Questa particolare ed estrema branca del Ghiri Sport altro non è che la specialità “di fondo” riguardante appunto le gare di sollevamento delle Ghirie o Kettlebell.
Un po’ di teoria
Come già affrontato in precedenti articoli da me prodotti, l’uso del kettlebell è estremamente (altro…)
I glutei non crescono in alcun modo, anche allenandoli duramente? Che voi siate uomini o donne poco importa, perché in questo articolo andremo a parlare di un esercizio potenzialmente adatto a chiunque: l’hip thrust. Buona lettura!
Ah ma è Ronco?
Dat ass
Esecuzione tecnica
Si appoggia la base delle scapole ad una panca, tenendo il busto dritto, parallelo al suolo, tibia e femore devono creare un angolo retto (90° circa). I piedi devono essere ben piantati a terra, è importante che la superficie di appoggio non sia scivolosa. Il bilanciere deve essere posizionato all’altezza della anche. Si accompagna il peso verso il basso sfiorando il pavimento con il sedere e successivamente si spinge il peso verso l’alto, sfruttando più che si può la mobilità dell’anca (foto sotto). Per evitare infortuni, riveste una certa importanza l’atteggiamento della colonna vertebrale, specialmente quello della regione lombare. La spina dorsale deve avere un posizionamento neutro, non deve essere iperestesa. Al limite, per evitare ciò, si può provare a “guardare in avanti” con la testa, ricercando così una leggera e momentanea cifosi cervicale.
Inizio concentrica
Fine concentrica
Perché può essere migliore dello squat?
Il gluteo, lavorando come estensore dell’anca, è il muscolo maggiormente coinvolto nell’intero esercizio. E le elettromiografie, benché non esenti da limiti, lo confermano [1]. In sinergia con i glutei lavorano anche molti altri muscoli, in primis gli ischiocrurali ed il grande adduttore (anche loro sono estensori dell’anca). Se l’esecuzione dell’esercizio è corretta, lo scarso movimento di estensione e flessione dell’articolazione del ginocchio fa si che l’attivazione di altri grossi muscoli (es. quadricipiti) sia parecchio limitata. Questo ultimo punto ci spiega perché l’hip thrust sia un esercizio in grado di isolare meglio i glutei. Quest’ultimi lavorano molto anche nello squat, tuttavia nel movimento di accosciata intervengono anche una miriade di altri muscoli, invece nell’hip thrust il movimento è più “concentrato” sui glutei. Non che la cosa sia necessariamente negativa, tutt’altro, resta però il fatto che se si vuole andare a colpire il lato B, l’hip thrust sia più funzionale.
Inoltre, per eseguire lo squat è necessaria una certa lordosi nella bassa schiena, nell’hip thrust no, per quest’ultimo è richiesto un atteggiamento neutro della spina dorsale, pertanto anche le persone con una scarsa lordosi possono beneficiare di questo esercizio (ciò riguarda soprattutto le donne).
Come iniziare a farlo
E’ consigliabile apprendere lo schema motorio prima a corpo libero, poi con dei carichi molto bassi, utilizzando magari l’elastico, per poi passare a sovraccarichi più importanti. Perché l’elastico? Perché a livello propriocettivo può essere utile posizionare una banda elastica qualche centimetro sopra le ginocchia, questo perché il gluteo è un abduttore dell’anca e trovando l’opposizione della resistenza elastica si contrae anche per evitare l’adduzione degli arti inferiori.
Come mostrato nella foto qui sotto, l’hip thrust può essere eseguito anche con altri tipi di sovraccarico oltre al classico bilanciere (dischi, manubri, kettlebells). Anche se indubbiamente il bilanciere rimane l’attrezzo con cui è possibile caricare più peso, ricordiamo che il concetto di sovraccarico progressivo è uno dei pilastri dello sviluppo muscolare, inoltre i grossi carichi aumentano il reclutamento muscolare (legge di Henneman) [2,3,4].
In un contesto di allenamento in monofrequenza, cioè in cui si allenano specificamente gli arti inferiori (glutei compresi), un esempio di routine potrebbe essere:
Lunedì: petto, spalle, tricipiti;
Mercoledì: dorso, bicipiti, addome
Venerdì: gambe e glutei
Hip thrust 4x8
Leg extension 3x15
Leg curl 3x12
Calf machine 4x10
Invece, in multifrequenza (più di un allenamento a settimana):
A-B-A
A = petto, dorso, tricipiti, polpacci, addome
B = spalle, trapezi, bicipiti, gambe e glutei
Lento avanti con manubri 4x8
Alzate laterali 4x12
Scrollate con manubri 3x10
Curl su panca inclinata 3x10
Hammer curl ai cavi 3x8-8-8 (drop set)
Squat 5x8
Hip thrust 4x10
Ovviamente la scheda è un esempio, qualcosa di molto indicativo. L’allenamento va cucito su misura ad ogni persona, possibilmente da un personal trainer competente.
Per una corretta crescita muscolare l’alternanza degli stimoli allenanti è sempre la miglior cosa, insieme alla costanza
Conclusioni
Specificato che gli esercizi magici e adatti a tutti purtroppo non esistono, seguendo le regole dettate dalla fisiologia articola e biomeccanica umana, l’hip thrust è indubbiamente un movimento molto interessante per gli arti inferiori, specialmente per i glutei. Sulla carta anche migliore dello squat, degli affondi, degli esercizi alle macchine, eccetera. E, se opportunamente periodizzato, nel lungo periodo può portare a grandi risultati, sia in termini estetici (ipertrofia) che di forza.
1 Contreras B. et al. – A Comparison of Gluteus Maximus, Biceps Femoris, and Vastus Lateralis Electromyographic Activity in the Back Squat and Barbell Hip Thrust Exercises (2015) 2 Henneman E. et al. – Functional significance of cell size in spinal motoneurons (1965) 3 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a homogeneous red muscle (soleus) of the cat (1965) 4 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a heterogeneous pale muscle (m. gastrocnemius) of the cat (1965)
Arrivati all’ultimo articolo della raccolta di pezzi sul largo impiego dei KB nel mondo sportivo/fitness, parleremo oggi di questo meraviglioso attrezzo in funzione della preparazione atletica per gli sport da combattimento.
Cosa lo rende così adatto a questo utilizzo? Il fatto che il kettlebell-Training renda migliori un po’ in tutto, senza far raggiungere picchi esagerati di nessuna capacità organica in particolare. In poche parole: se ti alleni bene con le ghirye sarai più potente, più resistente e se adotti una giusta alimentazione anche con rapporti di % BF (Massa Grassa)/LM(Massa Magra) ottimi.
Andiamo un attimo più affondo adesso. Come (altro…)
In questo secondo articolo parleremo di KB-Training for “weight-loss“.
Come ben si sa, lo scopo principale dell’utente medio che si appresta ad iscriversi in palestra è quello di perder peso. Colloquio conoscitivo, pagamento della retta, colloquio con l’istruttore di sala, ed ecco il solito schema di allenamento 3 volte a settimana “Lun: Petto e braccia ; Merc: Dorso e Addome; Ven: Gambe e spalle; Sab: Cardio a digiuno”. Senza voler screditare nessuno di quelli che usa questo approccio, il risultato sarà che il cliente si annoia a fare esercizi “privi di emozione” (chiunque entra per la prima volta il palestra fa la panca solo col bilanciere vuoto e altra roba simile, sudando più nel riscaldamento sul tapis che durante l’esecuzione della routine vera e propria), non vede i risultati sperati nei tempi sperati (se ragionevoli) e dunque tenderà via via ad allontanarsi dalla palestra passando prima da mille corsi collettivi di poca utilità reale se non quella sociale.
Dopo questa soporifera premessa finalmente arriviamo al sodo : cosa fare dunque? Come possono i KB evitare ciò, facendo sopraggiungere i risultati in tempi più ristretti? Fermo restando che quando si parla di dimagrire l’80% lo fa la dieta, noi con la giusta attività possiamo aiutare questo processo. Le ghirye se usate a dovere quindi con esercizi e modalità per cui sono nate, coinvolgono una moltitudine di capacità fisiche: Produzione energetica; Forza (non in senso stretto) e resistenza ad essa; Coordinazione+propriocezione+controllo posturale.
Bene, potrete dire “ma io queste cose posso allenarle anche senza kettlebell”. GIUSTO, MA DIFFICILMENTE NELLA STESSA SESSIONE.
Il primo fattore a favore delle ghirye è che si adattano al movimento di qualunque parte del corpo: puoi alzarla, sollevarla, lanciarla, farla girare… insomma può compiere sola o “insieme al tuo corpo” qualunque movimento. Questo implica una grossa componente di multiplanarietà nel training e quindi una forte stimolazione nervosa (coordinazione+propriocezione+controllo posturale).
Il secondo vantaggio è invece il coinvolgimento di catene cinetiche, core, sistemi energetici e sollecitazione della mobilità delle principali articolazioni. In soldoni: dispendio calorico alto, potenziamento muscolare funzionale ed esteso e miglioramento condizione articolare.
Ma tutto questo come? Anche semplicemente facendo oscillare un KB per diverso tempo. Tutto parte dall’oscillazione dell’attrezzo, dallo SWING. Questo esercizio che si va poi a legare al 90% di tutte le skills dei movimenti da eseguire col Kettlebell, è il pilastro di tutto ciò che abbiamo elencato in questo articolo.
Questo è un argomento molto vasto, da trattare con tecnici specializzati che vi seguano passo dopo passo nella spiegazione tecnica e nella programmazione dei vostri allenamenti. Voglio comunque invitarvi ad iniziare allenarvi in stile KB training:
5 Round For time:
- 10 push up
- 20 swing (altezza ombelico)
- 10 sit up
- 20 swing (altezza petto)
- 10 Lunges per gamba
- 20 swing (altezza poco superiore alla fronte)
1' di recupero
Questo è solo un piccolo esempio, di come può incontrarsi l’applicazione del kettlebell ad alcuni esercizi a corpo libero e dare vita ad una dinamica sessione accostabile ad una miriade di scopi fra cui quello dimagrante, grazie appunto all’elevato dispendio calorico causato dai movimenti con questa “palla di cannone” dotata di maniglie.
Con l’avvento del functional trainig sempre più popolare è diventato l’impiego dei kettlebell. Questa palla di ghisa con maniglia viene spesso definita “palestra portatile”. Quanto è vera questa affermazione? Tanto. Questo attrezzo affonda le radici fin nella storia primordiale dell’allenamento con sovraccarichi : dagli antichi greci ai Russi dell’era degli zar fino agli strongmen e pesisti dei primi dell’800. Insomma, non la solita moda ma un oggetto che è sopravvissuto ad anni ed anni, evolvendosi nel design e nella forma sempre più “comoda” da maneggiare.
Ma cosa si allena con i kb o come li chiamano i Russi, ghirye?
Tutto. Dall’ipertrofia muscolare al conditioning di ogni singolo meccanismo energetico. Bisogna però prima distinguere le due più grandi scuole di pensiero sullo stile di utilizzo dei kb : RKC e GhiriSport. Uno ha come obiettivo l’incremento del carico della ghirya per un numero relativo di ripetizioni mentre il secondo è uno sport con con regole-competizioni-categorie-specialità che ha come fine ultimo il raggiungimento del massimo numero di ripetizioni in determinati range of time con una/due ghirye relativamente pesanti (da 16kg a 32kg). Questa è una semplice illustrazione grossolana delle differenze fra filosofie di impiego dello stesso attrezzo.
Quale è la migliore ? NESSUNA.
Sul web, nei gruppi di discussione, spesso si da vita a scontri su quale linea sia meglio: Esplosivi ma per brevi periodi o un buon compromesso fra potenza e Time unit? Per citare il signor Biasci «DIPENDE». Da cosa? Dal motivo per cui ti alleni: ai fini di preparazione atletica generale? Al mero scopo fitness/estetico? In entrambi i casi i suddetti approcci possono portare a miglioramento sullo stesso ambito di impiego. A mio avviso, un giusto mix fra i due stili porta beneficio a chi pratica questo tipo di training in quanto con l’aumentare del carico del kb si tenderà ad adottare movimenti più “scattosi” e meno armoniosi, tipici dello stile RKC. Così come per allenamento di media/lunga duraga, sarà più opportuno adottare movenze da girevyk (agonista del GhirySport).
Nei prossimi articoli, vedremo degli esempi di allenamento che mixano i due stili e li applicheremo a :
Benché non occorra essere per forza dei geni in anatomia per allenarsi correttamente, è indubbiamente utile avere nel proprio bagaglio teorico un po’ di nozioni riguardanti almeno i gruppi muscolari più grandi. Buona lettura!
Cenni anatomici sui muscoli pettorali
I muscoli del petto possiamo suddividerli in grande pettorale e piccolo pettorale. L’inserzione del gran pettorale è a livello della cresta e della grande tuberosità dell’omero. Agisce a livello della articolazione scapolo omerale generando abduzione e rotazione della articolazione; è inoltre capace di sollevare il tronco in una azione inspiratoria accessoria.
A sua volta, il gran pettorale è diviso in tre capi:
Clavicolare: si origina dal margine anteriore della clavicola
Sterno-costale: che origina dalla faccia anteriore dello sterno e dalle cartilagini costali (dalla seconda a sesta)
Addominale: che origina dalla parte superiore della lamina anteriore.
Questi tre capi si uniscono in un’unica inserzione omero, sulla cresta del tubercolo maggiore.
Il piccolo pettorale invece, si origina con tre fasci distinti sulla terza, quarta e quinta costola, si inserisce a livello del processo coracoideo della scapola (si tratta di un’altra struttura scapolare mediale all’acromion). La sua funzione principale è quella di abbassare la spalla e sollevare le coste, si tratta pertanto di un muscolo inspiratorio.
Un po’ di muscoli della parte alta del corpo
Quando andiamo a sforzare il petto in un qualsiasi esercizio, inevitabilmente interverranno anche il capo anteriore del deltoide, il tricipite, il gran dentato ed il subclavio. Quando tutto questo insieme di muscoli lavora, inevitabilmente agisce su due grandi strutture articolari: il cinto scapolare (scapola e clavicola) e l’omero.
Biomeccanica di base
In letteratura scientifica è ormai assodato che il gran pettorale abbia all’incirca 42% di fibre muscolari rosse (tipo I) ed il 58% di fibre bianche (tipo II) [1]. La sua funzione principale è quella di addurre e abdurre l’omero, abbassarlo, fletterlo orizzontalmente, intraruotarlo, collocarlo in una posizione di anteposizione e realizzare una flessione sagittale dell’omero.
Illustrazione di alcune delle funzioni del gran pettorale: a = anteposizione dell’omero; b = abbassamento; c = adduzione e abduzione; d = adduzione sul piano sagittale; e = anteposizione (fino a circa 60°); f = intrarotazione; g = flessione orizzontale.
Il piccolo pettorale invece, ha una diversa distribuzione di fibre muscolari: 51% rosse (I) e 49% rapide (II). Le sue funzioni sono in primo luogo il far eseguire delle flessioni orizzontali dell’omero, mettere sempre quest’ultimo in anteposizione, abbassarlo ed estendere le scapole.
Illustrazione di alcune funzioni del piccolo pettorale: a = abbassamento dell’omero; b = anteposizione.
Il deltoide anteriore ha indicativamente un 60% circa di fibre rosse (I) e un 40% di fibre bianche (II). Le sue funzioni più importanti sono quelle di flettere orizzontalmente l’omero e di extraruotarlo.
Il tricipite ha all’incirca il 60% di fibre rosse (I) ed il 40% di fibre bianche (II). Presenta tre capi (lungo, laterale e mediale) ed esercita la sua azione sull’articolazione scapolo-omerale, adducendo ed estendendo l’omero, e l’articolazione del gomito, estendendo l’avambraccio sul braccio.
Il gran dentato ha un grosso predominio di fibre rosse (I), come funzioni base garantisce una flessione orizzontale dell’omero, una sua flessione sagittale, una abduzione scapolare e una rotazione esterna delle scapole.
Il succlavio, come il gran dentato, è composto per lo più da fibre rosse (I) e la sua funzione di maggior importanza è quella di abbassare la clavicola.
Tutte queste nozioni ci serviranno ora per andare ad analizzare i principali esercizi per il petto e per valutare quali possono essere i migliori e perchè.
Breve analisi degli esercizi
Dopo aver osservato le funzioni dei muscoli sui vari piani di movimento, possiamo arrivare a capire che per far lavorare al meglio i pettorali, dobbiamo muovere dei carichi con movimenti di spinta (es. distensioni su panca) e di apertura (es. croci).
Distensioni su panca piana: quando andiamo a eseguire delle distensioni su panca piana, i muscoli che intervengono sono principalmente il grande e piccolo pettorale, il capo anteriore del deltoide ed i tricipiti anche se a voler essere pignoli, i muscoli coinvolti in questo esercizio sono infinitamente di più, la mia è una semplificazione. Nell’esecuzione della panca, l’alternarsi di fase concentrica ed eccentrica, fa addurre ed abdurre il petto. Inoltre la distensione delle braccia garantisce un marcato lavoro del tricipite.
Nella panca piana con bilanciere una presa molto larga diminuisce il range di movimento complessivo, il gomito scende poco sotto la testa dell’omero (scarsa adduzione-abduzione del pettorale) e i tricipiti lavorano meno (ridotto piegamento delle braccia). Viceversa, una presa più stretta aumenta il lavoro dei pettorali (maggior adduzione-abduzione) e coinvolge maggiormente i tricipiti (aumenta il piegamento delle braccia). Pertanto non esiste un soluzione al problema dei tricipiti “rubano” il lavoro al petto, poiché i muscoli lavoreranno molto in entrami i casi. Indipendentemente dalla larghezza della presa, l’esecuzione con bilanciere avrà sempre e comunque un rom (range di movimento) ridotto rispetto a quella con manubri (foto sotto). Inoltre, l’instabilità data dai manubri può aiutare le persone nella propriocezione muscolare, fattore fondamentale per un’ottimale crescita. Di contro però, con il bilanciere, nel tempo, sarà più facile aumentare il sovraccarico (anche se questo è un concetto più per atleti avanzati).
Prima di passare al prossimo esercizio, è bene ricordare un’ultima cosa sulla panca piana: questo, più di altri, non è un esercizio per tutti.
Un soggetto con leve favorevoli (cassa toracica grande, angolo fra sterno e testa omero ampio e linea di trazione del pettorale quasi verticale) riuscirà a sviluppare più forza e ad ottenere una risposta ipertrofica maggiore rispetto a soggetti più gracili e longilinei (illustrazione sotto).
Distensioni su panca inclinata: negli anni se ne sono dette di tutti i colori su di essa, ma attualmente grazie a dei progressi nella letteratura scientifica [2,3], si è scoperto un discreto vantaggio nell’utilizzo di questo esercizio, rispetto alle classiche distensioni in piano, almeno quanto riguarda il reclutamento dei fasci clavicolari (la banale “parte alta” del petto).
Come mostrato nel grafico riportato sopra, i vantaggi ci sono unicamente dai 45° in su, inclinazioni minori della panca stimolano troppo poco questi fasci muscolari.
Distensioni su panca declinata: ottimo esercizio per reclutare tutte le fibre dei muscoli pettorali, è l’esercizio in cui generalmente si carica di più, garantisce quindi un’elevata tensione meccanica nei nostri allenamenti (fattore chiave dell’ipertrofia muscolare).
Dips alle parallele: i dips, o distensioni alla parallele, non si è mai capito se siano più utili allo sviluppo dei pettorali o dei tricipiti. Osservando le nozioni fornite nel precedente paragrafo, possiamo intuire il coinvolgimento del tricipite a causa dell’estensione dell’avambraccio sul braccio (anche se in questo caso sarebbe più appropriato parlare di distensione, dato che le mani si trovano in appoggio su una sbarra). Riguardo al petto invece, il gran pettorale interviene anche’esso nella fase concentrica, essendo un flessore del braccio (con i fasci superiori o clavicolari).
Esistono in realtà due versioni di questo stesso esercizio: le distensioni classiche, con presa stretta e busto piuttosto verticale e le chest dips, con la presa un po’ più larga ed il busto più inclinato in avanti (a voler quasi simulare una panca declinata). In linea del tutto teorica, quelle classiche stimolano soprattutto i fasci clavicolari del gran pettorale, perchè impongono una flessione della spalla da posizione iperestesa. Le chest dips invece, fanno lavorare i fasci inferiori del gran pettorale a causa del movimento di adduzione della spalla.
A voler essere puntigliosi, un vecchio studio tedesco [4] dimostra come scendere oltre l’angolo di 90° nelle dips normali, testa dell’omero che va sotto il gomito, faccia calare l’attivazione del tricipite in maniera abbastanza significativa (-12%), nelle distensioni con presa più larga invece, le chest dips, il calo è molto minore (-3%).
Va infine sottolineato che il materiale scientifico per valutare l’attività elettriomiografica (EMG) dei pettorali nelle distensioni alla parallele è veramente pochissimo. Abbiamo a disposizione un solo studio più o meno attendibile [5], il quale ha evidenziato una marcata attivazione dei fasci inferiori ma purtroppo non specifica nè l’ampiezza della presa, nè l’inclinazione del busto. Va infine aggiunto che le analisi tramite EMG hanno dei palesi limiti.
Croci e aperture ai cavi: sono dei validi esercizi perchè consistono in delle flessioni orizzontali dell’omero. Ripassando quanto detto a inizio articolo, si capisce l’utilità di questi esercizi nell’andare a colpire muscoli come il grande pettorale, piccolo pettorale e deltoide anteriore. Non permettono di caricare molto peso, quindi non vengono scelti come esercizio principale per il petto e con essi si opta per ripetizioni medio-alte. Inoltre, nell’esecuzione con manubri, l’andare ad intraruotare l’omero una volta giunti verso la fine della fase concentrica può essere uno stimolo in più per il muscolo target (gran pettorale). Al contrario, un extrarotazione aumenterebbe solo lo stress al capo anteriore del deltoide.
Nelle croci con manubri, la massima tensione è data dalla forza di gravità, infatti quando l’omero è parallelo al suolo (figura sotto), quindi all’inizio della contrazione concentrica, la tensione è massima. Mentre è prossima allo zero, se i due manubri si trovano in alto, vicini, perpendicolari al suolo (al termine della fase concentrica).
Discorso invece diverso se si opta per la variante ai cavi (fig. sotto), in essa c’è una resistenza data dai cavi “che tirano”, la quale garantirà un coinvolgimento del gran pettorale anche al termine della fase concentrica. Per evitare “pause” durante la contrazione, potrebbe essere sensato preferire le croci ai cavi a quelle con i classici manubri, oppure utilizzare sempre i manubri ma effettuare delle ripetizioni parziali (ROM incompleto).
Dopo tutta questa pappardella risulta chiaro come il voler isolare singole parti del petto, sogno di molti palestrati, sia pura fantascienza e che, a seconda di leve e di altre caratteristiche ereditate geneticamente, certi esercizi non siano ottimali per tutti. L’allenamento va programmato, periodizzato e deve essere necessariamente individualizzato, anche se esistono delle “regole” anatomiche e fisiologiche comuni un po’ a tutti, le quali devono essere rispettate.
Kapandji I. A. – Fisiologia articolare(Monduzzi; 7a ediz., 2007) Beraldo S. – Allenamento muscoli pettorali (2016) Nick Evans – Bodybuilding Anatomy(Calzetti Mariucci, 2008) 1 Bosco C. – La forza muscolare. Aspetti fisiologici ed applicazioni pratiche(Società Stampa Sportiva; 2a ediz., 2002) 2 Trebs et al. – An electromyography analysis of 3 muscles surrounding the shoulder joint during the performance of chest press at several angles (2010) 3 Luczak et al. – Shoulder muscle activation of novice and resistance trained women during variations of dumbbell press exercise (2013) 4 Boeckh-Behrens W. et al. – Fitness-Krafttraining:die besten Übungen und Methoden für Sport und Gesundheit (2000) 5 Contreras B. – Inside the Muscles: Best Chest and Triceps Exercises (2010)
Lo squat e la pressa per le gambe (o leg press) sono due esercizi di spinta degli arti inferiori, entrambi ben noti per essere utilizzati al fine di incrementare la forza, la massa muscolare, di rafforzare legamenti e tendini (scopi riabilitativi), eccetera.
Anche nello strength and conditioning, o preparazione atletica, entrambi gli esercizi sono parecchio usati. Sia per lavori di forza massimale e resistente (contrazioni muscolari non particolarmente rapide) che per esercitazioni esplosive (tempo di contrazione piuttosto breve). In questo articolo ci soffermeremo proprio sulla preparazione atletica, confrontando questi due grandi esercizi, mettendo sul tavolo un recentissimo studio [1] che ha osservato differenti influenze sui salti, derivanti dall’allenamento dello squat e della leg press.
Dettagli dello studio
Gruppi di studio: dopo dei test iniziali atti a stimare i loro carichi massimali (1RM), le cavie sono state inserite in maniera del tutto casuale in tre distinti gruppi. Un gruppo di soggetti che si allenava solo con lo squat (SQ), un gruppo che si allenava solamente con la leg press (LP) e un gruppo che svolgeva un allenamento misto, alternando lo squat alla pressa (SQ-LP).
Numero partecipanti: 26
Sesso: tutti maschi
Età media: 22
Altezza media: 175,4 cm
Massa corporea media: 80.7 kg
Altre caratteristiche dei soggetti: tutti privi di problemi di natura muscoloscheletrica, tutti assolutamente “natural” (nessuno era sotto steroidi o altre sostanze illecite) e nei 6 mesi antecedenti a questo studio nessun partecipante aveva seguito protocolli di allenamento con i sovraccarichi.
Durata dello studio: 10 settimane
Programma di allenamento: un semplice ma efficace 6×8-12*, con un recupero fra le serie di 90-120 secondi. Tutto ciò è stato eseguito per due sedute settimanali
È bene sottolineare che il volume di allenamento totale di ogni singolo gruppo era praticamente il medesimo.
*serie x ripetizioni
Risultati
Tralasciando le modifiche ottenute sulla composizione corporea che, almeno in questo articolo, non ci interessa trattare, e che dipendono molto anche dal regime alimentare seguito.
Si sono visti dei concreti miglioramenti nei tempi di contrazione muscolare e nell’altezza raggiunta nel salto verso l’alto (vertical jump) soprattutto nel gruppo che eseguiva lo squat (SQ), seguito poi dal gruppo combinato (SQ-LP) e da quello della pressa (LP).
Da sinistra a destra: le prime tre colonne riguardano il gruppo che ha allenato solamente lo squat (SQ), quelle centrali il gruppo misto (SQ-LP) e le ultime tre a destra il gruppo della pressa (LP).
Conclusioni
Senza voler tirarla troppo per le lunghe, dato che i risultati sono sotto gli occhi di tutti, il maggior transfert ottenuto tramite lo squat è probabilmente collegabile al maggior rom (range di movimento) rispetto alla leg press (più lavoro muscolare) ed al maggior impegno neuromuscolare nello squattare. Inoltre, la quasi totale esclusione dei muscoli stabilizzatori nella leg press, non coinvolti negli esercizi guidati alle macchine, rende l’esercizio probabilmente troppo dissimile dai salti verticali, diminuendone il transfert effettivo. Ciò tuttavia non toglie che anche la pressa porti a dei miglioramenti prestativi sui salti verticali. Ergo, benché uno schema motorio come quello dell’accosciata eseguito a pesi liberi sia preferibile, questo non vieta di utilizzare, in certi casi, la pressa e/o di alternare i due esercizi.
«Il bambino non è un adulto in miniatura e la sua mentalità non soltanto quantitativamente, ma anche qualitativamente si differenzia da quella dell’adulto: per questa ragione, un bambino non è soltanto più piccolo ma anche diverso» (Claparèd, 1937).
Una mia vecchia tesi fatta per il corso FIPE riadattata ad articolo, buona lettura.
Spesso, soprattutto nelle palestre, noto che la persone hanno le idee un po’ confuse riguardo all’allenamento della forza.
Da chi esegue le distensioni su panca piana ai mille all’ora e rimbalzando (manco volesse sfondarsi la cassa toracica) a chi sceglie per ogni esercizio le 5 ripetizioni tirate alla morte e le mantiene fino a quando non si stufa, che i risultati ci siano stati o no.
Quel che segue è un breve esempio pratico di una periodizzazione dell’allenamento per sport da combattimento da seguire in vista di una competizione. Altri articoli sull’allenamento per gli SdC potete trovarli a questo link.
Tempo a disposizione: 14 settimane
T = Tecnica
Ta = Tattica
TT = Tecnica e tattica
F = Forza
P = Potenza
R = Resistenza
V = Velocità/rapidità
Sett.1-2: Adattamento anatomico, intensità e volume di lavoro medio-bassi. Si ripassa la tecnica degli esercizi (con carichi del 50-60% 1RM), ci si limita a qualche allungo blando sul campo di atletica e si gettano e basi aerobiche (capacità) tramite le classiche “corsette” da 30-90′ (min. 60-75% FC).
Sett.3: Forza. Volume medio-alto e intensità media. Ci si concentra sulle grandi alzate multiarticolari (panca piana, squat, stacchi da terra) e qualche complementare (trazioni, military press, hyperextension, weighted neck extension ecc.).
Sett.4: Potenza/f. esplosiva e velocità. Ci si concentra sui sollevamenti in grado di sviuppare alti gradienti di forza veloce anche con carichi impegnativi (power clean, power snatch, push press). Riguardo all’intensità ed al volume valgono le stesse regole del microciclo precedente (terza settimana). Per la velocità si svolgono lavori in pista (sprint) per incrementare capacità e potenza lattacida.
Sett.5: Resistenza. Tramite corse non particolarmente intense (60-75% FC) si cerca di incrementare il più possibile la capacità aerobica. Inoltre va migliorata la capacità e potenza resistente lattacida (circuiti, lavori al sacco).
Sett.6: Scarico attivo. Si tolgono una o due sedute (opzionale) e si allena solo ed esclusivamente la tecnica e la tattica.
Sett.7: Forza. Volume medio ed intensità medio-alta. Si eliminano un paio di esercizi complementari “superflui” e si progredisce con i carichi nelle alzate principali.
Sett.8: Potenza e velocità. Valgono sempre le medesime regole del microcico precedente (questo per a potenza). Invece, per quanto riguarda la velocità, il fine delle esercitazioni su campo di atletica è quello di incrementare la potenza lattacida e la capacità alattacida.
Sett.9: Resistenza. Mantenimento dea capacità aerobica e migioramento dea potenza aerobica con corse più intense (4′-5′ a VO2max). Incremento capacità e potenza resistente alattacida (e mantenimento di quelle lattacide).
Sett.10: come la sesta.
Sett.11: Forza. Zero esercizi complementari, i kg sollevati in panca, squat e stacco saranno ancora di più, a discapito del voume (i>v, proporzionalità inversa), tuttavia non si arriva mai a cedimento, va lasciato un certo buffer (1 ripetizione “in canna”).
Sett.12: Resistenza. Mantenimento della capacità e potenza aerobica, anaerobica lattacida e alattacida.
Sett.13: Potenza e velocità. Per la potenza le linee guida generai sono le stesse valide per la forza nell’undicesimo microcico. In più si cerca di mantenere la veocità acquisita (ovviamente affidandosi ad un cronometro).
Sett.14: Scarico attivo pre-match. Un allenamento dedicato alla potenza specifica (copitori, sacco, passate ecc.), due di R (mantenimento cap. e pot. aerobica, an. lattacida e alattacida). L’utimo giorno della settimana si terrà il match.