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  • Le caratteristiche del Fighter (Parte 1)

    Le caratteristiche del Fighter (Parte 1)

    Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza, i caratteri più solidi sono quelli cosparsi di cicatrici” (Cit. Khalil Gibran)

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    Concetti chiave
    In tutti gli sport dell’era moderna, che si tratti di discipline di squadra o individuali, cicliche o acicliche, di situazione o meno, si è notato come ci fossero atleti molto più predisposti alla pratica di uno sport invece di un altro, predisposizione non solo a livello condizionale e coordinativo, ma anche e soprattutto a livello mentale.
    Gli sport da combattimento non fanno eccezione, infatti da molte ricerche effettuate sul campo, si sono potute riscontrare caratteristiche simili, sia fisiche che mentali, in molti combattenti e lottatori professionisti.
    Un semplice esempio lo è un vecchio studio effettuato nel 1987, dove si riscontravano motivazioni comuni nei ragazzi che si approcciavano al pugilato, come:
    • Desiderio di affermarsi;
    • Sentimenti di vendetta e rivalsa nei confronti della società in cui vive;
    • Influenza dei familiari e/o del gruppo di pari;
    • Prospettive di rivincita economica e sociale.
    Addirittura, già negli anni ’60, uno studio effettuato da Antonelli e Ricci sui pugili della nazionale olimpica italiana, dimostrò che, rispetto agli atleti di altre discipline e alle persone non sportive, questi pugili presentassero caratteristiche comportamentali comuni come, ad esempio, una maggior capacità di reazione alle situazioni frustranti.
    Le caratteristiche caratteriali e psicologiche
    Nei Kombat Sport in generale la preparazione mentale richiesta è spesso superiore ad altre discipline sportive, ma molto spesso è sottovalutata e poco preparata o, nei casi peggiori, nemmeno tenuta in considerazione.
    Tutto ciò avviene nonostante sia evidente alla maggior dei praticanti quanto sia rilevante lo stato emotivo dell’atleta che si accinge a praticare uno sport di questo tipo.
    Lo scontro diretto con l’avversario, il susseguirsi di rapide combinazioni in cui il tempo di reazione e di recupero è ristretto, e la probabilità di dover combattere in situazioni di svantaggio richiedono una mente consapevole, preparata ed allenata.
    Gli atleti che combattono sono spinti da forti motivazioni, vanno alla ricerca di intense emozioni e desiderano sapere come gestirle e sfruttarle a proprio vantaggio soprattutto in combattimento.
    Tuttavia, la grande maggioranza di loro, non riesce ad identificare con esattezza il proprio stato emotivo interno (come accade a numerose persone anche al di fuori dello sport), e questo non consente loro di modulare il loro stato psichico e mentale in maniera adeguata, per incanalarlo in modo positivo nel miglioramento della performance.
    Nel 90% dei casi, chi arriva sul ring è solo un individuo selezionato dalle dure leggi della palestra, con una personalità sportivamente (e a volte in modo patologico) aggressiva, fatta di coraggio e capacità di dominare la paura e le spontanee reazioni autoconservative.
    L’autoconservazione è uno scopo primario che guida l’esistenza umana, del resto la paura di morire è un elemento fondamentale della nostra vita emotiva.
    Quando si sale sul ring, è come se attraverso il combattimento si mettesse in scena il rischio per la propria incolumità con la possibilità di agire e controllare, superare, incontro dopo incontro, le nostre paure.
    Il controllo del rischio si manifesta così come controllo della paura della morte. Pertanto il combattente deve costantemente controllare l’ansia e la paura derivanti dall’istinto di conservazione, gli schemi motori che sopraggiungono istintivamente devono essere sostituti con il gesto tecnico, in modo tale da far diventare l’atto sportivo in sé, un mezzo per esorcizzare la paura, per superare i sentimenti di inadeguatezza, in quanto prova-specchio della propria esistenza.
    Per alcuni studiosi, l’atleta combattente esprime nelle sue doti di tenacia, pazienza, resistenza al dolore, l’esistenza di un nucleo psicologico fatto di insicurezza, inadeguatezza sociale, aggressività reattiva oppure insufficienza vitale.
    L’esigenza di una pratica agonistica che richiede perseveranza, autocontrollo e dominio dell’aggressività, implica un elevatissimo livello delle abilità psicomotorie (reazioni pronte e veloci) e di schemi motori automatizzati ma suscettibili di adattamenti situazionali dettati dall’intelligenza.
    Anche la volontà è indispensabile al fighter per avere il coraggio di resistere invece di ritirarsi anche quando si accorge della propria inferiorità.
    Nei lottatori, l’aggressività stimola l’agonismo, forse più che in altri sport. L’agonismo è la manifestazione matura, costruttiva e creativa dell’aggressività, volta all’autorealizzazione dell’individuo.
    Altro aspetto importante per ogni atleta è sviluppare la capacità di gestire l’ansia da
    prestazione pre-gara: esistono delle “trappole mentali” che gli atleti affrontano prima di una gara importante e che possono far insorgere stati di ansia troppo elevati.
    Un’atleta mentalmente allenato conosce almeno tre o quattro tecniche di gestione dell’ansia da inserire nel suo “borsone” e da tirare fuori al momento opportuno ad esempio nei minuti precedenti la salita sul ring.

     

    Nel prossimo capitolo vedremo quali e quante sono le capacità coordinative e condizionali di un fighter.

    Grazie per l’attenzione!

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    Referenze e approfondimenti

    Articoli sulla preparazione atletica → clicca qui.

  • Preparazione atletica per i giocatori di basket diversamente abili

    Preparazione atletica per i giocatori di basket diversamente abili

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    E’ ormai da parecchie settimane che mi occupo della preparazione atletica della squadra di basket del progetto Pegaso di Asti. Quando mi hanno fatto questa proposta ho accettato senza indugiare più di tanto, questo anche per mettere in pratica gli insegnamenti della materia “APA/AFA” che ho avuto al secondo anno universitario di Scienze Motorie.

    In questo articolo parlerò della preparazione atletica che, con l’aiuto dei due allenatori, ho fatto seguire ai ragazzi, dando qualche indicazione generale.

    Attività fisica adattata

    AFA = “…programmi di esercizio non sanitari, svolti in gruppo, appositamente disegnati per individui affetti da malattie temporanee/o croniche finalizzati anche alla modificazione dello stile di vita per la prevenzione secondaria e terziaria della disabilità” (Macchi e Benvenuti, 2012).

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    Dopo aver fatto una breve ed infruttuosa ricerca sul web, ho deciso di analizzare un po’ di cose e di buttare giù una bozza di macrociclo.

    Teoria dell’allenamento

    Struttura e materiale a disposizione: Palestra scolastica dotata di campo da basket ( x m), 2 spalliere, dei materassi spessi circa 40 cm, una ventina di cinesini di diversi colori, due coni alti 30 cm circa e, ovviamente, un discreto numero di palloni basket.

    Squadra: 19 giocatori in totale (di cui solo una donna), con un’età che va dai 18 ai 40 anni. Il numero medio di giocatori per allenamento è intorno ai 15. Di tutto il gruppo, 2 persone sono affette dalla sindrome di down, ciò, nella pratica, le porta a distrarsi spesso, non capendo quasi mai il corretto svolgimento degli esercizi e concentrandosi unicamente sull’atto finale di una qualsiasi azione di gioco: tirare a canestro! Altri due soggetti sono gravemente in sovrappeso (e questo condiziona moltissimo la loro capacità di muoversi) e

    Allenamenti settimanali: solamente 1 allenamento a settimana della durata di un’ora.

    Calendario gare: Week-end interi dedicati alle gare ogni 3-4 mesi circa.

    Risultano quindi chiare un po’ di cose: il tempo è quello che é, e la preparazione atletica non deve rosicarne troppo all’allenamento della tecnica (e anche della tattica). Per il poco materiale a disposizione e problemi articolari e coordinativi di vario genere, gli atleti non avranno modo di allenare la forza massimale (non ci sarebbe neanche il tempo necessario per provare a lavorare sugli schemi motori). Inoltre, un certo numero di praticanti (6) è completamente impossibilitato ad eseguire come si deve ogni esercizio, a dirla tutta, oltre a camminare (a fatica) e muovere le braccia può fare poco, questi giocatori avranno sempre delle aggevolazioni sulle esercitazioni (gli verranno quindi fatte eseguire delle varianti meno complicate). Anche se quest’ultime porteranno magari ad un diverso utilizzo dei sistemi energetici e/o capacità condizionali non importa: ciò che conta è dar la possibilità a tutti di muoversi, fare sport, divertirsi con gli altri!

    Struttura allenamenti

    Lontano dalle gare: 30-45′ su 1h saranno dedicati alla preparazione atletica (riscaldamento incluso), i restanti 15-30′ a lavori incentrati sulla tecnica e sulla tattica.

    In prossimità delle gare: 20-30′ circa di preparazione atletica (riscaldamento incluso) e 30-40′ di allenamento tecnico-tattico.

    Cosa bisogna allenare di preciso?

    Forza

    • Massimale
    • Esplosivo-elastica
    • Resistente

    Velocità / rapidità

    Resistenza

    • Aerobica
    • Anaerobica (alla potenza e alla velocità) 

    In più: agilità, rinforzo del core, stretching ed equilibrio 

    Linee guida pratiche

    Forza massimale: dato il basso livello atletico generale sono più che sufficienti dei piegamenti sulle braccia (push ups). Da 5-6 ripetizioni fino a 10, serie comprese fra le 3 e le 6 per ogni esercizio. I ragazzi meno forti possono eseguirli con le ginocchia appoggiate a terra, in modo da rendere l’esercizio meno intenso.

    Per gli arti inferiori invece, è sufficiente l’esercizio hip thrust a corpo libero (bipodalico o monopodalico).

     

     

    Forza esplosivo-elastica: piccoli balzi standard e balzi con contromovimento, sia bipodalici che monopodalici (poche ripetizioni ed un buon recupero, possibilmente attivo).

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    Balzo monopodalico su un rialzo

    Per ottenere risultati soddisfacenti non è necessario un gran volume di allenamento. Schemi di allenamento come dei 3×5, 3×6, 3×8, 4×6* possono essere più che sufficienti. *serie x ripetizioni.

    Forza resistente: esercitazioni a intensità media e medio-bassa. Sforzi continui e prolungati per incrementare le sue varie espressioni:

    • F. resistente su base aerobica: almeno 2′ di lavoro continuo
    • F. resistente su base anaerobica: (potenza lattacida): 40-90″ di lavoro cont.
    • F. resistente su base anaerobica: (capacità lattacida): 90-120″ di lavoro cont.

    Il recupero completo è previsto solamente per la potenza lattacida. Al riguardo potrebbe essere utile un ripasso sui sistemi energetici (qui) e sulla frequenza cardiaca (qui).

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    Con poco materiale, tempo a disposizione e tenendo anche conto dello scarso bagaglio motorio dei più, è quasi impossibile andare a lavorare su tutte le sfaccettature della forza resistente. Senza abbatterci, possiamo comunque mettere nero su bianco degli esempi di esercitazioni pratiche.

    Un esercizio su tutti è quello di camminare, magari palleggiando, con alle spalle un compagno che oppone resistenza tirando all’indietro il partner che cammina (dopo averlo cinto per i fianchi), rendendo più impegnativa la camminata. Le tempistiche di lavoro sono quelle elencate prima: >2′ (FR aerobica), 40-90″ (FR anaerobica, potenza lattacida), 90-120″ (FR anaerobica, capacita lattacida).

    Velocità e capacità di reazione: esercizi per lo sviluppo della rapidità nei piccoli spostamenti con e senza palla (sprint con deviazioni, skip e movimento degli arti inferiori su speed ladder, esercitazioni che alla fine portano a tirare a canestro). Sprint su distanze comprese fra i 10 ed i 40 metri. Giochi di gruppo in grado di stimolare la prontezza dei riflessi, simulazione di azioni di gioco, eccetera.

    Esempio pratico

     

    Resistenza:

    • Aerobica: non c’è il tempo materiale per svilupparla con la classica corsa a Vo2max (potenza aerobica) od il fondo (capacità aerobica), tenendo anche conto dei problemi motori più o meno gravi che impedirebbero ad un cospicuo numero di ragazzi di correre bene per tot minuti. Le modalità di gioco (tempi, elevato numero dei cambi, eccetera), fanno sì che il sistema aerobico non debba essere troppo efficiente). Fare sport per un’ora o più consente di avere già una discreta capacità aerobica di base. In questo specifico caso è sufficiente quella, pertanto l’allenamento del sistema aerobico sarà indiretto.
    • Anaerobica: brevi scatti con recuperi incompleti per allenare la resistenza alla rapidità. Balzi, slanci e lanci della pallone. Il tutto con recuperi incompleti.

    Agilità: dribbling e movimenti di vario genere (cambi di direzione, skip, rotazioni del corpo di 90-180-360° gradi attorno all’asse longitudinale) fra i coni, cinesini o su speed ladder. Un esempio lo trovate qui sotto ed a questo link.

     

     

    Rinforzo core e stretching: esercizi di vario genere per il rinforzo dell’addome e della zona lombare (crunch, sit up, plank, estensioni lombari da sdraiati). Inoltre, per mantenere una buona flessibilità è consigliabile eseguire degli esercizi di stretching alla fine dell’allenamento. Non è casuale l’utilizzo della parola “mantenere”, infatti per incrementare la flessibilità servono almeno 2-3 sedute specifiche a settimana. E’ pertanto buona cosa, consigliare alla squadra di eseguire dello stretching, almeno gli esercizi più semplici, anche in altri giorni della settimana.

    Equilibrio e propriocezione: camminata lenta o piccoli balzi (mono e bipodalici) su superfici instabili (materassine), ricezione e lanci della palla stando in equilibrio su una gamba sola.

    Macrociclo di allenamento (esempio pratico)

    Ipotizzando che gli allenamenti inizino la seconda settimana di settembre e le prime gare siano a metà dicembre. Durata macrociclo: 15 settimane, 1 allenamento a settimana della durata media di 1 ora, 4 allenamenti mensili.

    Settembre (30-40' di preparazione atletica)
    Allenamento n.1 - FM, FE, EQ, ABS e ST
    All.2 - FM, FE, AG, EQ, ABS e ST
    All.3 - FM, FE, VEL, EQ, ABS, e ST
    All.4 - FM, FE, VEL, ABS e ST
    
    Ottobre (30')
    All.1 -FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
    All.2 - FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
    All.3 - FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
    All.4 - FE, FR, VEL, AG, EQ e ST
    
    Novembre (20-30')
    All.1 - FE, FR, VEL, RP, AG e ST
    All.2 - FE, FR, VEL, RP e ST
    All.3 - FR, RV, RP, ABS e ST
    All.4 - RV, RP, EQ e ST
    
    Dicembre (15-20')
    All.1 - RV, AG e ST
    All.2 → competizione!
    
    Legenda: FM = forza massimale; FE = forza esplosiva; FR = forza resistente; EQ = equilibrio; ABS = rinforzo core; ST = stretching; AG = agilità; RP = resistenza alla potenza; RV = resistenza alla velocità.

    Ovviamente questo è solo un esempio, i metodi di periodizzazione sono molteplici, tutto va contestualizzato.

    Altre indicazioni generali
    • Ricorrere ad esercizi/giochi di gruppo che coinvolgano e facciano divertire i ragazzi il più possibile, in modo da evitar di far calare la loro soglia di attenzione (già bassa).
    • Dare poche indicazioni e semplici istruzioni alla squadra, in modo da non mandare i ragazzi in confusione.
    • Far sì che in ogni allenamento siano trattate più capacità condizionali e coordinative possibili, bisogna ottimizzare il poco tempo a disposizione.
    • Essere armati di una dose enorme di pazienza.
    • Non essere troppo rigidi ma neanche perdere il controllo della situazione.

     

    Buon allenamento!

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    oc

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    Referenze e approfondimenti

    Cravanzola E. – Capacità condizionali e coordinative: iniziamo a conoscerle (2015)

    Dawes J. and Roozen M. – Developing Agility and Quickness (2012)

  • Test atletici per sport da combattimento

    Test atletici per sport da combattimento

    AJPrima di ogni training camp, sia che si tratti di professionismo o di semplice dilettantismo, è buona cosa far effettuare agli atleti dei test specifici, per valutare lo stato di forma e capire quali sono i punti deboli e quali quelli di forza. Durante l’imminente macrociclo di allenamento, si andrà ovviamente a lavorare di più sui primi e un po’ meno sui secondi. Per chi fosse poco ferrato in materia è consigliabile fare prima un breve ripasso sulle capacità condizionali e coordinative (qui) e sui sistemi energetici (qui).

    Questo e molto altro ancora nel libro sullo strength and conditioning per sport da combattimento che è attualmente in fase di scrittura.

    Buona lettura!

    Capacità organico-muscolari e coordinative da testare
    • Forza massimale
    • Forza esplosiva (o potenza)
    • Forza resistente
    • Resistenza
    • Velocità/rapidità
    • Mobilità articolare
    • Stabilità ginocchio
    Test atletici e relativi valori

    Forza massimale: panca piana; squat; stacco da terra; trazioni zavorrate.

    Ovviamente è di fondamentale importanza la tecnica. Possedere il corretto schema motorio consente di reclutare i giusti muscoli (tenendo comunque presente che si tratta di esercizi multiarticolari) e di limitare il rischio infortunio.

    Panca piana: 1,25-1,5x Bw; Squat: 1,5-2xBw

    Stacco: 1,75-2xBw; Trazioni zavorrate: 0,25-0,5xBw*

    *le cifre rappresentano i carichi massimali che gli atleti riescono a sollevare (1RM) riferiti al proprio peso corporeo (Bw, bodyweight). Riguardo alle trazioni, il peso è il sovraccarico legato alla vita tramite la cintura. Ad esempio, un atleta che pesa 100 kg (x0,25 o x0,5) deve riuscire ad eseguire una trazione alla sbarra completa con una zavorra di almeno 25 kg.

    Forza esplosiva: push press; vertical jump; broad jump; plyo box jump up.

    A differenza degli esercizi di forza massimale, qui entrano in gioco veramente troppi fattori soggettivi. E’ quindi molto difficile stabilire una scala di valori numerici per i vari esercizi. Eccetto che per il push press: 0,75-1xBw.

    Gli esercizi esplosivi riguardano i piani di movimento tipici degli sport da combattimento (frontale e trasversale). Le unità di misura per tutti e tre i salti sono, ovviamente, in centimetri.

    Forza resistente: push ups max reps; pull ups max reps, plank max time.

    Qui c’è poco da spiegare, un esercizio di spinta, uno di trazione ed uno di isometria del core. Massimo numero di piegamenti sulle braccia consecutivi, massimo numero di trazioni prone (pull ups) ed infine un ponte (plank) mantenuto per più tempo possibile (senza perdere la contrazione addominale).

    Resistenza: test di Conconi (individuazione soglia anaerobica) e test di Cooper; è necessario per prima cosa prendere il battito cardiaco a riposo.

    TEST

    Il test di Conconi può essere effettuato in laboratorio (su cicloergometro), su tapis roulant o cyclette, in alternativa anche su pista di atletica [1]. Quest’ultima opzione è la meno attendibile e infatti sta cadendo un po’ in disuso. Il test di Cooper va invece fatto per avere un’idea generale della resistenza fisica dell’atleta. Consiste nel correre per dodici minuti di fila, cercando di coprire la maggior distanza possibile [2]. Sui tapis roulant più moderni, si possono eseguire entrambi questi test, insieme a molti altri (foto a sinistra).

    Di seguito, i risultati ritenuti più o meno soddisfacenti (da molto bene a malissimo), espressi in metri, rapportati alla varie fasce di età (si parla ovviamente di uomini attivi e perfettamente sani). Ulteriori approfondimenti, compresi i valori validi per la popolazione femminile, li potete trovare qui.

    valutazioni

    Velocità: sprint sui 40 metri e test delle due linee.

    Indicativamente dei tempi ritenuti soddisfacenti per gli sprint sui 40 m sono:

    Uomini → mediocre: 5.20-5.40″; buono: 5.19-4.90″; ottimo: <4.90″.

    Donne → mediocre: 5.90-5.65″; buono: 5.64-5.35″; ottimo: <5.35.

    I valori si riferiscono ad atleti sani con un’età compresa fra 18-35 anni.

    40m

    Il secondo test consiste invece nel tracciare due linee parallele, distanti circa 40 cm (immagine riportata sotto) e nell’andare con i piedi “avanti e indietro” per il maggior numero di volte possibile nel tempo concesso (dieci secondi).

    40 cm
    Una singola ripetizione dell’esercizio (non ci sono spostamenti laterali)

    Si parte con entrambi i piedi dietro ad una linea (B) e si portano i piedi oltre la linea opposta (A) uno per volta, alla massima velocità possibile, poi alla stessa maniera si riportano i piedi dietro alla line di partenza (B), e così via, senza interruzioni, fino allo scadere del tempo (10″). Nella figura sopra, tutti i passaggi (1-5) corrispondono ad una singola ripetizione dell’esercizio.

    Mobilità articolare: sit and reach e test di mobilità delle spalle (sollevamento bracia con bacino retroverso e schiena appoggiata ad un muro).

    Il sit and reach test consiste nel ricercare la massima estensione della catena muscolare posteriore da seduti, inclinando il busto in avanti (figura sotto). Le punte delle dita devono cercar di toccare la porzione della tavola più distante possibile. Si salverà il risultato facendo un segno proprio sulla superficie della tavola posizionata poco sopra i piedi ed annotando la distanza raggiunta. A questo link potete trovare un video pratico del test.

    Invece nell’altro test, dopo un breve riscaldamento, l’atleta si posiziona di spalle ad un muro, con la schiena perfettamente aderente alla parete in ogni suo punto (zona lombare compresa).

    Cattura

    Successivamente deve sollevare gli arti superiori provando a toccare il muro alle proprie spalle, mantenendo ovviamente l’articolazione del gomito bloccata. Si misura con un metro (o righello) la distanza delle mani dalla parete.

    Con le suddette regole, la maggior parte delle persone non è in grado di arrivare a toccare la parete. Quando la mobilità richiesta in questa prova viene raggiunta, si passa ad esercizi più impegnativi, di cui magari parleremo in futuri articoli.

    Stabilità ginocchio: lateral and medial single leg hop series (video sotto). Con questo esercizio si valuta la stabilità dell’articolazione del ginocchio, una delle più soggette agli infortuni. Nel caso venissero notate delle problematiche (valgismo, varismo, scarso equilibrio, errato appoggio monopodalico), queste dovranno essere corrette, se necessario con la supervisione di un fisioterapista od un fisiatra.

    Conclusioni

    Quelli di cui abbiamo appena parlato sono i principali test che un preparatore atletico serio dovrebbe far eseguire ai propri atleti praticanti SdC. Ovviamente nulla vieta di sostituirne alcuni con delle varianti, ci sono anche vari fattori che entrano in gioco (disponibilità delle strutture, caratteristiche individuali dei fighters, infortuni pregressi, tipo di programmazione, tempo a disposizione, eccetera). I test vanno eseguiti all’inizio di ogni training camp e vanno poi ripetuti all’inizio del training camp successivo, confrontando i risultati.

    Senza numeri sono tutti atti di fede

    Detto ciò, non resta che salutarci ed augurare a tutti un buon allenamento!


    oc
    Bibliografia

    [1] Conconi F. et al. – Determination of the anaerobic threshold by a noninvasive field test in runners (1982)

    [2] Cooper H. K. et al. – A means of assessing maximal oxygen intake. Correlation between field and treadmill testing (1968)

    Landow L. – Ultimate conditioning for martial arts (Human Kinetics 1a Ediz., 2016)

    Riccaldi A. – The chronicles of Legionarius: la preparazione atletica di Alessio Sakara (2013)

    Bertuzzi R. – Energy System Contributions During Incremental Exercise Test (2013)

    Cravanzola E. – Allenarsi in base alla frequenza cardiaca (2016)

    Travis N. Triplett – Assessing Speed and Agility Related to Sport Performance (2012)

  • Hip thrust: una valida alterativa allo squat nella preparazione atletica?

    Hip thrust: una valida alterativa allo squat nella preparazione atletica?

    L’hip thrust è un’esercizio che interessa principalmente gli arti inferiori, tornato alla ribalta negli ultimi anni grazie ad alcuni coach e studiosi d’oltreoceano, come per esempio Bret Contreras.

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    Oltre alla mera ipertrofia, l’hip thrust può trovare il suo spazio anche all’interno di una preparazione atletica finalizzata al miglioramento delle capacità condizionali. In questo  (altro…)

  • Kettlebell Marathon: cos’è e come si allena

    Kettlebell Marathon: cos’è e come si allena

    Questa particolare ed estrema branca del Ghiri Sport altro non è che la specialità “di fondo” riguardante appunto le gare di sollevamento delle Ghirie o Kettlebell.

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    Un po’ di teoria

    Come già affrontato in precedenti articoli da me prodotti, l’uso del kettlebell è estremamente  (altro…)

  • Struttura base di un training camp per sport da combattimento

    Struttura base di un training camp per sport da combattimento

    Come viene strutturato il training camp di un atleta professionista di MMA, pugilato, grappling o muay thai?

    Scopriamolo insieme!

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    Cos’è un traing camp?

    Col termine “training camp” si intende tutta la preparazione, fisica e non, che uno sportivo segue in vista di una competizione. L’insieme degli allenamenti tecnici, tattici, sparring, le sedute di strength and conditioning, le tecniche di recupero, incluse le sedute di fisioterapia e, qualora servano, gli incontri col mental coach. Tutto ciò, se gli impianti sportivi lo permettono, viene fatto presso una singola grande struttura. Basti pensare alle grosse palestre di MMA d’oltreoceano che uniscono in qualche centinaio (o migliaio) di metri quadrati tatami, gabbie, ring, sale pesi, centri massaggi e fisioterapici, eccetera.

    Com’è strutturato un training camp?

    In breve, si inizia la preparazione in vista di un match/gara, iniziando prima ad eseguire dei test atletici per valutare lo stato di forma dell’atleta e, col proseguire delle settimane, si va a lavorare sulle varie capacità condizionali e coordinative per rendere più prestante il fighter, alternando parametri come il volume, l’intensità, la densità, gli esercizi, in modo da fornire al corpo degli stimoli nuovi ma cercando di evitare il sovrallenamento (overtraining). Ovviamente la preparazione fisica affiancherà il lavoro principale: gli allenamenti tecnici, tattici e gli sparring. Per questo è fondamentale essere guidati da dei buoni coach e avere a disposizione molti compagni di allenamento.

    All’interno della preparazione, come già accennato, trovano il loro posto le sedute di fisioterapia e le tecniche di recupero come i massaggi o le immersioni in acqua fredda, generalmente quest’ultime durano 8-15 minuti e la temperatura dell’acqua è inferiore o uguale a 15° C. Maggiori approfondimenti li trovate qui.

    Ha il suo collocamento pure il mental coach, o psicologo, figura che in determinati casi può dare un sostegno psicologico importante all’atleta, specialmente quando questo si trova in un periodo delicato della sua carriera.

    Penso che la figura dello psicologo nello sport sia molto importante. In America è appunto presente già da molto tempo, pur non essendo – diciamo – obbligatoria. […] Tutti in quanto umani viviamo difficoltà psicologiche e quando riesci a superarle ecco, è davvero una gran cosa.

    Marvin Vettori

    Per maggiori informazioni sulla parte di training camp inerente la preparazione atletica vi rimandiamo ai nostri numerosi articoli presenti sul blog (clicca qui).

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Landow L. – Ultimate conditioning for martial (Human Kinetics, 2016)
    Cravanzola E. – Le immersioni nell’acqua fredda sono veramente utili? (2017)

  • La sindrome da sovrallenamento

    La sindrome da sovrallenamento

    Overtraining e sovrallenamento, parole che tutti si mettono in bocca, alle volte anche a sproposito. Ora, partendo dalla fisiologia umana, andremo a capire cos’è il sovrallenamento, quali i fattori scatenanti, i sintomi e come evitarlo. Buona lettura!

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    «I was almost relieved when i injured my hamstring and had to curtail my competitive season»

    Definizione e cenni di fisiologia sportiva

    L’overtraining, o sovrallenamento, è una complessa sindrome psico-fisica nella quale lo sforzo fisico diventa insostenibile per l’organismo, quest’ultimo infatti non riesce più a recuperare dalla fatica accumulata. Ne consegue un calo delle prestazioni atletiche. Alle volte, il sovrallenamento culmina col il rifiuto da parte dell’atleta di allenarsi.

    Overtraining

    Gli stressors che agiscono durante l’allenamento sportivo causano considerevoli alterazioni all’omeostasi e/o alle funzioni dell’organismo che da essi sono stimolate, determinando una serie di adattamenti fisiologici sia a riposo che sotto sforzo.

    Nelle persone comuni, che non vivono di sport, questa sindrome non è data unicamente dall’allenamento ma anche da altri fattori di stress quotidiano (famiglia, impegni lavorativi, eccetera).

    L’overtraining non va confuso con l’overreaching (o sovraffaticamento), il quale indica un calo delle prestazioni ma a breve termine, da due o tre giorni ad un paio di settimane [1,2]. In altri termini, potremmo dire che il sovraffaticamento non è altro che un sovrallenamento più lieve.

    Overtraining

    Come mostrato nel grafico a sinistra, stimoli allenanti eccessivi, già nell’arco di pochi giorni possono alterare il corretto quadro ormonale. Il testosterone ha un netto calo, lo stesso vale per tiroxina (un ormone tiroideo), al contrario il cortisolo (ormone dello stress) schizza alle stelle. L’antagonismo fra testosterone e cortisolo è detto T/E ratio.

    Un allenamento massimale che sfocia poi in uno stato di sovrallenamento, riduce la variabilità della frequenza cardiaca [3]. Ad esempio, se il signor Giancarlo durante uno sforzo fisico passa da 140 a 170 bpm (sbalzo di 30 battiti), in uno stato di sovrallenamento, durante il compimento del medesimo sforzo avrà uno “sbalzo” di bpm minore.

    Il sovrallenamento arriva ad intaccare persino il sistema immunitario: riduzione delle immunoglobuline salivari IgA, riduzione della funzionalità dei globuli bianchi, riduzione rapporto linfociti T CD4/CD8 (helper/suppresor) ed infezioni virali ricorrenti.

    Incidenza del sovrallenamento…

    – 70% degli atleti di resistenza ad alto livello nell’arco della loro
    carriera [4]

    – Più del 50% dei calciatori professionisti durante 5 mesi di stagione
    agonistica [5]

    – 33% di giocatori di basket durante 6 settimane di sedute di
    allenamento [6]

    A voler essere pignoli, il sovrallenamento è suddivisibile in due tipologie principali: sovrallenamento simpatico e sovrallenamento parasimpatico. Il primo è associato ad un eccesso di attività anaerobica (quindi intensa) e si “cura” con massaggi, bagni in acqua e recupero attivo (allenamenti leggeri, poco intensi). Invece, quello parasimpatico è attribuito a lavori aerobici molto voluminosi. Per tornare in un buono stato di salute, anche qui è consigliato fare bagni in acqua (possibilmente fredda) e recuperare attivamente con allenamenti poco intensi e poco voluminosi.

    Sintomi

    I sintomi (e segni) principali del sovrallenamento sono i seguenti:

    • Affaticamento persistente
    • Difficoltà a dormire
    • Dolori muscolari cronici
    • Apatia
    • Difficoltà a concentrarsi
    • Depressione
    • Aumento frequenza cardiaca a riposo
    • Aumento pressione arteriosa a riposo
    • Disturbi gastro-intestinali
    • Perdita di peso
    • Squilibri ormonali
    • Calo delle prestazioni
    • Segni di una disfunzione neuro-endocrina [1] con elementi di dominanza o di riduzione del sistema nervoso simpatico.
    Prevenzione e rimedi

    Un po’ di indicazioni per prevenire il sovrallenamento…

    • Monitorare parametri come la FC o la pressione a riposo
    • Individualizzare l’allenamento
    • “Giocare” bene con valori allenanti  (intensità, volume, densità, frequenza)
    • Evitare una eccessiva monotonia dell’allenamento
    • Controllare le altre fonti di stress
    • Periodo di scarico (attivo oppure passivo)*
    • Ripresa dell’allenamento moderata (intensità contenuta)
    • Tenere sotto controllo l’alimentazione, l’idratazione ed il sonno
    • Sostenere il sistema immunitario con la vitamina C, D ed i grassi Omega-3
    • Parlare molto con l’atleta, in modo da riceve i feedback sulle sue sensazioni e sul suo stato di salute psico-fisico
    • Nei casi peggiori può essere utile rivolgersi a delle figure esterne (medico, psicologo, nutrizionista) ed effettuare degli esami clinici specifici (ematocrito, emoglobina, azotemia, cortisolo, testosterone, CPK).

    *in Medicina dello sport, lo scarico attivo (minor volume e/o intensità di allenamento) è consigliato per l’overreaching e lo scarico passivo (periodo nel quale non ci si allena) per l’overtraining vero e proprio.

    Cattura
    Riassunto di un po’ tutto quella che è stato detto fino ad ora [7]
    Conclusioni

    Risulta chiaro che più che alle persone che si allenano per passione 2-3-4 volte a settimana, la popolazione maggiormente esposta al rischio overtraining sia quella degli sportivi professionisti. I professionisti possono arrivare ad allenarsi anche tre volte al giorno e proprio per questo motivo è di fondamentale importanza monitorare tutti i parametri precedentemente citati ed avere sempre un buon dialogo con gli atleti.

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Parodi G. – Medicina dello sport (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2016/2017)
    Weineck J. – Biologia dello sport (Calzetti Mariucci, 2013)
    Wilmore H. J., Costill L. D. – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Ediz. Calzetti Mariucci, 2005)
    Olsen L. – Overtraining: A Molecular Perspective (2016)
    Armstrong L. E. et al. – The unknown mechanism of the overtraining syndrome: clues from depression and psychoneuroimmunology (2002)
    Budgett, R. – Fatigue and underperformance in athletes: the overtraining syndrome (1998)
    Budgett, R. – Overtraining syndrome (1990)
    James D. V. B. et al. – Heart rate variability: Effect of exercise intensity on postexercise response (2012)
    Kreher, J. B. et al. – Overtraining Syndrome: A Practical Guide (2012)
    Burnstein B. D. – Sympathetic vs Parasympathetic overtraining – Selecting the proper modality to maximize recovery (2017)
    1 Fry A. C. – Resistance exercise overtraining and overreaching. Neuroendocrine responses (1997)
    2 Kuipers H. et al. – Overtraining in elite athletes. Review and directions for the future (1988)
    3 Uusitalo A. L. et al. – Heart rate and blood pressure variability during heavy training and overtraining in the female athlete (2000)
    4 Morgan et al. – Psychological monitoring of overtraining and staleness (1987)
    5 Lehmann M. et al. – Training-Overtraining: Influence of a Defined Increase in Training Volume vs Training Intensity on Performance, Catecholamines and Some Metabolic Parameters in Experienced Middle- And Long-Distance Runners (1992)
    6 Verma S. K. et al. – Effect of four weeks of hard physical training on certain physiological and morphological parameters of basket-ball players (1978)
    7 Mackinnon L. et al. – Overtraining (1991)

  • Hip thrust: il miglior esercizio per i glutei!

    Hip thrust: il miglior esercizio per i glutei!

    I glutei non crescono in alcun modo, anche allenandoli duramente? Che voi siate uomini o donne poco importa, perché in questo articolo andremo a parlare di un esercizio potenzialmente adatto a chiunque: l’hip thrust. Buona lettura!

     

     

    Esecuzione tecnica

    Si appoggia la base delle scapole ad una panca, tenendo il busto dritto, parallelo al suolo, tibia e femore devono creare un angolo retto (90° circa). I piedi devono essere ben piantati a terra, è importante che la superficie di appoggio non sia scivolosa. Il bilanciere deve essere posizionato all’altezza della anche. Si accompagna il peso verso il basso sfiorando il pavimento con il sedere e successivamente si spinge il peso verso l’alto, sfruttando più che si può la mobilità dell’anca (foto sotto). Per evitare infortuni, riveste una certa importanza l’atteggiamento della colonna vertebrale, specialmente quello della regione lombare. La spina dorsale deve avere un posizionamento neutro, non deve essere iperestesa. Al limite, per evitare ciò, si può provare a “guardare in avanti” con la testa, ricercando così una leggera e momentanea cifosi cervicale.

     

     

    Perché può essere migliore dello squat?

    Il gluteo, lavorando come estensore dell’anca, è il muscolo maggiormente coinvolto nell’intero esercizio. E le elettromiografie, benché non esenti da limiti, lo confermano [1]. In sinergia con i glutei lavorano anche molti altri muscoli, in primis gli ischiocrurali ed il grande adduttore (anche loro sono estensori dell’anca). Se l’esecuzione dell’esercizio è corretta, lo scarso movimento di estensione e flessione dell’articolazione del ginocchio fa si che l’attivazione di altri grossi muscoli (es. quadricipiti) sia parecchio limitata. Questo ultimo punto ci spiega perché l’hip thrust sia un esercizio in grado di isolare meglio i glutei. Quest’ultimi lavorano molto anche nello squat, tuttavia nel movimento di accosciata intervengono anche una miriade di altri muscoli, invece nell’hip thrust il movimento è più “concentrato” sui glutei. Non che la cosa sia necessariamente negativa, tutt’altro, resta però il fatto che se si vuole andare a colpire il lato B, l’hip thrust sia più funzionale.

    Inoltre, per eseguire lo squat è necessaria una certa lordosi nella bassa schiena, nell’hip thrust no, per quest’ultimo è richiesto un atteggiamento neutro della spina dorsale, pertanto anche le persone con una scarsa lordosi possono beneficiare di questo esercizio (ciò riguarda soprattutto le donne).

    Come iniziare a farlo

    E’ consigliabile apprendere lo schema motorio prima a corpo libero, poi con dei carichi molto bassi, utilizzando magari l’elastico, per poi passare a sovraccarichi più importanti. Perché l’elastico? Perché a livello propriocettivo può essere utile posizionare una banda elastica qualche centimetro sopra le ginocchia, questo perché il gluteo è un abduttore dell’anca e trovando l’opposizione della resistenza elastica si contrae anche per evitare l’adduzione degli arti inferiori.

    Come mostrato nella foto qui sotto, l’hip thrust può essere eseguito anche con altri tipi di sovraccarico oltre al classico bilanciere (dischi, manubri, kettlebells). Anche se indubbiamente il bilanciere rimane l’attrezzo con cui è possibile caricare più peso, ricordiamo che il concetto di sovraccarico progressivo è uno dei pilastri dello sviluppo muscolare, inoltre i grossi carichi aumentano il reclutamento muscolare (legge di Henneman) [2,3,4].

    HT
    Foto presa da qui
    Come inserirlo in una scheda di allenamento

    In un contesto di allenamento in monofrequenza, cioè in cui si allenano specificamente gli arti inferiori (glutei compresi), un esempio di routine potrebbe essere:

    Lunedì: petto, spalle, tricipiti;
    Mercoledì: dorso, bicipiti, addome
    Venerdì: gambe e glutei
    Hip thrust 4x8
    Leg extension 3x15
    Leg curl 3x12
    Calf machine 4x10

    Invece, in multifrequenza (più di un allenamento a settimana):

    A-B-A
    A = petto, dorso, tricipiti, polpacci, addome
    B = spalle, trapezi, bicipiti, gambe e glutei
    Lento avanti con manubri 4x8
    Alzate laterali 4x12
    Scrollate con manubri 3x10
    Curl su panca inclinata 3x10
    Hammer curl ai cavi 3x8-8-8 (drop set)
    Squat 5x8
    Hip thrust 4x10

    Ovviamente la scheda è un esempio, qualcosa di molto indicativo. L’allenamento va cucito su misura ad ogni persona, possibilmente da un personal trainer competente.

    Graph1
    Per una corretta crescita muscolare l’alternanza degli stimoli allenanti è sempre la miglior cosa, insieme alla costanza
    Conclusioni

    Specificato che gli esercizi magici e adatti a tutti purtroppo non esistono, seguendo le regole dettate dalla fisiologia articola e biomeccanica umana, l’hip thrust è indubbiamente un movimento molto interessante per gli arti inferiori, specialmente per i glutei. Sulla carta anche migliore dello squat, degli affondi, degli esercizi alle macchine, eccetera. E, se opportunamente periodizzato, nel lungo periodo può portare a grandi risultati, sia in termini estetici (ipertrofia) che di forza.

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    1 Contreras B. et al. – A Comparison of Gluteus Maximus, Biceps Femoris, and Vastus Lateralis Electromyographic Activity in the Back Squat and Barbell Hip Thrust Exercises (2015)
    2 Henneman E. et al. – Functional significance of cell size in spinal motoneurons (1965)
    3 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a homogeneous red muscle (soleus) of the cat (1965)
    4 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a heterogeneous pale muscle (m. gastrocnemius) of the cat (1965)

  • Allenamento a corpo libero: a cosa serve realmente

    Allenamento a corpo libero: a cosa serve realmente

    La stragrande maggioranza delle persone che frequenta centri fitness e palestre ha come obiettivo principale un aumento di massa magra a discapito di quella grassa.

    Molti però non sono particolarmente avvezzi agli esercizi canonici di sala e per questo negli ultimi anni,da quando i Box Cross-Fit e altre tipologie di strutture affini, hanno introdotto attrezzi tipici di Ginnastica e Calisthenics, le zone adibite a questo tipo di attività sono sempre più affollate. Va chiarito però che le attività sopra citate differiscono per fine ultimo in quanto il calisthenics ha come priorità l’acquisizione di skill a difficoltà crescente che di conseguenza portano ad un miglioramento in termini di forza generale ed ipertrofia mentre se usiamo l’allenamento a corpo libero ponendo come priorità assoluta l’aumento di massa muscolare, i protocolli allenanti e la scelta degli esercizi cambiano decisamente.

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    In questo pezzo porremo l’attenzione sull’allenamento senza uso di sovraccarico esterno a scopo ipertrofico. Vanno dunque scanditi e chiariti alcuni punti prima di partire ad allenarsi:

    1) Allenarsi a corpo libero vuol dire discostarsi leggermente, soprattutto se si ha un background fisico di un certo livello, dal solito range di serie x rep. Il volume sarà molto alto e maggiore sarà il vostro livello di allenamento tanto maggiore sarà il rapporto di quest’ultimo con l’intensità.

    2) Fattore positivo da aggiungere agli altri è anche il fatto che questo tipo di allenamento ha un discreto impatto sul sistema cardiocircolatorio,dunque il dispendio calorico per seduta sarà superiore a quello di una normale seduta con i pesi.

    3) Maggiore sostenibilità degli allenamenti. A livello articolare e muscolare, allenarsi a corpo libero dovrebbe essere molto meno traumatico di allenarsia con i sovraccarichi. Questo ci darà maggiore margine di errore durante l’esecuzione degli esercizi (sbagliare uno squat libero non è come sbagliarlo sotto 200kg-in teoria) ed anche la possibilità di allenarci quasi tutti i giorni in quanto soprattutto nella fase iniziale della programmazione, il danno muscolare sarà molto assimilabile in termini di recupero.

    4) Allenarsi usando il proprio corpo sviluppando esercizi in multiplanarietà sfruttando la libertà di movimento e il movimento stesso è, a differenza di molte “formule magiche e miracolose”, il vero sunto dell’ allenamento funzionale.

    Quindi perché non mollare tutto e allenarsi solo ed esclusivamente così? Perché dipende da cosa volete :

    1) Per arrivare a canoni estetici da Bbuilder (volumi al limite del natiral….e a volte no) servono i pesi in quanto gli sviluppi e soprattutto le conseguenze richieste dagli stimoli allenanti, prescindono molto dall’idea reale dell’allenamento a corpo libero.

    2) Ad un certo punto bisogna zavorrare gli esercizi in quanto il peso corporeo non basta più come stimolo allenante. Questo però sopraggiunge molto in seguito in quanto prima di passare al sovraccarico degli esercizi si procede con la modifica di altri fattori determinanti.

    Bene, Pronti? Via…

    Partiamo con due esempi giornalieri di allenamento :

    Warm up 10′ cardio + mobility

    MAIN PART:

    A – PRINCIPIANTE

    · Push up regular 3×15;

    · Triceps extension on bench 2×10;

    · Inverted Row 3×15;

    · Inverted Row chin grip 2×10;

    · Squat 5×20

    · Sit up 3xmax

    B – AVANZATO 

    · One arm push up 4×10+10

    · Diamond push up 2xmax

    · Pull up 3×20

    · Chin up 2xmax

    · Pistol 4×10+10

    · Toes to bar 3xmax

    Questi sono solo due esempi di come si ci potrebbe allenare con l’ausilio unico del proprio peso corporeo. Naturalmente, non essendo contestualizzati in programmazioni a lungo raggio settate su particolari obiettivi, i precedenti esempi potrebbero significare tutto e niente allo stesso tempo.

    Elemento da non sottovalutare è anche il fattore economico: sbarra + tappetino (opzionale) e si ci può allenare in maniere completa, risparmiando soldini da poter investire in un personal trainer che vi programmi il lavoro (unico modo per raggiungere obiettivi concreti).

    Detto questo bando alle ciance e via con gli allenamenti!

    Grazie per l’attenzione.


    OC 1
    Approfondimenti

    Cravanzola E. – Ipertrofia e calisthenics: quasi amici! (2017)
    Cravanzola E. – Tessuto muscolare: componenti, forma, contrazione ed ipertrofia (2016)

  • Colonna vertebrale: osteologia e patologie principali

    Colonna vertebrale: osteologia e patologie principali

    La colonna vertebrale è una complessa struttura osteofibrocartilaginosa, molto resistente e fondamentale per il movimento umano. Nelle prossime righe parleremo della sua osteologia e delle principali patologie che la riguardano. Ricordiamo tuttavia, che quella che segue è libera informazione, per delle consulenze bisogna rivolgersi alle opportune figure mediche di competenza.

    enfermedades-de-la-columna-vertebral

    Colonna vertebrale: quello che c’è da sapere

    Questa complessa struttura osteofibrocartilaginosa è molto estesa, va dal capo al coccige. Ha una lunghezza media di 70 cm per gli uomini e di 60 cm per le donne. La colonna vertebrale consta di cinque regioni, le quali hanno un numero variabile di vertebre (ossa che costituiscono appunto la colonna), che in totale è di 33. Le regioni sono le seguenti:

    colonna_vertebrale

    • Regione cervicale: consta di sette vertebre (C1,2,3,4,5,6,7), le prime due, più famose, sono l’atlas (C1) e l’axis (C2). La regione cervicale regge la testa e permette al collo una grande escursione articolare.
    • Regione dorsale (o toracica): è formata da dodici vertebre (T1-12), è la regione più ampia di tutta la colonna vertebrale, inoltre, unendosi alle costole forma la cassa toracica. Questo tratto possiede una rigidità elevata per evitare movimenti, specialmente flessioni, troppo bruschi e pericolosi.
    • Regione lombare: composta da cinque vertebre (L1-5), la sua struttura è particolarmente robusta e mobile.
    • Regione sacrale: consiste in un unico osso composto dalla fusione di cinque vertebre.
    • Regione coccigea: osso formato dalla fusione di quattro-cinque vertebre.

    Alcune delle principale funzioni della colonna vertebrale sono le seguenti: supporto e protezione del sistema nervoso centrale e periferico, sostegno strutturale, stabilità e protezione degli organi interni.

    disco_intervertebrale

    Le vertebre sono connesse mediante un disco fibrocartilaginoso, forte ed elastico, il quale fa da ammortizzatore e permette un certo movimento. Questo disco è chiamato disco intervertebrale.

    Prima di passare alle patologie ci sono un alcune piccole cose da far notare riguardo alle innumerevoli “curvature” della colonna vertebrale.

    lordosi

    Se osservata lateralmente, saltano all’occhio le due convessità posteriori, dette cifosi e le due convessità anteriori: le lordosi. Rientrano nel primo gruppo la zona toracica e sacrale, sono invece delle lordosi la zona cervicale e quella lombare. Questa alternanza di curve, fa sì che la colonna vertebrale sia piuttosto mobile e resistente, garantendo l’equilibrio in posizione eretta. Le lordosi permettono gradi di movimento molto maggiori rispetto alle cifosi, specialmente la regione lombare, la quale ha una curvatura un po’ più marcata. Nella figura a sinistra, si può osservare come un curvatura eccessiva (iperlordosi, ipercifosi) anche di una sola regione, alteri inevitabilmente anche gli altri tratti della colonna (linea gialla). Queste curve, oltre ad influenzare postura e movimento, interferiscono nello sviluppo muscolare. Ma questo di questo ne parleremo meglio nelle prossime righe.

    Principali patologie

    Senza tirarla troppo per le lunghe, le principali patologie della colonna vertebrale sono tre: scoliosi, cifosi e lordosi.

    Scoliosi: è una deviazione della colonna vertebrale (laterale e di rotazione) che interessa sia la regione dorsale che quella lombare, anche se spesso è più evidente nella prima. Esistono più tipi di scoliosi, i quali si possono classificare nel seguente modo:

    • Scoliosi congenita, derivante da anomalie vertebrali presenti alla nascita.
    • Scoliosi idiopatica (o dell’adolescenza), non è ancora stata individuata la causa, si sa solo che è spesso ereditaria e che colpisce soprattutto il sesso femminile. A seconda dell’età in cui si manifesta può essere a sua volta sub-classificata nel seguente modo: infantile (dalla nascita fino ai 3 anni di età), giovanile (dai 4 ai 9 anni) e adolescenziale (dai 10 anni fino al termine della maturazione scheletrica) o adulta.
    • Scoliosi neuromuscolare, si sviluppa come sintomo secondario di altre patologie (paralisi cerebrale, atrofia muscolare o traumi fisici).

    spine[1]

    Cifosi: la normale cifosi è la curvatura fisiologica della regione dorsale. Quando però l’angolo della cifosi supera i 45° si parla di ipercifosi (figura sotto).

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    A sinistra la colonna vertebrale di una persona affetta da ipercifosi (angolo di 45°) e, a destra, una colonna con una cifosi fisiologica.

    La cifosi, se accentuata, può suddividersi nella seguente maniera:

    • Cifosi posturale, è la più diffusa ed è attribuita alle posture sbagliate assunte durante la vita quotidiana. Raramente provoca dolore o causa particolari problemi.
    • Cifosi di Scheuermann, la causa è sconosciuta, questa forma di cifosi può causare dolore, specialmente nell’apice della curva. Se non trattata correttamente, con l’attività fisica può anche peggiorare.
    • Cifosi congenita, alla nascita la colonna vertebrale presenta dei problemi strutturali e quindi, mano a mano che il bambino si sviluppa, si forma una cifosi sempre più accentuata.

    Lordosi: è la curvatura fisiologica della colonna vertebrale all’altezza della regione cervicale e lombare. Quando la lordosi tende ad appiattirsi si parla di ipolordosi, al contrario, quando la curvatura aumenta si parla di iperlordosi. Siamo davanti ad una iperlordosi quando l’angolo di curvatura è superiore ai 40-50° (una lordosi normale ha un angolo di 35°). Tra l’altro, chi ha molto a che fare con alcune discipline sportive può arrivare a soffrire proprio di quest’ultima patologia, per esempio i pesisti.

    obesita-dolore-lombare

    Abituarsi ad assumere posture errate e squilibri muscolari possono portare alle due patologie precedentemente citate (ad esempio addome e glutei deboli), specialmente nel genere femminile. Una lordosi cervicale non fisiologica modifica il centro di gravità del cranio e porta ad un sovraccarico muscolare e articolare, tutto ciò causa problemi meccanico-cervicali.

    Nella foto sopra, a sinistra una postura corretta, con delle curve assolutamente fisiologiche e a destra un soggetto affetto da ipercifosi ed iperlordosi.

    Tuttavia, anche una scarsa lordosi può portare a problematiche di vario genere. Ad esempio, una recente revisione sistematica/meta-analisi [1], molto nota in letteratura scientifica, ha messo a confronto tredici studi sui dolori alla bassa schiena e la postura, analizzando quasi 2000 pazienti (796 pazienti con dolori lombari e 927 sani). Per farla breve, i pazienti sani avevano tutti una maggior lordosi e fra quelli patologici, con la schiena più “piatta”, c’era un’elevata percentuale di soggetti affetti da ernie del disco e degenerazioni discali. Per maggiori informazioni potrebbe essere utile la lettura di quest’altro articolo.

    Influenza sullo sviluppo muscolare

    Una colonna vertebrale affetta da patologie, come è facilmente intuibile, può compromettere un buono sviluppo della muscolatura del tronco.

    Per esempio, un soggetto con una cifosi dorsale particolarmente accentuata e spalle anteposte (o chiuse) può avere difficoltà a lavorare con i pettorali e, per i movimenti di spinta, utilizzerà soprattutto i deltoidi. Oppure una persona con una zona lombare piatta (ipolordosi), avrà per forza di cose uno sviluppo dei glutei molto limitato.

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Dispense Universidad de Almería (Ciencia de la actividad fisica y del deporte)
    Segina M., Pansini L. – Lordosi lombare e mal di schiena: qual è la verità? (2017)
    1 Chun S. W. et al. – The relationships between low back pain and lumbar lordosis: a systematic review and meta-analysis (2017)