Tag: sport

  • Idratazione per lo sport: salute e performance

    Idratazione per lo sport: salute e performance

    L’acqua (H2O) è un composto chimico che sta alla base della vita. Un individuo adulto è composto da circa il 60% di acqua di cui circa i 2/3 sono distribuiti a livello intracellulare e 1/3 a livello extracellulare.

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    A partire dai Giochi Olimpici del 1896, fino agli anni 70, nella (altro…)

  • Allenarsi in base alla frequenza cardiaca

    Allenarsi in base alla frequenza cardiaca

    La corsa è senza dubbio il tipo di attività fisica più praticato in assoluto. Da chi corre per sport, a chi lo fa semplicemente per passione e salute.

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    In questo articolo vedremo come allenarci per diverse finalità, correndo in base alla nostra frequenza cardiaca (fc).

    Prima però è necessario fare un passettino indietro: cos’è la frequenza cardiaca? E i bpm? La frequenza cardiaca è il numero di battiti del cuore al minuto, questi ultimi, abbreviati con “bpm”, sono la sua unità di misura. Per lavorare bene, con una certa precisione, è consigliabile spendere una cinquantina di euro per acquistare un cardiofrequenzimentro, ci si può allenare ed ottenere buoni risultati anche senza di esso ma sarà più difficile, l’autoregolazione non è una cosa alla portata di tutti.

    Per allenarsi senza cardiofrequenzimetro bisognerà ricorrere alla scala di Borg (o scala RPE), tutti i dettagli qui. Nel caso si voglia invece ottenere un numero, indicativo, dei battiti cardiaci si può ricorrere alla misurazione manuale. Ecco il procedimento: mettere due dita alla base del collo, contare i battiti per 15″ esatti e poi moltiplicare il numero ottenuto per quattro.

    Per calcolare la nostra frequenza cardiaca (teorica) ci sono varie formule matematiche, quelle che seguono sono le due più accreditate:

    220 - età (anni)
    Oppure: 208 - 70% età
    es. Lorenzo, 20 anni, FC massima di 200 bpm
    

    Nelle persone sane la FC a riposo è compresa fra i 60 e i 100 bpm, negli sportivi di un certo livello può essere leggermente più bassa (40-50 bpm).

    Ora è giunto il momento di introdurre un altro concetto: VO2max. Il VO2max è un parametro biologico che esprime il volume massimo di ossigeno che un essere umano può consumare nell’unità di tempo per contrazione muscolare.

    E’ misurabile direttamente tramite cicloergometro o indirettamente con altri test fisici. L’allenamento può migliorarlo di circa il 25%. Nei soggetti allenati la soglia anaerobica (punto di passaggio della produzione di energia dal sistema aerobico – in via principale – a quello anaerobico lattacido) corrisponde, negli sportivi, all’85% circa del VO2max e al 60% nei soggetti sedentari.

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    Per ulteriori approfondimenti sui sistemi energetici clicca qui

    Una volta giunti in prossimità della soglia anaerobica (SA), il metabolismo energetico verrà shiftato maggiormente sugli zuccheri, aumenterà l’accumulo di acido lattico e la respirazione sarà più difficoltosa. Oltre il VO2max , in regime alattacido, gli sforzi potranno essere mantenuti per pochi secondi e non si accumulerà acido lattico durante il normale svolgimento di attività fisica.

    Durante l’allenamento, in base alla frequenza cardiaca (FC), possiamo stabilire con discreta precisione quale sistema energetico sia maggiormente attivo. Essa può variare in base all’anzianità di allenamento, sesso ed età di una persona. Ad esempio con una FC inferiore o uguale ai 160-170 bpm (battiti per minuto), il sistema principalmente coinvolto in un uomo giovane ed allenato sarà quello aerobico.

    Effetti allenanti in base alla FC massima
    • <60% = lo stimolo è molto debole, considerato poco allenante
    • 60-75% = capacità aerobica
    • 75-85% = potenza aerobica e soglia anaerobica
    • 85-92% = allenamento anaerobico e tolleranza lattacida

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    In passato era credenza comune pensare che un allenamento prolungato a bassa intensità fosse più indicato per il dimagrimento, tanto da chiamare il range compreso fra il 60 ed il 75% della frequenza cardiaca: “zona lipolitica”. Tuttavia si è visto che, benché un allenamento poco intenso attinga maggior energia dai grassi (figura sotto), ciò non significa che in cronico un’attività fisica ad intensità moderata (60-75% FC), abbia effetti dimagranti così superiori  rispetto ai protocolli di allenamento più intensi, questo a parità di dispendio calorico [1,2,3,4,5,6]. Se l’obiettivo è il dimagrimento, la dieta è sempre il fattore principale.

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    Riguardo invece alla correlazione fra la scala RPE e la FC max, per farla breve, la scala utilizza de valori numerici, da 6 a 20 ed i valori della FC massima sono a grandi linee i seguenti.

    • 6 = 20% FCmax
    • 7 = 30%
    • 8 = 40%
    • 9 = 50%
    • 10 = 55%
    • 11 = 60%
    • 12 = 65%
    • 13 = 70%
    • 14 = 75%
    • 15 = 80%
    • 16 = 85%
    • 17 = 90%
    • 18 = 95%
    • 19-20 = 100%

    Intensità dello sforzo percepito:

    • 6 = intensità nulla
    • 7-8 = sforzo estremamente leggero
    • 9 = sforzo leggero (una camminata lenta)
    • 10-11 = leggero (riscaldamento blando)
    • 12-13 = sforzo abbastanza impegnativo
    • 14-15 = un duro sforzo
    • 16-17 = sforzo molto duro
    • 18-19 = sforzo estremamente duro, intensità submassimale
    • 20 = sforzo massimale

    Alcune cifre sono state prese da “Principi di metodologia del fitness“.

    Prima di lasciarci, una curiosità. Un test di accuratezza che ha analizzato alcune tipologie di cardiofrequenzimetro, ha rivelato che rispetto all’ECG (elettrocardiogramma), i cardiofrequenzimetri più precisi sono quelli che si posizionano sul petto (precisione del 99,6%), molto meno fedeli sono invece quelli da polso (67-92%).

    Grazie per l’attenzione!

    Buon allenamento!


    oc
    Bibliografia

    Gollin M. – Metodologia della preparazione fisica (Elika, 2014)
    Fagioli F., Bartoli L. – Allenarsi con il cardiofrequenzimetro (Elika, 1998)
    Wikipedia – Scala di percezione dello sforzo (link)
    Andy Peloquin – Chest Strap Vs Wristband Heart Rate Monitors
    1 Schoenfeld B. J. et al – Does cardio after an overnight fast maximize fat loss? (2011)
    2 Ballor D. L. et al. – Exercise intensity does not affect the composition of diet- and exercise-induced body mass loss (1990)
    3 Grediagin A. et al. – Exercise intensity does not effect body composition change in untrained, moderately overfat women (1995)
    4 Mougios V et al. – Does the intensity of an exercise programme modulate body composition changes? (2006)
    5 Pansini L. – Bruciare grassi non significa dimagrire (parte 2): effetto dell’attività fisica (2017)
    6 Keating S. E. et al. – A systematic review and meta-analysis of interval training versus moderate-intensity continuous training on body adiposity (2017)

  • Il taglio del peso negli sport da combattimento: linee guida

    Il taglio del peso negli sport da combattimento: linee guida

    Da sempre, a tutti i livelli, negli sport da combattimento (e non solo) quello del peso è un aspetto assai importante. Un fighter più pesante potrà far più male, colpire più forte, oppure ad un atleta starà stretta una categoria di peso e allora dovrà applicare determinate strategie alimentari per dimagrire o magari, se professionista, arrivare al weigh-in col peso più opportuno, anche se al limite. 

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    (altro…)

  • Periodizzazione ondulata settimanale per gli sport da combattimento: esempio pratico

    Periodizzazione ondulata settimanale per gli sport da combattimento: esempio pratico

    Quel che segue è un breve esempio pratico di una periodizzazione dell’allenamento per sport da combattimento da seguire in vista di una competizione. Altri articoli sull’allenamento per gli SdC potete trovarli a questo link.

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    Tempo a disposizione: 14 settimane

    T = Tecnica
    Ta = Tattica
    TT = Tecnica e tattica
    F = Forza
    P = Potenza
    R = Resistenza
    V = Velocità/rapidità

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    Sett.1-2: Adattamento anatomico, intensità e volume di lavoro medio-bassi. Si ripassa la tecnica degli esercizi (con carichi del 50-60% 1RM), ci si limita a qualche allungo blando sul campo di atletica e si gettano e basi aerobiche (capacità) tramite le classiche “corsette” da 30-90′ (min. 60-75% FC).

    Sett.3: Forza. Volume medio-alto e intensità media. Ci si concentra sulle grandi alzate multiarticolari (panca piana, squat, stacchi da terra) e qualche complementare (trazioni, military press, hyperextension, weighted neck extension ecc.).

    Sett.4: Potenza/f. esplosiva e velocità. Ci si concentra sui sollevamenti in grado di sviuppare alti gradienti di forza veloce anche con carichi impegnativi (power clean, power snatch, push press). Riguardo all’intensità ed al volume valgono le stesse regole del microciclo precedente (terza settimana). Per la velocità si svolgono lavori in pista (sprint) per incrementare capacità e potenza lattacida.

    Sett.5: Resistenza. Tramite corse non particolarmente intense (60-75% FC) si cerca di incrementare il più possibile la capacità aerobica. Inoltre va migliorata la capacità e potenza resistente lattacida (circuiti, lavori al sacco).

    Sett.6: Scarico attivo. Si tolgono una o due sedute (opzionale) e si allena solo ed esclusivamente la tecnica e la tattica.

    Sett.7: Forza. Volume medio ed intensità medio-alta. Si eliminano un paio di esercizi complementari “superflui” e si progredisce con i carichi nelle alzate principali.

    Sett.8: Potenza e velocità. Valgono sempre le medesime regole del microcico precedente (questo per a potenza). Invece, per quanto riguarda la velocità, il fine delle esercitazioni su campo di atletica è quello di incrementare la potenza lattacida e la capacità alattacida.

    Sett.9: Resistenza. Mantenimento dea capacità aerobica e migioramento dea potenza aerobica con corse più intense (4′-5′ a VO2max). Incremento capacità e potenza resistente alattacida (e mantenimento di quelle lattacide).

    Sett.10: come la sesta.

    Sett.11: Forza. Zero esercizi complementari, i kg sollevati in panca, squat e stacco saranno ancora di più, a discapito del voume (i>v, proporzionalità inversa), tuttavia non si arriva mai a cedimento, va lasciato un certo buffer (1 ripetizione “in canna”).

    Sett.12: Resistenza. Mantenimento della capacità e potenza aerobica, anaerobica lattacida e alattacida.

    Sett.13: Potenza e velocità. Per la potenza le linee guida generai sono le stesse valide per la forza nell’undicesimo microcico. In più si cerca di mantenere la veocità acquisita (ovviamente affidandosi ad un cronometro).

    Sett.14: Scarico attivo pre-match. Un allenamento dedicato alla potenza specifica (copitori, sacco, passate ecc.), due di R (mantenimento cap. e pot. aerobica, an. lattacida e alattacida).
    L’utimo giorno della settimana si terrà il match.

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Approfondimenti

    – Capacità condizionali e coordinative: iniziamo a conoscerle
    – La periodizzazione dell’allenamento: teoria e pratica
    – Metodi di potenziamento per gli sport da combattimento e le arti marziali
    – Lo sviluppo della rapidità negli sport da combattimento e nelle arti marziali
    – Preparazione atletica per sport da combattiemento: la specificità degli esercizi
    – Allenarsi in base alla frequenza cardiaca

  • Lo sviluppo della rapidità negli sport da combattimento

    Lo sviluppo della rapidità negli sport da combattimento

    Tempo fa avevo parlato di alcune metodiche per il potenziamento particolarmente utili agli sport che prevedono una lotta in piedi fatta di percussioni (striking), ora ne torno a parlare esponendovi uno studio risalente al 2004, condotto da dei ricercatori italiani.

    Jon Jones vs Quinton Jackson

    Lo studio in questione è il seguente (altro…)

  • Energia e sport

    Energia e sport

    Anche se magari non ci pensiamo, noi quando mangiamo introduciamo delle molecole – carboidrati, proteine e lipidi – che sono dei veri e propri combustibili biologici. Questi, nell’organismo umano, attraverso centinaia di processi biochimici, in presenza di ossigeno, vengono demoliti e ridotti in anidride carbonica e acqua.

    CaptureFig.1 – I punti rappresentano i metaboliti mentre le linee sono i singoli passaggi metabolici

    Nell’uomo e non solo, i principi nutritivi base che si formano dalla digestione dei macronutrienti, quindi glucosio, aminoacidi e acidi grassi, conservano immodificato il contenuto energetico delle sostanze di origine. Affinché avvenga una produzione di energia occorre che le molecole precedentemente citate siano completamente demolite. Per far avvenire ció, é necessario l’intervento di enzimi ossido-riduttivi specifici, in grado di trasformare le molecole del glucosio, degli acidi grassi e degli aminoacidi in frammenti più piccoli, fino alla formazione del metabolita acetil-CoA (composto a due atomi di carbonio).
    Quello illustrato fino ad ora non é altro che il metabolismo intermedio (MI). Al termine del MI, circa 1/3 dell’energia contenuta nelle molecole di partenza é resa disponibile per le cellule, invece i rimanenti 2/3 saranno utilizzati per reazioni quali il Ciclo di Krebs.

    5887471Fig.2 – Il ciclo di Krebs è un processo biochimico che assolve allo scopo di ossidare (bruciare) ad H2O e CO2, i prodotti della demolizione delle molecole degli zuccheri/grassi/amminoacidi. Fornisce una grande quantità di energia, in parte come calore (mantenimento della temperatura dell’organismo) e in parte come energia chimica.

    In seguito a queste reazioni, l’acetil-CoA viene completamente degradato fino alla formazione di anidride carbonica e acqua (metabolismo terminale).

    Il metabolismo energetico in se, varia parecchio in base alle attività svolte dall’individuo, per questo motivo é importante conoscere il proprio metabolismo basale, detto in maniera estremamente semplicistica: le calorie che una persona spenderebbe se per tutte le 24h non si alzasse dal letto, l’introito calorico minimo necessario a far avvenire tutti i processi fisiologici indispensabili per vivere.

    Kcaloria = 1000 calorie; caloria = quantità di calore necessaria per far salire la temperatura di 1 ml di acqua distillata da 14.5 a 15.5 C°, alla pressione costante di un atmosfera.

    Occorre aprire una piccola perentesi sui carboidrati. Questi, durante la digestione vengono convertiti in glucosio (monosaccaride, zucchero semplice), che tramite il sangue arriva ai tessuti di tutto l’organismo. Essi, in condizioni di riposo, vengono presi dai muscoli e dal fegato, e convertiti in uno zucchero più complesso: il glicogeno.

    Il discorso sul metabolismo si potrebbe approfondire ulteriormente ma mi fermo qui, é giunto il momento di andare al nocciolo della questione. Tenete ovviamente a mente quel che avete letto fino a questo punto perché i macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi), più un’altra miriade di fattori, vanno ad influire sui depositi energetici.

    L’energia derivante dai legami delle molecole alimentari è chimicamente rilasciata all’interno delle cellule e poi immagazzinata sotto forma di ATP (adenosinatrifosfato), un composto altamente energetico costituito da una base azotata (adenina), da uno zucchero pentoso (il ribosio) e da tre gruppi fosfato.

    A riposo, la richiesta energetica dell’organismo è poca, quindi l’energia proviene principalmente dalla scissione di grassi e carboidrati.

    All’aumentare dell’intensità di un determinato carico di lavoro, aumenta l’uso energetico dei carboidrati a scapito dei grassi.Capture.JPGFig.3 – Nel caso di sforzi massimali, quindi di breve durata, l’ATP viene prodotto quasi esclusivamente a partire dai carboidrati.

    Quando la molecola di ATP si combina con l’acqua (idrolisi) e subisce l’azione dell’enzima ATPasi, l’ultimo gruppo fosfato si separa dalla molecola di ATP (scissione) rilasciando così energia (circa 7,3 kcal/mole di ATP). L’ATP diventa quindi adenosindifosfato (ADP) e Pi (in questo caso gruppo fosfato).

    Capture.JPGFig.4 – A = la struttura dell’adenosintrifosfato ed i suoi fosfati altamente energetici; B = il terzo fosfato (Pi) di una molecola di ATP viene separato per azione dell’ATPasi con seguente liberazione di energia.

    Dopo, per la successione di diverse altre reazioni chimiche, un gruppo fosfato viene aggiunto all’ADP convertendolo così in ATP. Questo processo è detto fosforilazione ossidativa.

    Quando questi processi avvengono in presenza di ossigeno si parla di metabolismo aerobico, viceversa in assenza, metabolismo anaerobico.

    Le cellule producono ATP attraverso tre processi principali:

    • Il sistema ATP-CP
    • Il sistema glicolitico
    • Il sistema ossidativo

    Sistema ATP-CP

    L”energia liberata dalla scissione del CP (creatinfosfato) serve per ricostruire le riserve di ATP, per mantenerle.                              Capture.JPG

    Fig.5 – Modificazione dell’ATP e CP nel muscolo durante uno sforzo di intensità massimale di 14″ (sprint). Il CP, per prevenire la caduta dell’ATP viene usato proprio per sintetizzare quest’ultima.

    L’esaurimento sia dell’ATP che del CP è facile da raggiungere (es. sprint massimale di 15″), quindi l’organismo per ricaricare le scorte energetiche dovrà per forza affidarsi ad altri sistemi.

    Questi processi possono avvenire sia in presenza che in assenza di ossigeno, tuttvia non ne richiedono obbligatoriamente la presenza. Quindi, il sistema ATP-CP è il sistema anaerobico per eccellenza.

    Sistema glicolitico

    L’ATP viene prodotto tramite l’energia liberata dalla scissione del glucosio (glicolisi, scissione del glucosio attraverso enzimi glicolitici). Il prodotto finale della glicolisi è l’acido piruvico.

    Nella glicolisi anaerobica, quindi senza l’intervento dell’ossigeno, l’acido piruvico viene convertito in acido lattico e quindi viene interrotta la glicolisi. Questo processo riesce a fornire 2 moli di ATP per mole di glucosio.

    Sistema ossidativo

    Quando si parla di ossidazione è sottinteso che ci sia di mezzo il sistema aerobico (bassa intensità, reazioni che avvengono in presenza di ossigeno). Questo sistema ossida i tre macronutrienti, soprattutto i lipidi e i carboidrati, i primi (trigliceridi nel tessudo adiposo e intramuscolare) vengono scissi in acidi grassi e successivamente glicerolo, i secondi sono rappresentati dal glicogeno muscolare e del fegato, il quale viene idrolizzato a glucosio.

    La degradazione del glucosio del sistema ossidativo è detta glicolisi aerobica, avviene nei mitocondri (ovviamente in presenza di ossigeno).

    Altro processo energetico, di cui ho già accennato in precedenza, è il Ciclo di Krebs, in esso l’acetil-CoA viene ossidato e sono generate 2 moli di ATP.

    Altra “arma” di questo sistema è la fosforilazione ossidativa. In essa si passa dall’ADP all’ATP.

    Ultimo processo (ma non meno importante) del s. ossidativo è il “sistema di trasporto degli elettroni“, questo non è altro che una complessa reazione chimica legata al ciclo di Krebs, che è in grado di fornire ben 34 moli di ATP.Capture.JPG    Fig.6 – L’intervento dei vari processi energetici durante un’esercizio di 150″, con sforzo massimale

    I sistemi energetici sono tre: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido e aerobico.

    Anaerobico alattacido

    Non interviene l’ossigeno e non si forma lattato; l’energia per la ricarica dell’ATP viene ceduta da una molecola che contiene anch’essa un legame altamente energetico: la fosfocreatina (CP). Il tempo limite medio della capacità del sistema anaerobico alattacido va da 0 a 8-9″.

    Anaerobico lattacido

    Non interviene l’ossigeno ma si forma lattato; l’energia per sintetizzare l’ATP deriva da molecole di zucchero che vengono spezzate fino a dar luogo al lattato. Il tempo limite medio della capacità del sistema anaerobico lattacido va da 2” a 2′.

    Aerobico

    Implica la presenza nel muscolo di ossigeno. L’energia deriva dalla combustione di zuccheri o grassi (in parte minore anche delle proteine). Il sistema aerobico ha un forte intervento negli sforzi che vanno oltre i 3′ di lavoro continuo.

    In ogni caso le cifre sono abbastanza indicative, dipendono da vari fattori. Inoltre, questi sistemi energetici non intervengono uno alla volta ma in contemporanea, in misura diversa. Ad esempio per 3′ di lavoro abbastanza intenso, l’energia sarà prodotta principalmente sia dal sistema anaerobico lattacido che da quello aerobico.

    Capture.JPGFig.7 – Intervento dei sistemi energetici durante la corsa su varie distanze

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    Fig.8 – A seconda della durata dello sforzo, nel tempo, un sistema energetico prevale sull’altro.

    Arrivati a questo punto è necessario introdurre altre due definizioni: capacità e potenza. Per capacità di un meccanismo energetico si intende
    la capacità totale di fornire energia. Per potenza invece, intendiamo la possibilità, per tale meccanismo, di fornire un’importante percentuale della sua capacità nell’unità di tempo (che per convenzione è il secondo).

    Nello specifico…

    • Capacità aerobica = è la capacità di svolgere un lavoro generale in condizioni aerobiche, il più al lungo possibile.
    • Potenza aerobica = è la quantità di lavoro realizzata nell’unità di tempo sfruttando il metabolismo aerobico. E’ sinonimo di massimo consumo di ossigeno cioè la massima quantità di ossigeno che
      l’organismo è in grado di utilizzare nell’unità di tempo.
    • Capacità anaerobica lattacida = lavoro totale che può essere effettuato utilizzando il meccanismo lattacido o, più in
      generale, la capacità dell’atleta di tollerare l’accumulo di lattato nei muscoli e nel sangue.
    • Potenza anaerobico alattacida = quantità di lavoro realizzata nell’unità di tempo con il concorso del metabolismo anaerobico
      alattacido. E’ la capacità di produrre uno sforzo breve il più intenso e veloce possibile.
    • Potenza anaerobico lattacida = quantità di lavoro realizzata nell’unità di tempo con il concorso del metabolismo anaerobico lattacido (glicolisi lattacida).

    Termine di cui tutti abusiamo è l’intensità. Per essa si intende l’impegno del sistema cardiorespiratorio durante lo svolgimentoi di un esercizio. Durante l’allenamento infatti, in base alla frequenza cardiaca (fc), possiamo stabilire con discreta precisione quale sistema energetico sia maggiormente attivo. Essa può variare in base all’anzianità di allenamento, sesso ed età di una persona. Ad esempio con una fc inferiore o uguale ai 160-170 bpm (battiti per minuto), il sistema principalmente coinvolto sarà quello aerobico.

    Il passaggio della produzione di energia dal sistema aerobico (in via principale) a quello anaerobico lattacido è rappresentato da una “soglia”, la soglia anaerobica (SAN).

    Più aumenta l’intensità e con l’effetto soglia si ha un graduale aumento della produzione di acido lattico. Il valore della SAN indica la massima intensità di esercizio, quando questa è raggiunta si ha una concentrazione di circa 4 mmoli di lattato ematico al litro*. Oltre questa soglia, quindi con uno sforzo più intenso, la concentrazione di lattato diventa tale da consentire solo lavori di breve durata (a lungo andare inibirebbe le contrazioni muscolari).

    *Quello di 4 mmoli/L è un valore molto indicativo, ci sono soggetti che possono averlo di 3 come altri che possono averlo di 5 o 6 mmoli/L. In ogni caso sarebbe bene misuralo per venire a conoscenza della propria LT (soglia del lattato).

    Calcolare questa soglia può essere utile per determinare la potenza aerobica, capacità lattacida ed avere un’idea dell’intensità di allenamento a cui far lavorare un atleta. La SAN può essere calcolata attraverso il test di Conconi (con cardiofrequenzimetro), utilizzando degli apparecchi per misurare dei parametri ventilatori o con la misurazione della concentrazione del lattato ematico.

    Un’altra  soglia, anche se meno famosa, è quella aerobica (SAE). Si parla di soglia aerobica. quando i valori di lattato ematico superano quelli basali, arrivando a 2 mmoli/l. L’intesità della SAE sembrerebbe coincidere con il crossover point, punto di confine in cui il sistema aerobico si sposta da un dispendio prevalentemente lipidico ad uno glucidico.

    La fc si può calcolare tramite un cardiofrequenzimetro o con alcune formule

    Fc max. = 220 - età, oppure: 208 - 70% età
    Fc con misurazione manuale = metto due dita alla base del collo, contro i battiti per 15" esatti e poi moltiplico il numero ottenuto per quattro
    Fc corrispondente alla SAN = Fc max x 0,93 (su un atleta)
    Fc      //         //  // = Fc max x 0,70 (su un sedentario)

    All’atto pratico: Lorenzo, 20 anni, tennista

    Fc max = 200; Fc alla SAN = 186

    Effetto allenante in base alla frequenza cardiaca massima

    <60% = lo stimolo è troppo debole, non considerato allenante
    60-75% = capacità aerobica
    75-85% = potenza aerobica e soglia anaerobica
    85-92% = allenamento anaerobico e tolleranza lattacida

    Prima che voi lettori vi addormentiate inserisco giusto un ultimo importante concetto, quello del massimo consumo di ossigeno (V02max). Il VO2max è la massima quantità di ossigeno che l’individuo può consumare nell’unità di tempo per uno sforzo fisico. Questo valore è espresso in ml/kg/min (millilitri per kg di peso corporeo al minuto) e l’allenamento può migliorare questa componente di circa il 20-25%.

    La soglia anaerobica coincide con il 60% del VO2max nei soggetti sedentari e l’85% circa per quelli allenati.

    002 (2).jpgFig.9 – I metabolismi in relazione all’intensità (fc)

    Non saranno argomenti divertenti ma se ci si vuole allenare seriamente questo è l’abc.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Wilmoore, Costill – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Calzetti Mariucci, 2005)
    Weineck J. – Biologia dello sport (Calzetti Mariucci, 2013)
    Urso A. – Le basi dell’allenamento sportivo (Calzetti Mariucci; 2a ediz., 2014)

  • Perché fatichiamo? Per imparare a supercompensarci!

    Perché fatichiamo? Per imparare a supercompensarci!

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    Quelli che seguono sono due concetti, due teorie, che stanno alla base dell’allenamento sportivo. Benché il discorso sia estremamente più complesso e non si conoscano ancora bene tutti i processi fisiologici che ci fanno ottenere i miglioramenti prestativi, in questo articolo cercherò di spiegare in cosa consiste la teoria della supercompensazione e quella a due fattori.

    Teoria della supercompensazione

    Nella teoria della supercompensazione, o teoria a fattore unico, si pensa che dopo una seduta allenante, nella quale avviene la deplezione di determinate sostanze biochimiche (soprattutto del glicogeno) seguita da un certo periodo recupero, il livello di quelle determinate sostanze biochimiche aumenti, fino a raggiungere quantitativi più alti di quelli iniziali.

    Oltre che per il glicogeno, questo processo tocca anche il creatinfosfato (CP), le proteine enzimatiche e strutturali, fosfolipidi, l’incremento dei mitocondri nelle fibre muscolari ed altri adattamenti di tipo neurale.

    Trascurabile sembra invece essere la supercompensazione di sostanze quali l’ATP (adenosin-trifosfato).1383905_550458891698758_750133932_n

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    La sessione di allenamento successiva a quella precedente è bene che sia in concomitanza con il picco di supercompensazione, in modo da sfruttarne tutti gli effetti benevoli. Se tra un allenamento e l’altro passa troppo tempo c’è il rischio di un leggero calo delle prestazioni (ciò dipende anche molto dall’anzianità di allenamento).

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    Mancati effetti della supercompensazione, e diminuzione delle prestazioni, se il carico allenante è eccessivo ed il recupero incompleto

    Dopo un carico allenante, i processi di risintesi si svolgono secondo una successione caratteristica e con un’intensità differente a seconda dei vari organi.

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    La dinamica dei vari processi di sintesi nel cuore, cervello e fegato. a = peso degli organi; b = contenuto di RNA; c = sintesi dell’RNA; d = sintesi proteica.

    Per avere maggiori incrementi delle prestazioni, alle volte è utilizzata la tecnica del microciclo shock o d’urto (figura sotto). Questi microcicli comprendono mediamente dai due ai quattro allenamenti, con carichi di lavoro particolarmente intensi e recuperi incompleti fra le sedute. All’atto pratico, sembrerebbe infatti che, dopo il termine del microciclo, con un periodo di recupero particolarmente lungo l’effetto supercompensativo finale sia migliore rispetto a quello della supercompensazione classica con un equilibrato rapporto fatica-recupero. Strategie di allenamento come questa, in determinati contesti, possono sì essere utili ma solo in acuto. In cronico, salvo doping, si cadrebbe facilmente nel sovrallenamento (overtraining) e la cosa avrebbe sicuramente dei risvolti assai negativi sulla condizione fisica degli atleti.

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    Microciclo di supercarico. I recuperi tra le prime tre sedute sono incompleti, così si produce un accumulo della fatica. L’intervallo di recupero tra la terza e la quarta seduta è più lungo del normale ma è ottimale per ottenere una supercompensazione particolarmente efficace.

    In sintesi, supercompensazione significa recuperare in eccedenza.

    Resistenza
    Variazioni di immagazzinamento di alcune sostanze biochimiche derivanti dall’allenamento della resistenza
    Critiche

    Nonostante sia da tempo assodata l’esistenza di una supercompensazione, questa teoria è assai semplicistica. Risulta infatti troppo difficile valutare la curva, la “linea” dei grafici, quanto si abbassi e si alzi, quali miglioramenti indichi di preciso, quali capacità biomotorie, quali esercizi, distretti muscolari ecc. Inoltre, anche per un ottimo preparatore che conosce bene i propri atleti è un po’ un problema, soprattutto con un elevato numero di sedute, fissare gli allenamenti in concomitanza con il picco di supercompensazione, soprattutto perché non si può sapere con certezza quando esso avverrà.

    “Le varie fatiche si sommano, non esiste una vera e propria curva unica, ma al massimo decine di curve che si intersecano tra loro e che supercompensano in momenti assolutamente diversi tra loro” [1].

    Teoria dei due fattori (two-factor theory)

    Quella dei due fattori è una teoria più complessa e credibile rispetto alla classica supercompensazione.

    “E’ basata sul presupposto che lo stato di preparazione caratterizzato dal potenziale di prestazione di un atleta non sia stabile, ma variabile nel tempo” [2].

    Lo stato di preparazione di un atleta ha fondamentalmente due tipologie di componenti: quelle che cambiano più lentamente e quelle che lo fanno più velocemente. Le prime sono rappresentate dalla condizione fisica (o fitness) riferita alle componenti motorie, le seconde da uno stato di affaticamento.

    Secondo codesta teoria, gli effetti immediati successivi ad una sessione di allenamento sono la combinazione di due processi:

    • miglioramento della condizione fisica indotto dall’allenamento stesso
    • l’affaticamento

    Per il primo punto, lo stato di preparazione dell’atleta aumenta e per il secondo peggiora. Quindi, il risultato finale dell’allenamento è uguale alla somma della preparazione atletica iniziale e del miglioramento della condizione fisica, meno l’affaticamento causato dalla stessa seduta di allenamento.

    In matematichese: preparazione atletica iniziale + miglioramento condizione fisica - fatica = risultato dell'allenamento

    Una singola sessione di allenamento produce un debole miglioramento della condizione fisica ma duraturo, viceversa per la fatica, quest’ultima è infatti acuta (e breve).

    Si ritiene che, approssimativamente, nel caso di una sessione di allenamento con carico medio, il rapporto fra la durata del miglioramento della condizione fisica e della fatica sia di 3:1.

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    Rappresentazione della two-factor theory.

    Seguendo alla lettera questa teoria, gli allenamenti dovrebbero coincidere con la fine della “linea della fatica”.

    Riguardo ai difetti di questa teoria, anche qui la fatica non è una, ma sono tante linee, curve di fatica. Inoltre, è quantomeno difficile piazzare gli allenamenti, specialmente per sportivi di un buon livello, sempre in concomitanza con la fine assoluta della fatica, soprattutto perché non essendo strettamente correlata ai DOMS (indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata) non si può sapere con assoluta certezza quando questa finisce. E in più, il modello a due fattori non tiene conto di fatiche nello specifico ma in generale. Esempio: se un powerlifter lunedì pomeriggio squatta pesante e martedì mattina deve eseguire le distensioni su panca, può farlo senza problemi, tanto i processi di infiammazione, la ricarica delle scorte di glicogeno ecc. riguardano muscoli che nell’esecuzione della panca piana influiscono davvero poco. Eppure, se ne facciamo un grafico, la linea/curva di fatica sicuramente al martedì non è scomparsa o comunque finita del tutto.

    Utilità pratiche?

    Anche solo per avere un buon bagaglio culturale è importante conoscere, almeno a grandi linee, certi processi fisiologici che stanno dietro all’attività fisica. Questi sono concetti relativamente semplici che vanno capiti e memorizzati.

    All’atto pratico, per esperienza, ognuno fa come si trova più comodo. Non vi nego che io, per me e per i miei clienti, vado molto a sensazione e più si va avanti più questa sorta di autoregolazione migliora. Il fatto è che sono concetti di cui teniamo sempre conto e, anche inconsapevolmente, applichiamo ai nostri protocolli di allenamento.

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Jurgen Weineck – L’allenamento ottimale (Calzetti Mariucci, 2009)
    1 Alessio Ferlito – La programmazione dell’allenamento #2: Curve di compensazione (2012)
    2 V. Zatsiorsky and W. Kraemer – Science and practice of strength training (2006)

  • Le abilità motorie e la loro utilità nello sport

    Le abilità motorie e la loro utilità nello sport

    Nello scorso articolo ve le avevo accennate, ora, come promesso, andró ad approfondirle.

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    L’abilità (skill) è un movimento che dipende, per la sua esecuzione, dalla pratica e dall’esperienza e tutt’altro che geneticamente determinato. E’ un movimento appreso ed è una componente essenziale

    (altro…)

  • Sport da combattimento ed allenamenti errati

    Sport da combattimento ed allenamenti errati

    Premessa: questo articolo non vuole attaccare sul personale nessuno degli atleti citati, né tantomeno i rispettivi coach e preparatori atletici. Risulta difficile parlare di errori nella preparazione atletica senza l’ausilio delle immagini. Grazie a quest’ultime tutto è più chiaro e meno noioso.

    Buona lettura!

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    Per trattare di questo controverso argomento prenderemo in esame tre casi specifici di atleti d’élite che non sto dicendo che si allenino male, diciamo che si allenano proprio il contrario di bene (semi cit.)

    Caso n.1

    Il primo atleta in questione che si allena, o comunque si è allenato in passato, male è un pugile, lottatore di MMA, muay thai e kickboxer d’élite: Tyrone Spong! Un atleta fenomenale e che, con una preparazione atletica più seria, certamente avrebbe potuto/potrebbe essere ancora migliore.

    Questo che vedete qui sotto è un suo allenamento dedicato alla potenza.

    Come possiamo notare dal video, dopo un blando riscaldamento (nel video si vedono solo esercizi di rafforzamento e stretching per l’addome) si passa alle trazioni alla sbarra, presa inizialmente prona, poi supina. Poche ripetizioni, perlopiù lente, alcune eseguite abbastanza bene, ma altre “cheattate” con oscillazioni, movimenti degli arti inferiori e senza distendere completamente gli arti superiori. Ma andiamo avanti. Viene poi il momento degli stacchi da terra, eseguiti staccando il bilanciere da terra solo alla prima ripetizione (ma vabbè, questo è il meno), successivamente qualche ginocchiata a vuoto e un po’ di mezzi air squat eseguiti con tecnica discutibile. Poi un altro po’ di trazioni, questa volta a presa neutra, “barando” tramite oscillazioni varie e ROM (range of motion) incompleto. Ma ora viene il pezzo forte! Tyrone si posiziona sulla panca e dopo un esercizietto per il retto addominale si prepara ad effettuare le distensioni.

    1

    1x4 reps
    - recupero
    1x3 reps
    1x7 reps
    4 push ups con slancio su panca
    una dozzina di pugni con manubri
    shadow boxing

    Cosa ha fatto di preciso? Inizialmente un piramidale, una distensione in meno (da 4 a 3) ed un carico, ovviamente, maggiore (anche se di poco), poi dopo aver messo sotto sforzo il suo sistema neuromuscolare passa a 7 ripetizioni esplosive ma c’è un problema, anzi, più di uno…

    2

    Tyrone corrompe il proprio schema motorio, ovvero, nella fase concentrica si aiuta alzando il sedere (perde di compattezza), il bilanciere viene tenuto male, risulta abbastanza storto (coordinazione inter e intramuscolare non ottimale) e in più non esegue rapidamente solo la fase concentrica del movimento (la spinta del bilanciere verso l’alto) ma anche l’eccentrica (la discesa), rischiando non pochi danni alla cassa toracica con quel peso. Inoltre, quest’ultimo è un altro modo per barare, così i muscoli interessati lavorano meno perché aiutati dall’effetto di rimbalzo.

    Dopo, senza pausa, viene il turno dei piegamenti esplosivi, peccato che siano nuovamente mezze ripetizioni (ROM incompleto). Dopo essere passati dalla forza sub-massimale a quella veloce è fin dubbia l’utilità di questo esercizio, ma ora andiamo avanti.

    Poi arriva il turno dei pugni con manubri, esercizio più rischioso che altro, in quanto, oltre ad essere potenzialmente pericoloso per l’articolazione del gomito (epicondilite ed epitrocleite), consiste in un movimento che vorrebbe passare per specifico ma specifico non lo è più di tanto, poiché l’arto, muovendosi sul piano sagittale, a causa del peso del manubrio (più questo pesa e peggio è) altera inevitabilmente la schema motorio. In combattimento l’estremità degli arti superiori non ha mica quel determinato sovraccarico! La curva di forza-velocità viene quindi modificata e, come già accennato sopra, distendo poco l’articolazione del gomito il pugno con manubrio si rivela abbastanza differente dal classico pugno dato con guantone (o guantino nelle MMA). E per concludere, un po’ di vuoto, che forse è la cosa meno peggiore fatta fino ad ora.

    Successivamente, dopo un po’ di recupero, si eseguono dei mezzi stacchi che poi si tramutano, nella stessa serie, in stacchi a gambe tese, seguiti da slanci delle gambe (partendo in posizione di piegata) e questa effettivamente potrebbe essere la cosa più sensata fatta fino ad ora: co-contrazione dei muscoli degli arti inferiori, allungamento della catena cinetica posteriore e successivi slanci cercando la massima escursione articolare.

    Ma aspettate a cantar vittoria, perché poco dopo il suo preparatore prende nuovamente un abbaglio, gli fa prima eseguire qualche ripetizione di rematore con bilanciere, per poi passare direttamente alle tirate (con fase aerea) del weightlifting ed infine tramuta il gesto il una girata al petto. Una sorta di metodo a contrasto, se non fosse per il fatto che gli esercizi sono eseguiti piuttosto male (sopratutto gli ultimi due), le alzate, anche solo spezzate, del weightlifting sono molto difficili da apprendere e per avere un buon transfert e farle con carichi decenti bisogna avere un bagaglio tecnico-motorio non indifferente e avere dei preparatori estremamente competenti (cose che il buon Tyrone purtroppo non sembra possedere).

    Caso n.2

    Ora passiamo a Nieky Holzken, anche lui kickboxer d’élite e pugile vincente in molti circuiti internazionali.

    Se cercate un po’ sul web potete trovate molti video in cui egli si allena seguito da uno o più preparatori atletici. Sempre stando al materiale presente in rete, possiamo avanzare le seguenti critiche:

    • Panca piana con eccessivo rimbalzo (l’eccentrica va controllata);
    • Stacchi da terra ai mille all’ora con bacino in retroversione, scapole abdotte e tecnica generale assai discutibile (per non dire di peggio);1
    • Rematore rapido con bacino in retroversione, ne consegue una cifosi fisiologica che si estende per tutta la colonna vertebrale, dal tratto lombare fino a quello dorsale e cervicale;2
    • Mezzi squat con arti inferiori male allineati, femore che sembrerebbe  intra-ruotare leggermente sulla tibia e pianta dei piedi che, al termine della fase concentrica, si stacca dal suolo;
    • Distensioni su panca piana con rom incompleto e piedi che si staccano da per terra causando non poca instabilità;
    • Rematore con manubrio —> qui valgono le stesse regole di quello eseguito eseguito con bilanciere, l’assetto della schiena va completamente rivisto;
    • Alzate frontali (esercizio monoarticolare ?!?) eseguite con oscillazioni di buona parte del corpo, questo per facilitare il lavoro al muscolo target (capo anteriore del deltoide).

    A voi i commenti…

    Caso n.3

    Ma ora veniamo alla cosa peggiore, un atleta che è un orgoglio azzurro ma che viene allenato un po’… come dire… ah ecco, con i piedi! Stiamo parlando del buon Clemente Russo, pugile dilettante di tutto rispetto che quotidianamente segue una preparazione che obiettivamente non è alla sua altezza (prima che qualcuno fraintenda, nel senso che lui si meriterebbe molto di meglio).

    Vi lasciamo i link a due video (uno e due), dopo averli visti, in tutta sincerità, mi sono messo le mani nei capelli.

    Nel primo abbiamo un circuito che parte con un hang power clean illegale in tutta la Comunità Europea, da strappo del bicipite (foto sotto).1

    Nel secondo, purtroppo, si vedono cose anche peggiori.

    Abbiamo subito un pregevolissimo dildo jump squat (scusate il termine ma non sapremo come definirlo) al multipower, quindi zero propriocezione e mancato intervento dei muscoli stabilizzatori, un esercizio che di suo non mette in minimamente crisi il sistema neuromuscolare, non fa ottenere una risposta, non c’è un transfert effettivo. Al massimo c’è del possibile denaro da tra(n)sfer(t)ire sul contro dell’ortopedico per l’articolazione del ginocchio (ok, questa era pessima).

    Per di più, gli arti inferiori non sono extraruotati, anzi, sembrerebbero essere addirittura intraruotati.

    2

    Da segnalare anche dei piegamenti fatti maluccio (foto sotto).

    3

    Considerazioni finali

    Una domanda sorge spontanea: ma se questi atleti che obiettivamente si sono allenati, o si allenano tutt’ora, così male vincono, dove sta il trucco?

    Probabilmente, quando un atleta ha del talento innato e fame di vittoria, prima o poi riesce a “venire fuori” ugualmente, sia che si alleni bene o male. Ma ora vi poniamo noi un quesito: se questi eccellenti atleti si allenassero, o si fossero allenati, per più tempo nella maniera corretta, ora dove sarebbero arrivati?

    Spesso preparatori e allenatori, più che padroni dei concetti, sembrano schiavi delle mode.

    Infine, vi lascio il parere di Alain Riccaldi, preparatore atletico di tutto rispetto, che tra l’altro segue da tempo Alessio Sakara e Giovanni Melillo.

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    Dopo che “The Punisher” Melillo, fighter professionista, ha apprezzato e condiviso questo articolo, si è scatenata una mezza polemica sul contenuto dello stesso. Con mia grande sorpresa questa è stata placata nuovamente da Alain.

    Alain 1

    Alain 2

    Grazie per l’attenzione.

    Buon allenamento!


    oc
    Approfondimenti
  • Testi consigliati

    Testi consigliati

    Nel seguente articolo, che verrà aggiornato nel tempo, potete trovare numerosi libri che lo staff di questo sito si sente di consigliarvi. Cinque categorie: preparazione atletica, fitness e bodybuilding, nutrizione, fisiologia sportiva, altro.

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    Buona lettura!


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    Chinesiologia del sistema muscolo scheletrico. (Piccin-Nuova Libraria)
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    Preparazione atletica e riabilitazione (Edizioni Medico-Scientifiche)
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    Biologia dello sport (Calzetti Mariucci)
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