Quali adattamenti fisiologici possono portare differenti tempi di recupero fra una serie e l’altra durante l’allenamento in palestra? Sono correlati in qualche modo all’aumento della massa muscolare? Scopriamolo insieme!
Per trattare questo argomento, prenderemo in esame una nota review sistematica di Schoenfeld B. J. e colleghi pubblicata sull’European Journal of Sport Science [1].
Il cedimento, altro non è che una delle tante tecniche per ricercare la massima ipertrofia muscolare. Nelle prossime righe si tenterà di far luce su questa pratica, elencando i pro, i contro e dispensando un po’ consigli, senza voler salire in cattedra ma cercando ragionare insieme sulla questione.
Tipologie
Esistono principalmente due tipi di cedimento muscolare:
Cedimento tecnico: mantenendo una buona esecuzione tecnica, non si è più in grado di portare a termine una o più ripetizioni (l’unico modo per farlo sarebbe “sporcare” la tecnica).
Cedimento concentrico: il muscolo target non è più in grado di contrarsi, il peso non può più essere sollevato.
A sua volta, il cedimento concentrico si suddivide in:
C. concentrico neurale: quando il sistema nervoso centrale (SNC) è “cotto” e non riesce quindi a garantire alcuna contrazione muscolare (ciò capita soprattutto quando si cerca di sollevare grossi carichi).
C. concentrico metabolico: le unità motorie (um), anche se reclutate, non sono più in grado di contrarsi efficientemente in quanto sature di acido lattico (congestione lattacida).
Applicazioni pratiche
Se si ricorre al cedimento, soprattutto quello concentrico metabolico, è meglio limitarsi ad eseguire esercizi monoarticolari, che coinvolgono quindi un minor numero di muscoli, magari come finisher della seduta di allenamento. Come avevamo già detto in passato, ogni stimolo allenante può essere utile all’ipertrofia e quello metabolico non fa eccezione (anche tenendo conto dell’elevato TUT). Sui muscoli più grandi, c’è il rischio che i DOMS (indolenzimento muscolare) vengano protratti nel tempo, andando ad influenzare negativamente gli allenamenti dei giorni successivi.
Anche se si parla di cedimento concentrico neurale, vale la stessa cosa. Meglio limitarlo ai distretti muscolari più piccoli e verso la fine della seduta di allenamento, in modo da non cuocere il SNC, cosa che comprometterebbe gli esercizi successivi ed il recupero fra una seduta di allenamento e l’altra.
A livello metabolico si è visto che il cedimento muscolare a basse ripetizioni (cinque per la precisione) altera la produzione di acido lattico (glicolisi anaerobica), la deplezione della fosfocreatina (PCr) e l’abbassamento delle scorte di ATP (adenosin trifosfato) in misura molto minore rispetto al cedimento muscolare su ripetizioni più alte (dieci) [6].
Gorostiaga E. M. et al. (2012)
Riguardo al cedimento tecnico possiamo affermare che è più o meno pericoloso a seconda degli esercizi. Inarcare la schiena e sfruttare strani effetti di rimbalzo non è certo il massimo per la sicurezza delle articolazioni. Quello tecnico è il tipo cedimento che più di ogni altro va limitato, soprattutto sulle alzate che consentono di sollevare grandi carichi (squat, panca piana e varianti, ecc.).
Ma i neofiti? I principianti non hanno la capacità di esprimere grandi intensità sotto carico, per loro il cedimento muscolare è, il più delle volte, un’arma di scarsa utilità. Meglio se usata per gli atleti intermedi ed avanzati.
Benché la letteratura scientifica sottolinei che le priorità di un allenamento mirato allo sviluppo della massa muscolare siano altre [1], è difficile parlare di cedimento muscolare tramite gli studi scientifici perché il cedimento non è sempre facile da catalogare. Tuttavia, prendendo in esame quelli più quotati, possiamo affermare che…
Per Izquierdo M. e colleghi [2], in 16 settimane di allenamento mirate all’incremento della forza, potenza e resistenza muscolare, non ci sono state variazioni significative fra i soggetti, se non per il rendimento muscolare nella panca piana (75% 1RM).
Drinkwater E. J. e coll. [3] in acuto hanno evidenziato un lieve miglioramento della potenza muscolare nell’allenamento della panca piana con un carico da 6RM (sei ripetizioni massime possibili) utilizzato per 6 settimane di allenamento.
Una revisione di Willardson J. M. e coll. [4] non evidenzia differenze rilevanti fra un allenamento con cedimento ed un altro senza. Sottolinea però l’importanza di limitare questa pratica, soprattutto se si parla di cedimento tecnico.
Nel 2010, un altro studio di Izquierdo e coll. [7] ha messo in luce miglioramenti della forza massimale e della potenza negli atleti che non ricercavano continuamente il cedimento muscolare. Per questo motivo quasi tutti i powerlifters si affidano al buffer (mantenere un certo margine di distanza dal cedimento), raggiungendo magari il cedimento nell’ultima serie di un esercizio.
Conclusioni
Per terminare, come già ribadito più volte, il cedimento muscolare in alcuni contesti trova tranquillamente il suo spazio, migliorando i livelli di forza e lo sviluppo muscolare, [5] va tuttavia usato con parsimonia, eccedere può potenzialmente portare molti più problemi che benefici. Perché è vero che, a parità di volume, il cedimento può garantire dei risultati mediamente superiori (massa magra), tuttavia non potrebbe essere meglio tenere il cedimento come “asso nella manica” da giocarsi nell’ultima serie di un determinato esercizio, dopo aver accumulato un certo volume allenante, piuttosto che tentare di portare a cedimento ogni serie di ogni esercizio fin da subito? Oppure, come consiglia il noto ricercatore e coach Chris Beardsley, per massimizzare l’ipertrofia tramite il cedimento, si potrebbe aumentare il recupero fra le serie (a discapito della densità) o ricorrere a super serie (super set) alternando esercizi per muscoli, cosiddetti, agonisti e antagonisti. Come? Passando da, per esempio, esercizi per il dorso (lat machine) ad esercizi per il petto (chest press). Esempio: 10 ripetizioni alla lat machine (raggiungendo il cedimento), 10 ripetizioni alla chest press (cedimento) e tot minuti di recupero e via di nuovo ad accorpare questi due esercizi per X numero di serie. “There are basically two ways to get around the problem: (1) take more rest between sets (or use agonist-antagonist supersets to get lots of rest between agonist exercises), and (2) only go to failure on the final set“.
1 Schoenfeld B. J. et al. – Influence of Resistance Training Frequency on Muscular Adaptations in Well-Trained Men (2015)
2 Izquierdo M. et al. – Differential effects of strength training leading to failure versus not to failure on hormonal responses, strength, and muscle power gains (2006)
3 Drinkwate E. J. et al. – Training leading to repetition failure enhances bench press strength gains in elite junior athletes (2005)
4 Willardson J. M. et al. – Effect of Short-Term Failure Versus Nonfailure Training on Lower Body Muscular Endurance (2008)
5 Nobrega R. S. et al. – Is Resistance Training to Muscular Failure Necessary? (2016)
6 Gorostiaga E. M. et al. – Energy Metabolism during Repeated Sets of Leg Press Exercise Leading to Failure or Not (2012)
7 Izquierdo M. et al. – Concurrent endurance and strength training not to failure optimizes performance gains (2010)
Sicuramente vi sarà capitato almeno una volta di provare dolore ai muscoli dopo qualche sforzo fisico. Bene, quel dolore non è altro che del DOMS, ovvero: indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata. Scopriamo insieme di cosa si tratta!
Cenni di fisiologia
In passato si ipotizzava che i DOMS (delayed onset muscle soreness) derivassero dall’accumulo di acido lattico, negli anni a venire è però stato dimostrato che l’acido lattico e gli scarti metabolici non c’entravano, almeno non sui dolori ad insorgenza ritardata. Si tratta infatti, secondo le teorie più accreditate, di micro-lacerazioni a livello muscolare derivanti soprattutto da contrazioni eccentriche [1,2,3].
Certi studiosi suggeriscono che alcuni radicali liberi (ROS) possano concorrere nella formazione dei DOMS [4], altri che interferiscano fattori metabolici e neurologici [5,6]. Ma date le scarse prove, quella del danno muscolare rimane comunque la teoria più attendibile.
L’indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata fa perdere forza alla contrazione muscolare. Secondo Warren e colleghi [7] questo è imputabile a tre macro-fattori: il danno al tessuto muscolare, una disfunzione nell’ambito del processo di accoppiamento eccitazione-contrazione ed una perdita delle proteine contrattili (il tutto è illustrato nella figura a sinistra).
Post allenamento
I DOMS insorgono a 8-12h dal termine dell’allenamento
Si acutizzano a 24-48h dal termine dell’allenamento
Diminuiscono a 48-72h dal termine dell’allenamento
Scompaiono a 72-120 ore dal termine dell’allenamento
Le cifre riportate sopra, ovviamente, sono molto indicative.
Se i DOMS sono particolarmente lievi, non è necessario rimandare gli allenamenti, un buon riscaldamento può far cessare l’indolenzimento.
Risposta tardiva all’esercizio fisico di diversi indici fisiologici (la densità di colore della barra corrisponde all’intensità della risposta nel tempo indicato) [8]
Tecniche per ridurli
Alcuni modi per ridurre i DOMS sono i seguenti:
Iniziare un nuovo programma/scheda di allenamento con un’intensità moderata, alzandola piano piano nel corso delle settimane
Eseguire immersioni in acqua fredda (temperatura di 8-15° C per 11-15 minuti di bagno). Maggiori informazioni le trovate in questo articolo.
Assunzione di una buona quota giornaliera di proteine
Prendere della caffeina tramite caffè o compresse. Si è vista infatti una correlazione fra il calo del dolore muscolare e l’assunzione di questa sostanza eccitante [9].
Caffeina e riduzione dei DOMS (Hurley C. F. et al., 2013)
Conclusioni
L’indolenzimento muscolare, acuto e ad insorgenza ritardata, è un evento assolutamente fisiologico. Tenere “a bada” i DOMS non è di fondamentale importanza per chi si allena in palestra, magari con schede full-body, 2-3 volte a settimana o per chi pratica sport a livello dilettantistico con una frequenza moderata. Tuttavia, per gli sportivi professionisti, o per gli agonisti che puntano a competere ad alti livelli, tenere a bada i DOMS è spesso di aiuto per limitare i dolori e non sfociare nell’overtraining.
Wilmore H. J., Costill L. D. – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Calzetti Mariucci, 2005) 1 Stone M. H. et al. – A hypothetical model for strength training (1981) 2 Schwane J. A. et al. – Delayed-onset muscular soreness and plasma CPK and LDH activities after downhill running (1983) 3 Schwane J. A. et al. – Is Lactic Acid Related to Delayed-Onset Muscle Soreness? (1983) 4 Close G. L. et al. – Eccentric exercise, isokinetic muscle torque and delayed onset muscle soreness: the role of reactive oxygen species (2004) 5 Malm C. et al. – Leukocytes, cytokines, growth factors and hormones in human skeletal muscle and blood after uphill or downhill running (2004) 6 Ayles S. et al. – Vibration-induced afferent activity augments delayed onset muscle allodynia (2011) 7 Warren G. L. et al. – Excitation-contraction uncoupling: major role in contraction-induced muscle injury (2001) 8 Evans W. J. et al. – The metabolic effects of exercise-induced muscle damage (1991) 9 Hurley C. F. et al. – The effect of caffeine ingestion on delayed onset muscle soreness (2013)
Come da titolo, in questo articolo parleremo del ritmo scapolo-omerale. Un meccanismo forse sconosciuto ai più ma che riveste una certa importanza, anche in ambito pratico, se si sollevano pesi o si compiono sforzi con gli arti superiori. Buona lettura!
Cenni di fisiologia articolare
La spalla è l’articolazione più mobile del corpo umano. Permette movimenti sui tre assi principali (asse trasversale, antero-posteriore, verticale).
Asse trasversale (piano frontale): permette movimenti di flesso-estensione sul piano eseguiti in un piano sagittale (fig. 1.a)
Asse antero-posteriore: è contenuto nel piano sagittale. Permette movimenti di abduzione degli arti superiori (l’arto superiore si allontana dal piano si simmetria del corpo) e di adduzione (l’arto superiore si avvicina al piano si simmetria del corpo) eseguiti in un piano frontale (fig. 2.b)
Asse verticale: determinato dell’inserzione del piano sagittale con quello frontale. Permette movimenti di flessione ed estensione eseguiti sul piano orizzontale, tenendo il braccio in abduzione a 90° gradi.
Figura n.1
Figura n.2
Altri movimenti della spalla e del braccio sono illustrati nella foto sotto
Ma ora veniamo a noi, il ritmo scapolo-omerale non è altro che il movimento contemporaneo di scapola ed omero. Durante l’elevazione della spalla, a seconda del grado di abduzione della scapola e dell’omero, lavoreranno più alcuni muscoli rispetto ad altri. Tutto ciò, ovviamente, è applicabile nello sport come in palestra. Alcuni gesti/esercizi interesseranno determinati distretti muscolari ed altri no.
Movimento combinato di scapola ed omero durante una abduzione
Uno degli studi più quotati in fisiologia articolare [1] evidenzia come nei primi 80° di abduzione degli arti superiori, quindi con le braccia quasi parallele al suolo, il ritmo scapolo-omerale si concentri sull’omero, dando maggior lavoro al deltoide (rapporto scapola-omero di circa 1:3)*. Invece, dagli 80° ai 140°, inizia a “lavorare” di più la scapola, pertanto c’è una maggior attivazione degli elevatori scapolari (trapezio superiore), con un rapporto scapola-omero indicativamente di 1:2. Infine, oltre i 140 gradi aumenta sempre di più l’attivazione degli elevatori della scapola (trapezio superiore, muscolo elevatore della scapole, piccolo romboide e grande romboide), sottraendo così lavoro al deltoide (rapporto 1:1).
*a seconda dei testi possiamo trovare delle cifre un po’ differenti ma comunque sempre vicine al range dei 70-90°.
Ricapitolando…
0-80° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:3
80-140° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:2
140-170° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:1
80°
140°
170°
Applicazioni pratiche
Per rendere più concrete tutte queste informazioni, ci basta pensare a quali esercizi prevedono una abduzione delle braccia (figura sopra). Gli esercizi più comuni che includono quel movimento sono le alzate laterali con manubri, le tirate al mento (o al petto) e le distensioni sopra la testa (military press).
Alzate laterali: consistono nell’impugnare un manubrio e, partendo dai fianchi, portarlo all’altezza della base del collo, anche se non è raro vedere della varianti che prevedono un range di movimento più ampio (oppure ridotto). Ragionando su quanto detto prima, possiamo arrivare a concludere che portare le braccia a parallele al suolo come in figura sia effettivamente la scelta più corretta a livello biomeccanico. Andando oltre i 90° di abduzione delle braccia, i deltoidi inizierebbero via via a lavorare meno, quindi se l’intento è quello di allenare i muscoli della spalla e non gli elevatori delle scapole, terminare la fase concentrica dell’alzata una volta raggiunti i 90° di abduzione è una cosa più che sensata.
Tirate al mento/petto: questo esercizio per comodità si esegue quasi sempre con il bilanciere. Si parte con le braccia completamente distese, vicino alla vita, e si compie un piegamento degli arti superiori, portando il bilanciere al petto o in prossimità del mento. La versione dell’esercizio da preferire è quella che prevede la fine del sollevamento all’altezza del petto, perché il grado di abduzione degli arti superiori è sufficiente a garantire una marcata attività del deltoide, limitando l’intra-rotazione dell’omero (figura sotto) e quindi il rischio di impingement (che è statisticamente più alto nei soggetti che eseguono molto di frequente le tirate al mento) [2]. Questa problematica infatti si verifica oltre i 70-90° gradi di abduzione dell’omero [3], per questo motivo è consigliabile fermare l’alzata prima che il bilanciere raggiunga il mento, facendo arrivare i gomiti poco sotto l’altezza delle spalle.
Con omero intra-rotato (fig. sopra), il capo laterale del deltoide tende a prevalere su quello anteriore, l’esatto contrario avviene invece con l’extra-rotazione [4,5,6].
Distensioni sopra la testa (lento avanti): consistono nel sollevamento di un carico sopra la testa (manubri, bilanciere, kettlebell). Da in piedi, o seduti su panca, partendo con il peso all’altezza del mento (gomito parallelo al corpo), si esegue una spinta verso l’alto, gli arti superiori si distendono e poi si piegano per tornare al punto di partenza.
L’omero compie tutto il suo percorso in una abduzione laterale. E’ da evidenziare inoltre l’intervento del tricipite in fase di spinta che ricordiamo essere l’estensore del gomito (ne avevamo già parlato qui). Pertanto, grazie al coinvolgimento di molti muscoli, questo è indubbiamente l’esercizio per le spalle in cui si può esprimere una maggior forza, sollevando più peso. In termini di ipertrofia, questo si traduce in un maggior stimolo meccanico, elemento base della crescita muscolare. E’ proprio per questo motivo che nelle distensioni sopra la testa il peso viene spinto molto in alto, facendo compiere all’omero una abduzione molto ampia, che inevitabilmente coinvolge molto anche gli elevatori della scapola. E’ bene sottolineare che il motore principale di questo gesto rimane sempre e comunque il deltoide, l’intervento di altri muscoli è secondario. Inoltre, se l’esecuzione è corretta questo esercizio ha un bassissimo rischio di impingement od infortunio, a patto che il soggetto che lo esegue sia perfettamente sano.
Benché nell’allenamento conti molto la soggettività, ci sono basi biomeccaniche e fisiologiche comuni a tutti che devono essere rispettate. Non solo per quanto concerne l’ipertrofia ma anche per la salute. Gli esercizi citati nell’articolo possono essere utili per l’incremento della forza e della massa muscolare, basta saperli eseguire correttamente ed alternare gli stimoli allenanti nella maniera più opportuna.
Kapandji I. A. – Fisiologia articolare (1999) Boccia G. – Basi del movimento (Dispense universitarie SUISM, a.a. 2014/2015) 1 Bagg S. D. et al. – A biomechanical analysis of scapular rotation during arm abduction in the scapular plane (1988) 2 Kolber MJ et al. – Characteristics of shoulder impingement in the recreational weight-training population (2014) 3 Schoenfeld BJ et al. – The upright row: implications for preventing subacromial impingement (2011) 4 Botton C. E. et al. – Electromyographical analysis of the deltoid between different strength training exercises (2013) 5 McAllister M. J. et al. – Effect of grip width on electromyographic activity during the upright row (2013) 6 Reinold M. M. et al. – Electromyographic analysis of the supraspinatus and deltoid muscles during 3 common rehabilitation exercises (2007)
I glutei non crescono in alcun modo, anche allenandoli duramente? Che voi siate uomini o donne poco importa, perché in questo articolo andremo a parlare di un esercizio potenzialmente adatto a chiunque: l’hip thrust. Buona lettura!
Ah ma è Ronco?
Dat ass
Esecuzione tecnica
Si appoggia la base delle scapole ad una panca, tenendo il busto dritto, parallelo al suolo, tibia e femore devono creare un angolo retto (90° circa). I piedi devono essere ben piantati a terra, è importante che la superficie di appoggio non sia scivolosa. Il bilanciere deve essere posizionato all’altezza della anche. Si accompagna il peso verso il basso sfiorando il pavimento con il sedere e successivamente si spinge il peso verso l’alto, sfruttando più che si può la mobilità dell’anca (foto sotto). Per evitare infortuni, riveste una certa importanza l’atteggiamento della colonna vertebrale, specialmente quello della regione lombare. La spina dorsale deve avere un posizionamento neutro, non deve essere iperestesa. Al limite, per evitare ciò, si può provare a “guardare in avanti” con la testa, ricercando così una leggera e momentanea cifosi cervicale.
Inizio concentrica
Fine concentrica
Perché può essere migliore dello squat?
Il gluteo, lavorando come estensore dell’anca, è il muscolo maggiormente coinvolto nell’intero esercizio. E le elettromiografie, benché non esenti da limiti, lo confermano [1]. In sinergia con i glutei lavorano anche molti altri muscoli, in primis gli ischiocrurali ed il grande adduttore (anche loro sono estensori dell’anca). Se l’esecuzione dell’esercizio è corretta, lo scarso movimento di estensione e flessione dell’articolazione del ginocchio fa si che l’attivazione di altri grossi muscoli (es. quadricipiti) sia parecchio limitata. Questo ultimo punto ci spiega perché l’hip thrust sia un esercizio in grado di isolare meglio i glutei. Quest’ultimi lavorano molto anche nello squat, tuttavia nel movimento di accosciata intervengono anche una miriade di altri muscoli, invece nell’hip thrust il movimento è più “concentrato” sui glutei. Non che la cosa sia necessariamente negativa, tutt’altro, resta però il fatto che se si vuole andare a colpire il lato B, l’hip thrust sia più funzionale.
Inoltre, per eseguire lo squat è necessaria una certa lordosi nella bassa schiena, nell’hip thrust no, per quest’ultimo è richiesto un atteggiamento neutro della spina dorsale, pertanto anche le persone con una scarsa lordosi possono beneficiare di questo esercizio (ciò riguarda soprattutto le donne).
Come iniziare a farlo
E’ consigliabile apprendere lo schema motorio prima a corpo libero, poi con dei carichi molto bassi, utilizzando magari l’elastico, per poi passare a sovraccarichi più importanti. Perché l’elastico? Perché a livello propriocettivo può essere utile posizionare una banda elastica qualche centimetro sopra le ginocchia, questo perché il gluteo è un abduttore dell’anca e trovando l’opposizione della resistenza elastica si contrae anche per evitare l’adduzione degli arti inferiori.
Come mostrato nella foto qui sotto, l’hip thrust può essere eseguito anche con altri tipi di sovraccarico oltre al classico bilanciere (dischi, manubri, kettlebells). Anche se indubbiamente il bilanciere rimane l’attrezzo con cui è possibile caricare più peso, ricordiamo che il concetto di sovraccarico progressivo è uno dei pilastri dello sviluppo muscolare, inoltre i grossi carichi aumentano il reclutamento muscolare (legge di Henneman) [2,3,4].
In un contesto di allenamento in monofrequenza, cioè in cui si allenano specificamente gli arti inferiori (glutei compresi), un esempio di routine potrebbe essere:
Lunedì: petto, spalle, tricipiti;
Mercoledì: dorso, bicipiti, addome
Venerdì: gambe e glutei
Hip thrust 4x8
Leg extension 3x15
Leg curl 3x12
Calf machine 4x10
Invece, in multifrequenza (più di un allenamento a settimana):
A-B-A
A = petto, dorso, tricipiti, polpacci, addome
B = spalle, trapezi, bicipiti, gambe e glutei
Lento avanti con manubri 4x8
Alzate laterali 4x12
Scrollate con manubri 3x10
Curl su panca inclinata 3x10
Hammer curl ai cavi 3x8-8-8 (drop set)
Squat 5x8
Hip thrust 4x10
Ovviamente la scheda è un esempio, qualcosa di molto indicativo. L’allenamento va cucito su misura ad ogni persona, possibilmente da un personal trainer competente.
Per una corretta crescita muscolare l’alternanza degli stimoli allenanti è sempre la miglior cosa, insieme alla costanza
Conclusioni
Specificato che gli esercizi magici e adatti a tutti purtroppo non esistono, seguendo le regole dettate dalla fisiologia articola e biomeccanica umana, l’hip thrust è indubbiamente un movimento molto interessante per gli arti inferiori, specialmente per i glutei. Sulla carta anche migliore dello squat, degli affondi, degli esercizi alle macchine, eccetera. E, se opportunamente periodizzato, nel lungo periodo può portare a grandi risultati, sia in termini estetici (ipertrofia) che di forza.
1 Contreras B. et al. – A Comparison of Gluteus Maximus, Biceps Femoris, and Vastus Lateralis Electromyographic Activity in the Back Squat and Barbell Hip Thrust Exercises (2015) 2 Henneman E. et al. – Functional significance of cell size in spinal motoneurons (1965) 3 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a homogeneous red muscle (soleus) of the cat (1965) 4 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a heterogeneous pale muscle (m. gastrocnemius) of the cat (1965)
La stragrande maggioranza delle persone che frequenta centri fitness e palestre ha come obiettivo principale un aumento di massa magra a discapito di quella grassa.
Molti però non sono particolarmente avvezzi agli esercizi canonici di sala e per questo negli ultimi anni,da quando i Box Cross-Fit e altre tipologie di strutture affini, hanno introdotto attrezzi tipici di Ginnastica e Calisthenics, le zone adibite a questo tipo di attività sono sempre più affollate. Va chiarito però che le attività sopra citate differiscono per fine ultimo in quanto il calisthenics ha come priorità l’acquisizione di skill a difficoltà crescente che di conseguenza portano ad un miglioramento in termini di forza generale ed ipertrofia mentre se usiamo l’allenamento a corpo libero ponendo come priorità assoluta l’aumento di massa muscolare, i protocolli allenanti e la scelta degli esercizi cambiano decisamente.
In questo pezzo porremo l’attenzione sull’allenamento senza uso di sovraccarico esterno a scopo ipertrofico. Vanno dunque scanditi e chiariti alcuni punti prima di partire ad allenarsi:
1) Allenarsi a corpo libero vuol dire discostarsi leggermente, soprattutto se si ha un background fisico di un certo livello, dal solito range di serie x rep. Il volume sarà molto alto e maggiore sarà il vostro livello di allenamento tanto maggiore sarà il rapporto di quest’ultimo con l’intensità.
2) Fattore positivo da aggiungere agli altri è anche il fatto che questo tipo di allenamento ha un discreto impatto sul sistema cardiocircolatorio,dunque il dispendio calorico per seduta sarà superiore a quello di una normale seduta con i pesi.
3) Maggiore sostenibilità degli allenamenti. A livello articolare e muscolare, allenarsi a corpo libero dovrebbe essere molto meno traumatico di allenarsia con i sovraccarichi. Questo ci darà maggiore margine di errore durante l’esecuzione degli esercizi (sbagliare uno squat libero non è come sbagliarlo sotto 200kg-in teoria) ed anche la possibilità di allenarci quasi tutti i giorni in quanto soprattutto nella fase iniziale della programmazione, il danno muscolare sarà molto assimilabile in termini di recupero.
4) Allenarsi usando il proprio corpo sviluppando esercizi in multiplanarietà sfruttando la libertà di movimento e il movimento stesso è, a differenza di molte “formule magiche e miracolose”, il vero sunto dell’ allenamento funzionale.
Quindi perché non mollare tutto e allenarsi solo ed esclusivamente così? Perché dipende da cosa volete :
1) Per arrivare a canoni estetici da Bbuilder (volumi al limite del natiral….e a volte no) servono i pesi in quanto gli sviluppi e soprattutto le conseguenze richieste dagli stimoli allenanti, prescindono molto dall’idea reale dell’allenamento a corpo libero.
2) Ad un certo punto bisogna zavorrare gli esercizi in quanto il peso corporeo non basta più come stimolo allenante. Questo però sopraggiunge molto in seguito in quanto prima di passare al sovraccarico degli esercizi si procede con la modifica di altri fattori determinanti.
Bene, Pronti? Via…
Partiamo con due esempi giornalieri di allenamento :
Warm up 10′ cardio + mobility
MAIN PART:
A – PRINCIPIANTE
· Push up regular 3×15;
· Triceps extension on bench 2×10;
· Inverted Row 3×15;
· Inverted Row chin grip 2×10;
· Squat 5×20
· Sit up 3xmax
B – AVANZATO
· One arm push up 4×10+10
· Diamond push up 2xmax
· Pull up 3×20
· Chin up 2xmax
· Pistol 4×10+10
· Toes to bar 3xmax
Questi sono solo due esempi di come si ci potrebbe allenare con l’ausilio unico del proprio peso corporeo. Naturalmente, non essendo contestualizzati in programmazioni a lungo raggio settate su particolari obiettivi, i precedenti esempi potrebbero significare tutto e niente allo stesso tempo.
Elemento da non sottovalutare è anche il fattore economico: sbarra + tappetino (opzionale) e si ci può allenare in maniere completa, risparmiando soldini da poter investire in un personal trainer che vi programmi il lavoro (unico modo per raggiungere obiettivi concreti).
Detto questo bando alle ciance e via con gli allenamenti!
Non è raro vedere atleti, soprattutto sui social network, immergersi nell’acqua gelida. Ma cosa c’è dietro a tutto questo? Saldi principi fisiologici oppure le solite mode passeggere? Scopriamolo insieme!
Quello che segue è un riassunto ed adattamento di un articolo in lingua straniera riportato su Science for Sport. Buona lettura!
Introduzione
Si ricorre a tecniche di recupero come quella delle immersioni in acqua fredda per minimizzare il rischio di infortunio e per evitare il sovrallenamento (overtraining).
Gli effetti delle immersioni in acqua fredda non sono ancora del tutto chiari, si ipotizza che siano utili per il recupero muscolare e la riduzione degli stati infiammatori sia per gli atleti di sport di forza/potenza (allenamento con i sovraccarichi) che di resistenza (corsa, ciclismo). Recenti studi sostengono che il tempo ottimale di immersione (altro…)
Con l’avvento del functional trainig sempre più popolare è diventato l’impiego dei kettlebell. Questa palla di ghisa con maniglia viene spesso definita “palestra portatile”. Quanto è vera questa affermazione? Tanto. Questo attrezzo affonda le radici fin nella storia primordiale dell’allenamento con sovraccarichi : dagli antichi greci ai Russi dell’era degli zar fino agli strongmen e pesisti dei primi dell’800. Insomma, non la solita moda ma un oggetto che è sopravvissuto ad anni ed anni, evolvendosi nel design e nella forma sempre più “comoda” da maneggiare.
Ma cosa si allena con i kb o come li chiamano i Russi, ghirye?
Tutto. Dall’ipertrofia muscolare al conditioning di ogni singolo meccanismo energetico. Bisogna però prima distinguere le due più grandi scuole di pensiero sullo stile di utilizzo dei kb : RKC e GhiriSport. Uno ha come obiettivo l’incremento del carico della ghirya per un numero relativo di ripetizioni mentre il secondo è uno sport con con regole-competizioni-categorie-specialità che ha come fine ultimo il raggiungimento del massimo numero di ripetizioni in determinati range of time con una/due ghirye relativamente pesanti (da 16kg a 32kg). Questa è una semplice illustrazione grossolana delle differenze fra filosofie di impiego dello stesso attrezzo.
Quale è la migliore ? NESSUNA.
Sul web, nei gruppi di discussione, spesso si da vita a scontri su quale linea sia meglio: Esplosivi ma per brevi periodi o un buon compromesso fra potenza e Time unit? Per citare il signor Biasci «DIPENDE». Da cosa? Dal motivo per cui ti alleni: ai fini di preparazione atletica generale? Al mero scopo fitness/estetico? In entrambi i casi i suddetti approcci possono portare a miglioramento sullo stesso ambito di impiego. A mio avviso, un giusto mix fra i due stili porta beneficio a chi pratica questo tipo di training in quanto con l’aumentare del carico del kb si tenderà ad adottare movimenti più “scattosi” e meno armoniosi, tipici dello stile RKC. Così come per allenamento di media/lunga duraga, sarà più opportuno adottare movenze da girevyk (agonista del GhirySport).
Nei prossimi articoli, vedremo degli esempi di allenamento che mixano i due stili e li applicheremo a :
Negli ultimi anni, il calisthenics, un po’ come il CrossFit, ha avuto un enorme boom in quanto a popolarità. Vuoi per la presenza di alcune skills di forte impatto visivo, vuoi per la possibilità di allenarsi quasi a costo zero (altro…)
E’ capitato a qualunque sportivo di parlare o sentir parlare almeno una volta di acido lattico e magari anche di lattato. Spesso confusi, questi due non sono in realtà la stessa cosa e adesso vedremo brevemente il perché.
Durante sforzi muscolari di una certa intensità, superata un certa quantità di tempo (mediamente 9-12 secondi), nei muscoli interessati inizia ad accumularsi più acido lattico del dovuto: l’organismo non è più in grado di smaltirlo come dovrebbe.
Quando l’acido lattico, dal muscolo viene spostato nel torrente ematico, prende il nome di lattato, dato che la sua struttura chimica viene modificata (perde uno ione H+).
Dopo sforzi fisici ripetuti, grafico qui sotto, è possibile effettuare dei prelievi di sangue dalla punta delle dita o dalle vene delle braccia per scoprire qual è la soglia del lattato.
Relazione tra intensità di esercizio (vel. di corsa) e accumulo di lattato. I campioni di sangue sono stati prelevati dopo che il corridore aveva corso per 5 minuti a ciuscuna delle velocità riportare sull’asse delle ascisse (LT = soglia del lattato).
Mettendo su grafico i risultati, chiameremo soglia del lattato il punto oltre il quale l’accumulo di lattato ematico schizza alle stelle, superando di gran lunga i livelli tenuti a riposo. La LT, nelle persone sedentarie, corrisponde a circa il 55-60% del VO2max, negli atleti agonisti praticanti sport di resistenza anche 70-80%.
Fino a un po’ di anni fa la soglia del lattato era, a detta di molti, corrispondente a 4 mmoli/L ma questa cifra, rimessa in discussione negli ultimi anni, in reltà altro non è che una media ottenuta da vecchie indagini effettuate su larga scala. Possono esserci soggetti con una LT di 3 come di 5 o 6 mmoli litro di lattato ematico.
Quindi ricordate bene, il lattato e l’acido lattico NON sono la stessa cosa!