E’ ormai da parecchie settimane che mi occupo della preparazione atletica della squadra di basket del progetto Pegaso di Asti. Quando mi hanno fatto questa proposta ho accettato senza indugiare più di tanto, questo anche per mettere in pratica gli insegnamenti della materia “APA/AFA” che ho avuto al secondo anno universitario di Scienze Motorie.
In questo articolo parlerò della preparazione atletica che, con l’aiuto dei due allenatori, ho fatto seguire ai ragazzi, dando qualche indicazione generale.
Attività fisica adattata
AFA = “…programmi di esercizio non sanitari, svolti in gruppo, appositamente disegnati per individui affetti da malattie temporanee/o croniche finalizzati anche alla modificazione dello stile di vita per la prevenzione secondaria e terziaria della disabilità” (Macchi e Benvenuti, 2012).
Dopo aver fatto una breve ed infruttuosa ricerca sul web, ho deciso di analizzare un po’ di cose e di buttare giù una bozza di macrociclo.
Teoria dell’allenamento
Struttura e materiale a disposizione: Palestra scolastica dotata di campo da basket ( x m), 2 spalliere, dei materassi spessi circa 40 cm, una ventina di cinesini di diversi colori, due coni alti 30 cm circa e, ovviamente, un discreto numero di palloni basket.
Squadra: 19 giocatori in totale (di cui solo una donna), con un’età che va dai 18 ai 40 anni. Il numero medio di giocatori per allenamento è intorno ai 15. Di tutto il gruppo, 2 persone sono affette dalla sindrome di down, ciò, nella pratica, le porta a distrarsi spesso, non capendo quasi mai il corretto svolgimento degli esercizi e concentrandosi unicamente sull’atto finale di una qualsiasi azione di gioco: tirare a canestro! Altri due soggetti sono gravemente in sovrappeso (e questo condiziona moltissimo la loro capacità di muoversi) e
Allenamenti settimanali: solamente 1 allenamento a settimana della durata di un’ora.
Calendario gare: Week-end interi dedicati alle gare ogni 3-4 mesi circa.
Risultano quindi chiare un po’ di cose: il tempo è quello che é, e la preparazione atletica non deve rosicarne troppo all’allenamento della tecnica (e anche della tattica). Per il poco materiale a disposizione e problemi articolari e coordinativi di vario genere, gli atleti non avranno modo di allenare la forza massimale (non ci sarebbe neanche il tempo necessario per provare a lavorare sugli schemi motori). Inoltre, un certo numero di praticanti (6) è completamente impossibilitato ad eseguire come si deve ogni esercizio, a dirla tutta, oltre a camminare (a fatica) e muovere le braccia può fare poco, questi giocatori avranno sempre delle aggevolazioni sulle esercitazioni (gli verranno quindi fatte eseguire delle varianti meno complicate). Anche se quest’ultime porteranno magari ad un diverso utilizzo dei sistemi energetici e/o capacità condizionali non importa: ciò che conta è dar la possibilità a tutti di muoversi, fare sport, divertirsi con gli altri!
Struttura allenamenti
Lontano dalle gare: 30-45′ su 1h saranno dedicati alla preparazione atletica (riscaldamento incluso), i restanti 15-30′ a lavori incentrati sulla tecnica e sulla tattica.
In prossimità delle gare: 20-30′ circa di preparazione atletica (riscaldamento incluso) e 30-40′ di allenamento tecnico-tattico.
Cosa bisogna allenare di preciso?
Forza
Massimale ✓
Esplosivo-elastica ✓
Resistente ✓
Velocità / rapidità ✓
Resistenza
Aerobica ✓
Anaerobica (alla potenza e alla velocità) ✓
In più: agilità, rinforzo del core, stretching ed equilibrio ✓
Linee guida pratiche
Forza massimale: dato il basso livello atletico generale sono più che sufficienti dei piegamenti sulle braccia (push ups). Da 5-6 ripetizioni fino a 10, serie comprese fra le 3 e le 6 per ogni esercizio. I ragazzi meno forti possono eseguirli con le ginocchia appoggiate a terra, in modo da rendere l’esercizio meno intenso.
Per gli arti inferiori invece, è sufficiente l’esercizio hip thrust a corpo libero (bipodalico o monopodalico).
Piegamenti
Hip thrust senza pesi
Forza esplosivo-elastica: piccoli balzi standard e balzi con contromovimento, sia bipodalici che monopodalici (poche ripetizioni ed un buon recupero, possibilmente attivo).
Balzo monopodalico su un rialzo
Per ottenere risultati soddisfacenti non è necessario un gran volume di allenamento. Schemi di allenamento come dei 3×5, 3×6, 3×8, 4×6* possono essere più che sufficienti. *serie x ripetizioni.
Forza resistente: esercitazioni a intensità media e medio-bassa. Sforzi continui e prolungati per incrementare le sue varie espressioni:
F. resistente su base aerobica: almeno 2′ di lavoro continuo
F. resistente su base anaerobica: (potenza lattacida): 40-90″ di lavoro cont.
F. resistente su base anaerobica: (capacità lattacida): 90-120″ di lavoro cont.
Il recupero completo è previsto solamente per la potenza lattacida. Al riguardo potrebbe essere utile un ripasso sui sistemi energetici (qui) e sulla frequenza cardiaca (qui).
Con poco materiale, tempo a disposizione e tenendo anche conto dello scarso bagaglio motorio dei più, è quasi impossibile andare a lavorare su tutte le sfaccettature della forza resistente. Senza abbatterci, possiamo comunque mettere nero su bianco degli esempi di esercitazioni pratiche.
Un esercizio su tutti è quello di camminare, magari palleggiando, con alle spalle un compagno che oppone resistenza tirando all’indietro il partner che cammina (dopo averlo cinto per i fianchi), rendendo più impegnativa la camminata. Le tempistiche di lavoro sono quelle elencate prima: >2′ (FR aerobica), 40-90″ (FR anaerobica, potenza lattacida), 90-120″ (FR anaerobica, capacita lattacida).
Velocità e capacità di reazione: esercizi per lo sviluppo della rapidità nei piccoli spostamenti con e senza palla (sprint con deviazioni, skip e movimento degli arti inferiori su speed ladder, esercitazioni che alla fine portano a tirare a canestro). Sprint su distanze comprese fra i 10 ed i 40 metri. Giochi di gruppo in grado di stimolare la prontezza dei riflessi, simulazione di azioni di gioco, eccetera.
Esempio pratico
Resistenza:
Aerobica: non c’è il tempo materiale per svilupparla con la classica corsa a Vo2max (potenza aerobica) od il fondo (capacità aerobica), tenendo anche conto dei problemi motori più o meno gravi che impedirebbero ad un cospicuo numero di ragazzi di correre bene per tot minuti. Le modalità di gioco (tempi, elevato numero dei cambi, eccetera), fanno sì che il sistema aerobico non debba essere troppo efficiente). Fare sport per un’ora o più consente di avere già una discreta capacità aerobica di base. In questo specifico caso è sufficiente quella, pertanto l’allenamento del sistema aerobico sarà indiretto.
Anaerobica: brevi scatti con recuperi incompleti per allenare la resistenza alla rapidità. Balzi, slanci e lanci della pallone. Il tutto con recuperi incompleti.
Agilità: dribbling e movimenti di vario genere (cambi di direzione, skip, rotazioni del corpo di 90-180-360° gradi attorno all’asse longitudinale) fra i coni, cinesini o su speed ladder. Un esempio lo trovate qui sotto ed a questo link.
L drill. Esempio di esercitazione per l’agilità eseguibile con o senza palla.
T drill. Esempio di esercitazione per l’agilità eseguibile con o senza palla.
Rinforzo core e stretching: esercizi di vario genere per il rinforzo dell’addome e della zona lombare (crunch, sit up, plank, estensioni lombari da sdraiati). Inoltre, per mantenere una buona flessibilità è consigliabile eseguire degli esercizi di stretching alla fine dell’allenamento. Non è casuale l’utilizzo della parola “mantenere”, infatti per incrementare la flessibilità servono almeno 2-3 sedute specifiche a settimana. E’ pertanto buona cosa, consigliare alla squadra di eseguire dello stretching, almeno gli esercizi più semplici, anche in altri giorni della settimana.
Equilibrio e propriocezione: camminata lenta o piccoli balzi (mono e bipodalici) su superfici instabili (materassine), ricezione e lanci della palla stando in equilibrio su una gamba sola.
Macrociclo di allenamento (esempio pratico)
Ipotizzando che gli allenamenti inizino la seconda settimana di settembre e le prime gare siano a metà dicembre. Durata macrociclo: 15 settimane, 1 allenamento a settimana della durata media di 1 ora, 4 allenamenti mensili.
Settembre (30-40' di preparazione atletica)
Allenamento n.1 - FM, FE, EQ, ABS e ST
All.2 - FM, FE, AG, EQ, ABS e ST
All.3 - FM, FE, VEL, EQ, ABS, e ST
All.4 - FM, FE, VEL, ABS e ST
Ottobre (30')
All.1 -FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
All.2 - FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
All.3 - FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
All.4 - FE, FR, VEL, AG, EQ e ST
Novembre (20-30')
All.1 - FE, FR, VEL, RP, AG e ST
All.2 - FE, FR, VEL, RP e ST
All.3 - FR, RV, RP, ABS e ST
All.4 - RV, RP, EQ e ST
Dicembre (15-20')
All.1 - RV, AG e ST
All.2 → competizione!
Legenda: FM = forza massimale; FE = forza esplosiva; FR = forza resistente; EQ = equilibrio; ABS = rinforzo core; ST = stretching; AG = agilità; RP = resistenza alla potenza; RV = resistenza alla velocità.
Ovviamente questo è solo un esempio, i metodi di periodizzazione sono molteplici, tutto va contestualizzato.
Altre indicazioni generali
Ricorrere ad esercizi/giochi di gruppo che coinvolgano e facciano divertire i ragazzi il più possibile, in modo da evitar di far calare la loro soglia di attenzione (già bassa).
Dare poche indicazioni e semplici istruzioni alla squadra, in modo da non mandare i ragazzi in confusione.
Far sì che in ogni allenamento siano trattate più capacità condizionali e coordinative possibili, bisogna ottimizzare il poco tempo a disposizione.
Essere armati di una dose enorme di pazienza.
Non essere troppo rigidi ma neanche perdere il controllo della situazione.
Allenare più capacità organico-muscolari sia un contesto competitivo che salutistico ha i suoi pro e contro, come ogni cosa del resto. In questo articolo vedremo cosa comporta abbinare gli allenamenti mirati all’incremento della forza massimale e quelli finalizzati al miglioramento della resistenza aerobica (endurance), dispensando un po’ di consigli pratici. (altro…)
Caffeina, può esserci nulla di più (ab)usato? In questo articolo andremo a vedere i pro, i contro e le linee guida di utilizzo. Buona lettura!
Cenni di chimica e fisiologia sportiva
La caffeina è una trimeltixantina, alcaloide naturale presente in alcune piante (caffè, cacao, matè, ecc.). Questa sostanza è una stimolante del sistema nervoso centrale (SNC) ed è largamente usata per contrastare stanchezza e sonnolenza. Essa agisce aumentando i livelli di adrenalina, noradrenalina e la frequenza cardiaca (fc). Le sue interazioni col SNC derivano dalla facilità con cui la caffeina, una volta assunta, attraversa la barriera emato-encefalica (BEE). Sui tessuti dell’organismo funziona da vasodilatatrice, eccetto su quello nervoso, dove risulta avere un effetto vasocostrittore.
Formula chimica
La sua digestione dentro al tratto gastrointestinale dura circa 45 minuti e, in condizioni normali, i suoi effetti possono rimanere stabile per 1 ora, per poi gradualmente scemare nell’arco di 3-4 ore. Questo però dipende molto da persona a persona (abitudini alimentari, assuefazione, ecc.). Ma riguardo all’assuefazione ne parleremo meglio più avanti.
Nell’uso quotidiano, la caffeina stimola la concentrazione e l’attenzione delle persone, anche sedentarie, migliorando le funzioni cognitive [1]. Questo può essere molto utile anche negli sport di situazione (tattica) e non solo, se pensiamo all’incremento della capacità di reazione data sempre da questo stimolante [2].
La sua assunzione, in acuto, aumenta i livelli di catecolamine plasmatiche: adrenalina e noradrenalina, le quali agiscono sul sistema di trasmissione adrenergico [20,21].
La caffeina promuove il rilascio degli acidi grassi liberi nel sangue, i quali possono essere usati come combustibile, risparmiando in una certa misura il glicogeno muscolare.
Oltre a quanto già detto, questo composto è utile per le attività di endurance (inibisce parzialmente il senso della fatica) [3,4,5,6] e, stimolando la lipolisi, favorisce il dimagrimento (riduce anche l’appetito). Per di più, attenua il dolore muscolare ad insorgenza ritardata (DOMS) [6].
Dolore muscolare post allenamento ridotto dalla caffeina [6]
La caffeina influenza anche l’EPOC (consumo di ossigeno post allenamento). Infatti si è visto che un dosaggio cronico di 6 mg di caffeina per kg di peso corporeo (circa 420 mg per un uomo di 70 kg), assunto prima dell’allenamento con i pesi, aumenta i livelli di EPOC e la spesa energetica del 15% [7].
Variazione del consumo di ossigeno (VO2) durante (destra) e post allenamento (sinistra) [7]
Riguardo invece alla forza massimale e alla potenza, i dati sono contrastanti [8,9,10,11]. Volendo provare a dare un giudizio, generale sulla questione, possiamo affermare che, qualora vi siano dei benefici, questi non sono particolarmente rilevanti.
Tuttavia, quelli elencati fino ad ora non sono che una piccola parte dei processi messi in atto da questo stimolante (figura sotto).
Gli innumerevoli effetti della caffeina secondo Sökmen B. e colleghi [12]
Per evitare l’assuefazione cronica, bisogna ricorrere a dei periodi di stop (wash out). Un rapporto di assunzione-scarico molto utilizzato, espresso in settimane, è di 3:1 o 4:1, con il periodo di massima ricezione (teorica) alla sostanza che si trova in corrispondenza della/e gara/e. Teniamo presente che sui “principianti” la caffeina inizia a manifestare i suoi effetti dopo circa 30 minuti, è importante ciclizzarla perché altrimenti, oltre a perdere di efficacia, verrebbero ritardate le sue tempistiche di azione.
La caffeina viene normalmente espulsa tramite l’urina. Tra l’altro, essa possiede una funzione diuretica [13].
Antagonismo con la creatina
Più di 20 anni fa, un celebre studio di Vandenberghe e colleghi [14] notò, quasi per caso, un certo antagonismo fra la caffeina e la creatina. Lo studio tuttavia presentava grossi limiti (breve durata, un solo test per misurare la variazione di performance, un periodo di scarico troppo breve, un campione poco ampio, dosi di caffeina forse eccessive). Negli anni a seguire, sono state pubblicate una miriade di ricerche scientifiche che hanno smentito questo antagonismo [15,16,17,18,19]. Il fatto che molte di esse abbiano usato protocolli di assunzione-scarico differenti dallo studio di Vandenberghe citato ad inizio paragrafo, non esclude del tutto che fare un carico di creatina a pochi giorni da una competizione (20-25 grammi/dì per 4-5 giorni di fila), possa annullare gli effetti positivi della caffeina, o viceversa. Questo però solamente in acuto.
Molte aziende producono e vendono integratori che contengono entrambe queste sostanze
Doping?
No, potete stare tranquille. Anche se assunta in capsule la caffeina, secondo il COI (Comitato Olimpico Internazionale) e la WADA (World Anti-Doping Agency), non è considerata una sostanza dopante. Lo era fino al 2007, poi le normative sono cambiate. Ne avevamo parlato qui un po’ di mesi fa.
Dosaggio ed assunzione
Prima di passare alle capsule di caffeina (generalmente da 200 mg), è consigliabile abituare piano piano il nostro corpo all’assunzione di questa sostanza in dosi minori (basta una tazzina di caffè), in modo da evitare possibili effetti collaterali (70-120mg di caffeina per ogni tazzina di caffè). É consigliato non superare i 350-400mg al giorno di caffeina, anche se le persone completamente assuefatte possono reggere dosaggi superiori.
Un piano di assunzione per “principianti” potrebbe essere il seguente:
Week 1: un paio di caffè al giorno
Week 2: una compressa da 200 mg pre-workout e 1-2 caffè nei giorni off
Week 3: una compressa da 200 mg pre-workout e 1-2 caffè nei giorni off
Week 4: una compressa da 200 mg pre-workout e 1-2 caffè nei giorni off
Week 5: wash out (scarico completo)
Effetti collaterali
Le controindicazioni principali sono: nervosismo, febbre, diuresi, tachicardia e ipotensione. Comunque nulla di preoccupante, se si segue l’opportuna posologia e se non si hanno problemi cardiaci o renali.
In ogni caso, è consigliabile consultare il proprio medico curante.
Conclusioni
La caffeina è una delle sostanze più studiate di sempre e anche delle più efficaci, non è un caso che in passato fosse considerata doping. Per un ampio numero di sportivi, questo composto è utile. Può servire ai culturisti, pur non essendo indispensabile, o essere molto importante per i maratoneti. Tutto dipende ovviamente dal contesto.
Grazie per l’attenzione e buon allenamento!
L’autore non risponde degli eventuali danni derivati dalle informazioni ivi contenute
Cravanzola E. – Sostanze eccitanti per il dimagrimento e la performance sportiva (2017)
Temple J. L. et al. – The Safety of Ingested Caffeine: A Comprehensive Review (2017)
Muñoz M. – Efecto de la cafeína sobre las agujetas (2013)
[1] Wyatt J. K. et al. – Low-dose repeated caffeine administration for circadian-phase-dependent performance degradation during extended wakefulness (2004)
[2] Santos et al. – Caffeine reduces reaction time and improves performance in simulated-contest of taekwondo (2014)
[3] Bell G. D. et al. – Exercise endurance 1, 3, and 6 h after caffeine ingestion in caffeine users and nonusers (2002)
[4] Doherty M. – Caffeine lowers perceptual response and increases power output during high-intensity cycling (2004)
[5] Graham T. E. et al. – Performance and metabolic responses to a high caffeine dose during prolonged exercise (1991)
[6] Hurley C. F. et al. – The effect of caffeine ingestion on delayed onset muscle soreness (2013)
[7] Astorino A. T. et al. – Effect of acute caffeine ingestion on EPOC after intense resistance training (2011)
[8] Bond V. et al. – Caffeine ingestion and isokinetic strength (1986)
[9] Williams J. et al. – Caffeine, Maximal Power Output, and Fatigue (1988)
[10] Astorino A. T. et al – Effects of caffeine ingestion on one repetition maximum muscular strength (2008)
[11] Wiles J. et al. – The effects of caffeine ingestion on performance time, speed and power during a laboratory-based 1 km cycling time-trial (2006)
[12] Sökmen B. et al – Caffeine use in sports: considerations for the athlete (2008)
[13] Robertson M. D. et al. – Effects of Caffeine on Plasma Renin Activity, Catecholamines and Blood Pressure (1978)
[14] Vandenberghe K. et al. – Caffeine counteracts the ergogenic action of muscle creatine loading (1996)
[15] Doherty M. et al. – Caffeine is ergogenic after supplementation of oral creatine monohydrate (2002)
[16] Spradley B. D. et al. – Ingesting a pre-workout supplement containing caffeine, B-vitamins, amino acids, creatine, and beta-alanine before exercise delays fatigue while improving reaction time and muscular endurance (2012)
[17] Lee C. L. et al. – Effect of caffeine ingestion after creatine supplementation on intermittent high-intensity sprint performance (2011)
[18] Vanakoski J. et al. – Creatine and caffeine in anaerobic and aerobic exercise: effects on physical performance and pharmacokinetic considerations (1998)
[19] Fukuda D. H. – The possible combinatory effects of acute consumption of caffeine, creatine, and amino acids on the improvement of anaerobic running performance in humans (2010)
[20] Anderson D. E. et al. – Effects of caffeine on the metabolic and catecholamine responses to exercise in 5 and 28 degrees C (1994)
[21] Norager C. G. et al. – Metabolic effects of caffeine ingestion and physical work in 75-year old citizens. A randomized, double-blind, placebo-controlled, cross-over study (2006)
Un termine che non cade mai in disuso è indubbiamente quello che avete appena letto nel titolo di questo articolo, il deallenamento.
Il deallenamento è stato trattato ed approfondito in un episodio del nostro Podcast ascoltabile (e scaricabile) gratuitamente al seguente link.
Cos’è?
Per deallenamento (detraining) si intende la perdita, più o meno marcata, di tutti quegli adattamenti fisiologici che l’organismo aveva avuto tramite l’allenamento fisico. Da quelli (altro…)
Prima di ogni training camp, sia che si tratti di professionismo o di semplice dilettantismo, è buona cosa far effettuare agli atleti dei test specifici, per valutare lo stato di forma e capire quali sono i punti deboli e quali quelli di forza. Durante l’imminente macrociclo di allenamento, si andrà ovviamente a lavorare di più sui primi e un po’ meno sui secondi. Per chi fosse poco ferrato in materia è consigliabile fare prima un breve ripasso sulle capacità condizionali e coordinative (qui) e sui sistemi energetici (qui).
Ovviamente è di fondamentale importanza la tecnica. Possedere il corretto schema motorio consente di reclutare i giusti muscoli (tenendo comunque presente che si tratta di esercizi multiarticolari) e di limitare il rischio infortunio.
*le cifre rappresentano i carichi massimali che gli atleti riescono a sollevare (1RM) riferiti al proprio peso corporeo (Bw, bodyweight). Riguardo alle trazioni, il peso è il sovraccarico legato alla vita tramite la cintura. Ad esempio, un atleta che pesa 100 kg (x0,25 o x0,5) deve riuscire ad eseguire una trazione alla sbarra completa con una zavorra di almeno 25 kg.
A differenza degli esercizi di forza massimale, qui entrano in gioco veramente troppi fattori soggettivi. E’ quindi molto difficile stabilire una scala di valori numerici per i vari esercizi. Eccetto che per il push press: 0,75-1xBw.
Push press
Vertical jump
Broad jump
Plyo box jump up
Gli esercizi esplosivi riguardano i piani di movimento tipici degli sport da combattimento (frontale e trasversale). Le unità di misura per tutti e tre i salti sono, ovviamente, in centimetri.
Forza resistente: push ups max reps; pull ups max reps, plank max time.
Qui c’è poco da spiegare, un esercizio di spinta, uno di trazione ed uno di isometria del core. Massimo numero di piegamenti sulle braccia consecutivi, massimo numero di trazioni prone (pull ups) ed infine un ponte (plank) mantenuto per più tempo possibile (senza perdere la contrazione addominale).
Piegamenti
Trazioni
Plank
Resistenza: test di Conconi (individuazione soglia anaerobica) e test di Cooper; è necessario per prima cosa prendere il battito cardiaco a riposo.
Il test di Conconi può essere effettuato in laboratorio (su cicloergometro), su tapis roulant o cyclette, in alternativa anche su pista di atletica [1]. Quest’ultima opzione è la meno attendibile e infatti sta cadendo un po’ in disuso. Il test di Cooper va invece fatto per avere un’idea generale della resistenza fisica dell’atleta. Consiste nel correre per dodici minuti di fila, cercando di coprire la maggior distanza possibile [2]. Sui tapis roulant più moderni, si possono eseguire entrambi questi test, insieme a molti altri (foto a sinistra).
Di seguito, i risultati ritenuti più o meno soddisfacenti (da molto bene a malissimo), espressi in metri, rapportati alla varie fasce di età (si parla ovviamente di uomini attivi e perfettamente sani). Ulteriori approfondimenti, compresi i valori validi per la popolazione femminile, li potete trovare qui.
Velocità: sprint sui 40 metri e test delle due linee.
Indicativamente dei tempi ritenuti soddisfacenti per gli sprint sui 40 m sono:
Uomini ♂ → mediocre: 5.20-5.40″; buono: 5.19-4.90″; ottimo: <4.90″.
Donne ♀ → mediocre: 5.90-5.65″; buono: 5.64-5.35″; ottimo: <5.35.
I valori si riferiscono ad atleti sani con un’età compresa fra 18-35 anni.
Il secondo test consiste invece nel tracciare due linee parallele, distanti circa 40 cm (immagine riportata sotto) e nell’andare con i piedi “avanti e indietro” per il maggior numero di volte possibile nel tempo concesso (dieci secondi).
Una singola ripetizione dell’esercizio (non ci sono spostamenti laterali)
Si parte con entrambi i piedi dietro ad una linea (B) e si portano i piedi oltre la linea opposta (A) uno per volta, alla massima velocità possibile, poi alla stessa maniera si riportano i piedi dietro alla line di partenza (B), e così via, senza interruzioni, fino allo scadere del tempo (10″). Nella figura sopra, tutti i passaggi (1-5) corrispondono ad una singola ripetizione dell’esercizio.
Mobilità articolare: sit and reach e test di mobilità delle spalle (sollevamento bracia con bacino retroverso e schiena appoggiata ad un muro).
Il sit and reach test consiste nel ricercare la massima estensione della catena muscolare posteriore da seduti, inclinando il busto in avanti (figura sotto). Le punte delle dita devono cercar di toccare la porzione della tavola più distante possibile. Si salverà il risultato facendo un segno proprio sulla superficie della tavola posizionata poco sopra i piedi ed annotando la distanza raggiunta. A questo link potete trovare un video pratico del test.
Invece nell’altro test, dopo un breve riscaldamento, l’atleta si posiziona di spalle ad un muro, con la schiena perfettamente aderente alla parete in ogni suo punto (zona lombare compresa).
Successivamente deve sollevare gli arti superiori provando a toccare il muro alle proprie spalle, mantenendo ovviamente l’articolazione del gomito bloccata. Si misura con un metro (o righello) la distanza delle mani dalla parete.
Con le suddette regole, la maggior parte delle persone non è in grado di arrivare a toccare la parete. Quando la mobilità richiesta in questa prova viene raggiunta, si passa ad esercizi più impegnativi, di cui magari parleremo in futuri articoli.
Stabilità ginocchio: lateral and medial single leg hop series (video sotto). Con questo esercizio si valuta la stabilità dell’articolazione del ginocchio, una delle più soggette agli infortuni. Nel caso venissero notate delle problematiche (valgismo, varismo, scarso equilibrio, errato appoggio monopodalico), queste dovranno essere corrette, se necessario con la supervisione di un fisioterapista od un fisiatra.
Conclusioni
Quelli di cui abbiamo appena parlato sono i principali test che un preparatore atletico serio dovrebbe far eseguire ai propri atleti praticanti SdC. Ovviamente nulla vieta di sostituirne alcuni con delle varianti, ci sono anche vari fattori che entrano in gioco (disponibilità delle strutture, caratteristiche individuali dei fighters, infortuni pregressi, tipo di programmazione, tempo a disposizione, eccetera). I test vanno eseguiti all’inizio di ogni training camp e vanno poi ripetuti all’inizio del training camp successivo, confrontando i risultati.
Senza numeri sono tutti atti di fede
Detto ciò, non resta che salutarci ed augurare a tutti un buon allenamento!
Il curl eseguito alla panca Scott è un must dell’allenamento delle braccia. Ma siamo davvero sicuri che sia così efficace? Il titolo provocatorio dell’articolo suggerisce di no. Ora, partendo dalla biomeccanica e fisiologia muscolare, cercheremo di scoprire i pro ed i contro di questo esercizio. Buona lettura!
Descrizione e cenni biomeccanica
In breve, l’esecuzione è la seguente: partendo da seduti si impugna il bilanciere, portandolo a pochi centimetri dal viso tramite la flessione del gomito, fin dove l’escursione articolare lo permette. Una volta terminata la fase concentrica, si lascia scendere il bilanciere fino a distendere quasi completamente gli arti superiori. La presa è supina, quindi con i palmi rivolti verso l’alto, garantita dall’articolazione del gomito, la quale appunto permette anche i movimenti di flessione ed estensione dell’avambraccio sul braccio (fisiologia articolare).
Nelle palestre si vede eseguire questo esercizio quasi sempre con il bilanciere ma può essere anche svolto con dei manubri.
“Difetti” dell’esercizio
Teoricamente il curl su panca Scott dovrebbe coinvolgere maggiormente il capo breve del bicipite brachiale, ma in realtà i test scientifici non hanno mai rilevato grosse differenze nella sua attivazione nei tre principali tipi di curl: in piedi (DBC), da seduti su panca inclinata (IDC) e Scott (DPC) [1].
Va comunque ricordato che l’attività muscolare, misurabile tramite le elettromiografie, non è un parametro troppo attendibile per quanto riguarda l’ipertrofia muscolare (approfondimenti qui).
Infatti, seguendo il diagramma tensione-lunghezza del tessuto muscolare, se un sollevamento inizia quando il muscolo target è in massimo allungamento, il muscolo non può esercitare alti livelli di forza. Stessa cosa se il muscolo, prima che inizi il sollevamento, è già molto accorciato. Infatti, anche in questa situazione la forza espressa non è molta. Per di più, in quest’ultimo caso il ROM (range of motion) è anche scarso. Il primo caso è quello del curl su panca Scott, il secondo riguarda invece il curl su panca inclinata.
Invece, il classico curl in piedi è un po’ una via di mezzo fra le due modalità di esecuzione. Il muscolo infatti non parte né troppo allungato, né troppo accorciato.
Dato il range di movimento veramente scarso, il curl Scott è sembrerebbe essere quello meno ottimale per la crescita muscolare. E c’è anche da considerare il fatto che le ripetizioni parziali in massimo accorciamento, rispetto a quelle in massimo allungamento, non siano l’ideale per l’ipertrofia (minor rilascio di IGF-1, ridotto stimolo meccanico e metabolico) [2]. In aggiunta, quando l’avambraccio è perpendicolare, o quasi, al suolo (fine della fase concentrica), la tensione esercitata sul bicipite brachiale è molto bassa, vicino allo zero. E’ importante sottolineare ciò perché la tensione continua ed il TUT sono dei fattori fondamentali dello sviluppo ipertrofico.
Come fatto notare dal Dott. Andrea Roncari (qui), un altro studio presente in letteratura scientifica [3] ha evidenziato che una flessione della spalla di circa 90°, cioè quella imposta da alcuni modelli di panca Scott, non sia ottimale per l’attivazione del bicipite brachiale, meglio una flessione meno ampia (75°). L’angolo di flessione è il rapporto fra l’arto superiore completamente disteso ed il busto. Ad esempio, quello nella figura a sinistra è un angolo di soli 50°, la maggior parte dei modelli di panca Scott presenti nelle palestre hanno una struttura che impone degli angoli di flessione maggiori.
Conclusioni
Ovviamente il curl Scott, come del resto ogni altro esercizio, può trovare il suo posto all’interno di una sensata programmazione dell’allenamento. Già solo il variare lo stimolo allenante è uno dei principi base dell’ipertrofia muscolare (alternare gli esercizi, tecniche di intensità nuove, tempo sotto tensione ecc.). Pertanto occasionalmente può essere inserito in delle schede di allenamento, magari abbinato ad esercizi a ROM più ampio. Sui neofiti, soggetti alle prime armi carenti un po’ in tutti i distretti muscolari, sarebbe saggio evitare – o comunque limitare il più possibile – esercizi come questo. Meglio incrementare la massa muscolare in toto e solo successivamente andare a lavorare sui dettali.
Kapandji – Fisiologia articolare (1999) 1 Oliveira L. F. et al. – Effect of the shoulder position on the biceps brachii emg in different dumbbell curls (2009) 2 McMahon G et al. – Muscular adaptations and insulin-like growth factor-1 responses to resistance training are stretch-mediated (2014) 3 Moon J. et al. – The Effect of Shoulder Flexion Angles on the Recruitment of Upper-extremity Muscles during Isometric Contraction (2013)
Questa particolare ed estrema branca del Ghiri Sport altro non è che la specialità “di fondo” riguardante appunto le gare di sollevamento delle Ghirie o Kettlebell.
Un po’ di teoria
Come già affrontato in precedenti articoli da me prodotti, l’uso del kettlebell è estremamente (altro…)
Come viene strutturato il training camp di un atleta professionista di MMA, pugilato, grappling o muay thai?
Scopriamolo insieme!
Cos’è un traing camp?
Col termine “training camp” si intende tutta la preparazione, fisica e non, che uno sportivo segue in vista di una competizione. L’insieme degli allenamenti tecnici, tattici, sparring, le sedute di strength and conditioning, le tecniche di recupero, incluse le sedute di fisioterapia e, qualora servano, gli incontri col mental coach. Tutto ciò, se gli impianti sportivi lo permettono, viene fatto presso una singola grande struttura. Basti pensare alle grosse palestre di MMA d’oltreoceano che uniscono in qualche centinaio (o migliaio) di metri quadrati tatami, gabbie, ring, sale pesi, centri massaggi e fisioterapici, eccetera.
Com’è strutturato un training camp?
In breve, si inizia la preparazione in vista di un match/gara, iniziando prima ad eseguire dei test atletici per valutare lo stato di forma dell’atleta e, col proseguire delle settimane, si va a lavorare sulle varie capacità condizionali e coordinative per rendere più prestante il fighter, alternando parametri come il volume, l’intensità, la densità, gli esercizi, in modo da fornire al corpo degli stimoli nuovi ma cercando di evitare il sovrallenamento (overtraining). Ovviamente la preparazione fisica affiancherà il lavoro principale: gli allenamenti tecnici, tattici e gli sparring. Per questo è fondamentale essere guidati da dei buoni coach e avere a disposizione molti compagni di allenamento.
All’interno della preparazione, come già accennato, trovano il loro posto le sedute di fisioterapia e le tecniche di recupero come i massaggi o le immersioni in acqua fredda, generalmente quest’ultime durano 8-15 minuti e la temperatura dell’acqua è inferiore o uguale a 15° C. Maggiori approfondimenti li trovate qui.
Ha il suo collocamento pure il mental coach, o psicologo, figura che in determinati casi può dare un sostegno psicologico importante all’atleta, specialmente quando questo si trova in un periodo delicato della sua carriera.
Penso che la figura dello psicologo nello sport sia molto importante. In America è appunto presente già da molto tempo, pur non essendo – diciamo – obbligatoria. […] Tutti in quanto umani viviamo difficoltà psicologiche e quando riesci a superarle ecco, è davvero una gran cosa.
Marvin Vettori
Per maggiori informazioni sulla parte di training camp inerente la preparazione atletica vi rimandiamo ai nostri numerosi articoli presenti sul blog (clicca qui).
E’ possibile incrementare l’EPO, e quindi la capacità di trasporto dell’ossigeno, in maniera naturale, senza ricorrere all’utilizzo di farmaci dopanti? La risposta è sì, ora scopriamo come!
Cos’è l’EPO?
Come già ampiamente spiegato in un altro articolo, l’acronimo EPO non è altro che l’abbreviazione della parola eritropoietina, un ormone glicoproteico prodotto naturalmente dai reni, dal fegato ed in misura molto minore dal cervello. La sua funzione principale è la regolazione dell’eritropoiesi, cioè la produzione dei globuli rossi da parte del midollo osseo.
Andando un po’ più nello specifico, l’EPO umana presenta una catena di 165 aminoacidi con tre N-glicosilazioni ed una O-glicosilazione, invece l’eritropoietina di sintesi, per quanto riguarda le dimensioni, il numero complessivo, il grado di ramificazione e la posizione delle glicosilazione, differisce un po’ da quella umana. Viene somministrata tramite iniezioni sottocutanee o endovenose, in medicina è utilizzata per trattare numerose forme di anemia e sembra avere effetti positivi anche sulla salute di alcuni organi interni.
N.B: benché abbia a che fare con l’ossigeno e l’acronimo sia simile, l’eritropoietina non va confusa con l’EPOC (aumento del consumo di ossigeno post allenamento).
Come incrementare i livelli di EPO
Solo a scopo informativo, ricordiamo che l’EPO è utilizzata a fini dopanti, quindi illegalmente, per incrementare il trasporto di ossigeno, un fattore importantissimo in molti sport, soprattutto quelli di endurance. L’assunzione di eritropoietina alza il VO2max, la soglia lattacida e migliora la respirazione cellulare. È quindi facile intuire come la sua utilità sia maggiore negli sport di resistenza. I primi a notare gli effetti di questo ormone sulla performance sportiva furono gli studiosi Ekblom e Berglund nei primi anni 90, riconducendo le somministrazioni di eritropoietina (20-40 IU/kg alla settimana) ad un notevole aumento del massimo consumo di ossigeno (VO2 max) [1].
Ma ora veniamo al punto forte: l’EPO è aumentabile in via naturale (e legale), senza rischi per la salute, svolgendo degli allenamenti ad alta quota. Un’attività fisica può considerarsi a tutti gli effetti ad alta quota quando si svolge oltre i 1500 metri, dato che a quote inferiori non sono mai stati evidenziate variazioni significative sulla prestazione.
Indipendentemente che uno si trovi al livello del mare o sull’Everest, la miscela di gas da cui è composta l’aria che respira è identica (la sua composizione varia superati i 13.500 m), cambia unicamente la pressione parziale dei singoli gas. Inoltre, ogni 150 metri circa, in altezza, la temperatura aumenta di 1°C.
Anche se scontato, va ricordato che l’umidità e l’altitudine sono inversamente proporzionali. Questo, nell’immediato, può portare alla secchezza ed irritazione delle mucose e delle pareti degli alveoli. Tuttavia, dopo tre settimane di “adattamento” l’organismo mette in atto dei sistemi di difesa, migliorando la vascolarizzazione delle mucose. Anche per i motivi sopraelencati, gli sportivi che si allenano e gareggiano ad alte quote hanno un maggior bisogno di acqua per compensare le ingenti perdite idriche del proprio organismo, specialmente per quanto riguarda gli sport di endurance.
Risposte fisiologiche e adattamenti all’allenamento ad alta quota
La pressione parziale di ossigeno (PO2) diminuisce sempre di più a certe altezze, ciò determina una minore pressione d’ossigeno negli alveoli polmonari, ne consegue una minore saturazione d’ossigeno del sangue arterioso. Tutto questo porta ad una diminuzione del VO2 max (massimo consumo di ossigeno), quindi un ostacolo per le prestazioni di resistenza. Ad un’altezza superiore a 1500 metri il VO2 max diminuisce del 10% ogni 1000 m di quota [2,3].
Più si è lontani dal livello del mare e più, a riposo, la forza della muscolatura respiratoria diminuisce [4]. Sotto sforzo la stessa cosa vale per il diaframma [5]. Entrambi i casi sono una conseguenza dell’ipossia* e dall’iperventilazione causata dall’altitudine, dato che il minor rifornimento di ossigeno diminuisce l’apporto di energia alla muscolatura [6].
*Insufficiente presenza di ossigeno nei tessuti, dovuta a scarso apporto o a una sua mancata utilizzazione.
In alta quota l’aria è meno densa, perciò la ventilazione polmonare aumenta (sia a riposo che sotto sforzo). Di conseguenza, la quantità di anidride carbonica negli alveoli viene ridotta e aumenta la diffusione del sangue verso i polmoni, tramite i quali la CO2 verrà eliminata. La maggior eliminazione dell’anidride carbonica porta ad un alcalosi respiratoria, con aumento del ph ematico, allora i reni intervengono aumentando l’escrezione di ioni bicarbonato (tamponatori dell’acido carbonico formatosi dalla CO2). Questo passaggio finale, diminuisce la capacità del sangue di tamponare i prodotti acidi del metabolismo, così, in altitudine, peggiora la trasformazione di energia per via anaerobica [7].
Con l’abbassamento della già citata pressione parziale dell’ossigeno, PO2, questo si riflette anche nella PO2 degli alveoli e nei capillari polmonari. Allo stesso tempo cala anche la saturazione dell’emoglobina (dal 98% al livello del mare passa a 92% se ci troviamo a 2439 m). Mentre la PO2 arteriora diminuisce con l’altitudine, la PO2 dei tessuti rimane praticamente invariata, almeno fino ad altezze ragionevoli (circa 2500 m), quindi la differenza fra queste due (gradiente di pressione), viene drasticamente ridotta. Il passaggio dell’ossigeno dal sangue ai tessuti dipende proprio da questo gradiente di pressione. L’abbassamento della pressione parziale d’ossigeno arteriosa è uno dei maggiori responsabili del calo del VO2max in alta quota.
La diminuzione del massimo consumo di ossigeno inizia ad essere rilevante dopo i 1500-1600 metri, quando la PO2 atmosferica scende sotto i 125 mmHg (millimetri di mercurio). Dai 1600 metri in poi il VO2max cala di circa l’8-11% ogni singolo km di altezza.
Nella figura a sinistra è illustrata la capacità aerobica di prestazione espressa attraverso il VO2max [3].
Vecchi studi [9,10,11] evidenziavano come la permanenza a certe altitudini riusciva a far sviluppare al corpo una certa tolleranza all’ipossia. Dopo un periodo compreso fra i 18 e 57 giorni, i soggetti che già in passato erano stati esposti a condizioni analoghe, dopo il calo iniziale del VO2max, avevano un discreto miglioramento di questo parametro, inoltre la loro capacità aerobica rimaneva invariata.
Ma in ogni caso, anche con una certa acclimatizzazione, il massimo consumo di ossigeno in quota non sarà mai paragonabile a quello in prossimità del livello del mare.
Per adeguarsi alle variazioni del sistema respiratorio anche quello cardiovascolare subisce delle modifiche. Infatti, già nelle prima 24-48h di permanenza a certe altezze, si verifica una riduzione del volume plasmatico del 25%, queste principalmente perchè ad alte quote c’è una certa perdita di acqua attraverso la respirazione. Tuttavia, in cronico, l’organismo mette in atto una serie di adattamenti che portano ad un aumento della massa ematica, con la quale il corpo riesce, almeno parzialmente, a compensare la riduzione della PO2 dovuta all’alta quota.
Ma non finisce qui! Anche la gittata cardiaca, prodotto del volume di scarica sistolica per la frequenza cardiaca, subisce dei cambiamenti.
“La risposta immediata in seguito all’esposizione all’alta quota consiste in un aumento della gittata cardiaca a parità di carico submassimale rispetto al livello del mare, tuttavia, questa risposta tende a spegnersi nel corso dei giorni e settimane di acelimatazione. Il processo è da attribuire alla riduzione della gittata pulsatoria che progressivamente si instaura con l’esposizione all’alta quota. Riducendosi la gittata cardiaca, a parità di consumo di ossigeno, si verifica una maggior differenza artero-venosa in ossigeno. In una certa misura, la riduzione della gittata sistolica (pulsatoria) viene compensata da un aumento della frequenza cardiaca (fc) a ogni lavoro subi-massimale. In effetti, si è riscontrato che anche in vetta all’Everest. e quindi a gradi estremi di ipossia, il cuore mantiene intatta la sua capacità contrattile e la sua ritmicità” [8]. Discorso un po’ diverso invece per gli sforzi di intensità massimale. Per lavori di questo tipo, svolti ad alta quota, si verifica sia una riduzione della massima fc e del massimo volume di scarica sistolica. Il primo fattore è legato al SNC ed il secondo al repentino calo del volume plasmatico, di conseguenza, pure la gittata cardiaca ha un peggioramento (affinchè questo sia rilevante bisogna essere a circa 3000 m). A tutto ciò si aggiunge la riduzione del gradiente di diffusione, quest’ultimo facilità il passaggio dell’O2 dal sangue ai muscoli. Risulta quindi chiaro il perchè del peggioramento delle prestazione aerobiche quando si è ad alta quota.
Come sappiamo però, il corpo umano è una macchina meravigliosa, anche in situazioni ostiche, col tempo, è in grado di adattarsi e migliorare. Infatti, dopo una permanenza di circa 6 mesi a quota 4000 m, la massa del sangue (volume ematico) aumenta del 9-10%, questo a causa di una maggior produzione di globuli rossi (indotta dall’altitudine) e di un’espansione del volume plasmatico, inizialmente ridotto del 25% circa.
L’allenamento in altitudine, fra le altre cose, modifica la variabilità della frequenza cardiaca (HRV, Heart Rate Variability). Ricerche di qualche anno fa [12] mostrano un cambiamento considerevole dell’HRV dopo numerosi allenamenti in ipossia effettutati durante 18 giorni. Inoltre, un aumento globale dell’HRV è associato ad una diminuzione della fc a riposo e ad una più elevata capacità di prestazione sportiva [13,14,15].
Riguardo invece agli adattamenti muscolari, purtroppo in letteratura scientifica non è presente moltissimo materiale. Nella tabella sottostante sono illustrate le variazioni muscolari e metaboliche avvenute durante uno studio del 1992 (D. L. Costill et al. dati non pubblicati), durante il quali le cavie umane scalarono l’Everest ed il Monte Denali. L’unico aumento riscontrato è stato quello dei capillari per mm2, dovuto al bisogno dell’organismo di apportare un maggior quantitativo di sangue e ossigeno ai muscoli. I pochi dati che ci mette a disposizione questo studio, in ogni caso, sono molto ambigui: le diminuzioni raffigurate nella tabella sotto sono benissimo riconducibili alla perdita di appetito che si verifica in in alta quota (deficit calorico). Inoltre, al perdita di peso di alcuni scalatori (fino a 6 kg) è attribuibile alla disidratazione corporea, soprattutto a livello extracellulare.
Informazioni venute fuori negli anni successivi, hanno mostrato che dai 2500 m in su, dopo alcune settimane il potenziale metabolico dei muscoli si riduce. In più, ad altezze ancora maggiori sembrerebbe ridursi l’attività mitocondriale e degli enzimi glicolitici (sono quindi limitati i processi biochimici come la fosforilazione ossidativa). Va ricordato anche che a causa del potenziale stress causato dalle condizioni climatiche ostiche, potrebbero essere alti i livelli di cortisolo, ormone legato al catabolismo.
Sulla questione muscolare non si sa molto altro.
Dal momento che il trasporto di ossigeno ad alta quota è ostacolato (ipossia), diminuisce anche la capacità ossidativa dell’organismo, quest’ultimo allora deve puntare alla produzione di energia per via anaerobica. Ciò, ovviamente, assicura dei livelli di lattato ematico più alti durante sforzi di intensità sub-massimale. Durante sforzi massimali invece, non si verifica la medesima cosa, per essi l’accumulo di acido lattico nei muscoli e sangue risulta essere più basso [16,17], questo probabilmente per l’incapacità dell’organismo di tollerare carichi di lavoro troppo intensi e/o per la riduzione della capacità glicolitica dei muscoli (limitata dall’intolleranza nei confronti dell’accumulo di H+).
Oltre ad un calo della performance, viene intaccata anche la capacità funzionale del SNC. Il cervello con una carenza di ossigeno va in ipossia, perciò, in altitudine si va incontro a ciò che segue:
diminuzione della capacità di pensiero analitico, della capacità di presa di decisione e di giudizio;
aumento del nervosismo;
peggioramento delle prestazioni sensoriali (a causa dell’ipossia diminuisce l’accuratezza visiva);
Dopo tutte queste belle nozioni teoriche è giunto il momento di passare alla pratica. Se si vuole aumentare l’EPO, come bisogna organizzare un training camp?
L’altitudine più favorevole per i training camp è quella compresa fra i 2000 e 3000 metri, la quale corrisponde ad una riduzione dell’ossigeno disponibile dal 16 al 24% [18]. Ad una quota inferiore ai 1800 m gli adattamenti fisiologici ci sono ma sono troppo deboli per consentire un tangibile miglioramento prestativo. Al contrario, con ad altezze troppo elevate (+3000 m) le condizioni diventano veramente troppo ostiche per consentire l’ottenimento di risultati, si rischia così un decremento della performance.
Il grosso degli adattamenti avviene entro due settimane dall’arrivo in alta quota, quindi una permanenza di 2-3 settimane, abbinata ai giusti allenamenti, è considerata ottimale per ottenere i risultati sperati [18]. Infatti, sembrerebbe che dal 22° giorno di permanenza in poi le prestazioni degli atleti comincino ad avere dei discreti cali [19]. In più, almeno per quanto riguarda le attività di resistenza, ripetere più volte un periodo di allenamento in altitudine durante l’anno dà migliori risultati rispetto ad un unico training camp troppo lungo.
Una volta arrivati ad altura, per non ostacolare gli adattamenti fisiologici è bene non eccedere con l’intensità allenante e concentrarsi piuttosto sul volume. Il primo parametro andrà ricercato gradualmente, col passare dei giorni [18,20]. Autori come Willmoore e Costill consigliano una iniziale diminuzione dell’intensità pari al 60-70%, in modo da non stressare troppo l’organismo, quest’ultima tornerà poi ai livelli standard entro una decina di giorni.
Esercizi anaerobico alattacidi, quindi molto brevi, non rappresentano un problema in altura, dato l’irrisorio accumulo di acido lattico. Anzi, l’aria più rarefatta diminuisce la resistenza aerodinamica garantendo dei risultati anche leggerissimamente superiori, non è un caso che alle Olimpiadi del 1968, a Città del Messico (2250 m), i velocisti abbiano avuto degli ottimi risultati. Discorso diverso per le discipline con una forte componente lattacida, i quali sarebbe bene evitare e/o limitare data la difficoltà dell’organismo di gestire gli accumuli di acido lattico.
In ogni caso, a meno che non si debbano svolgere della gare ad alta quota, allenarsi in altura per competizioni anaerobiche ha poco senso. I possibili vantaggi di questa scelta riguardano unicamente gli sport principalmente aerobici. Per essi l’altitudine consigliata è di 2000-3000 metri. Gli atleti, soprattutto all’inizio, saranno sì svantaggiati ma facendo le cose con metodo i miglioramenti non tarderanno ad arrivare. Se generalmente si sta in prossimità del livello del mare è bene arrivare in altura con un livello di VO2max piuttosto alto, bisogna quindi allenare soprattutto la potenza aerobica.
Allenarsi in alto e gareggiare in basso
Le problematiche iniziali legate all’ipossia, come riportato qualche riga prima, potranno essere risolte anche in meglio, ció sempre a patto che gli allenamenti vengano svolti con criterio e che altezza e permanenza siano quelle giuste (2000-3000 m e tre settimane circa), repetita iuvant. In questo modo, gli atleti, chi più chi meno, riescono a guadagnare dei livelli più alti di eritropoietina, un aumento della massa cellulare dei globuli rossi e del livello di emoglobina nel sangue. Una volta tornati al livello del mare, questi miglioramenti svaniscono nel giro di qualche giorno. Occorre quindi effettuare gare (di resistenza) entro pochissimo tempo dal proprio rientro. Discorso diverso per gli atleti che gareggiano in basso ma vivono in alto, loro non sebrano aver vantaggi sulle competizioni al livello del mare.
Allenarsi in basso e gareggiare in alto (live high and train low)
Anche in questo caso, una volta arrivati in alta quota vale sempre la regola delle 2-3 settimane di adattamento. Se invece non si ha tutto questo tempo a disposizione è consigliabile arrivare in altura poco prima della competizione (12-24h), in modo che l’ipossia non abbia iniziato a mettere sufficientemente in difficoltà il nostro corpo. Per limitarne i danni (in acuto), come già detto, è buona cosa avere i livelli del VO2max (massimo consumo di ossigeno) molto alti, perché ricordo che questo è il parametro che più di tutti risente dell’alta quota, questo già nelle prime ore.
Secondo la letteratura scientifica, quello del “live high and train low” sarebbe il metodo più efficace per giovare degli adattamenti indotti dalla permanenza ad alta quota ed allenarsi, anche ad alte intensità, quando si è poco sopra il livello del mare [24].
Ovviamente gli adattamenti e le risposte fisiologiche variano da persona a persona. Si distinguono infatti due categorie di soggetti: i responder ed i non responder. I primi reagiscono positivamente all’ipossia dovuta all’alta quota, gli altri no. Questo soprattutto per quanto riguarda i livelli di EPO [20]. Uno studio di Ri-Li e colleghi [21], effettuato su un gruppo di 48 atleti (32 uomini e 16 donne) evidenzió nelle prime 24 h di allenamento in altitudine (2800 m), cambiamenti dei livelli plasmatici di EPO molto diversi da persona a persona. Alcuni addirittura arrivarono ad un aumento del 400% e altri ad un misero +41%. La causa di tale discrepanza sembrerebbe essere geneticamente determinata (polimorfismi individuali del gene EPO o del gene ricettore dell’EPO).
Differenza dei livelli di EPO in tutti e 48 i soggetti dello studio precedentemente citato [21]
Per i soggetti “non responder” si potrebbe tranquillamente accantonare l’idea di effettuare dei training camp in alta quota.
Una alternativa all’allenamento ad alta quota è indubbiamente la tena ipossica, peccato che il suo utilizzo sul suolo italiano sia vietato (considerato vero e proprio doping). Per ulteriori approfondimenti su questa pratica vi rimando al solito articolo.
Controindicazioni più e meno gravi dell’allenamento in altura
Scottature solari e oftalmia delle nevi;
irritazioni delle vie respiratorie;
mal di montagna (l’incidenza aumenta con l’altitudine), i sintomi tipici sono il mal di testa, nausea e vomito;
edema polmonare (colpisce soprattutto le persone che salgono troppo rapidamente a quote oltre i 2700 m);
edema cerebrale (si verifica perlopiù a quote superiori ai 4000 m);
emorragia retinica (si verifica dai 6000 m in poi).
Due parole sulla training mask (TM)
Negli ultimi anni il marketing ben orchestrato è riuscito a propinare al grande pubblico una maschera, che per assurdo ricorda vagamente quella di Bane, il nemico giurato di Batman.
Tuttavia, a differenza di quella utilizzata da Bane ne “Il Ritorno del Cavaliere Oscuro” la training mask non fa inalare alcun gas antidolorifico. Ma semplicemente rende più difficoltosa la respirazione. E’ stata venduta come, cito testualmente, “Maschera per simulare l’allenamento ad alta quota” ma la verità è che una semplice maschera non può modificare la pressione parziale dell’ossigeno (PO2) e neanche alterare la composizione dell’aria, a meno che questa non sia collegata tramite dei tubi a degli appositi macchinari in grado di simulare l’ipossia.
A parità di lavoro, se si utilizza la TM la FC sarà più elevata, modificando anche significativamente i parametri di lavoro (esercitazioni a VO2max per la potenza aerobica, individuazione delle soglie ecc.).
Variazione della FC nei gruppi di lavoro con (Mask) e senza (Control) delle resistenze respiratorie [23]
“Dopo 6 settimane di allenamento intervallato ad alta intensità su cicloergometro: – Non sono state riscontrate differenze significative (né tra i gruppi né all’interno dei gruppi stessi) nei parametri polmonari o negli indicatori ematici. – Solo il gruppo che indossava la maschera ha riportato miglioramenti significativi a livello di soglia ventilatoria (13.9%), potenza alla soglia ventilatoria (19.3%), soglia di compensazione respiratoria (10.2%), e potenza alla soglia di compensazione respiratoria (16.4%). – Sebbene il gruppo che si è allenato con la maschera ha riportato i suddetti miglioramenti, sono necessari ulteriori studi per verificare se tali miglioramenti incidano realmente sulla performance dell’atleta. – Anche se il dispositivo inducesse adattamenti simili a quelli riscontrati in altitudine, il tempo di esposizione allo stimolo, nel caso specifico 60 min*wk-1, non sarebbe sufficiente ad indurre adattamenti (è stato osservato che nemmeno 114 min*wk-1 in ambiente realmente ipossico sono sufficienti). – La ETM (The Elevation Training Mask 2.0) agisce più come dispositivo per l’allenamento dei muscoli” (MMA – Elevation Training Mask?) [24].
Pertanto, risulta difficile capire quanto i muscoli respiratori possano incidere sulla performance negli sport non di endurance (si stima che negli atleti d’élite praticanti sport di resistenza possano avere un miglioramento del 5-8%).
Ad esempio, uno studio del 2016, condotto su diciassette cadetti dei corpi di polizia, non ha mostrato miglioramenti associati all’utilizzo della Training Mask, né sulla capacità aerobica, né sui livelli di VO2max [22].
Conclusioni
Se l’obiettivo è quello di incrementare i livelli di EPO, l’unica via è quella dell’allenamento ad alta quota, non ci sono scuse, bisogna farsi il mazzo. Ovviamente dei periodi di permanenza in montagna hanno un costo, valutate bene se ne valga veramente la pena. Riguardo alla Training Mask attualmente è molto dubbia la reale utilità di questo costoso oggetto, ciò che è certo è che non influenza in alcun modo i livelli di EPO.
Willmore H. J., Costill L. D. – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Calzetti Mariucci, 2005) Cravanzola E. – EPO: dalla fisiologia al suo utilizzo nello sport (2017) Cravanzola E. – Allenarsi ad alta quota: tutto quello che c’è da sapere (2016) 1 Ekblom B. et al. – Effect of recombinant human erythropoietin treatment on blood pressure and some haematological parameters in healthy men (1991) 2 Strømme A. B. – Training at altitude (1980) 3 Grover R. F. – Leistungsfähigkeit in groβen Höhen (1983) 4 Fasano et al. – High-Altitude Exposure Reduces Inspiratory Muscle Strength (2007) 5 Cibella et al. – Respiratory mechanics during exhaustive submaximal exercise at high altitude in healthy humans (1996) 6 Schoene et al. – Limits of human lung function at high altitude (2001) 7 E. R. Buskirk et al. – Maximal performance at altitude and on return from altitude in conditioned runnerd (1967) 8 Dott. Bucosse R. – Attività fisica a quote medie ed elevate 9 Adam W. et al. – Effects of equivalent sea-level and altitude training on VO2max and running performance (1975) 10 Buskirk E. R. et al. – Physiology and Performance of Track Athletes at Various Altitudes in the United States and Peru (1967) 11 Grover R. F. et al. – Muscular exercise in young men native to 3,100 m altitude(1967) 12 Schmitt et al. – ??? (2008) fonte primaria errata sul libro di riferimento 13 Pichot et al. – Relation between heat rate variability and training load in middle-distance runners (2000) 14 Hedelin et al. – Heart rate variability in athletes: relationship with central and peripheral performance (2001) 15 Mourot et al. – Quantitative pointcare plot analysis of heart rate variability: effect of endurance training (2004) 16 Green H. et al. – Operation Everest II: adaptations in human skeletal muscle(1989) 17 Sutton J. et al. – Operation Everest II: oxygen transport during exercise at extreme simulated altitude (1988) 18 Heinicke K. et al. – A three-week traditional altitude training increases hemoglobin mass and red cell volume in elite biathlon athletes (2005) 19 Suslow F. P. et al. – Die sportliche Leistungsfähigkeit in der Periode der Reakklimatisierung nach Höhentraining (1973) 20 Chapman et al. – Individual variation in response to altitude training (1998) 21 Ri-Li et al. – Determinants of erythropoietin release in response to short-term hypobaric hypoxia (2002) 22 Sellers, John H et al. – Efficacy of a Ventilatory Training Mask to Improve Anaerobic and Aerobic Capacity in Reserve Officers’ Training Corps Cadets (2016) 23 Porcari J. P. et al. – Effect of Wearing the Elevation Training Mask on Aerobic Capacity, Lung Function, and Hematological Variables (2016) 24 Ness J. – Is live high/train low the ultimate endurance training model?
La stragrande maggioranza delle persone che frequenta centri fitness e palestre ha come obiettivo principale un aumento di massa magra a discapito di quella grassa.
Molti però non sono particolarmente avvezzi agli esercizi canonici di sala e per questo negli ultimi anni,da quando i Box Cross-Fit e altre tipologie di strutture affini, hanno introdotto attrezzi tipici di Ginnastica e Calisthenics, le zone adibite a questo tipo di attività sono sempre più affollate. Va chiarito però che le attività sopra citate differiscono per fine ultimo in quanto il calisthenics ha come priorità l’acquisizione di skill a difficoltà crescente che di conseguenza portano ad un miglioramento in termini di forza generale ed ipertrofia mentre se usiamo l’allenamento a corpo libero ponendo come priorità assoluta l’aumento di massa muscolare, i protocolli allenanti e la scelta degli esercizi cambiano decisamente.
In questo pezzo porremo l’attenzione sull’allenamento senza uso di sovraccarico esterno a scopo ipertrofico. Vanno dunque scanditi e chiariti alcuni punti prima di partire ad allenarsi:
1) Allenarsi a corpo libero vuol dire discostarsi leggermente, soprattutto se si ha un background fisico di un certo livello, dal solito range di serie x rep. Il volume sarà molto alto e maggiore sarà il vostro livello di allenamento tanto maggiore sarà il rapporto di quest’ultimo con l’intensità.
2) Fattore positivo da aggiungere agli altri è anche il fatto che questo tipo di allenamento ha un discreto impatto sul sistema cardiocircolatorio,dunque il dispendio calorico per seduta sarà superiore a quello di una normale seduta con i pesi.
3) Maggiore sostenibilità degli allenamenti. A livello articolare e muscolare, allenarsi a corpo libero dovrebbe essere molto meno traumatico di allenarsia con i sovraccarichi. Questo ci darà maggiore margine di errore durante l’esecuzione degli esercizi (sbagliare uno squat libero non è come sbagliarlo sotto 200kg-in teoria) ed anche la possibilità di allenarci quasi tutti i giorni in quanto soprattutto nella fase iniziale della programmazione, il danno muscolare sarà molto assimilabile in termini di recupero.
4) Allenarsi usando il proprio corpo sviluppando esercizi in multiplanarietà sfruttando la libertà di movimento e il movimento stesso è, a differenza di molte “formule magiche e miracolose”, il vero sunto dell’ allenamento funzionale.
Quindi perché non mollare tutto e allenarsi solo ed esclusivamente così? Perché dipende da cosa volete :
1) Per arrivare a canoni estetici da Bbuilder (volumi al limite del natiral….e a volte no) servono i pesi in quanto gli sviluppi e soprattutto le conseguenze richieste dagli stimoli allenanti, prescindono molto dall’idea reale dell’allenamento a corpo libero.
2) Ad un certo punto bisogna zavorrare gli esercizi in quanto il peso corporeo non basta più come stimolo allenante. Questo però sopraggiunge molto in seguito in quanto prima di passare al sovraccarico degli esercizi si procede con la modifica di altri fattori determinanti.
Bene, Pronti? Via…
Partiamo con due esempi giornalieri di allenamento :
Warm up 10′ cardio + mobility
MAIN PART:
A – PRINCIPIANTE
· Push up regular 3×15;
· Triceps extension on bench 2×10;
· Inverted Row 3×15;
· Inverted Row chin grip 2×10;
· Squat 5×20
· Sit up 3xmax
B – AVANZATO
· One arm push up 4×10+10
· Diamond push up 2xmax
· Pull up 3×20
· Chin up 2xmax
· Pistol 4×10+10
· Toes to bar 3xmax
Questi sono solo due esempi di come si ci potrebbe allenare con l’ausilio unico del proprio peso corporeo. Naturalmente, non essendo contestualizzati in programmazioni a lungo raggio settate su particolari obiettivi, i precedenti esempi potrebbero significare tutto e niente allo stesso tempo.
Elemento da non sottovalutare è anche il fattore economico: sbarra + tappetino (opzionale) e si ci può allenare in maniere completa, risparmiando soldini da poter investire in un personal trainer che vi programmi il lavoro (unico modo per raggiungere obiettivi concreti).
Detto questo bando alle ciance e via con gli allenamenti!