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  • Gomito: anatomia e biomeccanica di base

    Gomito: anatomia e biomeccanica di base

    Altro appuntamento con i nostri articoli inerenti le articolazioni umane. Quanto segue può interessare chiunque pratichi sport, o lavori, che coinvolgono molto gli arti superiori. Buona lettura!

    Cenni anatomici

    Il gomito è un’enartrosi, quindi una articolazione che gode di un’ottima mobilità, composta da innumerevoli ossa. La foto riportata qui sotto può dare una mano a farsi un’idea della sua complessità.

    Il gomito è composto dall’unione di tre differenti articolazioni: omero-ulnare, omero-radiale e radio-ulnare. Volendo sintetizzare il tutto:

    • omero-ulnare = estremità distale dell’omero + estremità prossimale dell’ulna;
    • omero-radiale = estremità distale dell’omero + estremità prossimale del radio;
    • radio-ulnare = estremità prossimale del radio + estremità prossimale dell’ulna.

    Sulla porzione medio-distale dell’omero (la parte centrale e “bassa” vicino al gomito) vi sono i punti di inserzione prossimale del muscolo brachiale e del capo mediale del tricipite brachiale. Al “fondo” dell’omero, medialmente, abbiamo la troclea e l’epicondilo mediale, e lateralmente un capitello omerale e l’epicondilo laterale (l’epicondilo mediale dell’omero è detto anche epitroclea). Dalla troclea si diramano poi due piccole sporgenze: il labbro mediale ed il labbro laterale (figura sotto).

    Il già citato epicondilo mediale – che sporge medialmente dalla troclea – fa da punto d’inserzione prossimale per il legamento collaterale ulnare del gomito e per molti dei muscoli pronatori dell’avambraccio e flessori del polso. L’epicondilo laterale invece, funge da punto d’inserzione prossimale per il legamento collaterale mediale del gomito e per la maggior parte dei muscoli supinatori dell’avambraccio ed estensori del polso.

    Sotto, un’illustrazione del gomito destro visto anteriormente (sinistra) e posteriormente (destra).

    Riguardo l’ulna, bisogna sapere che è dotata dell’oleocrano, ossia una estremità arrotondata che conferisce al gomito la sua visibile “punta”. Inoltre, la superficie ruvida posteriore dell’oleocrano accoglie l’inserzione del tricipite brachiale. Sempre lì in loco vi è la cresta del supinatore, la quale delinea il punto di inserzione del legamento collaterale radiale e del muscolo supinatore. Come non citare anche la tuberosi dell’ulna, la quale accoglie l’inserzione del muscolo brachiale (da non confondere con il bicipite brachiale).

    Visione anteriore del radio ed ulna (braccio destro)
    Visione posteriore del radio ed ulna (braccio destro)

    Passando infine al radio, questo rappresenta una parte relativamente piccola del gomito ma una grossa parte dell’articolazione del polso. L’estremità prossimale del radio, poco sotto la testa dello stesso – vicino al gomito -, presenta il collo del radio e la tuberosità radiale. In corrispondenza di quest’ultima, detta anche tuberosità bicipitale, si inserisce sull’osso il bicipite brachiale.

    Visione laterale dell’epifisi prossimale dell’ulna (braccio destro)

    Seppur in maniera diversa, sia l’articolazione omero-ulnare che omero-radiale stabilizzano e mettono in sicurezza l’articolazione del gomito. La prima dà stabilità attraverso lo stretto contatto tra la troclea e l’incisura trocleare, mentre la seconda stabilizza grazie al supporto della testa del radio contro il capitello omerale, insieme alle sue connessioni capsulo-legamentose.

    Cenni biomeccanici

    Il gomito ha funzione di pronazione-supinazione e di flesso-estensione, quest’ultima si ha interagendo con articolazioni minori come quella omero-ulnare e omero-radiale. Alcuni testi osservando il rapporto del gomito col braccio e l’avambraccio, definiscono il primo un compasso. Per farci un’idea della pronazione e supinazione basti pensare all’intra e all’extra-rotazione dell’avambraccio. Questo semplice movimento è molto caro agli sportivi che lo eseguono ogni volta in cui devono eseguire curl per i bicipiti o decidere quale presa utilizzare per le trazioni alla sbarra, lo stacco da terra, e così via. Potremmo tradurre il movimento come un: da in piedi e rilassato “giro” il palmo della mano verso avanti (supinazione) e poi, il contrario, verso dietro (pronazione).

    Il movimento di flessione del gomito consiste nell’avvicinamento dell’avambraccio al braccio propriamente detto (quest’ultimo è la porzione di arto compresa fra il gomito e la spalla). Ne è un lampante esempio il curl per bicipiti, esercizio dove il braccio si flette, quasi a fare arrivare la mano alla spalla. Allo stesso modo, potremmo parlare di estensione citando il push down ai cavi; nell’estensione del gomito l’avambraccio si allontana dal braccio. I muscoli che fanno da motori della flessione sono il brachiale anteriore, brachioradiale e bicipite brachiale. Riguardo all’estensione, sono invece il tricipite brachiale e l’anconeo.

    Sopra, la fisiologica flessione (avambraccio che va verso l’alto) ed estensione (avambraccio che va verso il basso) del gomito. Solitamente, quando questa articolazione è in salute, il range di movimento consentito parte da una leggera iperestensione (-5°) per arrivare fino a 145° di flessione. In rosa è evidenziato l’arco funzionale di movimento di 100 gradi totali (da 30° a 130°).

    Per ulteriori approfondimenti, vi rimandiamo ai libri consigliati a fondo pagina.

    Grazie per l’attenzione.

    Bibliografia

    A. I. Kapandji – Anatomia funzionale (Monduzzi, 2020)
    S. B. Brotzman e R. C. Manske – La riabilitazione in ortopedia (Edra Masson, 2014)
    Neumann A. D. – Chinesiologia del sistema muscolo scheletrico. Fondamenti per la riabilitazione (Piccin-Nuova Libraria, 2019)
    Evangelista P. – DCSS. Power mechanics for power lifters (Sandro Ciccarelli Editore, ediz. 2015)
    D. Carli, S. Di Giacomo, G. Porcellini – Preparazione atletica e riabilitazione. Fondamenti del movimento umano. Scienza e traumatologia dello sport, principi di trattamento riabilitativo (Edizioni Medico-Scientifiche, 2013)

  • La scienza del mal di schiena – Low back pain (LBP) e informazioni utili

    La scienza del mal di schiena – Low back pain (LBP) e informazioni utili

    Il mal di schiena, patologia estremamente comune, è qualcosa di parecchio studiato in letteratura scientifica. Vediamo cosa dicono i più recenti studi.

    Buona lettura!

    Introduzione

    Con la celebre dicitura “low back pain” (LBP) si intende la lombalgia comune, quella che colpisce la bassa schiena delle persone. Questa patologia consiste in un dolore persistente, spesso accompagnato da limitazioni funzionali più eventuali strascichi psicologici.

    Ogni anno il low back pain colpisce molti adulti in età lavorativa1, basti pensare che negli USA è il disturbo muscolo-scheletrico più comune riscontrato negli accessi al pronto soccorso2 e nel 1998 è stato stimato i costi sanitari legati ad esso siano stati di circa 90 miliardi di dollari2. Secondo l’OMS, circa l’80% delle persone soffre almeno una volta nella vita di mal di schiena3.

    Come vedremo più avanti, ci sono prove abbastanza solide circa l’utilità del movimento e di un corretto stile di vita per la prevenzione del mal di schiena.

    Basi di anatomia e fisiologia articolare

    Come già spiegato in passato, la colonna vertebrale è una complessa ed estesa struttura osteofibrocartilaginosa. va dal capo al coccige. Ha una lunghezza media di 70 cm per gli uomini e di 60 cm per le donne, consta di cinque regioni le quali hanno un numero variabile di vertebre (solitamente 33).

    • Regione cervicale: consta di sette vertebre (C1,2,3,4,5,6,7), le prime due, più famose, sono l’atlas (C1) e l’axis (C2). La regione cervicale regge la testa e permette al collo una grande escursione articolare.
    • Regione dorsale(o toracica): è formata da dodici vertebre (T1-12), è la regione più ampia di tutta la colonna vertebrale, inoltre, unendosi alle costole forma la cassa toracica. Questo tratto possiede una rigidità elevata per evitare movimenti, specialmente flessioni, troppo bruschi e pericolosi.
    • Regione lombare: composta da cinque vertebre (L1-5), la sua struttura è particolarmente robusta e mobile.
    • Regione sacrale: consiste in un unico osso composto dalla fusione di cinque vertebre.
    • Regione coccigea: osso formato dalla fusione di quattro-cinque vertebre.

    Le principale funzioni della colonna vertebrale sono le seguenti: sostegno strutturale, supporto e protezione del sistema nervoso centrale e periferico, stabilità e protezione degli organi interni; le vertebre sono connesse mediante un disco fibrocartilaginoso, forte ed elastico, il quale fa da ammortizzatore e permette un certo movimento. Questo disco è chiamato disco intervertebrale.

    Prima di concludere il paragrafo è d’obbligo focalizzarsi un attimo sulle “curvature” della colonna. Se osservata lateralmente, saltano all’occhio le due convessità posteriori, dette cifosi e le due convessità anteriori: le lordosi. Rientrano nel primo gruppo la zona toracica e sacrale, sono invece delle lordosi la zona cervicale e quella lombare.

    Questa alternanza di curve, fa sì che la colonna vertebrale sia piuttosto mobile e resistente, garantendo l’equilibrio in posizione eretta. Le lordosi permettono gradi di movimento molto maggiori rispetto alle cifosi, specialmente la regione lombare, la quale ha una curvatura un po’ più marcata. Nella figura sopra, si può osservare come un curvatura eccessiva (iperlordosi, ipercifosi) anche di una sola regione, alteri inevitabilmente anche gli altri tratti della colonna (linea gialla).

    Mal di schiena: tassonomia

    Esistono due macrocategorie di mal di schiena: quello aspecifico (non-specific low back pain) e quello specifico (specific low back pain)5. L’aspecifico non è attribuito ad una precisa e dimostrabile causa patologica23, discorso diverso per quello specifico che a seconda della causa a cui è riconducibile (e dei sintomi) può rientrare nella sfera di competenze di diversi specialisti19.

    Nonostante le raccomandazioni delle linee guida, non è possibile identificare una causa patoanatomica specifica del dolore nella maggior parte dei pazienti e solitamente si ricerca una causa strutturale del LBP e la si studia utilizzando la diagnostica per immagini. […] Fortunatamente, la maggior parte dei fattori di rischio del LBP sono modificabili.

    Zaina F. et al, 2020

    È inoltre nota a livello internazionale un’altra classificazione basata sulla permanenza temporale del dolore6. Se il dolore ha una durata inferiore alle 4 settimane il mal di schiena viene allora definito come acuto (solitamente in questo breve periodo si agisce sui sintomi), quando invece la presenza del dolore perdura (4-12 settimane) – con un’aggravarsi della situazione fra stress, disturbi del sonno, problemi motori, ecc. – si ha un mal di schiena subcronico. Superate la 12 settimane si può parlare a tutti gli effetti di mal di schiena cronico.

    Popolazione, guarigione e aspetti psicologici

    Stando a una revisione sistematica di Hoy D. e colleghi4 la prevalenza dei sintomi tipici del low back pain (LBP) presenta un picco tra i 40  e i 69 anni. Sono inoltre più colpite dal LBP le donne rispetto agli uomini e la patologia è più comune nelle nazioni economicamente più ricche (ciò ovviamente non significa che nel secondo e terzo mondo sia assente)7,8.

    Sopra, la prevalenza media del LBP in base alle varie fasce d’età, con un confronto fra i sessi (Hoy D. et al, 2012). Come concludono gli stessi ricercatori nello studio citato poc’anzi: «Con l’invecchiamento della popolazione, è probabile che il numero globale di individui con lombalgia aumenti notevolmente nei prossimi decenni».

    Il LBP, disordine muscolo scheletrico, speso ha una “guarigione spontanea” (nel giro di al massimo 6 settimane il dolore scompare)9. In concreto, una nota meta-analisi del 2017 ha osservato una guarigione spontanea su oltre il 65% dei pazienti colpiti da ernie lombari20, percentuale grossomodo confermata da un altro lavoro pubblicato nel 2020 su BMC Musculoskeletal Disorders21. I casi di guarigione spontanea sul lungo periodo, com’è ovvio che sia, fanno mettere un po’ in discussione un certa visione della sala operatoria come unica via per la guarigione di un paziente.

    La chirurgia può essere presa in considerazione per i pazienti con sintomi gravi che non presentano una regressione (dell’ernia lombare, ndr) dopo 4 mesi dall’esordio (dei sintomi) e consigliamo vivamente un intervento chirurgico per coloro che non presentano una regressione dopo 10 mesi e mezzo.

    Yi Wang et al., 2020

    Tuttavia, non va ignorata quella minoranza di persone – minoranza nemmeno troppo piccola – che non si riprende con un trattamento conservativo. Altri studi hanno osservato casi di recidività dove su tre pazienti guariti, uno tornava a soffrire di mal di schiena, anche in maniera lieve, palesando quindi una guarigione incompleta10. Nella maggior parte dei casi, la lombalgia si cronicizza su persone con una vita sregolata24,25,26 (problemi psicologici, stress, carenza di sonno): «Disturbi del sonno e grande stress, ad esempio, possono causare iperattivazione delle cellule gliali e quindi un’infiammazione di basso grado, che porta a sensibilizzazione centrale e a del dolore diffuso»25.

    Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30. Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30.

    Zaina F. et al, 2020

    Va sottolineato che il LBP, definibile come lombalgia comune e disordine muscolo scheletrico, non è una lombosciatalgia. Si parla infatti di lombosciatalgia quando il dolore dalla zona lombare si estende a un arto inferiore. Stando a quanto riportato dall’European Journal of Pain28, una grossa parte – quasi il 40% – dei casi di mal di schiena cronici e disabilitanti (follow-up di 14 mesi) sono correlati alla comparsa di dolore in altre parti del corpo.

    Un ultimo dato interessante è l’apparente inutilità del trattamento manipolativo e farmacologico sul dolore provocato dalla lombalgia acuta22 (grafico sotto).

    E naturalmente non vanno sottovalutati gli aspetti psicologici del mal di schiena: «Mirare ai fattori psicologici associati al LBP, non solo ai fattori fisici, può aiutare a migliorare la gestione dei pazienti con LBP»11.

    Sopra, due differenti tipi di approccio al dolore (Chris J. Main et al., 2002).

    «Effects of confrontation or avoidance of pain on outcome of episode of low back pain: fear of movement and re-injury can determine how some people recover from back pain while others develop chronic pain and disability»12.

    Inoltre, i recenti limiti applicati agli spostamenti della vita quotidiana per far fronte alla pandemia da COVID-19, sembrano aver influito negativamente sulla salute della schiena di una parte della popolazione adulta. Forse per l’aumento della sedentarietà e dello stress generale13.

    Cause e fattori di rischio

    Solitamente, problemi meccanici e lesioni ai tessuti molli sono la causa della lombalgia. Queste lesioni possono includere danni ai dischi intervertebrali, compressione delle radici nervose e movimento improprio delle articolazioni spinali.

    John Peloza, MD – Causes of Lower Back Pain (2017)

    Da qualche anno a questa parte, studi scientifici evidenziano come i fenomeni degenerativi della colonna vertebrale rilevabili tramite RM (risonanza magnetica) e TAC siano piuttosto frequenti non solo nei soggetti che soffrono di mal di schiena ma anche in altre persone completamente asintomatiche. Una review pubblicata sull’American Journal of Neuroradiology14 (tabella sotto) ha messo in luce un fatto interessante: molte delle degenerazioni della colonna vertebrale riscontrate nei classici esami medici sono parte di un fisiologico processo di invecchiamento del corpo umano non necessariamente associato alla comparsa di dolori.

    Come inequivocabilmente mostrato dai numeri, anche i più giovani hanno degenerazioni discali, protrusioni, degenerazioni delle faccette articolari, ecc.

    L’eziologia multifattoriale della lombalgia comune fa’ sì che, purtroppo, non sempre le cause siano facilmente inquadrabili, specialmente quando si parla di lombalgia aspecifica. L’insieme di cofattori colpevoli del non-specific LBP sono i seguenti:

    • Fattori genetici;
    • Sesso;
    • Età;
    • Forma fisica (peso, altezza, massa magra e grassa);
    • Sedentarietà;
    • Cattive abitudini (fumo, alcol);
    • Depressione, malessere generale;
    • Lavori usuranti;
    • Diagnosi e trattamenti errati;
    • Atteggiamenti psicologici sbagliati nei confronti del dolore15,16,27.

    Dati alla mano, pare che la fattori genetici individuali giochino un ruolo cruciale sulla predisposizione o meno al mal di schiena24. Un recente ed ampio studio genetico27 ha notato come molti pazienti sintomatici abbiano una naturale predisposizione a palesare dei problemi anatomico-strutturali (come problemi ai dischi intervertebrali e antropometrici) e psicologici nei confronti del dolore (percezione ed elaborazione dello stesso). I processi degenerativi delle strutture della colonna vertebrale (vertebre, dischi, anelli fibrosi, faccette articolari, muscoli paraspinali, ecc.) avanzano in parallelo, rendendo difficile capire quali fattori o combinazioni di fattori possano avere più o meno a che fare col dolore23.

    Vi è inoltre il mal di schiena tipico della gravidanza che in letteratura scientifica viene così abbreviato: LBPP (low back pain and pelvic pain)17.

    La maggior parte delle donne incinte soffrono di lombalgia, nonostante i fisiologici adattamenti strutturali al sovraccarico dato dal feto17,18. Inoltre: «LBPP during a previous pregnancy, body mass index, a history of hypermobility, and amenorrhea are factors influencing the risk of developing LBPP during pregnancy» da Ingrid M. Mogren et al. (2005).

    Prevenzione

    In campo medico esistono tre differenti livelli di prevenzione: quella primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria è quella mirata all’utilizzo di comportamenti (e abitudini) finalizzati a prevenire a monte delle patologie (non fumare, praticare attività fisica, eccetera). La prevenzione seconda invece, si riferisce alla diagnosi precoce (tipica dello screening) che permette di intervenire tempestivamente, agendo su una malattia e tamponandone gli effetti negativi (solitamente è così per la mammografia). Infine, la prevenzione terziaria riguarda più che altro gli effetti a lungo termine di una malattia (come la gestione di una disabilità) e i casi di recidività.

    La letteratura scientifica pullula di paper inerenti la prevenzione del mal di schiena. Tre importanti revisioni sistematiche con meta-analisi, rispettivamente di Steffens et al.36, Huang R. et al.37, Shiri R. et al.38, hanno fatto notare come l’esercizio fisico possa essere un ottimo strumento se il fine è quello di prevenire il mal di schiena (anche abbinato a un’educazione sul problema36,37). Gli esercizi presi in esame da questi tre lavori andavano a rinforzare il retto addominale, i muscoli obliqui, gli erettori spinali, attività aerobica, yoga, esercizi di coordinazione, stretching e in alcuni casi anche gambe e parte superiore del corpo (upper body), con una frequenza delle sedute che andava da 1 a 7 volte a settimana e un tempo di lavoro che andava da 5 ai 90 minuti. Come già accennato, in alcuni casi si è dimostrata utile l’aggiunta di lezioni teoriche volte a dare un’infarinatura generale sull’anatomia e biomeccanica della bassa schiena, sulle evidenze scientifiche inerenti il LBP e sulla tecnica esecutiva dei movimenti di sollevamento. Lo studio di Shiri R. e colleghi pubblicato sull’American Journal of Epidemiology38, sempre in un’ottica di prevenzione del mal di schiena, nelle sue conclusioni consiglia 2-3 allenamenti settimanali dedicati al rinforzo muscolare, all’esercizio aerobico ed allo stretching. Altro dato interessante: interventi passivi come l’utilizzo di solette plantari o di cinture per il sostegno della schiena (back belt) si sono dimostrate inefficaci.

    «In diversi studi […] viene dimostrato che nei pazienti che soffrono di LBP il meccanismo di attivazione muscolare anticipatorio della cintura miofasciale è alterato durante un movimento. La stabilità spinale è strettamente correlata all’insorgere di lombalgia: non basta, quindi, una colonna vertebrale sana per evitare problematiche di mal di schiena, ma sono necessari anche muscoli efficienti e una buona capacità di controllo. Una corretta sinergia dei tre sistemi descritti nel modello ideato da Punjabi (fig. sotto, ndr) assicura un’efficace stabilizzazione della colonna vertebrale. Per svolgere gli esercizi in modo efficace è fondamentale abbinarli ad una corretta respirazione, controllando la sua frequenza, la sua coordinazione col movimento e la sua qualità»39.

    Sopra, la relazione tra i tre sottosistemi – attivo, passivo e neurale – che contribuiscono alla stabilità della spina dorsale, elemento fondamentale per la salute della bassa schiena (da Panjabi M., 1992).

    Come giustamente fatto notare dal Dott. Giroldo39, un documento finanziato dal Ministero della Salute (Percorsi diagnostico terapeutici per l’assistenza ai pazienti con il mal di schiena) spiega con un linguaggio alla portata di tutti quelli che sono dei semplici consigli per contrastare il LBP: evitare di stare seduti nella stessa posizione oltre 20-30 minuti, guidare l’automobile con un supporto lombare, piegarsi mantenendo le curve fisiologiche del rachide e svolgere quotidianamente dell’attività fisica.

    Riabilitazione

    Mentre il mal di schiena acuto ha tendenzialmente una prognosi positiva, il mal di schiena cronico spesso è, appunto, persistente e con ridotte possibilità di recupero totale, anche se vi è la possibilità di migliorare la qualità della vita ed attenuare l’intensità del dolore23. Le linee guida raccomandano l’autogestione del dolore, terapie fisiche, psicologiche e pongono poca enfasi sul trattamento farmacologico e chirurgico31. Un paper apparso sul Journal of the American Medical Association32 nell’agosto 2020 ha evidenziato la scarsa efficacia delle tecniche manipolative e di mobilizzazione – tipiche dell’osteopatia – applicate su adulti di età compresa fra i 18 ed i 45 anni affetti da LBP cronico di intensità media e moderata. Sotto un interessante scambio di commenti fra il Dott. Evangelista ed il ricercatore Franco Impellizzeri.

    Viviamo su un’isola circondata da un mare di ignoranza. Più cresce l’isola della nostra conoscenza, più si allunga la costa della nostra ignoranza diceva il fisico statunitense John A. Wheeler, paradossalmente sembra che all’aumentare del numero di pubblicazioni scientifiche aumentino i dubbi di chi questi argomenti li studia da anni. Chiusa la parentesi, il famigerato approccio biopsicosociale citato dal Professor Impellizzeri cozza con quello biomedico, che vedrebbe come causa (o cause) di una patologia variabili puramente biologiche da correggere con terapie mirate, prescritte da un medico/fisioterapista/fisiatra/chinesiologo e così via. Si tratta quindi un approccio, quello biopsicosociale, multidimensionale che può vantare una visione d’insieme che quello biomedico non possiede: «Il modello biopsicosociale è una strategia di approccio alla persona, che attribuisce il risultato della malattia, così come della salute, all’interazione intricata e variabile di fattori biologici (genetici, biochimici, ecc.), fattori psicologici (umore, personalità, comportamento, ecc.) e fattori sociali (culturali, familiari, socioeconomici , ecc.)»33,34.

    Alcuni studi avevano dimostrato che la terapia manipolativa e l’educazione al dolore avevano diminuito il dolore e la disabilità. Tuttavia, la maggior parte di essi ha mostrato un debole effetto del trattamento, con soli miglioramenti nell’immediato o a breve termine, principalmente nella terapia manipolativa.

    Vier C. et al., 2018

    Sotto, le fasi di un trattamento risultato efficace unicamente in acuto35.

    Salvo Di Grazia, medico e divulgatore scientifico, in un suo post datato ottobre 2018 aveva fatto un riassunto delle evidenze all’epoca disponibili sulla “cura” del mal di schiena e ne era emerso uno scenario pressoché identico a quello attuale. Molti trattamenti inefficaci ed altri discretamente efficaci sul breve termine ma inutili sul medio e lungo periodo – agopuntura, osteopatia, ultrasuoni, massaggi, tachipirina, laser, farmaci antinfiammatori, stimolazione elettrica nervosa transcutanea, massaggi… -, fatta eccezione per l’attività fisica.

    Passando all’atto pratico, dopo aver visto che il mal di schiena cronico ed aspecifico difficilmente può guarire del tutto e che moltissime terapie sono praticamente inutili sul lungo periodo, occorre chiedersi quale tipo di attività fisica possa praticare oppure no una persona. Sottolineando che in questa sede non è possibile analizzare caso per caso e che la “terapia motoria” andrebbe somministrata in maniera differente da paziente a paziente… A grandi linee, è consigliabile educare piano piano al movimento e ad un corretto stile di vita chi è affetto da lombalgia, senza fare terrorismo e cercando di rendere la persona pronta a reggere psicologicamente una probabile lunghissima convivenza col dolore. Cercando di capire, sempre riguardo all’aspetto mentale, se può esserci qualcosa che non va nella sua vita quotidiana; ricordiamo per il LBP è vivamente consigliato un approccio biopsicosociale e di conseguenza l’intervento di più d’una figura professionale.

    Si è visto come lo yoga, se correttamente dosato, possa dare dei benefici sul lungo periodo40 e una review pubblicata su Pain and Therapy41, ha messo in luce anche l’efficacia del pilates, degli esercizi McKenzie (con qualche controversia dovuta alla non uniformità dei dati), corsa in acqua (altezza spalle) alla soglia aerobica individuale ed esercizi di stabilizzazione mirati a migliorare il controllo neuromuscolare e la forza del core, ossia la parte centrale del corpo (immagine sotto).

    Sopra, degli esercizi dimostratisi efficaci per ridurre la disabilità da cLBP (cronic low back pain) ed il dolore ad esso associato. Nello studio in questione42, la routine era la seguente: 3 allenamenti a settimana, di una durata di circa 60 minuti l’uno, per 6 settimane totali (altre informazioni utili qui sotto).

    Dopo aver tentato di curare due gruppi di pazienti dalla lombalgia cronica – uno con gli esercizi di stabilizzazione e l’altro con dello yoga – i ricercatori sono arrivati alle seguenti conclusioni: «I nostri risultati indicano che lo yoga e la ginnastica di stabilizzazione hanno aspetti superiori a ogni altro in termini di dolore, disabilità, prestazioni e qualità della vita correlata alla salute».

    Infine, come specificato da J. V. Pergolizzi Jr. e coll. (2020), è bene ricordare che l’esercizio fisico è una terapia efficace per i casi di lombalgia, a patto che questa sia un minimo duratura (almeno 6-12 settimane), questa affermazione, oltre che col low back pain cronico, si sposa piuttosto bene anche con dei casi di LBP subcronico.

    Sopra, trovate alcuni esercizi alla portata di tutti utili sia per la prevenzione che la riabilitazione (video del Dott. Roncari, pubblicato per Project Invictus).

    Conclusioni

    Cosa portarsi a casa da questo articolo? Il mal di schiena di schiena generico, di per sé un qualcosa di aspecifico, può colpire una platea di persone piuttosto eterogenea. Data l’eziologia multifattoriale, molto ancora dev’essere indagato ma pur non esistendo una “cura definitiva”, i singoli individui possono fare molto per prevenirlo e per combatterne la disabilità a lungo termine. La direzione in cui sta andando la società moderna pare essere sempre più lontana dalla cura fisica e psichica delle persone, sarebbe bene che tutti, nel loro piccolo, lavorassero per cercare di invertirla.

    Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All’infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l’uomo è il solo padrone.

    Albert Camus, Il mito di Sisifo (1942)

    Grazie per l’attenzione!


    Bibliografia

    1 Manchikanti L, Singh V, Datta S, Cohen SP, Hirsch JA – Comprehensive review of epidemiology, scope, and impact of spinal painPain Physician. 2009 12 (4): E35-70

    2 Borczuk, Pierre (July 2013) – An Evidence-Based Approach to the Evaluation and Treatment of Low Back Pin in the Emergency DepartmentEmergency Medicine Practice. 15 (7): 1–23, Quiz 23–4.

    3 WHO Scientific Group – The burden of musculoskeletal conditions at the start of the new millennium. Word Health Organ Tech Rep Ser, 2003; 919: 1–218

    4 Damian Hoy, Christopher Bain, Gail Williams, Lyn March, Peter Brooks, Fiona Blyth, Anthony Woolf, Theo Vos, Rachelle Buchbinder – A systematic review of the global prevalence of low back pain. Arthritis Rheum. 2012 Jun;64(6):2028-37

    5 Gaetani P., Panella L., Rodriguez, Baena R. – Il grande libro del mal di schiena. Rizzoli, 2010

    6 Amir Qaseem, MD, Timothy J. Wilt, MD, Robert M. McLean, MD, Mary Ann Forciea, MD. – Noninvasive Treatments for Acute, Subacute, and Chronic Low Back Pain: A Clinical Practice Guideline From the American College of Physicians. CLINICAL GUIDELINE Intern Med, 2017;166:514-530

    7 El-Sayed AM, Hadley C, Tessema F, Tegegn A, Cowan JA Jr, Galea S. – Back and neck pain and psychopathology in rural Sub-Saharan Africa: evidence from the Gilgel Gibe Growth and Development Study, Ethiopia. Spine, (Phila Pa 1976) 2010; 35: 684–89

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    9 Luciola da C, Menezes Costa, Christopher G. Maher, Mark J. Hancock, James H. McAuley, Robert D. Herbert, Leonardo O.P. Costa – The prognosis of acute and persistent low-back pain: a meta-analysis. CMAJ, 2012; 184(11): E613–E624

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    Dardanello Davide – Chinesiologia (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2017/2018)

    Spine Center – Hip-Spine Syndrome: relazione anca-rachide lombare nel LBP (link)

  • Le asimmetrie nel tennis

    Le asimmetrie nel tennis

    Articolo dopo articolo, asimmetria dopo asimmetria, ora tocca parlare del tennis, sport molto particolare date le esigenze tecniche.

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive. Buona lettura.

    Ipertrofia e non solo

    In sport come il tennis solitamente gli atleti tendono a usare di più un arto superiore rispetto all’altro, palesando quindi una preferenza laterale. Non a caso questo sport viene associato a delle asimmetrie scapolari (e non solo)1,2.

    Uno studio di Calbet J. A. et al.3 ha osservato che nell’età prepuberale (11-13 anni) i giovani tennisti hanno una asimmetria fra l’arto dominante e quello non dominante più marcata (20%) rispetto ai tennisti professionisti uomini (deltoidi, tricipiti, flessori del braccio e flessori superficiali dell’avambraccio del lato dominante erano più ipertrofizzati del 11-15%). Anche altri successivi studi, metodologicamente più accurati, hanno confermato una “asimmetria ipertrofica” abbastanza importante (12-13%)2,4. Va sottolineato come il grosso dell’ipertrofia sul braccio forte venga ottenuta quando gli atleti iniziano ad allenarsi molto giovani, specialmente a livello dell’avambraccio3, forse per questioni ormonali, oppure per il differente rapporto fra il peso della racchetta ed il volume muscolare dell’avambraccio dei bambini («ratio weight of racket/forearm muscle volume in children»)5,6,7,8,9. Basandoci sul materiale attualmente presente in letteratura scientifica sappiamo che l’asimmetria fra i due arti superiori include anche la muscolatura dei deltoidi (asimmetria simile fra professionisti e fascia d’età prepuberale: 16 e 13%)4, discorso differente per i tricipiti ed i flessori del braccio (tipicamente coracobrachiale, bicipite brachiale e brachiale). Questi ultimi muscoli sono asimmetrici nei giocatori adulti e professionisti ma non nei giovani in fase prepuberale4, ma questa differenza potrebbe essere comunque spiegabile. È possibile che le differenze nei tricipiti e nei flessori del braccio tra giovanissimi tennisti e atleti professionisti derivino dalla maggiore richiesta di forza e potenza dei colpi nei professionisti, specialmente durante il servizio10,11.

    Sopra, il grado di asimmetria fra giovani tennisti (fase prepuberale) e coetanei sedentari che non praticano tennis (Sanchis-Moysi J. et al., 2012).

    Possibili infortuni

    Più studi dimostrano come durante i colpi del tennis (dritto, rovescio, servizio, colpo al volo) vi sia una attivazione asimmetrica dei muscoli della zona inferiore del tronco12,13. Asimmetrie muscolari dell’ileopsoas e del grande gluteo14 sono state associate al dolore lombare15, dolore cronico all’inguine16, borsite e tendinite all’ileopsoas, più dolori al gran trocantere17. Infine, uno studio condotto su 61 tennisti professionisti ha palesato una notevole incidenza di infortuni, lesioni muscolari, al retto addominale, nello specifico situate nel lato non dominante18.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

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  • La genetica nello sport: fra scienza e filosofia

    La genetica nello sport: fra scienza e filosofia

    La genetica è ingiusta, anti-meritocratica, avvantaggia alcuni ed affossa altri. Spesso può capitare di sentire discorsi di questo tipo nelle palestre o sui social, ma cosa c’è di vero? Domanda retorica…

    Qualche tempo fa è stato pubblicato un bell’articolo in inglese (Genetics and Elite Athletes), spero che prenderne in prestito alcuni punti possa giovare anche al pubblico non anglofono. Buona lettura!

    Introduzione

    Non siamo tutti uguali e per accorgersi di questo bastano due occhi ed un cervello, in realtà neanche due gemelli omozigoti lo sono. C’è chi è un po’ più alto,chi più basso,chi più predisposto alla crescita muscolare, allo sviluppo della velocità, a quello della resistenza… O ancora, chi apprende un compito motorio nella metà del tempo rispetto ad un soggetto meno predisposto, chi è più soggetto a infortuni, malattie, e chi più ne ha ne metta.

    Capisci l’importanza della genetica quando un ragazzo che non ha mai fatto del movimento in vita sua mette piede in palestra e in un paio d’anni ottiene i tuoi medesimi risultati, peccato solo che tu ti alleni dal triplo – se non quadruplo – del suo tempo, cercando di fare le cose a modo, lui magari neanche sa eseguire bene gli esercizi.

    Genetica e forza

    In base a come un muscolo si inserziona su un osso, od un complesso articolare, molte cose possono cambiare. Una giusta inserzione può permettere a un soggetto di eseguire più velocemente un determinato movimento tramite un maggior sviluppo di forza1,2.

    Gli studi ortopedici hanno effettivamente dimostrato che cambiare il sito di attacco di un tendine in una posizione meno vantaggiosa dal punto di vista meccanico, può ridurre il range di movimento di un’articolazione e la coppia articolare in varie posizioni (quando i muscoli si contraggono o si allungano, creano forza muscolare, questa forza muscolare attira le ossa creando una coppia articolare)3.

    Il punto in cui il muscolo si “attacca” all’osso è determinato da questioni genetiche4, non lo scegliamo noi, inutile piangersi addosso o incolpare i genitori. Allo stesso tempo, anche la forza generata da due muscoli di analoga dimensione e inserzione può essere differente, basti pensare alla diversa distribuzione di fibre muscolari5. Di esse, tipologie e caratteristiche, avevamo già abbondantemente parlato qui.

    Sopra potete osservare i cambiamenti del livello di forza dei quadricipiti di 53 soggetti sedentari che hanno eseguito un 4×10 (80% 1RM) di leg extension per 9 settimane (tre allenamenti a settimana). Vi è stata un’ampia variabilità fra i risultati ottenuti dai praticanti: c’è chi è migliorato tantissimo (forza incrementata di quasi il 50%) e chi quasi non è progredito per nulla (uno addirittura è peggiorato). Da Robert M. Erskine et al., 201028.

    Genetica e sviluppo muscolare

    L’ipertrofia può dipendere da una moltitudine di fattori. Ad esempio, a livello genetico, può essere fortemente influenzata dalla miostatina (un gene). Mutazioni geniche potrebbero portare certi soggetti fortunati ad accumulare più muscoli del normale6. Inoltre, è assai probabile che una carenza di miostatina giochi un ruolo importante nel reclutamento di cellule satellite. Quest’ultime sono sostanzialmente delle cellule staminali, stem cells, del muscolo. Quando le fibre muscolari subiscono dei danni, le stem cells vengono attivate per fornire assistenza nel processo di adattamento e ricostruzione muscolare7. Sempre le cellule satellite possono donare i loro nuclei alle cellule muscolari per consentirne la crescita8.

    In letteratura scientifica si è visto come il reclutamento di cellule satellite sia estremamente variabile da persona a persona9,10. E’ stato quindi ipotizzato che la capacità di attivazione delle stem cells sia un fattore genetico11 che premia, parlando di ipertrofia, gli individui in grado di reclutare meglio queste particolari cellule8. Quindi se avete un amico che pur allenandosi un po’ alla carlona cresce molto bene a livello muscolare, è probabile che egli sia inconsciamente capace di reclutare naturalmente le cellule satellite a ritmi molto superiori al normale.

    Sopra, stesso studio preso in esame poc’anzi28, è mostrato l’incremento della sezione trasversale dei quadricipiti dopo le solite 9 settimane di leg extension (4×10 all’80% 1RM, 3xweek). La crescita muscolare media è stata del 5,7%; anche qui i soggetti più predisposti hanno visto aumentare i propri volumi muscolari di quasi il 20% e quelli meno fortunati hanno avuto dei lievi peggioramenti (-3% circa). Come sempre, vi è stata una grande variabilità individuale.

    Genetica e velocità

    I velocisti d’élite possiedono muscoli mediamente più dotati di fibre bianche rispetto a una popolazione di comuni sedentari12,13. Si è anche osservato che i pesisti olimpici, atleti notoriamente molto esplosivi, hanno percentuali molto alte di fibre bianche14. Pare quindi ovvio constatare che gli atleti ben messi in quanto a fibre bianche rapide (tipo II) abbiano un enorme vantaggio sugli sport di velocità e/o potenza rispetto agli sportivi meno “geneticamente fortunati”. La maggior velocità ed efficienza muscolare di un soggetto rispetto a un altro non data unicamente dalla forza contrazione, ma anche dalla fase di rilassamento. «Possiamo suddividere la contrazione e il rilassamento muscolare in tre fasi principali, ovvero la contrazione, il rilassamento ed infine la fase latente, fase che segue lo stimolo, ma nella quale non c’è risposta. Questo complesso sistema di reazioni chimiche determinerà lo scorrimento di un filamento sull’altro, e quindi la contrazione del sarcomero. A seguito della contrazione la troponina rilascia ioni Ca2+ che tornano nel reticolo sarcoplasmatico»15. Più velocemente si possono rilassare le fibre muscolari, più velocemente il muscolo si accorcerà, generando una maggiore potenza complessiva16. Questo processo è mediato da più enzimi all’interno del muscolo che sono necessari per la risintesi dell’ATP, il legame del calcio e altri complicati processi biochimici16. Il celebre allenatore sovietico Yuri Verkhoshansky sosteneva che i velocisti talentuosi di natura rispondessero all’allenamento principalmente migliorando i tassi di rilassamento più che la forza muscolare effettiva16. Ben lungi dall’avere delle certezze, ci sono effettivamente dei dati che avallano la tesi del Prof. Verkhoshansky17. Sfortunatamente, anche i tassi di rilassamento sembrano essere altamente ereditari poiché gli studi hanno dimostrato che né l’età, né il sesso hanno alcuna correlazione con essi18.

    Un altro fattore determinante della prestazione atletica può essere l’isteresi del tendine. L’isteresi del tendine si riferisce all’efficienza con cui un tendine assorbe e reindirizza la forza19. I tendini sono il tessuto connettivo tra muscolo e ossa, si allungano quando un muscolo si allunga e si contraggono quando un muscolo si accorcia. Pertanto, la capacità di un tendine di trasmettere efficacemente la forza dall’allungamento all’accorciamento può determinare la quantità di potenza complessiva che può essere trasferita all’osso e alla locomozione complessiva19. Come riportato in letteratura scientifica20 i tendini durante un ciclo di accorciamento-stiramento e durante le contrazioni isometriche massimali possono allungarsi fino dal 6 fino al 14%, inoltre se il tendine è lungo, i fascicoli muscolari si allungano di meno. Un tendine che è più rigido, per questioni genetiche ma anche adattamento all’attività fisica, è più prestante (assicura maggior potenza e velocità nei movimenti) ma è più soggetto agli infortuni.

    Genetica e resistenza

    Direttamente correlato all’idea di isteresi tendinea è l’economia del gesto nella corsa su lunghe distanze effettuata da atleti esperti. È stato teorizzato nel corso degli anni che i maratoneti d’élite sono semplicemente più bravi a “dissipare il calore” rispetto agli altri corridori21,22. Un corridore inefficiente, può manifestare un maggiore accumulo di calore a causa, in parte, della scarsa isteresi del tendine che accelera il processo di affaticamento durante una corsa protratta nel tempo19. A livello biochimico, diversi enzimi all’interno del muscolo sono necessari per determinare il “tasso metabolico” di uno sforzo fisico. Il più grande degli atleti di endurance può essere tale perché semplicemente ha degli enzimi più attivi dei suoi avversari di gara22. Ci sono infatti degli studi che mostrano come alcuni corridori particolarmente performanti siano in grado di mantenere velocità elevate a un VO2 max (massimo consumo di ossigeno) inferiore ai valori di altri soggetti meno allenati (o meno portati)23. Un po’ come se due veicoli andassero alla stessa velocità per innumerevoli chilometri e uno consumasse il 10% di carburante in meno rispetto all’altro.

    Sempre riguardo alla corsa, una miglior economicità del gesto (andatura efficiente) può essere dovuta alla preponderanza di fibre muscolari di tipo I, quindi lente e rosse. Queste fibre, come molti sanno, sono le più adatte per impegni fisici protratti nel tempo: accumulano meno sottoprodotti metabolici e si affaticano più lentamente. Inoltre, uno dei fattori limitanti dei lavori di resistenza è l’afflusso di ossigeno ai muscoli. Questo, entro un certo limite, può essere migliorato con l’allenamento ma esistono anche qui persone più inclini di altre ad essere resistenti grazie a una maggior capacità (innata) di rifornire i propri muscoli di ossigeno24. Anche la densità capillare può essere influenzata dalla genetica individuale24,25. I capillari sono il sito dello scambio di ossigeno tra il sistema vascolare e il muscolo. È qui che l’ossigeno viene fornito al muscolo e i prodotti metabolici di scarto vengono rimossi. Pertanto, è facile intuire che più capillari ha un atleta nel tessuto muscolare, più ossigeno può essere erogato e più rifiuti metabolici possono essere smaltiti o riconvertiti25.

    Genetica e infortuni

    Come sottolineato da Collins M. et al.26, gli sforzi eccessivi che portano a lesioni dei tessuti molli del sistema muscolo-scheletrico, derivanti da lavori usuranti o attività fisica, sono influenzate dalla genetica individuale. In special modo quelle al tendine d’Achille (caviglia), alla cuffia dei rotatori (spalla) ed ai legamenti crociati (ginocchia). Le varianti di sequenza all’interno dei geni che codificano le diverse proteine ​​di matrice extracellulare dei tendini e/o dei legamenti sono state associate a specifici infortuni di specifiche zone dei tessuti. Per esempio le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C (TNC), COL5A1 ed Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3) sono state collegate alle tendinopatie del tendine d’Achille. Entrando un po’ più nel dettaglio, le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C sono state associate sia alle tendinopatie che alle rotture del tendine d’Achille. mentre le varianti del COL5A1 e COL1A1, geni che forniscono le istruzioni genetiche per realizzare le componenti del collagene di tipo I e V, sono state correlate ad infortuni al legamento crociato posteriore.

    Inoltre, una meta-analisi del 2015, quindi alto impatto statistico, ha raccolto i dati provenienti da studi pubblicati in letteratura scientifica fra il 1984 ed il 2014 (trent’anni precisi). I ricercatori – Longo U. G. et al. – hanno confermato tutto ciò che avevano dedotto Collins e Raeligh nel 2009, aggiungendo che, oltre alla genetica, contano ovviamente diversi altri fattori, in primis lo stile di vita27.

    Altre letture utili:

    - L’abc della genetica
    - Genetica e predisposizione agli infortuni
    - Genetica - Muscoli e allenamento: quanto conta?
    - Tendini: salute e performance
    - Tessuto muscolare: componenti, forma, contrazione e ipertrofia
    - La forza nello sport e in palestra: consigli ed errori da evitare
    - Ormoni androgeni: fisiologia di base, benefici ed effetti collaterali
    Una lotteria della natura?

    Nella seconda metà dello scorso secolo ci fu un interessante confronto intellettuale, dovuto a una netta divergenza di opinioni, tra i filosofi d’oltreoceano John Rawls e Robert Nozick. Il primo era un grande sostenitore dell’equità in ogni aspetto della vita sociale, il secondo – ideologicamente più a destra – no. Quest’ultimo, ricorrendo all’esempio di una partita di basket, sosteneva che i tifosi dovessero essere liberi di pagare il prezzo del biglietto facendo arricchire, direttamente o indirettamente, un giocatore particolarmente bravo (spendere i propri soldi in quel modo è un loro diritto). Qualora quel giocatore attirasse milioni di appassionati, egli ben presto diventerebbe molto ricco.

    Ovviamente Rawls era in totale disaccordo: un società giusta non dovrebbe permettere a un uomo, sportivo o meno, di accumulare troppi soldi, salvo che ciò non porti dei vantaggi ai più poveri. Stando sempre al pensiero di J. Rawls, un grande talento nello sport o un’intelligenza superiore alla media è solo frutto di una fortuna sfacciata. Noi potremmo dire: genetica favorevole. Per questo filosofo, notevoli doti fisiche o intellettive non sono altro che una vittoria alla “lotteria della natura“, qualcosa che con la meritocrazia non ha nulla a che vedere. Per il collega Nozick, era invece giusto che l’eccellenza fosse meglio retribuita (anche con cifre milionarie). A distanza di anni, quello dell’equità e dei guadagni è ancora un argomento che infiamma il dibattito pubblico, saltuariamente anche in campo sportivo.

    Conclusioni

    In un certo senso potremmo dire che non siamo noi a selezionare scientemente uno sport da fare, ma è lo sport a scegliere noi. La pratica e la dedizione, non solo riguardo l’attività fisica, possono far migliorare praticamente chiunque e mettere delle pezze a certe lacune. Certo è che, a parità di impegno, chi ha ricevuto i biglietti fortunati per la lotteria della natura sarà sempre un passo avanti agli altri, anche senza averlo voluto.

    Buon allenamento.


    Bibliografia

    1 Lieber, R. L., & Shoemaker, S. D. (1992). Muscle, joint, and tendon contributions to the torque profile of frog hip joint. American Journal of Physiology-Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, 263(3), R586-R590.
    2 Duda, G. N., Brand, D., Freitag, S., Lierse, W., & Schneider, E. (1996). Variability of femoral muscle attachments. Journal of Biomechanics, 29(9), 1185-1190.
    3 Yamamoto, N., Itoi, E., Tuoheti, Y., Seki, N., Abe, H., Minagawa, H., & Okada, K. (2007). Glenohumeral joint motion after medial shift of the attachment site of the supraspinatus tendon: a cadaveric study. Journal of Shoulder and Elbow Surgery, 16(3), 373-378.
    4 Thomis, M. A. I., Beunen, G. P., Leemputte, M. V., Maes, H. H., Blimkie, C. J., Claessens, A. L. & Vlietinck, R. F. (1998). Inheritance of static and dynamic arm strength and some of its determinants. Acta Physiologica Scandinavica, 163(1), 59-71.
    5 Tesch, P. A., Wright, J. E., Vogel, J. A., Daniels, W. L., Sharp, D. S., & Sjödin, B. (1985). The influence of muscle metabolic characteristics on physical performance. European Journal of Applied Physiology and Occupational Physiology, 54(3), 237-243.
    6 Schuelke, M., Wagner, K. R., Stolz, L. E., Hübner, C., Riebel, T., Kömen, W., … & Lee, S. J. (2004). Myostatin mutation associated with gross muscle hypertrophy in a child. New England Journal of Medicine, 350(26), 2682-2688.
    7 Allen, D. L., Roy, R. R., & Edgerton, V. R. (1999). Myonuclear domains in muscle adaptation and disease. Muscle & Nerve, 22(10), 1350-1360.
    8 Petrella, J. K., Kim, J. S., Mayhew, D. L., Cross, J. M., & Bamman, M. M. (2008). Potent myofiber hypertrophy during resistance training in humans is associated with satellite cell-mediated myonuclear addition: a cluster analysis. Journal of Applied Physiology, 104(6), 1736-1742.
    9 Petrella, J. K., Kim, J. S., Cross, J. M., Kosek, D. J., & Bamman, M. M. (2006). Efficacy of myonuclear addition may explain differential myofiber growth among resistance-trained young and older men and women. American Journal of Physiology-Endocrinology and Metabolism, 291(5), E937-E946.
    10 Timmons, J. A. (2010). Variability in training-induced skeletal muscle adaptation. Journal of Applied Physiology, 110(3), 846-853.
    11 Bouchard, C., & Rankinen, T. (2001). Individual differences in response to regular physical activity. Medicine and Science in Sports and Exercise, 33(6 Suppl), S446-51.
    12 Costill, D. L., Daniels, J., Evans, W., Fink, W., Krahenbuhl, G., & Saltin, B. (1976) – Skeletal muscle enzymes and fiber composition in male and female track athletes. Journal of Applied Physiology, 40(2), 149-154.
    13 Thorstensson, A., Larsson, L., Tesch, P., & Karlsson, J. (1977) – Muscle strength and fiber composition in athletes and sedentary men. Medicine and Science in Sports, 9(1), 26-30.
    14 Nathan Serrano,Lauren M. Colenso-Semple,Kara K. Lazauskus,Jeremy W. Siu,James R. Bagley,Robert G. Lockie,Pablo B. Costa,Andrew J. Galpin – Extraordinary fast-twitch fiber abundance in elite weightlifters. PLoS One 2019 Mar 27;14(3):e0207975.
    15 Contrazione muscolare – Wikipedia
    16 Verkhoshansky, Y. V. (1996). Quickness and velocity in sports movements. New Studies in Athletics, 11, 29-38.
    17 Komi, P. V., Rusko, H., Vos, J., & Vihko, V. (1977). Anaerobic performance capacity in athletes. Acta Physiologica Scandinavica, 100(1), 107-114.
    18 Lennmarken, C., Bergman, T., Larsson, J., & Larsson, L. E. (1985). Skeletal muscle function in man: force, relaxation rate, endurance and contraction time-dependence on sex and age. Clinical Physiology (Oxford, England), 5(3), 243-255.
    19 Finni, T., Peltonen, J., Stenroth, L., & Cronin, N. J. (2013). On the hysteresis in the human Achilles tendon. American Journal of Physiology-Heart and Circulatory Physiology, (114), 515-517.
    20 Thom J. M. et al. – Passive elongation of muscle fascicles in human muscles with short and long tendons. Physiol Rep. 2017 Dec;5(23):e13528.
    21 Coyle, E. F. (2007). Physiological regulation of marathon performance. Sports Medicine, 37(4-5), 306-311.
    22 Marino, F. E., Lambert, M. I., & Noakes, T. D. (2004) – Superior performance of African runners in warm humid but not in cool environmental conditions. Journal of Applied Physiology, 96(1), 124-130.
    23 Weston, A. R., Mbambo, Z., & Myburgh, K. H. (2000) – Running economy of African and Caucasian distance runners. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(6), 1130-1134.
    24 Bassett, D. R., & Howley, E. T. (2000) – Limiting factors for maximum oxygen uptake and determinants of endurance performance. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(1), 70-84.
    25 Joyner, M. J., & Coyle, E. F. (2008) – Endurance exercise performance: the physiology of champions. The Journal of Physiology, 586(1), 35-44.
    26 Collins M. et al. – Genetic risk factors for musculoskeletal soft tissue injuries (2009)
    27 Longo U. G. et al. – Unravelling the genetic susceptibility to develop ligament and tendon injuries (2015)
    28 Robert M Erskine, David A Jones, Alun G. Williams, Claire E. Stewart, Hans Degens – Inter-individual variability in the adaptation of human muscle specific tension to progressive resistance training. Eur J Appl Physiol. 2010 Dec;110(6):1117-25.
    Charlie Ottinger – Genetics and Elite Athletes (2018)
    John Rawls – Una teoria della giustizia (1971)
    Nigel Warburton – Breve storia della filosofia (2011)

  • Le asimmetrie nel calcio

    Le asimmetrie nel calcio

    Prosegue la serie di articoli sulle asimmetrie, è giunto il momento di trattare lo sport più amato dagli italiani.

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive. Buona lettura.

    Movimenti nel calcio

    Abilità come il calciare il pallone e superare gli avversari con cambi di direzione sono chiaramente unilaterali, pertanto richiedono degli schemi motori e adattamenti asimmetrici1,2. Tali adattamenti possono portare a squilibri tra gruppi muscolari antagonisti3.

    Performance e infortuni

    Un po’ come per la pallavolo, non è detto che le modificazioni posturali e muscolari siano necessariamente qualcosa di patologico, o comunque rischioso per la salute. Tuttavia, non bisogna sottovalutarle, tenendo anche conto del fatto che nel calcio gli arti inferiori sono la zona più colpita da infortuni4.

    Sopra, il modello teorico preso da Fousekis et al. (2010) che mette in relazione le asimmetrie preesistenti con, fra le altre cose, gli infortuni nello sport.

    Le pubblicazioni scientifiche che hanno messo in luce sbilanciamenti di forza fra gli arti inferiori in questo sport sono numerose5,6,7,8. Uno studio pubblicato l’anno scorso sul Journal of Strength and Conditioning Research (tabella sotto)9 ha sottoposto a dei test fisici monopodalici (salti) e degli sprint una squadra giovanile di calcio femminile con una sufficiente anzianità di allenamento (almeno 9 mesi, con due brevi sedute a settimana di preparazione atletica).

    I risultati dello studio hanno evidenziato come le atlete che mostravano una maggior asimmetria di forza fra i due arti erano mediamente meno rapide negli sprint (10 e 20 m) rispetto alle altre compagne di squadra.

    Una review sistematica venuta fuori alcuni mesi più tardi, opera del medesimo autore, ha corroborato la tesi dello studio preso in esame poco fa, suggerendo una influenza negativa della differenza di forza fra gli arti sulla performance nei movimenti di calcio (anche di salto e ciclismo) ma non sulla salute10. Allo stesso tempo però ci sono studi che hanno trovato delle correlazioni fra asimmetrie nel calcio e incidenza degli infortuni5, pertanto la situazione è tutt’ora poco chiara. Fousekis K. et al. (2010) hanno condotto uno studio su 115 giocatori professionisti di varie fasce d’età, notando che le asimmetrie di forza (isocinetica) erano più marcate nei giocatori con meno anzianità di allenamento (5-10 anni) rispetto a quelli più esperti (>11 anni), probabilmente perché i primi per questioni tecniche tendono a compiere certi gesti con un arto in particolare, mentre gli altri – più abili – godono di un maggiore equilibrio nella loro preferenza laterale. Anche un altro più vecchio studio osservativo6 aveva messo in luce una variazione del rapporto di forza fra flessori ed estensori del ginocchio dell’arto dominante in base all’esperienza nell’allenamento (l’asimmetria era meno significativa nei calciatori più “navigati”).

    Gambe “storte”?

    Quando si parla delle asimmetrie e adattamenti indotti dalla pratica sportiva del calcio non si può non citare il “genu varum” o le “bowlegs”, volgarmente conosciuti come le cosiddette “gambe storte del calciatore”.

    Al riguardo una review con meta-analisi del 2018 ha messo insieme i dati provenienti da tre studi, per un totale di 1344 calciatori e 1277 altri pazienti (gruppo controllo)7. È stata analizzata e misurata la distanza fra il condilo laterale di ciascun femore (ICD) ed è emerso che i giovani (10-17 anni) calciatori agonisti hanno un “ICD” significativamente più elevato rispetto agli altri individui (mediamente +1,5 cm di ICD).

    Sopra, valutazione clinica e radiologica della “geometria” degli arti inferiori. HKA = Hip-knee angle; ICD = intercondylar distance; IMD = intermalleolar distance; mLDFA = mechanical lateral distal femoral angle; MPTA = medial proximal femoral angle; TFA = tibiofemoral angle (Thaller H. P. et al., 2018)

    Come concludono gli stessi ricercatori, alle conoscenze attuali risulta allarmistico etichettare come potenzialmente dannosa anche la pratica non intensa o non agonistica , tuttavia gli addetti ai lavori dovrebbero mettere in guardia atleti e genitori su questi diffusi adattamenti che derivano dalla pratica calcistica, specie quando gli atleti sono molto giovani (fase prepuberale, fino a 10-11 anni di età). I dati disponibili in letteratura scientifica non permettono permettono di capire quali sono le cause specifiche di questa asimmetria, ma è possibile che possa aumentare il rischio di infortuni.

    Un cross sectional study, quindi uno studio basato su un campionamento trasversale, pubblicato sul Clinical Journal of Sport Medicine8 ha confermato la tendenza dei calciatori (maschi) che competono a buoni livelli a sviluppare un varismo (ginocchia in fuori) rispetto agli altri sport (tennis), soprattutto dai 13 anni di età in poi, quindi si parla di età puberale e adolescenza. Per concludere ci sono altri studi che segnalano come stress ripetuti sull’articolazione del ginocchio11, altezza, età, peso, BMI12, carenza di vitamina D13, rapidi movimenti di cambio di direzione e corse prolungate14,15,16 possano favorire il varismo degli arti inferiori. Inoltre, analizzando il movimento della gamba quando calcia un pallone notiamo che esso consiste banalmente nella flesso-estensione dell’anca e del ginocchio, più una certa adduzione.

    Questa adduzione potrebbe avere un ruolo importante nel “genu varum”, tuttavia occorre non sbilanciarsi, dato che parliamo di una eziologia multifattoriale e siamo ben lontani dall’avere delle certezze17,18.

    L’ultima figura è presa da Nunome H. et al. (2002).

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Fousekis K. et al. – Lower limb strength in professional soccer players: profile, asymmetry, and training age (2010)
    2 Reilly T. – Motion analysis and physiological demands (1996)
    3 Fousekis K et al. – Multivariate isokinetic strength asymmetries of the knee and ankle in professional soccer players (2009)
    4 Le Gall F. et al. – Incidence of injuries in elite French youth soccer players: a 10-season study (2006)
    5 Croisier J. L. et al. – Strength imbalances and prevention of hamstring injury in professional soccer players: a prospective study (2008)
    6 Voutselas – Years of training and hamstring-quadriceps ratio of soccer players (2007)
    7 Thaller H. P. et al. – Bowlegs and Intensive Football Training in Children and Adolescents. A Systematic Review and Meta-Analysis (2018)
    8 Yaniv N. et al. – Prevalence of bowlegs among child and adolescent soccer players (2006)
    9 Bishop C. et al. – Vertical and Horizontal Asymmetries are Related to Slower Sprinting and Jump Performance in Elite Youth Female Soccer Players (2018)
    10 Bishop C. et al. – Effects of inter-limb asymmetries on physical and sports performance: a systematic review (2018)
    11 Asadi K. et al. – Association of Soccer and Genu Varum in Adolescents (2015)
    12 Rezende L. et al. – Does soccer practice stress the degrees of genu varo? (2011)
    13 Voloc A. et al. – High prevalence of genu varum/valgum in European children with low vitamin D status and insufficient dairy products/calcium intakes (2010)
    14 Witvrouw E. et al. – Does soccer participation lead to genu varum? (2009)
    15 Bangsbo J. et al. – Activity profile of competition soccer (1991)
    16 Volpon J. B. et al. – Population study of knee alignment in the frontal plane during development (1986)
    17 Isokawa M. et al. – A biomechanical analysis of the instep kick motion in soccer (1988)
    18 Nunome H. et al. – Three-dimensional kinetic analysis of side-foot and instep soccer kicks (2002)

  • Le asimmetrie nella corsa veloce

    Le asimmetrie nella corsa veloce

    Prosegue la serie di articoli sulle asimmetrie, ora è il momento di parlare di quelle che colpiscono gli sprinter.

    Quanto segue è un breve estratto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive. Buona lettura!

    Fisiologico o patologico?

    La questione asimmetrie sì, asimmetrie no, tutt’ora non è chiara in letteratura scientifica. Come fatto notare da una critical review comparsa nel 2018 sul Journal of Strength and Conditioning Research1, non possiamo dire con sicurezza se l’asimmetria di forza o esplosività fra i due arti inferiori influisca o meno sulle prestazioni degli sprinter. I dati sono contrastanti e certi studi sono metodologicamente mal svolti. Sannicandro e colleghi2 hanno osservato una influenza negativa delle asimmetrie negli sprint particolarmente brevi (entro i 20 m), Lockie et al.3 il contrario. Parecchi altri studi non hanno rilevato legami di alcun tipo fra eventuali asimmetrie e prestazioni sportive di corsa veloce o infortuni 4,5,6,7,8.

    Osservando il grafico riportato sopra, possiamo notare come importanti asimmetrie siano molto comuni negli sprinter di alto livello (Haugen T. et al., 2018; infografica a cura della pagina Strength and Conditioning Research).

    «Molti esperti di allenamento della forza, fisiologi e ricercatori hanno proposto che dovremmo cercare di ridurre l’asimmetria del movimento durante lo sport, al fine di migliorare le prestazioni e ridurre il rischio di infortuni. Tuttavia, come dimostra questo nuovo studio sugli sprinter di pista, l’asimmetria del movimento è estremamente comune durante lo sprint e non è correlata né alle prestazioni di sprint né al rischio di lesioni. È quasi come se l’asimmetria fosse una caratteristica del tutto naturale del movimento umano»6.

    Conclusioni

    Quindi, con le prove a nostra disposizione possiamo affermare che le asimmetrie nello sprint sono fisiologiche e non paiono essere dannose per gli atleti. Senza però avere la presunzione che questa sia la “verità definitiva”, dato che c’è ancora molto da indagare e da scoprire.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Maloney S. J. – The relationship between asymmetry and athletic performance: A critical review (2018)
    2 Sannicandro I. et al. – Correlation between functional asymmetry of professional soccer players and sprint (2011)
    3 Lockie R. G. et al. – The relationship between bilateral differences of knee flexor and extensor isokinetic strength and multi-directional speed (2012)
    4 Exell T. et al. – Strength and performance asymmetry during maximal velocity sprint running (2017)
    5 Meyers R. W et al. – Asymmetry During Maximal Sprint Performance in 11- to 16-Year-Old Boys (2017)
    6 Haugen T. et al. – Kinematic stride cycle asymmetry is not associated with sprint performance and injury prevalence in athletic sprinters (2018
    7 Lockie R. G. et al. – Relationship between unilateral jumping ability and
    asymmetry on multidirectional speed in team-sport athletes
    (2014)
    8 Lockie R. G. et al. – Between-Leg Mechanical Differences as Measured by the Bulgarian Split-Squat: Exploring Asymmetries and Relationships with Sprint Acceleration (2017)

  • Le asimmetrie nella pallavolo

    Le asimmetrie nella pallavolo

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive.

    Buona lettura.

    Asimmetrie nei contesti sportivi: una definizione

    Gli autori e ricercatori David Joyce e Daniel Lewindon, definiscono le asimmetrie sportive come: «la risposta naturale del corpo umano ad adattarsi alle esigenze atletiche aumentando la massa, sviluppando la forza o alterando la flessibilità dei tessuti molli posti sotto stress. A causa di ciò, gli atleti possono sviluppare asimmetrie o squilibri di corrispondenti tessuti molli, come ossa, muscoli o tendini. Ai fini della chiarezza, le ‘asimmetrie’ si riferiscono alle differenze da lato a lato in forza, dimensioni, flessibilità, raggio di movimento o posizionamento della stessa struttura anatomica» (Sports Injury Prevention and Rehabilitation, pag.88, 1a Ediz., 2015).

    Da non confondere con gli squilibri muscolari, i quali indicano delle anomalie nei rapporti di forza e flessibilità fra i muscoli agonisti e antagonisti.

    Pallavolo

    Wang H. K. et al.1 in un uno studio pubblicato sul The Journal of sport medicine and physical fitness nel 2001 non osservarono correlazioni statisticamente significative fra l’asimmetria scapolare e infortuni (o dolori) in pallavolisti inglesi d’élite, benché in certi casi l’asimmetria fra il braccio dominante e quello non dominante – misurata tramite lo “scapula lateral slide test” – fosse notevole.

    Nella figura sopra, il “lateral scapula slide test” (da Scapular dyskinesis: the surgeon’s perspective, Roche S. et al., 2015).

    Uno studio più recente2 ha esaminato l’asimmetria scapolare di atleti che praticavano sport che comprendevano movimenti degli arti superiori sopra la testa, alcuni di questi erano dei pallavolisti. I ricercatori sono ricorsi a dei dispositivi di tracciamento elettromagnetici al fine di misurare la cinematica scapolare bilaterale 3D del braccio (Bilateral 3D scapular kinematics). Citando testualmente la parte finale dello studio, le conclusioni sono le seguenti: «Clinicians should be aware that some degree of scapular asymmetry may be normal in some athletes. It should not be considered automatically as a pathological sign but rather an adaptation to sports practice and extensive use of upper limb».

    Conclusioni

    Traducendo: «I medici dovrebbero essere consapevoli del fatto che un certo grado di asimmetria scapolare può essere normale in alcuni atleti. Non dovrebbe essere considerato automaticamente come un segno patologico, ma piuttosto come un adattamento alla pratica sportiva e all’uso esteso dell’arto superiore». Ciò è confermato da un altro più recente lavoro EBM.3

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Wang H. K. et al. – Mobility impairment, muscle imbalance, muscle weakness, scapular asymmetry and shoulder injury in elite volleyball athletes (2001)
    2 Ribeiro A et al. – Resting scapular posture in healthy overhead throwing athletes (2013)
    3 Cools A. M. et al. – Prevention of shoulder injuries in overhead athletes: a science-based approach (2015)

  • L’atleta senza sonno

    L’atleta senza sonno

    Chi dorme non piglia pesci, ma chi non dorme non fa canestro (?)

    Una storia, tante storie

    È il pomeriggio del 26 febbraio, si giocano tre partite in quattro notti e il centrale dei Miami Heat, Hassan Whiteside, è in gran forma. L’indomani la squadra di quest’ultimo affronterà i Golden State Warrior e il giorno dopo ancora – 28 febbraio – voleranno tutti insieme a Houston per affrontare i Rockets. Ora però egli sta pensando all’orario a cui finirà la partita con i Warrior (22:00), quando saliranno in aereo per un altro volo (23:30), quando atterreranno a Huston (02:00) e quando giungeranno finalmente nell’hotel. Arriveranno lì almeno le tre di notte. Almeno. In quella stessa giornata dovranno poi giocare contro i Rockets.

    «Il sonno conta, – dice Whiteside – conta molto. Potrebbe essere la differenza fra una giocata di carriera ed una terribile». Ma è dentro questa bugia che sta l’enigma della “NBA life”. Il sonno è una cosa tanto importante quanto sfuggevole. Come dice Whiteside: «È così difficile ottenere il sonno di cui hai bisogno». Il giocatore dei Miami Heat spera di guadagnare qualche ora di sonno durante il viaggio in aereo per Huston, che il letto dell’albergo sia ok e che la frequente assunzione di melatonina lo aiuti a chiudere gli occhi. Ma anche con i giusti accorgimenti, nell’attuale calendario NBA è possibile ottenere un sonno duraturo e di qualità? «No», dice Whiteside. «È impossibile, è impossibile».

    Non preoccuparti. Nessuno è mai morto d’insonnia.

    (The Machinist, 2004)

    La stanchezza è stata a lungo una costante nella vita dei giocatori dell’NBA. Parliamo di un campionato con squadre che giocano 82 partite in meno di 6 mesi, volando fino a 80.000 chilometri a stagione, abbastanza per girare due volte il globo. Durante la stagione 2018/2019 le squadre dell’NBA si sono spostate in aereo con una media di oltre 400 km al giorno, per 25 settimane di fila. Molti addetti ai lavori – giocatori, allenatori, preparatori – hanno fatto notare come gli sforzi fisici tipici dello sport, le interruzioni circadiane, i continui spostamenti fra zone con fusi orari differenti – non si sposino bene in un’ottica di salvaguardia della salute dell’atleta. I dati finora raccolti evidenziano come la privazione del sonno sia un flagello per l’NBA, un vaiolo che colpisce i corpi e le menti dei cestisti, lasciando segni profondi. Ci sono manager che lavorano per l’NBA e che, oltre a sottolineare il «grosso problema», dicono: «Abbiamo una grande popolazione di vampiri, servono delle soluzioni».

    La salute e il benessere dei giocatori continuano a essere un punto focale per l’NBA

    (Ufficio stampa NBA)

    Nonostante le promesse e gli sfori della lega, la privazione del sonno è ancora uno dei principali fattori legati allo stato di salute degli atleti.

    Ora, spostiamoci di qualche centinaio di chilometri.

    Dalla sua postazione nello spogliatoio dello Staples Center di Los Angeles, Tobias Harris si guarda intorno. Poco dopo, indicando i suoi compagni di squadra dice: «Chiedi a chiunque nella stanza, sto parlando del sonno. Penso che fra un paio d’anni si parlerà dei problemi legati al sonno come ora si parla delle commozioni cerebrali nell’NFL (football americano, ndr)».

    Alcuni compagni ci scherzano su: «Oh, c’è un momento in cui devi andare a letto». Ma Harris sa bene che: «Devo essere in forma ai massimi livelli per affrontare al meglio l’indomani».

    Dati

    Quanto riportato sopra è parte di un articolo di ESPN (tradotto, adattato e riassunto per l’occasione). Cogliendo la palla al balzo, in letteratura scientifica è stato appurato come un sonno lungo e regolare possa portare benefici alle prestazioni dei giocatori di basket (maggior precisione sui tiri a canestro, velocità, vigore e minor affaticamento) [1]. Un sonno incostante e breve (perennemente inferiore alle 8 ore) sul lungo periodo pare aumenti sensibilmente il rischio di infortunarsi [2]. Tra l’altro, anche le neuroscienze hanno fatto notare come la privazione di sonno porti le persone a desiderare più facilmente il junk food (cibo spazzatura) [3].

    Amigdala ipotalamo, fra le altre cose, si occupano del famigerato “sistema della ricompensa“. Basta dormire poco anche solamente una o due volte per far cadere il cervello in questo tranello della ricompensa. Insomma, una carenza di sonno porta queste due componenti ad essere stimolate ben più del normale qualora i nostri occhi si posino sui cibi che, in un’ottica edonistica, più ci soddisfano.

    L’amigdala in particolare, se sovrastimolata, porta a far prediligere alle persone cibi notoriamente molto calorici (ricchi di zuccheri e grassi).

    Conclusioni

    Le conclusioni, per una volta, è il caso di lasciarle fare a qualcun altro.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Baxter Holmes – NBA exec: ‘It’s the dirty little secret that everybody knows about’ (2019)
    Migliaccio et al. – Finali notturne alle Olimpiadi: possibili influenze dei ritmi circadiani sulla perfomance? Studio pilota per Rio 2016. Da Strength & Conditioning Anno V, n.16 aprile-giugno (2016)
    Le Scienze – La carenza di sonno aumenta la voglia di Junk Food (2018)
    1 Cheri et al. – The Effects of Sleep Extension on the Athletic Performance of Collegiate Basketball Players (2011)
    2 Milewski M. D. et al. – Chronic lack of sleep is associated with increased sports injuries in adolescent athletes (2014)
    3 Rihm J. S. et al. – Sleep deprivation selectively up-regulates an amygdala-hypothalamic circuit involved in food reward (2018)

  • Le asimmetrie degli arti superiori e inferiori

    Le asimmetrie degli arti superiori e inferiori

    Avere una gamba più lunga dell’altra è possibile? Se sì, quanto può essere dannoso per la salute articolare?

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive. Buona lettura.

    Leg length discrepancy / leg length inequality

    Effettivamente sì, la differenza di lunghezza fra le gambe non è qualcosa di raro. Una differenza di lunghezza fra l’arto inferiore destro e sinistro, talvolta è stata associata ad un maggior rischio infortuni. Nel 1992 McCaw1 notò una differenza nell’impatto del piede dell’arto più lungo, però senza dare per scontato che ciò portasse necessariamente a delle lesioni. Dieci anni prima, Friberg aveva dedotto il contrario interpretando i dati di uno studio epidemiologico condotto su alcune reclute militari2. Ma appena prima di McCaw (1991), Messier e coleghi non avevano osservato alcuna correlazione fra eventuali asimmetrie – in lunghezza – degli arti inferiori e dolori patello femorali3. Ci sono studi che avallano la tesi di Friberg (1982) ed altri ancora che la confutano.

    Una lieve “leg length discrepancy” (o “leg length inequality”) pare essere fisiologica, ha affermato ciò una review4 del 2005 che ha messo in evidenza come la maggior parte delle persone abbiano una differenza di lunghezza negli arti inferiori di circa 5,2 mm.

    Sopra, leg length inequality (LLI) media della popolazione (Gary A. Knutson, 2005).

    Va però specificato che i test utilizzati per stabilire l’entità di una possibile LLI/LLD sono spesso imprecisi, hanno un discreto margine d’errore, sia in forma supina (paziente pancia all’aria su un lettino) che prona (paziente a pancia in giù)5. Pertanto certi discorsi più che ipotesi scientifiche sono ascrivibili alla categoria delle congetture.

    Sotto, il test supino a sinistra e il test prono a destra (Cooperstein R. et al., 2017).

    Infatti, facendo una breve ricerca nella letteratura scientifica possiamo imbatterci in studi inerenti la leg length discrepancy (LLD) o leg length inequality (LLI) che sostengono tutto e il contrario di tutto. Dagli studi che correlano questa condizione ad una postura errata, scoliosi, lombalgia, artrosi dell’anca, peggioramento dell’artrosi del ginocchio, fratture, ecc., a quelli che smentiscono un qualsiasi legame6,7,8,9. La letteratura a nostra disposizione è molto contraddittoria, non ci sono evidenze solide riguardanti un rapporto di causalità fra le asimmetrie di questo tipo e degli infortuni.

    Come illustrato sopra, sempre riguardo alla differenza di lunghezza, la stragrande maggioranza di casi di LLI si ha in un range molto basso (dagli zero ai 5 millimetri). Asimmetrie un po’ più nette rappresentano una minoranza di casi (Gary A. Knutson, 2005).

    Asimmetrie degli arti superiori

    Una differente tensione ed utilizzo dell’arto dominante può far sì che si sviluppi nel tempo una asimmetria corporea, detta direzionale, fra i due lati del corpo. Il maggior carico di lavoro meccanico può innescare dei meccanismi di rinforzo osseo ad opera degli osteoblasti atti ad aumentare la densità ossea10. Questo discorso dell’asimmetria direzionale vale soprattutto per l’upper body, dato che gli arti superiori sono più esposti all’utilizzo selettivo dell’arto dominante rispetto a quelli inferiori (lower body)11,12. Queste asimmetrie direzionali sono state notate principalmente nell’omero, nella clavicola, e scendendo un po’, anche nell’osso sacro13,14.

    Occorre però fare una distinzione fra la preferenza laterale, detta anche lateralità, e la presenza di un arto dominante sull’altro (quindi più forte). Lake et al. e gli studi di Newton et al.15,16 non hanno osservato significative asimmetrie fra gli arti negli esercizi bipodalici, ad esempio il back squat, discorso differente per quelli monopodalici. In ogni test si evidenziavano prestazioni dissimili fra l’arto dominante, spesso coincidente con quello “preferito”, e non dominante (forza di reazione a terra, altezza di salto, distanza di salto).

    Va specificato che non necessariamente gli arti preferiti, superiore e inferiore, sono collocati nello stesso lato. Ad esempio, una persona può benissimo avere una preferenza laterale per il braccio destro e per la gamba sinistra. Secondo quello che è attualmente lo stato dell’arte, circa il 90% delle persone hanno una preferenza laterale per la mano destra e solamente il 25-45% per la gamba destra.17

    In ogni caso, non è del tutto chiaro se dominio e/o preferenza laterale possano causare problematiche di natura muscolo-scheletrica.18

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 McCaw S. T. – Leg length inequality. Implications for running injury prevention (1992)
    2 Friberg O. – Leg length asymmetry in stress fractures (1982)
    3 Messier et al. – Etiologic factors associated with patellofemoral pain in runners (1991)
    4 Knutson A. G. – Anatomic and functional leg-length inequality: A review and recommendation for clinical decision-making. Part I, anatomic leg-length inequality: prevalence, magnitude, effects and clinical significance (2005)
    5 Cooperstein R. – Comparison of Supine and Prone Methods of Leg Length Inequality Assessment (2017)
    6 Rauh M. J. – Leg-length inequality and running-related injury among high-school runners (2018)
    7 Gurney B. – Leg length discrepancy (2002)
    8 Rothenberg R. J. – Rheumatic disease aspects of leg length inequality (1988)
    9 Resende R. A. et al. – Mild leg length discrepancy affects lower limbs, pelvis and trunk biomechanics of individuals with knee osteoarthritis during gait (2016)
    10 Steele J. et al. – Handedness and directional asymmetry in the long bones of the human upper limb (1995)
    11 Hiramoto Y. – Right-left differences in the lengths of human arm and leg bones (1993)
    12 Plochocki J. H. – Bilateral variation in limb articular surface dimensions (2004)
    13 Mays S. et al. – Directional asymmetry in the human clavicle (1999)
    14 Plochocki J. H. – Directional bilateral asymmetry in human sacral morphology (2002)
    15 Lake J. P. et al. – Does side dominance affect the symmetry of barbell end kinematics during lower-body resistance exercise? (2011)
    16 Newton R. U. et al. – Determination of functional strength imbalance of the lower extremities (2006)
    17 Cuk T. et al. – Lateral asymmetry of human long bones (2001)
    18 McGrath T. M. et al. –The effect of limb dominance on lower limb functional performance – a systematic review (2016)

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