Cercate degli esercizi da implementare nelle vostre routine di allenamento per eseguire un riscaldamento ben fatto o lavorare sulla mobilità? Allora avete trovato l’articolo giusto! Quelli che seguono sono degli esercizi da eseguire all’inizio della seduta di lavoro, considerabili come un riscaldamento o dello stretching dinamico. Alcuni di questi, eventualmente, possono anche essere svolti in sessioni a parte.
Buona lettura!
Introduzione
Il riscaldamento è quell’attività che introduce al compito motorio cardine dell’allenamento vero e proprio. E’ un elemento importantissimo per prevenire gli infortuni, innalza la frequenza cardiaca, aumenta la temperatura corporea, migliora la risposta dell’apparato cardiovascolare a sfrozi intensi, ottimizza l’utilizzo di substrati energetici rilasciando glucosio nel circolo sanguigno, e così via. Lo stretching possiamo invece definirlo come quell’insieme di tecniche volte ad aumentare la flessibilità di un individuo, tenendo a mente che la flessibilità è l’insieme della mobilità articolare e dell’estensibilità dei muscoli.
Qui di seguito i nomi e le illustrazioni di alcuni esercizi consigliati. Per comodità i nomi sono in inglese, in certi contesti è più comodo ricorre a dei termini più internazionali in modo da non creare confusione (le immagini sono prese da qui).
Fire hydrant
Hip circle
Scorpion
Lateral leg reach
Cat-Cow
Bird dog
Straight-leg series
Side-lying abduction
Side-lying adduction
Supine hip rotation
Supine hip bridge
Ankle rockers
Air squat
Toe grab
Trunk rotation
Flexed trunk rotation
Bent-over scapularretraction
Bent-over T
Bent-over 90-90
Knee hug
Straight-leg march
Tall side slide
Carioca
Skip
Lateral skip
Backward skip
Ovviamente questi sono solo alcuni dei mille esercizi pre-atletici che si possono inserire all’inizio delle proprie routine di allenamento, includere tutti quelli esistenti richiederebbe un’enciclopedia.
Esempio pratico
Qui di seguito l’esempio di una routine di allenamento contenente alcuni degli esercizi riportati nel precedente paragrafo. Sbizzarriamoci.
Prima dell’inizio di una seduta di strength & conditioning (esempio 1).
Esercizio
Ripetizioni, tempoo distanza
Jump rope
3×3′
Skip
3×20-30 m
Carioca
2×20-30 m
Backward skip
3×20-30 m
Knee hug
5-10 (a gamba)
Straight-leg march
5-10 (a gamba)
Supine hip rotation
5-10 (a gamba)
Toe grab
10
Cat-cow
10-20
Trunk rotation
10 (a lato)
Flexed trunk rotation
10 (a lato)
Bent-over T
10
Warm up specifico
Prima dell’inizio di una seduta di strength & conditioning (esempio 2).
Esercizio
Ripetizioni, tempoo distanza
Corsa lenta
5-10′
Skip
3×20-30 m
Tall side slide
2×20-30 m
Backward skip
3×20-30 m
Knee hug
5-10 (a gamba)
Straight-leg march
5-10 (a gamba)
Supine hip bridge
10
Air squat
10
Flexed trunk rotation
10 (a lato)
Cat-cow
10-20
Bent-over scapular retraction
10
Bent-over 90-90
10
Warm up specifico
Quel “warm up specifico” sul finale, sta a significare che dopo un riscaldamento generale si passa ad uno più simile a quel che poi dev’essere fatto nella parte centrale dell’allenamento vero e proprio. La seduta è incentrata sulla corsa veloce? Allora, dopo il warm up generico, si fanno degli sprint di moderata intensità e/o degli allunghi sui 60-100 metri. Oppure il workout riguarda l’allenamento della forza tramite la panca piana e lo squat? Allora la ricetta consigliata da seguire è warm up generale + panca piana con bilanciere scarico e/o carichi molto leggeri (stessa cosa per lo squat).
L’anca è un’articolazione particolarmente grande e mobile che unisce parte del tronco agli arti inferiori.
Sopra, una visione frontale dei principali muscoli dell’anca.
Cenni anatomici
Osservando una qualsiasi tavola anatomica, partendo dall’alto possiamo notare la presenza dell’ileopsoas, muscolo allungato e piuttosto spesso formato dal grande psoas e dal muscolo iliaco; questi si inseriscono poi sul femore (piccolo trocantere). Va segnalata anche l’esistenza del muscolo piccolo psoas, situato ancor più internamente, lungo e sottile ma non sempre presente nell’uomo (muscolo rudimentale).
Si possono notare anche il legamento inguinale (che si trova appunto nella regione inguinale), il muscolo piriforme che unisce la parte interna dell’osso sacro al femore, e l’otturatore interno ed esterno. Riguardo questi ultimi, entrambi sono muscoli esterni dell’anca e hanno forma appiattita e triangolare.
Scendendo un po’, ci si può accorgere della presenza dei seguenti muscoli: pettineo, sartorio, gracile e adduttori (breve, grande e lungo). Andando in ordine, il pettineo ha come scopo quello di addurre (avvicinare) le cosce tramite, ovviamente, la contrazione muscolare. Interviene anche nei movimenti di flessione ed extrarotazione (rotazione esterna). Successivamente abbiamo il sartorio, muscolo estremamente lungo che corre lungo tutta la coscia, permette la flessione di quest’ultima sulla gamba, extrarotazione e abduzione; utile nella camminata, interviene inoltre nell’intrarotazione della tibia. Proseguendo abbiamo il gracile, muscolo profondo e piatto che contribuisce nell’adduzione delle cosce.
Riguardo invece agli adduttori veri e propri, questi sono tre: l’adduttore breve, quello lungo ed il grade.
Il primo è di forma triangolare, posizionato fra il muscolo pettineo e l’adduttore lungo e consente, come intuibile, l’adduzione delle cosce e l’extrarotazione del femore. Il suo cugino, l’adduttore lungo, si trova fra l’adduttore breve e l’otturatore esterno (anch’esso è di forma appiattita). Funge da adduttore delle cosce e da intrarotatore. Infine, dulcis in fundo, abbiamo il muscolo grande adduttore. Quest’ultimo è collocato fra i gracile e l’adduttore breve, è l’adduttore più potente in assoluto; oltre alla classica adduzione e alla retroversione del bacino, permette l’intrarotazione e flessione (coi suoi fasci anteriori), e l’extrarotazione ed estensione (coi suoi fasci posteriori). Nella raffigurazione qui sotto potete osservare i principali muscoli dell’anca visibili posteriormente.
Prima di passare alle nozioni biomeccaniche, sicuramente più interessanti per gli sportivi, cerchiamo di trattare in poche righe i muscoli della parte più posteriore dell’anca. I muscoli di questa porzione corporea che sono assolutamente da conoscere sono i seguenti: grande, piccolo e medio gluteo, bicipite femorale, muscolo semitendinoso e semimembranoso.
Il grande gluteo, come da nome, è un muscolo parecchio voluminoso che unisce il bacino al femore. Esso estende la coscia e ne permette i movimenti sull’asse trasverso (vedere il paragrafo successivo sulla biomeccanica), contribuisce al mantenimento della stazione eretta, della camminata ed estende l’anca. Il piccolo gluteo, meno voluminoso e più profondo, abduce ed intraruota la coscia, estende l’anca e contribuisce anch’esso al mantenimento della stazione eretta. Concludendo il discorso glutei, abbiamo infine il medio gluteo, muscolo appiattito e triangolare che estende l’anca, contribuisce al mantenimento della stazione eretta e abduce la coscia. Quest’ultima può venire intraruotata (con i fasci muscolari anteriori) ed extraruotata (fasci posteriori).
Per una corretta informazione va citato anche il muscolo gemello dell’anca (divisibile in una porzione inferiore ed una superiore), il quale ha il compito di extraruotare la coscia.
Cenni biomeccanici
L’anca gode di una buona mobilità a causa della sua funzione: orientare l’arto inferiore in tutte le direzioni dello spazio, possiede quindi tre assi e tre gradi di libertà:
Tenendo a mente la figura riportata sopra, si fa presente come sull’asse trasverso (X-X1) vengano effettuati movimenti di flesso-estensione (piano frontale), sull’asse antero-posteriore (Y-Y1) movimenti di abduzione-adduzione (piano sagittale) e su quello verticale, sovrapponibile al longitudinale, movimenti di rotazione interna ed esterna (intra ed extra-rotazione).
Volendo fare un confronto con l’articolazione della spalla (entrambe enartrosi), quest’ultima è meno stabile ma più mobile; l’anca, pur godendo di una buona movibilità, non raggiunge gradi di flessione o abduzione eccessivi, ma in compenso è piuttosto stabile e un po’ meno soggetta a infortuni.
Flessione ed estensione
Con la flessione dell’anca la superficie anteriore della coscia si avvicina al busto, mentre con l’estensione l’arto inferiore viene portato posteriormente rispetto al piano frontale (illustrazione qui sotto).
L’ampiezza della flessione, oltre che da particolarità anatomiche individuali, dipende dalla natura della flessione stessa (attiva o passiva) e dall’angolo del ginocchio. La flessione attiva ha ROM (range di movimento) ridotto rispetto a quella passiva e se il ginocchio è esteso la flessione consentita dall’apparato locomotore è minore, per effettuarla più ampia occorre che il ginocchio sia flesso (gamba raccolta con polpaccio e coscia vicini). L’estensione dell’anca – movimento della gamba “verso dietro” – è invece poco ampia, indipendentemente dal fatto che sia di tipo attivo (intervento dei muscoli) o passivo (arto inferiore “tirato” fisicamente). Questo limite fisiologico è dovuto principalmente alla tensione del legamento ileofemorale (fig. sotto).
Ovviamente, entro un certo limite, i movimenti di flessione ed estensione delle anche possono migliorare di ampiezza grazie ad un allenamento costante e ben svolto. Per approfondire la questione vi invitiamo a prendere visione del sempre valido Stretching: teoria e pratica.
Adduzione ed abduzione
L’adduzione porta l’arto inferiore in dentro (anche “forzando” il movimento e sovrapponendo una gamba all’altra), l’abduzione lo porta invece in dentro, rompendo la simmetria corporea (illustrazione qui sotto).
È possibile abdurre una sola anca ma arrivati a un certo grado di estensione verrà automatico abdurre anche l’altra (questo lo sa bene chi pratica ginnastica ritmica o kick boxing). Nella vita di tutti i giorni capita inoltre di abdurre gli arti inferiori in contemporanea, come? Incrociando le gambe. Ovviamente il medesimo risultato è ottenibile tramite altri movimenti volontari.
Portare un’anca in adduzione ed una in abduzione (le prime due donne stilizzate sopra) è una condizione assolutamente fisiologica, come del resto può esserlo avere entrambe le anche abdotte, basti pensare alla spaccata frontale.
Ulteriori approfondimenti nella bibliografia presente a fondo pagina.
Il mal di schiena, patologia estremamente comune, è qualcosa di parecchio studiato in letteratura scientifica. Vediamo cosa dicono i più recenti studi.
Buona lettura!
Introduzione
Con la celebre dicitura “low back pain” (LBP) si intende la lombalgia comune, quella che colpisce la bassa schiena delle persone. Questa patologia consiste in un dolore persistente, spesso accompagnato da limitazioni funzionali più eventuali strascichi psicologici.
Ogni anno il low back pain colpisce molti adulti in età lavorativa1, basti pensare che negli USA è il disturbo muscolo-scheletrico più comune riscontrato negli accessi al pronto soccorso2 e nel 1998 è stato stimato i costi sanitari legati ad esso siano stati di circa 90 miliardi di dollari2. Secondo l’OMS, circa l’80% delle persone soffre almeno una volta nella vita di mal di schiena3.
Come vedremo più avanti, ci sono prove abbastanza solide circa l’utilità del movimento e di un corretto stile di vita per la prevenzione del mal di schiena.
Basi di anatomia e fisiologia articolare
Come già spiegato in passato, la colonna vertebrale è una complessa ed estesa struttura osteofibrocartilaginosa. va dal capo al coccige. Ha una lunghezza media di 70 cm per gli uomini e di 60 cm per le donne, consta di cinque regioni le quali hanno un numero variabile di vertebre (solitamente 33).
Regione cervicale: consta di sette vertebre (C1,2,3,4,5,6,7), le prime due, più famose, sono l’atlas (C1) e l’axis (C2). La regione cervicale regge la testa e permette al collo una grande escursione articolare.
Regione dorsale(o toracica): è formata da dodici vertebre (T1-12), è la regione più ampia di tutta la colonna vertebrale, inoltre, unendosi alle costole forma la cassa toracica. Questo tratto possiede una rigidità elevata per evitare movimenti, specialmente flessioni, troppo bruschi e pericolosi.
Regione lombare: composta da cinque vertebre (L1-5), la sua struttura è particolarmente robusta e mobile.
Regione sacrale: consiste in un unico osso composto dalla fusione di cinque vertebre.
Regione coccigea: osso formato dalla fusione di quattro-cinque vertebre.
Le principale funzioni della colonna vertebrale sono le seguenti: sostegno strutturale, supporto e protezione del sistema nervoso centrale e periferico, stabilità e protezione degli organi interni; le vertebre sono connesse mediante un disco fibrocartilaginoso, forte ed elastico, il quale fa da ammortizzatore e permette un certo movimento. Questo disco è chiamato disco intervertebrale.
Prima di concludere il paragrafo è d’obbligo focalizzarsi un attimo sulle “curvature” della colonna. Se osservata lateralmente, saltano all’occhio le due convessità posteriori, dette cifosi e le due convessità anteriori: le lordosi. Rientrano nel primo gruppo la zona toracica e sacrale, sono invece delle lordosi la zona cervicale e quella lombare.
Questa alternanza di curve, fa sì che la colonna vertebrale sia piuttosto mobile e resistente, garantendo l’equilibrio in posizione eretta. Le lordosi permettono gradi di movimento molto maggiori rispetto alle cifosi, specialmente la regione lombare, la quale ha una curvatura un po’ più marcata. Nella figura sopra, si può osservare come un curvatura eccessiva (iperlordosi, ipercifosi) anche di una sola regione, alteri inevitabilmente anche gli altri tratti della colonna (linea gialla).
Mal di schiena: tassonomia
Esistono due macrocategorie di mal di schiena: quello aspecifico (non-specific low back pain) e quello specifico (specific low back pain)5. L’aspecifico non è attribuito ad una precisa e dimostrabile causa patologica23, discorso diverso per quello specifico che a seconda della causa a cui è riconducibile (e dei sintomi) può rientrare nella sfera di competenze di diversi specialisti19.
Nonostante le raccomandazioni delle linee guida, non è possibile identificare una causa patoanatomica specifica del dolore nella maggior parte dei pazienti e solitamente si ricerca una causa strutturale del LBP e la si studia utilizzando la diagnostica per immagini. […] Fortunatamente, la maggior parte dei fattori di rischio del LBP sono modificabili.
Zaina F. et al, 2020
È inoltre nota a livello internazionale un’altra classificazione basata sulla permanenza temporale del dolore6. Se il dolore ha una durata inferiore alle 4 settimane il mal di schiena viene allora definito come acuto (solitamente in questo breve periodo si agisce sui sintomi), quando invece la presenza del dolore perdura (4-12 settimane) – con un’aggravarsi della situazione fra stress, disturbi del sonno, problemi motori, ecc. – si ha un mal di schiena subcronico. Superate la 12 settimane si può parlare a tutti gli effetti di mal di schiena cronico.
Popolazione, guarigione e aspetti psicologici
Stando a una revisione sistematica di Hoy D. e colleghi4 la prevalenza dei sintomi tipici del low back pain (LBP) presenta un picco tra i 40 e i 69 anni. Sono inoltre più colpite dal LBP le donne rispetto agli uomini e la patologia è più comune nelle nazioni economicamente più ricche (ciò ovviamente non significa che nel secondoe terzo mondo sia assente)7,8.
Sopra, la prevalenza media del LBP in base alle varie fasce d’età, con un confronto fra i sessi (Hoy D. et al, 2012). Come concludono gli stessi ricercatori nello studio citato poc’anzi: «Con l’invecchiamento della popolazione, è probabile che il numero globale di individui con lombalgia aumenti notevolmente nei prossimi decenni».
Il LBP, disordine muscolo scheletrico, speso ha una “guarigione spontanea” (nel giro di al massimo 6 settimane il dolore scompare)9. In concreto, una nota meta-analisi del 2017 ha osservato una guarigione spontanea su oltre il 65% dei pazienti colpiti da ernie lombari20, percentuale grossomodo confermata da un altro lavoro pubblicato nel 2020 su BMC Musculoskeletal Disorders21. I casi di guarigione spontanea sul lungo periodo, com’è ovvio che sia, fanno mettere un po’ in discussione un certa visione della sala operatoria come unica via per la guarigione di un paziente.
La chirurgia può essere presa in considerazione per i pazienti con sintomi gravi che non presentano una regressione (dell’ernia lombare, ndr) dopo 4 mesi dall’esordio (dei sintomi) e consigliamo vivamente un intervento chirurgico per coloro che non presentano una regressione dopo 10 mesi e mezzo.
Yi Wang et al., 2020
Tuttavia, non va ignorata quella minoranza di persone – minoranza nemmeno troppo piccola – che non si riprende con un trattamento conservativo. Altri studi hanno osservato casi di recidività dove su tre pazienti guariti, uno tornava a soffrire di mal di schiena, anche in maniera lieve, palesando quindi una guarigione incompleta10. Nella maggior parte dei casi, la lombalgia si cronicizza su persone con una vita sregolata24,25,26 (problemi psicologici, stress, carenza di sonno): «Disturbi del sonno e grande stress, ad esempio, possono causare iperattivazione delle cellule gliali e quindi un’infiammazione di basso grado, che porta a sensibilizzazione centrale e a del dolore diffuso»25.
Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30. Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30.
Zaina F. et al, 2020
Va sottolineato che il LBP, definibile come lombalgia comune e disordine muscolo scheletrico, non è una lombosciatalgia. Si parla infatti di lombosciatalgia quando il dolore dalla zona lombare si estende a un arto inferiore. Stando a quanto riportato dall’European Journal of Pain28, una grossa parte – quasi il 40% – dei casi di mal di schiena cronici e disabilitanti (follow-up di 14 mesi) sono correlati alla comparsa di dolore in altre parti del corpo.
Un ultimo dato interessante è l’apparente inutilità del trattamento manipolativo e farmacologico sul dolore provocato dalla lombalgia acuta22 (grafico sotto).
E naturalmente non vanno sottovalutati gli aspetti psicologici del mal di schiena: «Mirare ai fattori psicologici associati al LBP, non solo ai fattori fisici, può aiutare a migliorare la gestione dei pazienti con LBP»11.
Sopra, due differenti tipi di approccio al dolore (Chris J. Main et al., 2002).
«Effects of confrontation or avoidance of pain on outcome of episode of low back pain: fear of movement and re-injury can determine how some people recover from back pain while others develop chronic pain and disability»12.
Inoltre, i recenti limiti applicati agli spostamenti della vita quotidiana per far fronte alla pandemia da COVID-19, sembrano aver influito negativamente sulla salute della schiena di una parte della popolazione adulta. Forse per l’aumento della sedentarietà e dello stress generale13.
Cause e fattori di rischio
Solitamente, problemi meccanici e lesioni ai tessuti molli sono la causa della lombalgia. Queste lesioni possono includere danni ai dischi intervertebrali, compressione delle radici nervose e movimento improprio delle articolazioni spinali.
John Peloza, MD – Causes of Lower Back Pain (2017)
Da qualche anno a questa parte, studi scientifici evidenziano come i fenomeni degenerativi della colonna vertebrale rilevabili tramite RM (risonanza magnetica) e TAC siano piuttosto frequenti non solo nei soggetti che soffrono di mal di schiena ma anche in altre persone completamente asintomatiche. Una review pubblicata sull’American Journal of Neuroradiology14 (tabella sotto) ha messo in luce un fatto interessante: molte delle degenerazioni della colonna vertebrale riscontrate nei classici esami medici sono parte di un fisiologico processo di invecchiamento del corpo umano non necessariamente associato alla comparsa di dolori.
Come inequivocabilmente mostrato dai numeri, anche i più giovani hanno degenerazioni discali, protrusioni, degenerazioni delle faccette articolari, ecc.
L’eziologia multifattoriale della lombalgia comune fa’ sì che, purtroppo, non sempre le cause siano facilmente inquadrabili, specialmente quando si parla di lombalgia aspecifica. L’insieme di cofattori colpevoli del non-specific LBP sono i seguenti:
Atteggiamenti psicologici sbagliati nei confronti del dolore15,16,27.
Dati alla mano, pare che la fattori genetici individuali giochino un ruolo cruciale sulla predisposizione o meno al mal di schiena24. Un recente ed ampio studio genetico27 ha notato come molti pazienti sintomatici abbiano una naturale predisposizione a palesare dei problemi anatomico-strutturali (come problemi ai dischi intervertebrali e antropometrici) e psicologici nei confronti del dolore (percezione ed elaborazione dello stesso). I processi degenerativi delle strutture della colonna vertebrale (vertebre, dischi, anelli fibrosi, faccette articolari, muscoli paraspinali, ecc.) avanzano in parallelo, rendendo difficile capire quali fattori o combinazioni di fattori possano avere più o meno a che fare col dolore23.
Vi è inoltre il mal di schiena tipico della gravidanza che in letteratura scientifica viene così abbreviato: LBPP (low back pain and pelvic pain)17.
La maggior parte delle donne incinte soffrono di lombalgia, nonostante i fisiologici adattamenti strutturali al sovraccarico dato dal feto17,18. Inoltre: «LBPP during a previous pregnancy, body mass index, a history of hypermobility, and amenorrhea are factors influencing the risk of developing LBPP during pregnancy» da Ingrid M. Mogren et al. (2005).
Prevenzione
In campo medico esistono tre differenti livelli di prevenzione: quella primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria è quella mirata all’utilizzo di comportamenti (e abitudini) finalizzati a prevenire a monte delle patologie (non fumare, praticare attività fisica, eccetera). La prevenzione seconda invece, si riferisce alla diagnosi precoce (tipica dello screening) che permette di intervenire tempestivamente, agendo su una malattia e tamponandone gli effetti negativi (solitamente è così per la mammografia). Infine, la prevenzione terziaria riguarda più che altro gli effetti a lungo termine di una malattia (come la gestione di una disabilità) e i casi di recidività.
La letteratura scientifica pullula di paper inerenti la prevenzione del mal di schiena. Tre importanti revisioni sistematiche con meta-analisi, rispettivamente di Steffens et al.36, Huang R. et al.37, Shiri R. et al.38, hanno fatto notare come l’esercizio fisico possa essere un ottimo strumento se il fine è quello di prevenire il mal di schiena (anche abbinato a un’educazione sul problema36,37). Gli esercizi presi in esame da questi tre lavori andavano a rinforzare il retto addominale, i muscoli obliqui, gli erettori spinali, attività aerobica, yoga, esercizi di coordinazione, stretching e in alcuni casi anche gambe e parte superiore del corpo (upper body), con una frequenza delle sedute che andava da 1 a 7 volte a settimana e un tempo di lavoro che andava da 5 ai 90 minuti. Come già accennato, in alcuni casi si è dimostrata utile l’aggiunta di lezioni teoriche volte a dare un’infarinatura generale sull’anatomia e biomeccanica della bassa schiena, sulle evidenze scientifiche inerenti il LBP e sulla tecnica esecutiva dei movimenti di sollevamento. Lo studio di Shiri R. e colleghi pubblicato sull’American Journal of Epidemiology38, sempre in un’ottica di prevenzione del mal di schiena, nelle sue conclusioni consiglia 2-3 allenamenti settimanali dedicati al rinforzo muscolare, all’esercizio aerobico ed allo stretching. Altro dato interessante: interventi passivi come l’utilizzo di solette plantari o di cinture per il sostegno della schiena (back belt) si sono dimostrate inefficaci.
«In diversi studi […] viene dimostrato che nei pazienti che soffrono di LBP il meccanismo di attivazione muscolare anticipatorio della cintura miofasciale è alterato durante un movimento. La stabilità spinale è strettamente correlata all’insorgere di lombalgia: non basta, quindi, una colonna vertebrale sana per evitare problematiche di mal di schiena, ma sono necessari anche muscoli efficienti e una buona capacità di controllo. Una corretta sinergia dei tre sistemi descritti nel modello ideato da Punjabi (fig. sotto, ndr) assicura un’efficace stabilizzazione della colonna vertebrale. Per svolgere gli esercizi in modo efficace è fondamentale abbinarli ad una corretta respirazione, controllando la sua frequenza, la sua coordinazione col movimento e la sua qualità»39.
Sopra, la relazione tra i tre sottosistemi – attivo, passivo e neurale – che contribuiscono alla stabilità della spina dorsale, elemento fondamentale per la salute della bassa schiena (da Panjabi M., 1992).
Come giustamente fatto notare dal Dott. Giroldo39, un documento finanziato dal Ministero della Salute (Percorsi diagnostico terapeutici per l’assistenza ai pazienti con il mal di schiena) spiega con un linguaggio alla portata di tutti quelli che sono dei semplici consigli per contrastare il LBP: evitare di stare seduti nella stessa posizione oltre 20-30 minuti, guidare l’automobile con un supporto lombare, piegarsi mantenendo le curve fisiologiche del rachide e svolgere quotidianamente dell’attività fisica.
Riabilitazione
Mentre il mal di schiena acuto ha tendenzialmente una prognosi positiva, il mal di schiena cronico spesso è, appunto, persistente e con ridotte possibilità di recupero totale, anche se vi è la possibilità di migliorare la qualità della vita ed attenuare l’intensità del dolore23. Le linee guida raccomandano l’autogestione del dolore, terapie fisiche, psicologiche e pongono poca enfasi sul trattamento farmacologico e chirurgico31. Un paper apparso sul Journal of the American Medical Association32 nell’agosto 2020 ha evidenziato la scarsa efficacia delle tecniche manipolative e di mobilizzazione – tipiche dell’osteopatia – applicate su adulti di età compresa fra i 18 ed i 45 anni affetti da LBP cronico di intensità media e moderata. Sotto un interessante scambio di commenti fra il Dott. Evangelista ed il ricercatore Franco Impellizzeri.
Viviamo su un’isola circondata da un mare di ignoranza. Più cresce l’isola della nostra conoscenza, più si allunga la costa della nostra ignoranza diceva il fisico statunitense John A. Wheeler, paradossalmente sembra che all’aumentare del numero di pubblicazioni scientifiche aumentino i dubbi di chi questi argomenti li studia da anni. Chiusa la parentesi, il famigerato approccio biopsicosociale citato dal Professor Impellizzeri cozza con quello biomedico, che vedrebbe come causa (o cause) di una patologia variabili puramente biologiche da correggere con terapie mirate, prescritte da un medico/fisioterapista/fisiatra/chinesiologo e così via. Si tratta quindi un approccio, quello biopsicosociale, multidimensionale che può vantare una visione d’insieme che quello biomedico non possiede: «Il modello biopsicosociale è una strategia di approccio alla persona, che attribuisce il risultato della malattia, così come della salute, all’interazione intricata e variabile di fattori biologici (genetici, biochimici, ecc.), fattori psicologici (umore, personalità, comportamento, ecc.) e fattori sociali (culturali, familiari, socioeconomici , ecc.)»33,34.
Alcuni studi avevano dimostrato che la terapia manipolativa e l’educazione al dolore avevano diminuito il dolore e la disabilità. Tuttavia, la maggior parte di essi ha mostrato un debole effetto del trattamento, con soli miglioramenti nell’immediato o a breve termine, principalmente nella terapia manipolativa.
Vier C. et al., 2018
Sotto, le fasi di un trattamento risultato efficace unicamente in acuto35.
Salvo Di Grazia, medico e divulgatore scientifico, in un suo post datato ottobre 2018 aveva fatto un riassunto delle evidenze all’epoca disponibili sulla “cura” del mal di schiena e ne era emerso uno scenario pressoché identico a quello attuale. Molti trattamenti inefficaci ed altri discretamente efficaci sul breve termine ma inutili sul medio e lungo periodo – agopuntura, osteopatia, ultrasuoni, massaggi, tachipirina, laser, farmaci antinfiammatori, stimolazione elettrica nervosa transcutanea, massaggi… -, fatta eccezione per l’attività fisica.
Passando all’atto pratico, dopo aver visto che il mal di schiena cronico ed aspecifico difficilmente può guarire del tutto e che moltissime terapie sono praticamente inutili sul lungo periodo, occorre chiedersi quale tipo di attività fisica possa praticare oppure no una persona. Sottolineando che in questa sede non è possibile analizzare caso per caso e che la “terapia motoria” andrebbe somministrata in maniera differente da paziente a paziente… A grandi linee, è consigliabile educare piano piano al movimento e ad un corretto stile di vita chi è affetto da lombalgia, senza fare terrorismo e cercando di rendere la persona pronta a reggere psicologicamente una probabile lunghissima convivenza col dolore. Cercando di capire, sempre riguardo all’aspetto mentale, se può esserci qualcosa che non va nella sua vita quotidiana; ricordiamo per il LBP è vivamente consigliato un approccio biopsicosociale e di conseguenza l’intervento di più d’una figura professionale.
Si è visto come lo yoga, se correttamente dosato, possa dare dei benefici sul lungo periodo40 e una review pubblicata su Pain and Therapy41, ha messo in luce anche l’efficacia del pilates, degli esercizi McKenzie (con qualche controversia dovuta alla non uniformità dei dati), corsa in acqua (altezza spalle) alla soglia aerobica individuale ed esercizi di stabilizzazione mirati a migliorare il controllo neuromuscolare e la forza del core, ossia la parte centrale del corpo (immagine sotto).
Sopra, degli esercizi dimostratisi efficaci per ridurre la disabilità da cLBP (cronic low back pain) ed il dolore ad esso associato. Nello studio in questione42, la routine era la seguente: 3 allenamenti a settimana, di una durata di circa 60 minuti l’uno, per 6 settimane totali (altre informazioni utili qui sotto).
Dopo aver tentato di curare due gruppi di pazienti dalla lombalgia cronica – uno con gli esercizi di stabilizzazione e l’altro con dello yoga – i ricercatori sono arrivati alle seguenti conclusioni: «I nostri risultati indicano che lo yoga e la ginnastica di stabilizzazione hanno aspetti superiori a ogni altro in termini di dolore, disabilità, prestazioni e qualità della vita correlata alla salute».
Infine, come specificato da J. V. Pergolizzi Jr. e coll. (2020), è bene ricordare che l’esercizio fisico è una terapia efficace per i casi di lombalgia, a patto che questa sia un minimo duratura (almeno 6-12 settimane), questa affermazione, oltre che col low back pain cronico, si sposa piuttosto bene anche con dei casi di LBP subcronico.
Sopra, trovate alcuni esercizi alla portata di tutti utili sia per la prevenzione che la riabilitazione (video del Dott. Roncari, pubblicato per Project Invictus).
Conclusioni
Cosa portarsi a casa da questo articolo? Il mal di schiena di schiena generico, di per sé un qualcosa di aspecifico, può colpire una platea di persone piuttosto eterogenea. Data l’eziologia multifattoriale, molto ancora dev’essere indagato ma pur non esistendo una “cura definitiva”, i singoli individui possono fare molto per prevenirlo e per combatterne la disabilità a lungo termine. La direzione in cui sta andando la società moderna pare essere sempre più lontana dalla cura fisica e psichica delle persone, sarebbe bene che tutti, nel loro piccolo, lavorassero per cercare di invertirla.
Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All’infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l’uomo è il solo padrone.
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Lo stretching, pratica tanto conosciuta quanto sottovalutata e trascurata dai più.
Prima di dedicarci a alle tecniche di stretching è però necessario dare alcune basiche definizioni, tre per la precisione.
La prima riguarda la mobilità articolare, da alcuni autori considerata una capacità condizionale, che corrisponde alla capacità di una o più articolazioni di muoversi liberamente entro il proprio range di movimento fisiologico, senza dolori o problemi di alcun genere. La seconda definizione che occorre fornire è quella dell’estensibilità muscolare, ovvero la capacità che ha un muscolo di allungarsi, come prima, entro un limite fisiologico.
Infine, abbiamo la flessibilità, cioè l’unione della mobilità articolare e dell’estensibilità muscolare.
Inoltre, per chi non lo sapesse, c’è il range di movimento (ROM) è l’escursione permessa dalla flessibilità individuale. Che può essere più o meno ampia a seconda della persona ed anche per scelta di quest’ultima. Basti per esempio pensare all’utilizzo di “ROM incompleti” nel bodybuilding (mezze ripetizioni) per mantenere una tensione continua sul muscolo target.
Cenni di fisiologia
Lo stretching, insieme di tecniche volte ad incrementare la flessibilità corporea, si basa sul fenomeno neurofisiologico noto come riflesso miotatico, anche detto da stiramento. I recettori propriocettivi presenti nel muscolo, durante un qualsiasi allungamento inviano dei segnali al sistema nervoso centrale (SNC). I recettori sono i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi (OTG).
Per farla semplice, durante i primi secondi di allungamento, i fusi neuromuscolari si oppongono allo stretching, inviando segnali al SNC che portano quest’ultimo ad ordinare ai muscoli in questione di contrarsi (riflesso miotatico) in modo da evitare eventuali danni e/o infortuni. Tuttavia, se lo stretching continua e lo stato di allungamento perdura, tramite l’azione degli OTG si verifica una sorta di riflesso miotatico inverso che porta il muscolo a rilassarsi ed allungarsi.
È per questa ragione che nei canonici protocolli di stretching si consiglia di tenere certe posizioni per almeno 10-15 secondi, dato che tempi inferiori ostacolerebbero l’effetto del riflesso inverso citato poco fa, rendendo poco efficace l’allungamento. Va però specificato che se l’estensione muscolare è molto lenta difficilmente i fusi neuromuscolari si attivano.
I fattori che influenzano la flessibilità che, ovviamente, è molto soggettiva e variabile, sono principalmente i seguenti:
Estensibilità dei tendini, dei legamenti, delle capsule articolari e della pelle
Temperatura ambientale e corporea*
Livello di attività fisica (se esposti ad escursioni articolari limitate, i tessuti connettivi tendono a diventare meno flessibili).
*a causa della maggior temperatura corporea, i muscoli risultano essere più flessibili dopo il riscaldamento, pertanto generalmente si consiglia di effettuare lo stretching dopo il riscaldamento iniziale.
Le variazioni della flessibilità dipendono principalmente da un paio di fattori, due adattamenti tissutali: elasticità e plasticità. La prima consiste nella capacità del muscolo di ritornare alla lunghezza di riposo dopo l’allungamento. La seconda invece, è la tendenza ad assumere e mantenere una nuova e maggiore lunghezza dopo un allungamento. Il muscolo ha proprietà elastiche, legamenti e tendini hanno proprietà sia elastiche che plastiche.
In altre parole, se il fine è quello di incrementare la flessibilità, tramite svariate tecniche di stretching bisogna cercar di far sì che la plasticità prevalga sull’elasticità.
Maggior flessibilità = plasticità > elasticità
Un po’ come per crescere muscolarmente, in quest’ultimo caso occorre che l’anabolismo sia maggiore del catabolismo.
I benefici dello stretching, a grandi linee, sono quelli che seguono: aumento della flessibilità, prevenzione infortuni (è giusto specificare che le evidenze non così solide), miglioramento della circolazione sanguigna, stimolazione della lubrificazione articolare, effetti rilassanti e miglioramento generale della performance (in cronico). Ovviamente possono esserci anche degli effetti negativi, di questi però ne parleremo più avanti, fra qualche riga.
Tipologie di stretching
Qui di seguito potete trovare le forme più note ed efficaci di stretching.
Stretching statico (attivo e passivo): lo stretching statico attivo è il classico stretching che consiste nel raggiungere lentamente delle posizioni di allungamento e mantenerle per 15-30 secondi (il tutto in maniera autonoma). Invece, quello passivo viene effettuato grazie all’aiuto di un compagno di allenamento che tende a “forzare” l’allungamento, incrementandolo (fig. sotto).
Stretching statico passivo
Stretching dinamico (attivo e balistico): stretching che, non essendo statico, fa uso di movimenti di molleggio, slanci e quant’altro. Quello attivo è molto controllato, il balistico no (quest’ultimo comprende slanci e balzi più rapidi e intensi).
Essendo, almeno in linea teorica, piuttosto simili, alcuni autori non fanno distinzioni (Weineck J.) e considerano come stretching dinamico (o balistico) tutte le forme di allungamento che prevedono dei movimenti più o meno ampi.
I principali tipi di stretching (da Page P. – Current concepts in muscle stretching for exercise and rehabilitation, 2012, modificato)
Stretching PNF: lo stretching PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation), molto in voga negli ultimi anni, è un tipo di allungamento che punta ad incrementare la flessibilità tramite delle contrazioni isometriche (quindi che avvengono senza un effettivo accorciamento del muscolo).
Weighted/Loaded stretching: in maniera poco tecnica potremmo nominare questa metodica come uno stretching zavorrato, che quindi si avvale di sovraccarichi per migliorare la flessibilità generale. Il “weighted stretching” è uno stretching relativamente giovane e che non ha alle spalle un’ampia letteratura scientifica, pertanto viene difficile approfondirlo e compararlo con gli allungamenti più tradizionali.
Isometria in allungamento
Christian Thibaudeau, coach di fama internazionale, sostiene che con lo stretching zavorrato sia possibile allungare i muscoli e, al contempo, massimizzare l’ipertrofia muscolare. Ma il sospetto più logico è che questo allungamento sia maggiormente utile per la crescita del fisico che per la flessibilità.
Per ulteriori approfondimenti vi rimandiamo ad un suon articolo pubblicato su T Nation.
Alcune considerazioni
Una importante review sistematica del 2017 ha preso in esame ben 28 studi riguardanti lo stretching e nessuno di questi ha mostrato effetti negativi dello stretching sulla performance [1]. Anzi, uno di questi riguardava sedici pesisti, con un carico massimale (1RM) di panca piana medio di circa 130 kg ed ha messo in mostra un lieve incremento dei carichi sul bilanciere [2]. Si è visto inoltre come su soggetti non allenati lo stretching possa aumentare in modo abbastanza significativo la forza muscolare [3].
E’ di fondamentale importanza la tempistica con cui viene effettuato l’allungamento. Se non si vuole rischiare di vedere un peggioramento delle prestazioni, è buona cosa evitare di eccedere con lo stretching se questo viene svolto subito prima di una seduta di allenamento. Infatti, come si è visto in decine di studi raccolti in una nota review [4], lo stretching statico spesso e volentieri, in acuto, porta a peggioramenti nelle performance di forza e potenza. Risultati simili li ha dati un lavoro più recente condotto su giocatori professionisti di football [5].
Behm D. G. et al. (2011)
Behm D. G. et al. (2011)
Behm D. G. et al. (2011)
Mode a parte, uno studio ben condotto pubblicato sulla rivista scientifica Physical Therapy in Sport, non ha trovato metodologie come lo stretching PNF particolarmente superiori rispetto al canonico allungamento statico [6]. Riguardo a questa faccenda, la comunità scientifica non ha ancora una una posizione unanime, servono altri studi per sperare di avere delle certezze.
Inoltre, lo stretching – in generale – non sembra essere in grado di influire significativamente sul recupero muscolare, al contrario di ciò che è credenza comune [7]. Ma questa è una questione assai intricata, di cui magari parleremo più nel dettaglio in futuro con altri articoli.
«Una […] ricerca di Kay, A. D., and A. J. Blazevich del 2012, ha affermato che lo stretching statico per un totale di 45 sec può essere utilizzato come routine senza il rischio di una diminuzione significativa nella performance delle attività forza o di velocità. Per tempi di allungamento più lunghi(ad esempio, 60 s) ci sono maggiori probabilità di causare una piccola o moderata riduzione delle prestazioni» [8].
Applicazioni pratiche – linee guida
Bisogna dedicare allo stretching più sedute settimanali per fare sì che questo sia realmente allenante; durante l’allenamento della flessibilità dobbiamo percepire una certa tensione muscolare ma non del dolore, in quest’ultimo caso andiamo incontro a più rischi che benefici.
Si consigliano almeno un paio di esercizi per ogni grande gruppo muscolare, con delle tenute (ripetute) di una certa durata. Per essere più precisi…
Frequenza: ≥3 volte a settimana
Ripetizioni: 3-5 per ogni posizione
Tempo: tenere ogni posizione per 15-45 secondi
Quanto riportato sopra, valevole per lo stretching statico, può essere eseguito nelle classiche sedute di allenamento, oppure in sedute a parte.
Lo stretching dinamico è invece indicato per essere eseguito prima che inizi l’allenamento vero e proprio, dopo un buon riscaldamento.
Conclusioni
Lo stretching, da alcuni sottovalutato da altri sopravvalutato, è indubbiamente un qualcosa che va fatto. Non esiste una ricetta unica, le tipologie sono diverse e lo stretching andrebbe prescritto da persona a persona, in base allo stato di salute, la condizione fisica, l’obiettivo, lo sport praticato, e così via.
Nessun dubbio sul fatto che, se eseguito a caso, possa avere più svantaggi che benefici. Ma in quel caso la colpa è del singolo individuo o dell’allenatore incompetente, non dello stretching in sé.
R. D’Isep e M. Gollin – Fitness e muscolazione (2001)
Ganzini A. – Flessibilità e mobilità articolare (Dispense FIPE)
Segina M. – Gli effetti “reali” dello stretching (link)
Pansini L. – Stretching: una retrospettiva dalla ricerca (Body Comp Academy, 2017)
Leite T. B. et al. – Effects of Different Number of Sets of Resistance Training on Flexibility (2017)
[1] Medeiros D. M. et al. – Influence of chronic stretching on muscle performance: Systematic review (2017)
[2] Wilson G. J. et al. – Stretch shorten cycle performance enhancement through flexibility training (1992)
[3] Nelson A. G. et al. – A 10-week stretching program increases strength in the contralateral muscle (2012)
[4] Behm D. G. et al. – A review of the acute effects of static and dynamic stretching on performance (2011)
[5] Kurt C. – Comparison of the acute effects of static and dynamic stretching exercises on flexibility, agility and anaerobic performance in professional football players (2016)
[6] Azevedo D. C. et al. – Uninvolved versus target muscle contraction during contract: relax proprioceptive neuromuscular facilitation stretching (2011)
[7] Herbert R. D. -et al. – Stretching to prevent or reduce muscle soreness after exercise (2007)
[8] Ferrari M. – Stretching: cosa dicono le ricerche (IlCoach, 2015)
E’ ormai da parecchie settimane che mi occupo della preparazione atletica della squadra di basket del progetto Pegaso di Asti. Quando mi hanno fatto questa proposta ho accettato senza indugiare più di tanto, questo anche per mettere in pratica gli insegnamenti della materia “APA/AFA” che ho avuto al secondo anno universitario di Scienze Motorie.
In questo articolo parlerò della preparazione atletica che, con l’aiuto dei due allenatori, ho fatto seguire ai ragazzi, dando qualche indicazione generale.
Attività fisica adattata
AFA = “…programmi di esercizio non sanitari, svolti in gruppo, appositamente disegnati per individui affetti da malattie temporanee/o croniche finalizzati anche alla modificazione dello stile di vita per la prevenzione secondaria e terziaria della disabilità” (Macchi e Benvenuti, 2012).
Dopo aver fatto una breve ed infruttuosa ricerca sul web, ho deciso di analizzare un po’ di cose e di buttare giù una bozza di macrociclo.
Teoria dell’allenamento
Struttura e materiale a disposizione: Palestra scolastica dotata di campo da basket ( x m), 2 spalliere, dei materassi spessi circa 40 cm, una ventina di cinesini di diversi colori, due coni alti 30 cm circa e, ovviamente, un discreto numero di palloni basket.
Squadra: 19 giocatori in totale (di cui solo una donna), con un’età che va dai 18 ai 40 anni. Il numero medio di giocatori per allenamento è intorno ai 15. Di tutto il gruppo, 2 persone sono affette dalla sindrome di down, ciò, nella pratica, le porta a distrarsi spesso, non capendo quasi mai il corretto svolgimento degli esercizi e concentrandosi unicamente sull’atto finale di una qualsiasi azione di gioco: tirare a canestro! Altri due soggetti sono gravemente in sovrappeso (e questo condiziona moltissimo la loro capacità di muoversi) e
Allenamenti settimanali: solamente 1 allenamento a settimana della durata di un’ora.
Calendario gare: Week-end interi dedicati alle gare ogni 3-4 mesi circa.
Risultano quindi chiare un po’ di cose: il tempo è quello che é, e la preparazione atletica non deve rosicarne troppo all’allenamento della tecnica (e anche della tattica). Per il poco materiale a disposizione e problemi articolari e coordinativi di vario genere, gli atleti non avranno modo di allenare la forza massimale (non ci sarebbe neanche il tempo necessario per provare a lavorare sugli schemi motori). Inoltre, un certo numero di praticanti (6) è completamente impossibilitato ad eseguire come si deve ogni esercizio, a dirla tutta, oltre a camminare (a fatica) e muovere le braccia può fare poco, questi giocatori avranno sempre delle aggevolazioni sulle esercitazioni (gli verranno quindi fatte eseguire delle varianti meno complicate). Anche se quest’ultime porteranno magari ad un diverso utilizzo dei sistemi energetici e/o capacità condizionali non importa: ciò che conta è dar la possibilità a tutti di muoversi, fare sport, divertirsi con gli altri!
Struttura allenamenti
Lontano dalle gare: 30-45′ su 1h saranno dedicati alla preparazione atletica (riscaldamento incluso), i restanti 15-30′ a lavori incentrati sulla tecnica e sulla tattica.
In prossimità delle gare: 20-30′ circa di preparazione atletica (riscaldamento incluso) e 30-40′ di allenamento tecnico-tattico.
Cosa bisogna allenare di preciso?
Forza
Massimale ✓
Esplosivo-elastica ✓
Resistente ✓
Velocità / rapidità ✓
Resistenza
Aerobica ✓
Anaerobica (alla potenza e alla velocità) ✓
In più: agilità, rinforzo del core, stretching ed equilibrio ✓
Linee guida pratiche
Forza massimale: dato il basso livello atletico generale sono più che sufficienti dei piegamenti sulle braccia (push ups). Da 5-6 ripetizioni fino a 10, serie comprese fra le 3 e le 6 per ogni esercizio. I ragazzi meno forti possono eseguirli con le ginocchia appoggiate a terra, in modo da rendere l’esercizio meno intenso.
Per gli arti inferiori invece, è sufficiente l’esercizio hip thrust a corpo libero (bipodalico o monopodalico).
Piegamenti
Hip thrust senza pesi
Forza esplosivo-elastica: piccoli balzi standard e balzi con contromovimento, sia bipodalici che monopodalici (poche ripetizioni ed un buon recupero, possibilmente attivo).
Balzo monopodalico su un rialzo
Per ottenere risultati soddisfacenti non è necessario un gran volume di allenamento. Schemi di allenamento come dei 3×5, 3×6, 3×8, 4×6* possono essere più che sufficienti. *serie x ripetizioni.
Forza resistente: esercitazioni a intensità media e medio-bassa. Sforzi continui e prolungati per incrementare le sue varie espressioni:
F. resistente su base aerobica: almeno 2′ di lavoro continuo
F. resistente su base anaerobica: (potenza lattacida): 40-90″ di lavoro cont.
F. resistente su base anaerobica: (capacità lattacida): 90-120″ di lavoro cont.
Il recupero completo è previsto solamente per la potenza lattacida. Al riguardo potrebbe essere utile un ripasso sui sistemi energetici (qui) e sulla frequenza cardiaca (qui).
Con poco materiale, tempo a disposizione e tenendo anche conto dello scarso bagaglio motorio dei più, è quasi impossibile andare a lavorare su tutte le sfaccettature della forza resistente. Senza abbatterci, possiamo comunque mettere nero su bianco degli esempi di esercitazioni pratiche.
Un esercizio su tutti è quello di camminare, magari palleggiando, con alle spalle un compagno che oppone resistenza tirando all’indietro il partner che cammina (dopo averlo cinto per i fianchi), rendendo più impegnativa la camminata. Le tempistiche di lavoro sono quelle elencate prima: >2′ (FR aerobica), 40-90″ (FR anaerobica, potenza lattacida), 90-120″ (FR anaerobica, capacita lattacida).
Velocità e capacità di reazione: esercizi per lo sviluppo della rapidità nei piccoli spostamenti con e senza palla (sprint con deviazioni, skip e movimento degli arti inferiori su speed ladder, esercitazioni che alla fine portano a tirare a canestro). Sprint su distanze comprese fra i 10 ed i 40 metri. Giochi di gruppo in grado di stimolare la prontezza dei riflessi, simulazione di azioni di gioco, eccetera.
Esempio pratico
Resistenza:
Aerobica: non c’è il tempo materiale per svilupparla con la classica corsa a Vo2max (potenza aerobica) od il fondo (capacità aerobica), tenendo anche conto dei problemi motori più o meno gravi che impedirebbero ad un cospicuo numero di ragazzi di correre bene per tot minuti. Le modalità di gioco (tempi, elevato numero dei cambi, eccetera), fanno sì che il sistema aerobico non debba essere troppo efficiente). Fare sport per un’ora o più consente di avere già una discreta capacità aerobica di base. In questo specifico caso è sufficiente quella, pertanto l’allenamento del sistema aerobico sarà indiretto.
Anaerobica: brevi scatti con recuperi incompleti per allenare la resistenza alla rapidità. Balzi, slanci e lanci della pallone. Il tutto con recuperi incompleti.
Agilità: dribbling e movimenti di vario genere (cambi di direzione, skip, rotazioni del corpo di 90-180-360° gradi attorno all’asse longitudinale) fra i coni, cinesini o su speed ladder. Un esempio lo trovate qui sotto ed a questo link.
L drill. Esempio di esercitazione per l’agilità eseguibile con o senza palla.
T drill. Esempio di esercitazione per l’agilità eseguibile con o senza palla.
Rinforzo core e stretching: esercizi di vario genere per il rinforzo dell’addome e della zona lombare (crunch, sit up, plank, estensioni lombari da sdraiati). Inoltre, per mantenere una buona flessibilità è consigliabile eseguire degli esercizi di stretching alla fine dell’allenamento. Non è casuale l’utilizzo della parola “mantenere”, infatti per incrementare la flessibilità servono almeno 2-3 sedute specifiche a settimana. E’ pertanto buona cosa, consigliare alla squadra di eseguire dello stretching, almeno gli esercizi più semplici, anche in altri giorni della settimana.
Equilibrio e propriocezione: camminata lenta o piccoli balzi (mono e bipodalici) su superfici instabili (materassine), ricezione e lanci della palla stando in equilibrio su una gamba sola.
Macrociclo di allenamento (esempio pratico)
Ipotizzando che gli allenamenti inizino la seconda settimana di settembre e le prime gare siano a metà dicembre. Durata macrociclo: 15 settimane, 1 allenamento a settimana della durata media di 1 ora, 4 allenamenti mensili.
Settembre (30-40' di preparazione atletica)
Allenamento n.1 - FM, FE, EQ, ABS e ST
All.2 - FM, FE, AG, EQ, ABS e ST
All.3 - FM, FE, VEL, EQ, ABS, e ST
All.4 - FM, FE, VEL, ABS e ST
Ottobre (30')
All.1 -FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
All.2 - FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
All.3 - FM, FE, VEL, AG, EQ e ST
All.4 - FE, FR, VEL, AG, EQ e ST
Novembre (20-30')
All.1 - FE, FR, VEL, RP, AG e ST
All.2 - FE, FR, VEL, RP e ST
All.3 - FR, RV, RP, ABS e ST
All.4 - RV, RP, EQ e ST
Dicembre (15-20')
All.1 - RV, AG e ST
All.2 → competizione!
Legenda: FM = forza massimale; FE = forza esplosiva; FR = forza resistente; EQ = equilibrio; ABS = rinforzo core; ST = stretching; AG = agilità; RP = resistenza alla potenza; RV = resistenza alla velocità.
Ovviamente questo è solo un esempio, i metodi di periodizzazione sono molteplici, tutto va contestualizzato.
Altre indicazioni generali
Ricorrere ad esercizi/giochi di gruppo che coinvolgano e facciano divertire i ragazzi il più possibile, in modo da evitar di far calare la loro soglia di attenzione (già bassa).
Dare poche indicazioni e semplici istruzioni alla squadra, in modo da non mandare i ragazzi in confusione.
Far sì che in ogni allenamento siano trattate più capacità condizionali e coordinative possibili, bisogna ottimizzare il poco tempo a disposizione.
Essere armati di una dose enorme di pazienza.
Non essere troppo rigidi ma neanche perdere il controllo della situazione.