in economia di energie;
Flessibilità: detta anche mobilità articolare, è la capacità di un soggetto di muovere una o più articolazioni con la massima escursione articolare possibile, senza alcun limite e senza dolore. Nei lottatori la mobilità articolare è fondamentale per la realizzazione e l’impostazione delle tecniche (si pensi ad esempio ad un Thai boxer o ad un Kickboxer che, se non avessero un’ottima mobilità articolare dell’articolazione coxo-femorale, non potrebbero sferrare calci al viso in modo efficace ed efficiente), oltre che per evitare infortuni dovuti a stiramenti e/o strappi;
Conoscenza: con questo fattore, non si intende solo la mera conoscenza delle tecniche di attacco e difesa del combattimento, quanto i vari i stili e atteggiamenti che vengono applicati durante la lotta, saper capire come si muove l’avversario in modo da poterlo anticipare e sopraffare, saper individuare le strategie applicate e prontamente saper applicare una tattica adeguata. Quindi la conoscenza è composta da tutto il bagaglio esperienziale del fighter che gli permetterà di trovarsi raramente impreparato alle situazioni;
Reazione: è la capacità di reagire agli attacchi, dote spesso molto sottovalutata e tralasciata come il timing, ma anch’essa assolutamente necessaria per ogni fighter. Un pugile che sa reagire immediatamente agli attacchi dell’avversario sa anche fermarli e/o anticiparli, un lottatore che riesce e piazzare una contromossa mentre subisce un tentativo di finalizzazione sarà meno vulnerabile e più combattivo;
Tecnica: ed infine ma non per importanza, la capacità tecnica di saper portare in modo corretto i colpi rende un combattente tale. Ma se padroneggia solo questo fattore peccando nelle altre capacità elencate, sarebbe un lottatore incompleto e facilmente battibile.
Con questa seconda parte abbiamo provato a dare un’infarinatura su quelle che sono le capacità che un guerriero del ring deve possedere. Tutto ciò non può essere creato senza una preparazione atletica realizzata su misura al fighter.
Per dubbi ed eventuali domande non esitate a chiedere.
E’ ormai da parecchie settimane che mi occupo della preparazione atletica della squadra di basket del progetto Pegaso di Asti. Quando mi hanno fatto questa proposta ho accettato senza indugiare più di tanto, questo anche per mettere in pratica gli insegnamenti della materia “APA/AFA” che ho avuto al secondo anno universitario di Scienze Motorie.
In questo articolo parlerò della preparazione atletica che, con l’aiuto dei due allenatori, ho fatto seguire ai ragazzi, dando qualche indicazione generale.
Attività fisica adattata
AFA = “…programmi di esercizio non sanitari, svolti in gruppo, appositamente disegnati per individui affetti da malattie temporanee/o croniche finalizzati anche alla modificazione dello stile di vita per la prevenzione secondaria e terziaria della disabilità” (Macchi e Benvenuti, 2012).
Dopo aver fatto una breve ed infruttuosa ricerca sul web, ho deciso di analizzare un po’ di cose e di buttare giù una bozza di macrociclo.
Teoria dell’allenamento
Struttura e materiale a disposizione: Palestra scolastica dotata di campo da basket ( x m), 2 spalliere, dei materassi spessi circa 40 cm, una ventina di cinesini di diversi colori, due coni alti 30 cm circa e, ovviamente, un discreto numero di palloni basket.
Squadra: 19 giocatori in totale (di cui solo una donna), con un’età che va dai 18 ai 40 anni. Il numero medio di giocatori per allenamento è intorno ai 15. Di tutto il gruppo, 2 persone sono affette dalla sindrome di down, ciò, nella pratica, le porta a distrarsi spesso, non capendo quasi mai il corretto svolgimento degli esercizi e concentrandosi unicamente sull’atto finale di una qualsiasi azione di gioco: tirare a canestro! Altri due soggetti sono gravemente in sovrappeso (e questo condiziona moltissimo la loro capacità di muoversi) e
Allenamenti settimanali: solamente 1 allenamento a settimana della durata di un’ora.
Calendario gare: Week-end interi dedicati alle gare ogni 3-4 mesi circa.
Risultano quindi chiare un po’ di cose: il tempo è quello che é, e la preparazione atletica non deve rosicarne troppo all’allenamento della tecnica (e anche della tattica). Per il poco materiale a disposizione e problemi articolari e coordinativi di vario genere, gli atleti non avranno modo di allenare la forza massimale (non ci sarebbe neanche il tempo necessario per provare a lavorare sugli schemi motori). Inoltre, un certo numero di praticanti (6) è completamente impossibilitato ad eseguire come si deve ogni esercizio, a dirla tutta, oltre a camminare (a fatica) e muovere le braccia può fare poco, questi giocatori avranno sempre delle aggevolazioni sulle esercitazioni (gli verranno quindi fatte eseguire delle varianti meno complicate). Anche se quest’ultime porteranno magari ad un diverso utilizzo dei sistemi energetici e/o capacità condizionali non importa: ciò che conta è dar la possibilità a tutti di muoversi, fare sport, divertirsi con gli altri!
Struttura allenamenti
Lontano dalle gare: 30-45′ su 1h saranno dedicati alla preparazione atletica (riscaldamento incluso), i restanti 15-30′ a lavori incentrati sulla tecnica e sulla tattica.
In prossimità delle gare: 20-30′ circa di preparazione atletica (riscaldamento incluso) e 30-40′ di allenamento tecnico-tattico.
Cosa bisogna allenare di preciso?
Forza
Massimale ✓
Esplosivo-elastica ✓
Resistente ✓
Velocità / rapidità ✓
Resistenza
Aerobica ✓
Anaerobica (alla potenza e alla velocità) ✓
In più: agilità, rinforzo del core, stretching ed equilibrio ✓
Linee guida pratiche
Forza massimale: dato il basso livello atletico generale sono più che sufficienti dei piegamenti sulle braccia (push ups). Da 5-6 ripetizioni fino a 10, serie comprese fra le 3 e le 6 per ogni esercizio. I ragazzi meno forti possono eseguirli con le ginocchia appoggiate a terra, in modo da rendere l’esercizio meno intenso.
Per gli arti inferiori invece, è sufficiente l’esercizio hip thrust a corpo libero (bipodalico o monopodalico).
Piegamenti
Hip thrust senza pesi
Forza esplosivo-elastica: piccoli balzi standard e balzi con contromovimento, sia bipodalici che monopodalici (poche ripetizioni ed un buon recupero, possibilmente attivo).
Balzo monopodalico su un rialzo
Per ottenere risultati soddisfacenti non è necessario un gran volume di allenamento. Schemi di allenamento come dei 3×5, 3×6, 3×8, 4×6* possono essere più che sufficienti. *serie x ripetizioni.
Forza resistente: esercitazioni a intensità media e medio-bassa. Sforzi continui e prolungati per incrementare le sue varie espressioni:
F. resistente su base aerobica: almeno 2′ di lavoro continuo
F. resistente su base anaerobica: (potenza lattacida): 40-90″ di lavoro cont.
F. resistente su base anaerobica: (capacità lattacida): 90-120″ di lavoro cont.
Il recupero completo è previsto solamente per la potenza lattacida. Al riguardo potrebbe essere utile un ripasso sui sistemi energetici (qui) e sulla frequenza cardiaca (qui).
Con poco materiale, tempo a disposizione e tenendo anche conto dello scarso bagaglio motorio dei più, è quasi impossibile andare a lavorare su tutte le sfaccettature della forza resistente. Senza abbatterci, possiamo comunque mettere nero su bianco degli esempi di esercitazioni pratiche.
Un esercizio su tutti è quello di camminare, magari palleggiando, con alle spalle un compagno che oppone resistenza tirando all’indietro il partner che cammina (dopo averlo cinto per i fianchi), rendendo più impegnativa la camminata. Le tempistiche di lavoro sono quelle elencate prima: >2′ (FR aerobica), 40-90″ (FR anaerobica, potenza lattacida), 90-120″ (FR anaerobica, capacita lattacida).
Velocità e capacità di reazione: esercizi per lo sviluppo della rapidità nei piccoli spostamenti con e senza palla (sprint con deviazioni, skip e movimento degli arti inferiori su speed ladder, esercitazioni che alla fine portano a tirare a canestro). Sprint su distanze comprese fra i 10 ed i 40 metri. Giochi di gruppo in grado di stimolare la prontezza dei riflessi, simulazione di azioni di gioco, eccetera.
Esempio pratico
Resistenza:
Aerobica: non c’è il tempo materiale per svilupparla con la classica corsa a Vo2max (potenza aerobica) od il fondo (capacità aerobica), tenendo anche conto dei problemi motori più o meno gravi che impedirebbero ad un cospicuo numero di ragazzi di correre bene per tot minuti. Le modalità di gioco (tempi, elevato numero dei cambi, eccetera), fanno sì che il sistema aerobico non debba essere troppo efficiente). Fare sport per un’ora o più consente di avere già una discreta capacità aerobica di base. In questo specifico caso è sufficiente quella, pertanto l’allenamento del sistema aerobico sarà indiretto.
Anaerobica: brevi scatti con recuperi incompleti per allenare la resistenza alla rapidità. Balzi, slanci e lanci della pallone. Il tutto con recuperi incompleti.
Agilità: dribbling e movimenti di vario genere (cambi di direzione, skip, rotazioni del corpo di 90-180-360° gradi attorno all’asse longitudinale) fra i coni, cinesini o su speed ladder. Un esempio lo trovate qui sotto ed a questo link.
L drill. Esempio di esercitazione per l’agilità eseguibile con o senza palla.
T drill. Esempio di esercitazione per l’agilità eseguibile con o senza palla.
Rinforzo core e stretching: esercizi di vario genere per il rinforzo dell’addome e della zona lombare (crunch, sit up, plank, estensioni lombari da sdraiati). Inoltre, per mantenere una buona flessibilità è consigliabile eseguire degli esercizi di stretching alla fine dell’allenamento. Non è casuale l’utilizzo della parola “mantenere”, infatti per incrementare la flessibilità servono almeno 2-3 sedute specifiche a settimana. E’ pertanto buona cosa, consigliare alla squadra di eseguire dello stretching, almeno gli esercizi più semplici, anche in altri giorni della settimana.
Equilibrio e propriocezione: camminata lenta o piccoli balzi (mono e bipodalici) su superfici instabili (materassine), ricezione e lanci della palla stando in equilibrio su una gamba sola.
Macrociclo di allenamento (esempio pratico)
Ipotizzando che gli allenamenti inizino la seconda settimana di settembre e le prime gare siano a metà dicembre. Durata macrociclo: 15 settimane, 1 allenamento a settimana della durata media di 1 ora, 4 allenamenti mensili.
Settembre (30-40' di preparazione atletica)
Allenamento n.1 - FM, FE, EQ, ABS e ST
All.2 - FM, FE, AG, EQ, ABS e ST
All.3 - FM, FE, VEL, EQ, ABS, e ST
All.4 - FM, FE, VEL, ABS e ST
Ottobre (30')
All.1 -FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
All.2 - FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
All.3 - FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
All.4 - FE, FR, VEL, AG, EQ e ST
Novembre (20-30')
All.1 - FE, FR, VEL, RP, AG e ST
All.2 - FE, FR, VEL, RP e ST
All.3 - FR, RV, RP, ABS e ST
All.4 - RV, RP, EQ e ST
Dicembre (15-20')
All.1 - RV, AG e ST
All.2 → competizione!
Legenda: FM = forza massimale; FE = forza esplosiva; FR = forza resistente; EQ = equilibrio; ABS = rinforzo core; ST = stretching; AG = agilità; RP = resistenza alla potenza; RV = resistenza alla velocità.
Ovviamente questo è solo un esempio, i metodi di periodizzazione sono molteplici, tutto va contestualizzato.
Altre indicazioni generali
Ricorrere ad esercizi/giochi di gruppo che coinvolgano e facciano divertire i ragazzi il più possibile, in modo da evitar di far calare la loro soglia di attenzione (già bassa).
Dare poche indicazioni e semplici istruzioni alla squadra, in modo da non mandare i ragazzi in confusione.
Far sì che in ogni allenamento siano trattate più capacità condizionali e coordinative possibili, bisogna ottimizzare il poco tempo a disposizione.
Essere armati di una dose enorme di pazienza.
Non essere troppo rigidi ma neanche perdere il controllo della situazione.
Allenare più capacità organico-muscolari sia un contesto competitivo che salutistico ha i suoi pro e contro, come ogni cosa del resto. In questo articolo vedremo cosa comporta abbinare gli allenamenti mirati all’incremento della forza massimale e quelli finalizzati al miglioramento della resistenza aerobica (endurance), dispensando un po’ di consigli pratici. (altro…)
Caffeina, può esserci nulla di più (ab)usato? In questo articolo andremo a vedere i pro, i contro e le linee guida di utilizzo. Buona lettura!
Cenni di chimica e fisiologia sportiva
La caffeina è una trimeltixantina, alcaloide naturale presente in alcune piante (caffè, cacao, matè, ecc.). Questa sostanza è una stimolante del sistema nervoso centrale (SNC) ed è largamente usata per contrastare stanchezza e sonnolenza. Essa agisce aumentando i livelli di adrenalina, noradrenalina e la frequenza cardiaca (fc). Le sue interazioni col SNC derivano dalla facilità con cui la caffeina, una volta assunta, attraversa la barriera emato-encefalica (BEE). Sui tessuti dell’organismo funziona da vasodilatatrice, eccetto su quello nervoso, dove risulta avere un effetto vasocostrittore.
Formula chimica
La sua digestione dentro al tratto gastrointestinale dura circa 45 minuti e, in condizioni normali, i suoi effetti possono rimanere stabile per 1 ora, per poi gradualmente scemare nell’arco di 3-4 ore. Questo però dipende molto da persona a persona (abitudini alimentari, assuefazione, ecc.). Ma riguardo all’assuefazione ne parleremo meglio più avanti.
Nell’uso quotidiano, la caffeina stimola la concentrazione e l’attenzione delle persone, anche sedentarie, migliorando le funzioni cognitive [1]. Questo può essere molto utile anche negli sport di situazione (tattica) e non solo, se pensiamo all’incremento della capacità di reazione data sempre da questo stimolante [2].
La sua assunzione, in acuto, aumenta i livelli di catecolamine plasmatiche: adrenalina e noradrenalina, le quali agiscono sul sistema di trasmissione adrenergico [20,21].
La caffeina promuove il rilascio degli acidi grassi liberi nel sangue, i quali possono essere usati come combustibile, risparmiando in una certa misura il glicogeno muscolare.
Oltre a quanto già detto, questo composto è utile per le attività di endurance (inibisce parzialmente il senso della fatica) [3,4,5,6] e, stimolando la lipolisi, favorisce il dimagrimento (riduce anche l’appetito). Per di più, attenua il dolore muscolare ad insorgenza ritardata (DOMS) [6].
Dolore muscolare post allenamento ridotto dalla caffeina [6]
La caffeina influenza anche l’EPOC (consumo di ossigeno post allenamento). Infatti si è visto che un dosaggio cronico di 6 mg di caffeina per kg di peso corporeo (circa 420 mg per un uomo di 70 kg), assunto prima dell’allenamento con i pesi, aumenta i livelli di EPOC e la spesa energetica del 15% [7].
Variazione del consumo di ossigeno (VO2) durante (destra) e post allenamento (sinistra) [7]
Riguardo invece alla forza massimale e alla potenza, i dati sono contrastanti [8,9,10,11]. Volendo provare a dare un giudizio, generale sulla questione, possiamo affermare che, qualora vi siano dei benefici, questi non sono particolarmente rilevanti.
Tuttavia, quelli elencati fino ad ora non sono che una piccola parte dei processi messi in atto da questo stimolante (figura sotto).
Gli innumerevoli effetti della caffeina secondo Sökmen B. e colleghi [12]
Per evitare l’assuefazione cronica, bisogna ricorrere a dei periodi di stop (wash out). Un rapporto di assunzione-scarico molto utilizzato, espresso in settimane, è di 3:1 o 4:1, con il periodo di massima ricezione (teorica) alla sostanza che si trova in corrispondenza della/e gara/e. Teniamo presente che sui “principianti” la caffeina inizia a manifestare i suoi effetti dopo circa 30 minuti, è importante ciclizzarla perché altrimenti, oltre a perdere di efficacia, verrebbero ritardate le sue tempistiche di azione.
La caffeina viene normalmente espulsa tramite l’urina. Tra l’altro, essa possiede una funzione diuretica [13].
Antagonismo con la creatina
Più di 20 anni fa, un celebre studio di Vandenberghe e colleghi [14] notò, quasi per caso, un certo antagonismo fra la caffeina e la creatina. Lo studio tuttavia presentava grossi limiti (breve durata, un solo test per misurare la variazione di performance, un periodo di scarico troppo breve, un campione poco ampio, dosi di caffeina forse eccessive). Negli anni a seguire, sono state pubblicate una miriade di ricerche scientifiche che hanno smentito questo antagonismo [15,16,17,18,19]. Il fatto che molte di esse abbiano usato protocolli di assunzione-scarico differenti dallo studio di Vandenberghe citato ad inizio paragrafo, non esclude del tutto che fare un carico di creatina a pochi giorni da una competizione (20-25 grammi/dì per 4-5 giorni di fila), possa annullare gli effetti positivi della caffeina, o viceversa. Questo però solamente in acuto.
Molte aziende producono e vendono integratori che contengono entrambe queste sostanze
Doping?
No, potete stare tranquille. Anche se assunta in capsule la caffeina, secondo il COI (Comitato Olimpico Internazionale) e la WADA (World Anti-Doping Agency), non è considerata una sostanza dopante. Lo era fino al 2007, poi le normative sono cambiate. Ne avevamo parlato qui un po’ di mesi fa.
Dosaggio ed assunzione
Prima di passare alle capsule di caffeina (generalmente da 200 mg), è consigliabile abituare piano piano il nostro corpo all’assunzione di questa sostanza in dosi minori (basta una tazzina di caffè), in modo da evitare possibili effetti collaterali (70-120mg di caffeina per ogni tazzina di caffè). É consigliato non superare i 350-400mg al giorno di caffeina, anche se le persone completamente assuefatte possono reggere dosaggi superiori.
Un piano di assunzione per “principianti” potrebbe essere il seguente:
Week 1: un paio di caffè al giorno
Week 2: una compressa da 200 mg pre-workout e 1-2 caffè nei giorni off
Week 3: una compressa da 200 mg pre-workout e 1-2 caffè nei giorni off
Week 4: una compressa da 200 mg pre-workout e 1-2 caffè nei giorni off
Week 5: wash out (scarico completo)
Effetti collaterali
Le controindicazioni principali sono: nervosismo, febbre, diuresi, tachicardia e ipotensione. Comunque nulla di preoccupante, se si segue l’opportuna posologia e se non si hanno problemi cardiaci o renali.
In ogni caso, è consigliabile consultare il proprio medico curante.
Conclusioni
La caffeina è una delle sostanze più studiate di sempre e anche delle più efficaci, non è un caso che in passato fosse considerata doping. Per un ampio numero di sportivi, questo composto è utile. Può servire ai culturisti, pur non essendo indispensabile, o essere molto importante per i maratoneti. Tutto dipende ovviamente dal contesto.
Grazie per l’attenzione e buon allenamento!
L’autore non risponde degli eventuali danni derivati dalle informazioni ivi contenute
Cravanzola E. – Sostanze eccitanti per il dimagrimento e la performance sportiva (2017)
Temple J. L. et al. – The Safety of Ingested Caffeine: A Comprehensive Review (2017)
Muñoz M. – Efecto de la cafeína sobre las agujetas (2013)
[1] Wyatt J. K. et al. – Low-dose repeated caffeine administration for circadian-phase-dependent performance degradation during extended wakefulness (2004)
[2] Santos et al. – Caffeine reduces reaction time and improves performance in simulated-contest of taekwondo (2014)
[3] Bell G. D. et al. – Exercise endurance 1, 3, and 6 h after caffeine ingestion in caffeine users and nonusers (2002)
[4] Doherty M. – Caffeine lowers perceptual response and increases power output during high-intensity cycling (2004)
[5] Graham T. E. et al. – Performance and metabolic responses to a high caffeine dose during prolonged exercise (1991)
[6] Hurley C. F. et al. – The effect of caffeine ingestion on delayed onset muscle soreness (2013)
[7] Astorino A. T. et al. – Effect of acute caffeine ingestion on EPOC after intense resistance training (2011)
[8] Bond V. et al. – Caffeine ingestion and isokinetic strength (1986)
[9] Williams J. et al. – Caffeine, Maximal Power Output, and Fatigue (1988)
[10] Astorino A. T. et al – Effects of caffeine ingestion on one repetition maximum muscular strength (2008)
[11] Wiles J. et al. – The effects of caffeine ingestion on performance time, speed and power during a laboratory-based 1 km cycling time-trial (2006)
[12] Sökmen B. et al – Caffeine use in sports: considerations for the athlete (2008)
[13] Robertson M. D. et al. – Effects of Caffeine on Plasma Renin Activity, Catecholamines and Blood Pressure (1978)
[14] Vandenberghe K. et al. – Caffeine counteracts the ergogenic action of muscle creatine loading (1996)
[15] Doherty M. et al. – Caffeine is ergogenic after supplementation of oral creatine monohydrate (2002)
[16] Spradley B. D. et al. – Ingesting a pre-workout supplement containing caffeine, B-vitamins, amino acids, creatine, and beta-alanine before exercise delays fatigue while improving reaction time and muscular endurance (2012)
[17] Lee C. L. et al. – Effect of caffeine ingestion after creatine supplementation on intermittent high-intensity sprint performance (2011)
[18] Vanakoski J. et al. – Creatine and caffeine in anaerobic and aerobic exercise: effects on physical performance and pharmacokinetic considerations (1998)
[19] Fukuda D. H. – The possible combinatory effects of acute consumption of caffeine, creatine, and amino acids on the improvement of anaerobic running performance in humans (2010)
[20] Anderson D. E. et al. – Effects of caffeine on the metabolic and catecholamine responses to exercise in 5 and 28 degrees C (1994)
[21] Norager C. G. et al. – Metabolic effects of caffeine ingestion and physical work in 75-year old citizens. A randomized, double-blind, placebo-controlled, cross-over study (2006)
Un termine che non cade mai in disuso è indubbiamente quello che avete appena letto nel titolo di questo articolo, il deallenamento.
Il deallenamento è stato trattato ed approfondito in un episodio del nostro Podcast ascoltabile (e scaricabile) gratuitamente al seguente link.
Cos’è?
Per deallenamento (detraining) si intende la perdita, più o meno marcata, di tutti quegli adattamenti fisiologici che l’organismo aveva avuto tramite l’allenamento fisico. Da quelli (altro…)
Quali adattamenti fisiologici possono portare differenti tempi di recupero fra una serie e l’altra durante l’allenamento in palestra? Sono correlati in qualche modo all’aumento della massa muscolare? Scopriamolo insieme!
Per trattare questo argomento, prenderemo in esame una nota review sistematica di Schoenfeld B. J. e colleghi pubblicata sull’European Journal of Sport Science [1].
Prima di ogni training camp, sia che si tratti di professionismo o di semplice dilettantismo, è buona cosa far effettuare agli atleti dei test specifici, per valutare lo stato di forma e capire quali sono i punti deboli e quali quelli di forza. Durante l’imminente macrociclo di allenamento, si andrà ovviamente a lavorare di più sui primi e un po’ meno sui secondi. Per chi fosse poco ferrato in materia è consigliabile fare prima un breve ripasso sulle capacità condizionali e coordinative (qui) e sui sistemi energetici (qui).
Ovviamente è di fondamentale importanza la tecnica. Possedere il corretto schema motorio consente di reclutare i giusti muscoli (tenendo comunque presente che si tratta di esercizi multiarticolari) e di limitare il rischio infortunio.
*le cifre rappresentano i carichi massimali che gli atleti riescono a sollevare (1RM) riferiti al proprio peso corporeo (Bw, bodyweight). Riguardo alle trazioni, il peso è il sovraccarico legato alla vita tramite la cintura. Ad esempio, un atleta che pesa 100 kg (x0,25 o x0,5) deve riuscire ad eseguire una trazione alla sbarra completa con una zavorra di almeno 25 kg.
A differenza degli esercizi di forza massimale, qui entrano in gioco veramente troppi fattori soggettivi. E’ quindi molto difficile stabilire una scala di valori numerici per i vari esercizi. Eccetto che per il push press: 0,75-1xBw.
Push press
Vertical jump
Broad jump
Plyo box jump up
Gli esercizi esplosivi riguardano i piani di movimento tipici degli sport da combattimento (frontale e trasversale). Le unità di misura per tutti e tre i salti sono, ovviamente, in centimetri.
Forza resistente: push ups max reps; pull ups max reps, plank max time.
Qui c’è poco da spiegare, un esercizio di spinta, uno di trazione ed uno di isometria del core. Massimo numero di piegamenti sulle braccia consecutivi, massimo numero di trazioni prone (pull ups) ed infine un ponte (plank) mantenuto per più tempo possibile (senza perdere la contrazione addominale).
Piegamenti
Trazioni
Plank
Resistenza: test di Conconi (individuazione soglia anaerobica) e test di Cooper; è necessario per prima cosa prendere il battito cardiaco a riposo.
Il test di Conconi può essere effettuato in laboratorio (su cicloergometro), su tapis roulant o cyclette, in alternativa anche su pista di atletica [1]. Quest’ultima opzione è la meno attendibile e infatti sta cadendo un po’ in disuso. Il test di Cooper va invece fatto per avere un’idea generale della resistenza fisica dell’atleta. Consiste nel correre per dodici minuti di fila, cercando di coprire la maggior distanza possibile [2]. Sui tapis roulant più moderni, si possono eseguire entrambi questi test, insieme a molti altri (foto a sinistra).
Di seguito, i risultati ritenuti più o meno soddisfacenti (da molto bene a malissimo), espressi in metri, rapportati alla varie fasce di età (si parla ovviamente di uomini attivi e perfettamente sani). Ulteriori approfondimenti, compresi i valori validi per la popolazione femminile, li potete trovare qui.
Velocità: sprint sui 40 metri e test delle due linee.
Indicativamente dei tempi ritenuti soddisfacenti per gli sprint sui 40 m sono:
Uomini ♂ → mediocre: 5.20-5.40″; buono: 5.19-4.90″; ottimo: <4.90″.
Donne ♀ → mediocre: 5.90-5.65″; buono: 5.64-5.35″; ottimo: <5.35.
I valori si riferiscono ad atleti sani con un’età compresa fra 18-35 anni.
Il secondo test consiste invece nel tracciare due linee parallele, distanti circa 40 cm (immagine riportata sotto) e nell’andare con i piedi “avanti e indietro” per il maggior numero di volte possibile nel tempo concesso (dieci secondi).
Una singola ripetizione dell’esercizio (non ci sono spostamenti laterali)
Si parte con entrambi i piedi dietro ad una linea (B) e si portano i piedi oltre la linea opposta (A) uno per volta, alla massima velocità possibile, poi alla stessa maniera si riportano i piedi dietro alla line di partenza (B), e così via, senza interruzioni, fino allo scadere del tempo (10″). Nella figura sopra, tutti i passaggi (1-5) corrispondono ad una singola ripetizione dell’esercizio.
Mobilità articolare: sit and reach e test di mobilità delle spalle (sollevamento bracia con bacino retroverso e schiena appoggiata ad un muro).
Il sit and reach test consiste nel ricercare la massima estensione della catena muscolare posteriore da seduti, inclinando il busto in avanti (figura sotto). Le punte delle dita devono cercar di toccare la porzione della tavola più distante possibile. Si salverà il risultato facendo un segno proprio sulla superficie della tavola posizionata poco sopra i piedi ed annotando la distanza raggiunta. A questo link potete trovare un video pratico del test.
Invece nell’altro test, dopo un breve riscaldamento, l’atleta si posiziona di spalle ad un muro, con la schiena perfettamente aderente alla parete in ogni suo punto (zona lombare compresa).
Successivamente deve sollevare gli arti superiori provando a toccare il muro alle proprie spalle, mantenendo ovviamente l’articolazione del gomito bloccata. Si misura con un metro (o righello) la distanza delle mani dalla parete.
Con le suddette regole, la maggior parte delle persone non è in grado di arrivare a toccare la parete. Quando la mobilità richiesta in questa prova viene raggiunta, si passa ad esercizi più impegnativi, di cui magari parleremo in futuri articoli.
Stabilità ginocchio: lateral and medial single leg hop series (video sotto). Con questo esercizio si valuta la stabilità dell’articolazione del ginocchio, una delle più soggette agli infortuni. Nel caso venissero notate delle problematiche (valgismo, varismo, scarso equilibrio, errato appoggio monopodalico), queste dovranno essere corrette, se necessario con la supervisione di un fisioterapista od un fisiatra.
Conclusioni
Quelli di cui abbiamo appena parlato sono i principali test che un preparatore atletico serio dovrebbe far eseguire ai propri atleti praticanti SdC. Ovviamente nulla vieta di sostituirne alcuni con delle varianti, ci sono anche vari fattori che entrano in gioco (disponibilità delle strutture, caratteristiche individuali dei fighters, infortuni pregressi, tipo di programmazione, tempo a disposizione, eccetera). I test vanno eseguiti all’inizio di ogni training camp e vanno poi ripetuti all’inizio del training camp successivo, confrontando i risultati.
Senza numeri sono tutti atti di fede
Detto ciò, non resta che salutarci ed augurare a tutti un buon allenamento!
Il curl eseguito alla panca Scott è un must dell’allenamento delle braccia. Ma siamo davvero sicuri che sia così efficace? Il titolo provocatorio dell’articolo suggerisce di no. Ora, partendo dalla biomeccanica e fisiologia muscolare, cercheremo di scoprire i pro ed i contro di questo esercizio. Buona lettura!
Descrizione e cenni biomeccanica
In breve, l’esecuzione è la seguente: partendo da seduti si impugna il bilanciere, portandolo a pochi centimetri dal viso tramite la flessione del gomito, fin dove l’escursione articolare lo permette. Una volta terminata la fase concentrica, si lascia scendere il bilanciere fino a distendere quasi completamente gli arti superiori. La presa è supina, quindi con i palmi rivolti verso l’alto, garantita dall’articolazione del gomito, la quale appunto permette anche i movimenti di flessione ed estensione dell’avambraccio sul braccio (fisiologia articolare).
Nelle palestre si vede eseguire questo esercizio quasi sempre con il bilanciere ma può essere anche svolto con dei manubri.
“Difetti” dell’esercizio
Teoricamente il curl su panca Scott dovrebbe coinvolgere maggiormente il capo breve del bicipite brachiale, ma in realtà i test scientifici non hanno mai rilevato grosse differenze nella sua attivazione nei tre principali tipi di curl: in piedi (DBC), da seduti su panca inclinata (IDC) e Scott (DPC) [1].
Va comunque ricordato che l’attività muscolare, misurabile tramite le elettromiografie, non è un parametro troppo attendibile per quanto riguarda l’ipertrofia muscolare (approfondimenti qui).
Infatti, seguendo il diagramma tensione-lunghezza del tessuto muscolare, se un sollevamento inizia quando il muscolo target è in massimo allungamento, il muscolo non può esercitare alti livelli di forza. Stessa cosa se il muscolo, prima che inizi il sollevamento, è già molto accorciato. Infatti, anche in questa situazione la forza espressa non è molta. Per di più, in quest’ultimo caso il ROM (range of motion) è anche scarso. Il primo caso è quello del curl su panca Scott, il secondo riguarda invece il curl su panca inclinata.
Invece, il classico curl in piedi è un po’ una via di mezzo fra le due modalità di esecuzione. Il muscolo infatti non parte né troppo allungato, né troppo accorciato.
Dato il range di movimento veramente scarso, il curl Scott è sembrerebbe essere quello meno ottimale per la crescita muscolare. E c’è anche da considerare il fatto che le ripetizioni parziali in massimo accorciamento, rispetto a quelle in massimo allungamento, non siano l’ideale per l’ipertrofia (minor rilascio di IGF-1, ridotto stimolo meccanico e metabolico) [2]. In aggiunta, quando l’avambraccio è perpendicolare, o quasi, al suolo (fine della fase concentrica), la tensione esercitata sul bicipite brachiale è molto bassa, vicino allo zero. E’ importante sottolineare ciò perché la tensione continua ed il TUT sono dei fattori fondamentali dello sviluppo ipertrofico.
Come fatto notare dal Dott. Andrea Roncari (qui), un altro studio presente in letteratura scientifica [3] ha evidenziato che una flessione della spalla di circa 90°, cioè quella imposta da alcuni modelli di panca Scott, non sia ottimale per l’attivazione del bicipite brachiale, meglio una flessione meno ampia (75°). L’angolo di flessione è il rapporto fra l’arto superiore completamente disteso ed il busto. Ad esempio, quello nella figura a sinistra è un angolo di soli 50°, la maggior parte dei modelli di panca Scott presenti nelle palestre hanno una struttura che impone degli angoli di flessione maggiori.
Conclusioni
Ovviamente il curl Scott, come del resto ogni altro esercizio, può trovare il suo posto all’interno di una sensata programmazione dell’allenamento. Già solo il variare lo stimolo allenante è uno dei principi base dell’ipertrofia muscolare (alternare gli esercizi, tecniche di intensità nuove, tempo sotto tensione ecc.). Pertanto occasionalmente può essere inserito in delle schede di allenamento, magari abbinato ad esercizi a ROM più ampio. Sui neofiti, soggetti alle prime armi carenti un po’ in tutti i distretti muscolari, sarebbe saggio evitare – o comunque limitare il più possibile – esercizi come questo. Meglio incrementare la massa muscolare in toto e solo successivamente andare a lavorare sui dettali.
Kapandji – Fisiologia articolare (1999) 1 Oliveira L. F. et al. – Effect of the shoulder position on the biceps brachii emg in different dumbbell curls (2009) 2 McMahon G et al. – Muscular adaptations and insulin-like growth factor-1 responses to resistance training are stretch-mediated (2014) 3 Moon J. et al. – The Effect of Shoulder Flexion Angles on the Recruitment of Upper-extremity Muscles during Isometric Contraction (2013)
L’hip thrust è un’esercizio che interessa principalmente gli arti inferiori, tornato alla ribalta negli ultimi anni grazie ad alcuni coach e studiosi d’oltreoceano, come per esempio Bret Contreras.
Oltre alla meraipertrofia, l’hip thrust può trovare il suo spazio anche all’interno di una preparazione atletica finalizzata al miglioramento delle capacità condizionali. In questo (altro…)