Tag: sonno

  • L’atleta senza sonno

    L’atleta senza sonno

    Chi dorme non piglia pesci, ma chi non dorme non fa canestro (?)

    Una storia, tante storie

    È il pomeriggio del 26 febbraio, si giocano tre partite in quattro notti e il centrale dei Miami Heat, Hassan Whiteside, è in gran forma. L’indomani la squadra di quest’ultimo affronterà i Golden State Warrior e il giorno dopo ancora – 28 febbraio – voleranno tutti insieme a Houston per affrontare i Rockets. Ora però egli sta pensando all’orario a cui finirà la partita con i Warrior (22:00), quando saliranno in aereo per un altro volo (23:30), quando atterreranno a Huston (02:00) e quando giungeranno finalmente nell’hotel. Arriveranno lì almeno le tre di notte. Almeno. In quella stessa giornata dovranno poi giocare contro i Rockets.

    «Il sonno conta, – dice Whiteside – conta molto. Potrebbe essere la differenza fra una giocata di carriera ed una terribile». Ma è dentro questa bugia che sta l’enigma della “NBA life”. Il sonno è una cosa tanto importante quanto sfuggevole. Come dice Whiteside: «È così difficile ottenere il sonno di cui hai bisogno». Il giocatore dei Miami Heat spera di guadagnare qualche ora di sonno durante il viaggio in aereo per Huston, che il letto dell’albergo sia ok e che la frequente assunzione di melatonina lo aiuti a chiudere gli occhi. Ma anche con i giusti accorgimenti, nell’attuale calendario NBA è possibile ottenere un sonno duraturo e di qualità? «No», dice Whiteside. «È impossibile, è impossibile».

    Non preoccuparti. Nessuno è mai morto d’insonnia.

    (The Machinist, 2004)

    La stanchezza è stata a lungo una costante nella vita dei giocatori dell’NBA. Parliamo di un campionato con squadre che giocano 82 partite in meno di 6 mesi, volando fino a 80.000 chilometri a stagione, abbastanza per girare due volte il globo. Durante la stagione 2018/2019 le squadre dell’NBA si sono spostate in aereo con una media di oltre 400 km al giorno, per 25 settimane di fila. Molti addetti ai lavori – giocatori, allenatori, preparatori – hanno fatto notare come gli sforzi fisici tipici dello sport, le interruzioni circadiane, i continui spostamenti fra zone con fusi orari differenti – non si sposino bene in un’ottica di salvaguardia della salute dell’atleta. I dati finora raccolti evidenziano come la privazione del sonno sia un flagello per l’NBA, un vaiolo che colpisce i corpi e le menti dei cestisti, lasciando segni profondi. Ci sono manager che lavorano per l’NBA e che, oltre a sottolineare il «grosso problema», dicono: «Abbiamo una grande popolazione di vampiri, servono delle soluzioni».

    La salute e il benessere dei giocatori continuano a essere un punto focale per l’NBA

    (Ufficio stampa NBA)

    Nonostante le promesse e gli sfori della lega, la privazione del sonno è ancora uno dei principali fattori legati allo stato di salute degli atleti.

    Ora, spostiamoci di qualche centinaio di chilometri.

    Dalla sua postazione nello spogliatoio dello Staples Center di Los Angeles, Tobias Harris si guarda intorno. Poco dopo, indicando i suoi compagni di squadra dice: «Chiedi a chiunque nella stanza, sto parlando del sonno. Penso che fra un paio d’anni si parlerà dei problemi legati al sonno come ora si parla delle commozioni cerebrali nell’NFL (football americano, ndr)».

    Alcuni compagni ci scherzano su: «Oh, c’è un momento in cui devi andare a letto». Ma Harris sa bene che: «Devo essere in forma ai massimi livelli per affrontare al meglio l’indomani».

    Dati

    Quanto riportato sopra è parte di un articolo di ESPN (tradotto, adattato e riassunto per l’occasione). Cogliendo la palla al balzo, in letteratura scientifica è stato appurato come un sonno lungo e regolare possa portare benefici alle prestazioni dei giocatori di basket (maggior precisione sui tiri a canestro, velocità, vigore e minor affaticamento) [1]. Un sonno incostante e breve (perennemente inferiore alle 8 ore) sul lungo periodo pare aumenti sensibilmente il rischio di infortunarsi [2]. Tra l’altro, anche le neuroscienze hanno fatto notare come la privazione di sonno porti le persone a desiderare più facilmente il junk food (cibo spazzatura) [3].

    Amigdala ipotalamo, fra le altre cose, si occupano del famigerato “sistema della ricompensa“. Basta dormire poco anche solamente una o due volte per far cadere il cervello in questo tranello della ricompensa. Insomma, una carenza di sonno porta queste due componenti ad essere stimolate ben più del normale qualora i nostri occhi si posino sui cibi che, in un’ottica edonistica, più ci soddisfano.

    L’amigdala in particolare, se sovrastimolata, porta a far prediligere alle persone cibi notoriamente molto calorici (ricchi di zuccheri e grassi).

    Conclusioni

    Le conclusioni, per una volta, è il caso di lasciarle fare a qualcun altro.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Baxter Holmes – NBA exec: ‘It’s the dirty little secret that everybody knows about’ (2019)
    Migliaccio et al. – Finali notturne alle Olimpiadi: possibili influenze dei ritmi circadiani sulla perfomance? Studio pilota per Rio 2016. Da Strength & Conditioning Anno V, n.16 aprile-giugno (2016)
    Le Scienze – La carenza di sonno aumenta la voglia di Junk Food (2018)
    1 Cheri et al. – The Effects of Sleep Extension on the Athletic Performance of Collegiate Basketball Players (2011)
    2 Milewski M. D. et al. – Chronic lack of sleep is associated with increased sports injuries in adolescent athletes (2014)
    3 Rihm J. S. et al. – Sleep deprivation selectively up-regulates an amygdala-hypothalamic circuit involved in food reward (2018)

  • Il legame fra la carenza di sonno e la voglia di cibo spazzatura

    Il legame fra la carenza di sonno e la voglia di cibo spazzatura

    Come molti già sapranno è fondamentale avere un buon sonno, sia in termini quantitativi che qualitativi, per godere di un buono stato di salute.

    Perfino gli infortuni sportivi solo correlati ad un cattivo riposo.

    Lo studio in questione

    Come segnalato dalla rivista (altro…)

  • Traumatologia e sport (3/3): tendinopatie, terapie e prevenzione degli infortuni

    Traumatologia e sport (3/3): tendinopatie, terapie e prevenzione degli infortuni

    Quella che segue è la terza ed ultima parte della breve serie di articoli sulla traumatologia sportiva. La prima parte è recuperabile qui e la seconda a questo link.

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    Tendinopatie

    Le tendinopatie sono patologie di tipo degenerativo che, talvolta, possono prevedere un processo infiammatorio nelle fasi iniziali (prime settimane). Le evidenze scientifiche hanno stabilito che la loro eziologia è multifattoriale (D. Factor e coll.).

    Possiamo distinguere principalmente quattro tipologie di tendinopatie: tendinosi, tendinite/rottura parziale, paratenonite e paratenonite con tendinosi.

    • La tendinosi è una degenerazione intra-tendinea (patologia cronica), dovuta generalmente all’invecchiamento ed a micro-traumi. Non è necessariamente sintomatica.
    • La tendinite è invece una degenerazione sintomatica del tendine che consiste parziali rotture ed una successiva risposta infiammatoria riparatoria.
    • Paratenonite, infiammazione dello stato esterno del tendine (il “peritenonio” è una membrana elastica che riveste i tendini che non hanno guaina tendinea e che permette lo scorrimento del tendine).
    • Infine, la paratenonite con tendinosi è una patologia che può associarsi con aspetti di degenerazione intra-tendinea.
     
    Trattamenti per gli infortuni

    Veniamo ora ai principali protocolli con cui vengono trattati gli infortuni sportivi (terapie di recupero).

    Protocollo R.I.C.E.

    Rest: mettere a riposo la parte del corpo infortunata; cercare di non farla lavorare (eventuale uso di stampelle).

    Ice: applicare ghiaccio per le successiva 4 ore ma non in maniera continuativa (20-30 minuti di ghiaccio per ogni ora).

    Compression: effettuare un bendaggio (elastico) per controllare il gonfiore.

    Elevation: mantenere la parte interessata al di sopra del livello del cuore.

    Protocollo P.R.I.C.E.

    Protection: proteggere la persona infortunata, fermare il gioco (ad esempio una partita di rugby), portare l’atleta in una zona sicura.

    Rest: mettere a riposo la parte del corpo infortunata; cercare di non farla lavorare (eventuale uso di stampelle).

    Ice: applicare ghiaccio per le successiva 4 ore ma non in maniera continuativa (20-30 minuti di ghiaccio per ogni ora).

    Compression: effettuare un bendaggio (elastico) per controllare il gonfiore.

    Elevation: mantenere la parte interessata al di sopra del livello del cuore.

    Protocollo P.O.L.I.C.E.

    Protection: proteggere la persona infortunata, fermare il gioco e portare l’atleta in una zona sicura.

    OL (optimal loading): significa sostituire al più presto possibile il riposo (dannoso se troppo duraturo) con la mobilizzazione, assicurando il carico adeguato nelle varie fasi del trattamento della lesione per una efficace riabilitazione.

    Ice: applicare ghiaccio per le successiva 4 ore ma non in maniera continuativa (20-30 minuti di ghiaccio per ogni ora).

    Compression: effettuare un bendaggio (elastico) per controllare il gonfiore.

    Elevation: mantenere la parte interessata al di sopra del livello del cuore.

    Protocollo M.E.A.T.

    Movement: il movimento controllato degli arti interessati può stimolare il flusso sanguigno, ridurre la formazione delle fibre collagene impropriamente allineate (tessuto cicatriziale) e quindi migliorare effettivamente il recupero.

    Exercise: il concetto di esercizio qui è strettamente legato al movimento precedentemente già descritto. Attraverso una controllata ed opportuna prescrizione di esercizi si avranno le potenzialità per migliorare il recupero.

    Analgesics: analgesici naturali per controllare il dolore e non FANS (anti-infiammatori non steroidei), visto che questi ultimi rischierebbero di inibire il processo di guarigione.

    Treatment: trattamenti fisioterapici di vario tipo che vanno ad incrementare il flusso sanguigno e quindi a favorire il processo di guarigione.

    Prevenzione infortuni

    Mentiremmo se dicessimo che esiste un modo unico ed infallibile per evitare di infortunarsi, purtroppo. Le patologie che possono colpire muscoli e articolazioni sono innumerevoli e spesso sono scollegate dalla pratica, più o meno intensa, di attività fisica.

    Fattori come, per esempio, l’invecchiamento e la predisposizione genetica sfuggono al nostro controllo. Tuttavia, con la giusta dose di esercizio fisico è possibile rinforzare il tessuto muscolare e, in secondo luogo, le strutture articolari, diminuendo il rischio di farsi male.

    La prevenzione infortuni può dipendere da fattori che derivanti dalla persona in questione, da altri che non dipendono da essa e da altri fattori ancora, inerenti le attrezzature e l’ambiente esterno.

    I primi sono lo stile di vita, l’alimentazione, la preparazione fisica, tecnica e psicologica, il sonno, la prudenza. Quelli della categoria successiva, come già accennato qualche riga più su, sono fattori ereditari, pertanto non modificabili. Possiamo citare la struttura scheletrica, le inserzioni muscolari, la predisposizione dei muscoli a crescere (ipertrofia) e quella delle articolazioni ad essere danneggiate da determinati stimoli (danni) meccanici. Nell’ultima categoria, quella delle attrezzatura e dell’ambiente, rientrano la manutenzione e l’idoneità del terreno di gioco, le condizioni climatiche e microclimatiche delle strutture indoor, l’utilizzo di un abbigliamento idoneo (tessuti traspiranti, adeguatamente elasticizzati), di eventuali protezioni, e così via.

    La ricetta base per la prevenzione infortuni è l’allenamento fisico. Senza entrare troppo nel dettaglio, possiamo dare delle indicazioni generali sul da farsi:

    1. Effettuare un buon riscaldamento prima di ogni allenamento;
    2. Lavorare sulla mobilità articolare (se serve anche in sedute separate);
    3. Possedere una buona tecnica esecutiva per tutti gli esercizi;
    4. Dare all’organismo degli stimoli allenanti graduali (ad esempio, crescita lenta ma costante dei carichi di lavoro, intesi come volume, intensità e densità);
    5. Evitare di stressare la medesima articolazione con troppi esercizi “pesanti”;
    6. Avere un sonno regolare;
    7. Eventuale uso di integratori alimentari.
    Conclusioni

    Non vi sono segreti né particolari strategie per prevenire gli infortuni, se non allenarsi con la testa, e all’occorrenza essere seguiti da qualche professionista delle Scienze Motorie o della riabilitazione.

    Approfondimenti:
    - Articolazioni: le basi da conoscere
    - Genetica e predisposizione agli infortuni
    - Allenamento della propriocezione per la prevenzione degli infortuni
    - Glucosamina: un integratore controverso
    - Perché fatichiamo? Per imparare a supercompensarci!
    - Sonno e rischio infortuni
    - La periodizzazione dell'allenamento: teoria e pratica
    - Colonna vertebrale: osteologia e patologie principali

    Grazie per l’attenzione e buon allenamento!


    oc
    Bibliografia

    Parodi G. – Medicina dello Sport (Dispense SUISM, a.a. 2016/2017)
    Factor D. et al. – Current concepts of rotator cuff tendinopathy (2014)

  • Sonno e rischio infortuni

    Sonno e rischio infortuni

    In passato avevamo ampiamente parlato del sonno e dei suoi effetti sulla salute e sulla performance sportiva. Ora, andremo ad approfondire anche la questione infortuni. Buona lettura!

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    Per trattare questo argomento prenderemo in esame uno studio di Milewski M. D. e colleghi [1] risalente al 2014. (altro…)

  • La sindrome da sovrallenamento

    La sindrome da sovrallenamento

    Overtraining e sovrallenamento, parole che tutti si mettono in bocca, alle volte anche a sproposito. Ora, partendo dalla fisiologia umana, andremo a capire cos’è il sovrallenamento, quali i fattori scatenanti, i sintomi e come evitarlo. Buona lettura!

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    «I was almost relieved when i injured my hamstring and had to curtail my competitive season»

    Definizione e cenni di fisiologia sportiva

    L’overtraining, o sovrallenamento, è una complessa sindrome psico-fisica nella quale lo sforzo fisico diventa insostenibile per l’organismo, quest’ultimo infatti non riesce più a recuperare dalla fatica accumulata. Ne consegue un calo delle prestazioni atletiche. Alle volte, il sovrallenamento culmina col il rifiuto da parte dell’atleta di allenarsi.

    Overtraining

    Gli stressors che agiscono durante l’allenamento sportivo causano considerevoli alterazioni all’omeostasi e/o alle funzioni dell’organismo che da essi sono stimolate, determinando una serie di adattamenti fisiologici sia a riposo che sotto sforzo.

    Nelle persone comuni, che non vivono di sport, questa sindrome non è data unicamente dall’allenamento ma anche da altri fattori di stress quotidiano (famiglia, impegni lavorativi, eccetera).

    L’overtraining non va confuso con l’overreaching (o sovraffaticamento), il quale indica un calo delle prestazioni ma a breve termine, da due o tre giorni ad un paio di settimane [1,2]. In altri termini, potremmo dire che il sovraffaticamento non è altro che un sovrallenamento più lieve.

    Overtraining

    Come mostrato nel grafico a sinistra, stimoli allenanti eccessivi, già nell’arco di pochi giorni possono alterare il corretto quadro ormonale. Il testosterone ha un netto calo, lo stesso vale per tiroxina (un ormone tiroideo), al contrario il cortisolo (ormone dello stress) schizza alle stelle. L’antagonismo fra testosterone e cortisolo è detto T/E ratio.

    Un allenamento massimale che sfocia poi in uno stato di sovrallenamento, riduce la variabilità della frequenza cardiaca [3]. Ad esempio, se il signor Giancarlo durante uno sforzo fisico passa da 140 a 170 bpm (sbalzo di 30 battiti), in uno stato di sovrallenamento, durante il compimento del medesimo sforzo avrà uno “sbalzo” di bpm minore.

    Il sovrallenamento arriva ad intaccare persino il sistema immunitario: riduzione delle immunoglobuline salivari IgA, riduzione della funzionalità dei globuli bianchi, riduzione rapporto linfociti T CD4/CD8 (helper/suppresor) ed infezioni virali ricorrenti.

    Incidenza del sovrallenamento…

    – 70% degli atleti di resistenza ad alto livello nell’arco della loro
    carriera [4]

    – Più del 50% dei calciatori professionisti durante 5 mesi di stagione
    agonistica [5]

    – 33% di giocatori di basket durante 6 settimane di sedute di
    allenamento [6]

    A voler essere pignoli, il sovrallenamento è suddivisibile in due tipologie principali: sovrallenamento simpatico e sovrallenamento parasimpatico. Il primo è associato ad un eccesso di attività anaerobica (quindi intensa) e si “cura” con massaggi, bagni in acqua e recupero attivo (allenamenti leggeri, poco intensi). Invece, quello parasimpatico è attribuito a lavori aerobici molto voluminosi. Per tornare in un buono stato di salute, anche qui è consigliato fare bagni in acqua (possibilmente fredda) e recuperare attivamente con allenamenti poco intensi e poco voluminosi.

    Sintomi

    I sintomi (e segni) principali del sovrallenamento sono i seguenti:

    • Affaticamento persistente
    • Difficoltà a dormire
    • Dolori muscolari cronici
    • Apatia
    • Difficoltà a concentrarsi
    • Depressione
    • Aumento frequenza cardiaca a riposo
    • Aumento pressione arteriosa a riposo
    • Disturbi gastro-intestinali
    • Perdita di peso
    • Squilibri ormonali
    • Calo delle prestazioni
    • Segni di una disfunzione neuro-endocrina [1] con elementi di dominanza o di riduzione del sistema nervoso simpatico.
    Prevenzione e rimedi

    Un po’ di indicazioni per prevenire il sovrallenamento…

    • Monitorare parametri come la FC o la pressione a riposo
    • Individualizzare l’allenamento
    • “Giocare” bene con valori allenanti  (intensità, volume, densità, frequenza)
    • Evitare una eccessiva monotonia dell’allenamento
    • Controllare le altre fonti di stress
    • Periodo di scarico (attivo oppure passivo)*
    • Ripresa dell’allenamento moderata (intensità contenuta)
    • Tenere sotto controllo l’alimentazione, l’idratazione ed il sonno
    • Sostenere il sistema immunitario con la vitamina C, D ed i grassi Omega-3
    • Parlare molto con l’atleta, in modo da riceve i feedback sulle sue sensazioni e sul suo stato di salute psico-fisico
    • Nei casi peggiori può essere utile rivolgersi a delle figure esterne (medico, psicologo, nutrizionista) ed effettuare degli esami clinici specifici (ematocrito, emoglobina, azotemia, cortisolo, testosterone, CPK).

    *in Medicina dello sport, lo scarico attivo (minor volume e/o intensità di allenamento) è consigliato per l’overreaching e lo scarico passivo (periodo nel quale non ci si allena) per l’overtraining vero e proprio.

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    Riassunto di un po’ tutto quella che è stato detto fino ad ora [7]
    Conclusioni

    Risulta chiaro che più che alle persone che si allenano per passione 2-3-4 volte a settimana, la popolazione maggiormente esposta al rischio overtraining sia quella degli sportivi professionisti. I professionisti possono arrivare ad allenarsi anche tre volte al giorno e proprio per questo motivo è di fondamentale importanza monitorare tutti i parametri precedentemente citati ed avere sempre un buon dialogo con gli atleti.

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Parodi G. – Medicina dello sport (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2016/2017)
    Weineck J. – Biologia dello sport (Calzetti Mariucci, 2013)
    Wilmore H. J., Costill L. D. – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Ediz. Calzetti Mariucci, 2005)
    Olsen L. – Overtraining: A Molecular Perspective (2016)
    Armstrong L. E. et al. – The unknown mechanism of the overtraining syndrome: clues from depression and psychoneuroimmunology (2002)
    Budgett, R. – Fatigue and underperformance in athletes: the overtraining syndrome (1998)
    Budgett, R. – Overtraining syndrome (1990)
    James D. V. B. et al. – Heart rate variability: Effect of exercise intensity on postexercise response (2012)
    Kreher, J. B. et al. – Overtraining Syndrome: A Practical Guide (2012)
    Burnstein B. D. – Sympathetic vs Parasympathetic overtraining – Selecting the proper modality to maximize recovery (2017)
    1 Fry A. C. – Resistance exercise overtraining and overreaching. Neuroendocrine responses (1997)
    2 Kuipers H. et al. – Overtraining in elite athletes. Review and directions for the future (1988)
    3 Uusitalo A. L. et al. – Heart rate and blood pressure variability during heavy training and overtraining in the female athlete (2000)
    4 Morgan et al. – Psychological monitoring of overtraining and staleness (1987)
    5 Lehmann M. et al. – Training-Overtraining: Influence of a Defined Increase in Training Volume vs Training Intensity on Performance, Catecholamines and Some Metabolic Parameters in Experienced Middle- And Long-Distance Runners (1992)
    6 Verma S. K. et al. – Effect of four weeks of hard physical training on certain physiological and morphological parameters of basket-ball players (1978)
    7 Mackinnon L. et al. – Overtraining (1991)

  • Sonno, ritmi circadiani e attività fisica

    Sonno, ritmi circadiani e attività fisica

    Dormire, l’attività preferita di quasi tutti gli esseri viventi, fornisce miglioramenti per quanto riguarda gli sport di prestazione?

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    Dormire 1-2 ore in più o in meno può avere influenze significative sullo svolgimento di determinati esercizi o su di una gara di un qualche sport? E i ritmi circadiani sono utili a qualcosa? Questo articolo cerca di rispondere a queste domande!

    Il sonno è un processo fisiologico al quale noi dedichiamo circa 1/3 della nostra vita. Esso risulta indispensabile per l’economia biologica e mentale e per le stesse funzioni vitali. In termini sportivi, è utile soprattutto per garantire un corretto recupero del sistema nervoso, il quale ha tempistiche diverse rispetto a quello muscolare.

    Riguardo soprattutto a quest’ultimo punto, che poi è quello che più ci interessa, uno studio di qualche anno fa [1] ha dimostrato come un sonno lungo e regolare possa apportare degli incrementi prestazionali. I soggetti presi in esame erano dei giocatori di basket del college, sui quali era stato riscontrato un leggero miglioramento della velocità, una maggior precisione sui tiri a canestro, un maggior vigore ed una minor percezione della fatica (questo con un’estensione del sonno fino a 10 ore). Ciò ovviamente può essere applicato a qualunque atleta di un qualsiasi sport, o anche a semplici sedentari che svolgono lavori stressanti.

    Cosa rappresentano invece i famosi ritmi circadiani? In cronobiologia e in cronopsicologia, un ritmo circadiano è un ritmo caratterizzato da un periodo di circa 24 ore. […] I ritmi circadiani dipendono da un sistema circadiano endogeno, una sorta di complesso “orologio interno” all’organismo che si mantiene sincronizzato con il ciclo naturale del giorno e della notte mediante stimoli naturali come la luce solare e la temperatura ambientale, e anche stimoli di natura sociale (per esempio il pranzo in famiglia sempre alla stessa ora). In assenza di questi stimoli sincronizzatori (per esempio in esperimenti condotti dentro grotte o in appartamenti costruiti apposta) i ritmi continuano ad essere presenti, ma il loro periodo può assestarsi su valori diversi… [2].

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    Ritmi circadiani teorici

    In base alle ore di luce ed alle stagioni i nostri livelli ormonali non sono sempre stabili.

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    Variazioni giornaliere dei livelli di testosterone negli uomini con una vita “regolare” a seconda dell’età [3]

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    Grafici rappresentati ulteriori variazioni ormonali in uomini e donne. Da notare il picco notturno del GH e quello mattutino di testosterone e cortisolo (immagine presa da qui)

    “L’assenza della luce stimola la ghiandola pineale a secernere la melatonina, quest’ultima è una sostanza che agisce sull’ipotalamo ed ha la funzione di regolare il ciclo sonno-veglia. Senza luce o stimoli esterni che ci indichino il passare del tempo, il nostro orologio biologico verrebbe settato sulle 36h e non più sulle 24h. […] Per esempio perché abbiamo il picco del GH alle 2.00 di notte? Perché ormai abbiamo smesso di cenare da un po’, il corpo è entrato nel digiuno notturno ed ha bisogno di stabilizzare la glicemia. Il GH stimola il metabolismo lipidico per risparmiare gli zuccheri nel sangue e limitare la gluconeogenesi. […] Insomma i ritmi circadiani esistono semplicemente perché sono utili, sono stati tarati dall’evoluzione umana esattamente per servire ai nostri bisogni fisiologici” [4].

    I ritmi circadiani si adattano al nostro stile di vita, alle nostre abitudini, non viceversa. Chi sta sveglio in pena notte i vari picchi ormonali li avrà ugualmente ma in orari molto diversi da chi ha orari più “tradizionali”.

    Per quanto concerne l’attività fisica, il punto quindi è capire quanto questi contino e decidere se può essere utile modificare gli orari dei propri allenamenti in base ad essi o meno. Per sport di prestazione è scientificamente provato che con un certo stile di vita, sfruttando i ritmi circadiani si possono ottenere dei discreti miglioramenti sulla performance [5,6,7,8]. Tuttavia, ciò non vale indistintamente per tutti gli atleti, anche se di alto livello, alcuni di essi infatti, anche con analoghi orari di allenamento e sonno, in determinate fasce orarie si sentono più o meno energici (diversi cronotipi). Tutto questo per variazioni fisiologiche difficilmente controllabili, inclusa la temperatura corporea [9,10,11,12].

    Considerazioni finali

    Teniamo a mente una cosa: possono allenarsi in base ai ritmi circadiani soprattutto gli atleti d’élite, gente che con lo sport ci vive e può allenarsi indistintamente 2-3 volte al giorno agli orari che preferisce, non dovendo far lavori tradizionali. Non vorrei lasciarvi con un “consiglio della nonna” ma ciò che è più sensato fare non è altro che provare ad allenarsi in fasce orarie differenti e vedere in quali di queste ci si trova a proprio agio ed in quali meno. Anche con una vita regolare (8 h di sonno regolari ed una routine quotidiana non particolarmente caotica), ogni persona ha dei ritmi circadiani simili ma non necessariamente identici! Traete voi le vostre conclusioni.

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    Le ore di sonno abbondati ed i ritmi circadiani favorevoli consentiranno a Dana White di risvegliarsi talmente carico da picchiare Iron Mike Tyson?

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Migliaccio et al. – Finali notturne alle Olimpiadi: possibili influenze dei ritmi circadiani sulla perfomance? Studio pilota per Rio 2016. Da Strength & Conditioning Anno V, n.16 aprile-giugno (2016)
    Watson N. F. et al. – Transcriptional Signatures of Sleep Duration Discordance in Monozygotic Twins (2017)
    1 Cheri et al. – The Effects of Sleep Extension on the Athletic Performance of Collegiate Basketball Players (2011)
    2 Ritmo circadiano – Wikipedia
    3 Bremner WJ et al. – Loss of circadian rhythmicity in blood testosterone levels with aging in normal men (1983)
    4 Biasci B. – Ritmi circadiani: comprenderli per non esserne schiavi (2016)
    5 Thun E. at al. – Sleep, circadian rhythms, and athletic performance (2015)
    6 Update, Review: Time of Day Effect on Athletic Performance (1999)
    7 Samuels C. – Sleep, recovery, and performance: the new frontier in high-performance athletics (2008)
    8 Silva A. et al. – Sleep quality evaluation, chronotype, sleepiness and anxiety of Paralympic Brazilian athletes: Beijing 2008 Paralympic Games (2010)
    9 Machado FS. et al. – The time of day differently influences fatigue and locomotor activity: is body temperature a key factor? (2015)
    10 Rae DE. et al. – Factors to consider when assessing diurnal variation in sports performance: the influence of chronotype and habitual training time-of-day (2015)
    11 Horne JA. et al. – A self-assessment questionnaire to determine morningness-eveningness in human circadian rhythms (1976)
    12 Roepke S.E. et al. – Differential impact of chronotype on weekday and weekend sleep timing and duration (2010)