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  • La Forza nella Kickboxing e negli Sport da Combattimento: appunti per i coach

    La Forza nella Kickboxing e negli Sport da Combattimento: appunti per i coach

    Introduzione

    La forza è importante negli sport da combattimento? Sì, ma quanta? E di che tipo? Va anche aggiunto che di sport da combattimento (SdC) ce ne sono molti, più o meno famosi, alcuni anche molto diversi fra di loro… Allora vediamo di far chiarezza, possibilmente in breve, su domande affliggono innumerevoli persone, anche fra gli addetti ai lavori.

    Un “caso-studio”

    Roby, un simpatico ragazzo che seguo da un po’, ha 25 anni pratica in forma agonistica savate (boxe francese) e kickboxing/k-1. Ragazzo longilineo, dal peso che oscilla fra i 75 ed 80 kg. Dalla sua non ha una grande genetica, infatti fatica a mettere su massa muscolare ed ha le articolazioni particolarmente fragili (predisposizione?). Però gli va riconosciuto un pregio: la grande etica del lavoro, una resilienza degna di certi atleti professionisti. Fra un acciacco al gomito, uno al ginocchio ed un altro al petto, appena riconquistata una buona condizione di salute, gli ho programmato una scheda di allenamento della durata di sole 8 settimane (due mesi circa). Per farla breve, tre sedute di allenamento coi pesi a settimana con un certo focus sui multiarticolari (distensioni su panca piana e squat). Il precedente carico massimale (1RM) sollevato alla panca piana era di 73 chilogrammi, tempo di aumentarlo, no?

    Quanta forza serve negli sport da combattimento?

    Come avevo già accennato qui: «Le differenze inerenti l’utilizzo delle capacità condizionali negli SdC dipendono principalmente dalla velocità con cui una forza viene applicata. Con lo sviluppo di tensione, nel muscolo si verifica un accorciamento, questo accorciamento avviene in una determinata quantità di tempo, per cui, secondo la relazione fisica spazio/tempo si può riuscire a quantificare il tempo in cui questa contrazione avviene. Per sviluppare la massima forza esprimibile necessaria per un determinato movimento occorre tempo. Il tempo per raggiungere il picco di forza varia da persona a persona (leve, coordinazione inter e intramuscolare, fibre muscolari, capacità di reclutamento) e dal tipo di movimento […] Il jab di un abile boxeur (colpo dritto e rapido) si muove con una velocità ben diversa rispetto ad una normale proiezione di un lottatore (hip toss, double leg, single leg…). […] Il pugile non esprimerà mai e poi mai tutta la sua forza in quel colpo, è impossibile, i suoi segmenti corporei ed i relativi muscoli si muovono troppo velocemente, non c’è il tempo necessario per sviluppare grandi livelli di forza. Al contempo, il lottatore portando un takedown sarà un po’ più lento ma riuscirà ad imprimere molta più forza in quella tecnica […] Bisogna quindi fermarsi un attimo a riflettere per cercare di comprendere cosa serve per lo sport che si pratica». Negli sport da combattimento una buona base di forza è sempre utile, se non indispensabile per competere ed ottenere risultati soddisfacenti in gara. È importante specificare che tutte le espressioni di forza sono altamente dipendenti dalla forza dura e pure, cioè quella massimale. Allenando la forza massimale – alti carichi spostati a basse velocità – vi sarà un miglioramento “a cascata” di tutte le altre forme di questa capacità bio-motoria, come la forza esplosiva, forza resistente o forza veloce. Riguardo ad eventuali classificazioni, trovo molto condivisibile quella fatta dal più navigato collega Alain Riccaldi in un suo vecchio articolo, dove stilava la seguente lista:

    1. Lotta greco-romana
    2. Lotta libera
    3. Judo
    4. MMA
    5. Grappling (no-gi) e Sambo
    6. Brazilian jiu-jitsu
    7. Muay thai
    8. Boxe
    9. Kickboxing
    10. Taekwondo, Light contact, Point Karate

    Come facilmente intuibile, gli sport di rapidità “colpisci ed esci” sono quelli dove è richiesta meno forza massimale, mentre per quelli fatti di proiezioni, sollevamenti ed eventuali contrazioni statiche il discorso è l’opposto. Vi sono poi alcune discipline intermedie come muay thai dove la questione è più un “50 e 50”, lì la forza massimale conta – pensiamo ai lunghi clinch ed agli sbilanciamenti – ma è assai importante anche la forza rapida (colpi, spostamenti). In ogni caso, seppur in misura differente, ogni capacità bio-motoria dev’essere allenata per ogni singolo SdC. Al lottatore, judoka o grappler serve molta forza massimale, ma abbisognerà anche di esplosività e rapidità. Allo stesso modo, al kickboxer non servirà solo rapidità ma anche un certo livello di forza, potenza, capacità aerobica e così via. Superfluo (o forse no?) specificare che queste nozioni sono rivolte principalmente a fighter agonisti, desiderosi di incrementare le proprie performance ed eccellere sul tatami, ring o gabbia.

    Quanta forza serve per combattere?

    La verità assoluta non la possiede nessuno, ma anche in questa occasione sono è estremamente verosimile quanto scritto qui, con delle cifre che per gli atleti professionisti, riferite al più alto carico sollevabile (1RM), sono indicativamente le seguenti:

    – Panca Piana (1RM) 1.25-1.5xBW
    – Squat (1RM) 1.75-2xBW
    – Front Squat (1RM) 1.5-1.75xBW
    – Stacco (1RM) 2.25-2.5xBW
    – Power Clean (1RM) 1.25-1.5xBW
    – Trazioni zavorrate (1RM) 0.5-0.75xBW

    Ovviamente non è detto che un programma di allenamento debba necessariamente includere tutti questi esercizi. Io, prendendo spunto da queste indicazioni, accamperei dei numeri anche per gli atleti dilettanti, prendendomi la libertà di aggiungere un esercizio in più:

    – Panca Piana (1RM) 1-1.25xBW
    – Squat (1RM) 1.5-2xBW
    – Front Squat (1RM) 1.25-1.75xBW
    – Stacco (1RM) 2-2.25xBW
    – Power Clean (1RM) 1-1.25xBW
    – Trazioni zavorrate (1RM) 0.25-0.5xBW
    – Push press (1RM) 1xBW

    Il “BW” sta per peso corporeo (bodyweight), quindi la dicitura “Panca Piana (1RM) 1.25-1.5xBW” sta ad indicare che un livello di forza ideale, espresso sulla bench press, per un pugile professionista del peso di circa 70 kg corrisponde a un valore oscillante fra gli 87.5 (70×1.25) ed i 105 chili (70×1.5). Cifre invece un po’ più modeste se è un dilettante (70-87.5 kg).

    Il programma di allenamento

    Il precedente massimale del mio atleta-cliente sulla panca piana era di 73 kg, eseguiti tra l’altro con una bottiglietta incastrata al centro del petto, in modo da ridurre il ROM e limitare i fastidi a una spalla, e sono bastate otto settimane per incrementarlo di 7 kg a full ROM (quasi +10%). È importante specificare che un simile miglioramento è un buon risultato ma nulla di eccezionale, contando poi che il precedente record personale era mediocre. Contestualizzando però il tutto, il risultato ha un sapore di vittoria: Roby aveva alcuni infortuni pregressi e in meno di due mesi ha acquisito forza e sicurezza sia sulla panca che sullo squat.

    Riguardo all’appena citato squat, non avevamo dei numeri su cui basarci poiché visti gli acciacchi al ginocchio non avevamo mai spinto troppo su questa alzata (in futuro sarà diverso). In ogni caso, 86 kg di massimale è un discreto punto di partenza, nei prossimi mesi la musica sarà ben diversa (almeno spero).

    Ma ora veniamo al punto forte, il programma. Spesso le cose semplici funzionano e questo ne è un lampante esempio: 8 settimane di periodizzazione lineare dove col passare del tempo l’intensità di carico (kg sul bilanciere) è aumentata, a scapito del volume. Niente di più basilare. In ogni caso, il lavoro prescritto ed eseguito in home gym è stato il seguente:

    Settimane n.1-3 (tre sessioni settimanali A-B-A)

    Esercizi (A)Set x reps
    Rematore con bilanciere (presa supina)5×10
    Rematore con elastici4xMAX (15RM)
    Scrollate con bilanciere4×15
    Military press con manubri4×10
    Alzate laterali da seduto3×15
    Alzate laterali con busto inclinato3×20
    Squat (fermo 3” al parallelo)1×5 (10RM)
    Squat4×6
    Squat bulgaro (corpo libero)3×10
    Leg curl prono con elastico (una gamba)3×15
    Esercizi (B)Set x reps
    Floor press con manubri3×10
    Panca piana con bilanciere2×8
    Panca piana con bilanciere2×6
    Panca piana con bilanciere1×5
    Croci su panca piana4×10
    Distensioni tricipiti da terra4×15
    Curl concentrato4×8
    Hammer curl manubri3×15
    Circuito addominali10′

    Settimane n.4-6 (tre sessioni settimanali A-B-A)

    Esercizi (A)Set x reps
    Rematore con bilanciere (presa supina)4×8-8-6-6
    Rematore con elastici4xMAX (15RM)
    Scrollate con bilanciere4×10
    Military press con manubri4×8
    Alzate laterali da seduto3×10
    Alzate laterali con busto inclinato3×15
    Squat (fermo 3” al parallelo)1×5 (10RM)
    Squat2×5
    Squat2×4
    Squat2×3
    Squat1×2
    Leg curl prono con elastico (una gamba)3×15
    Esercizi (B)Set x reps
    Floor press con manubri3×10
    Panca piana con bilanciere2×5
    Panca piana con bilanciere2×4
    Panca piana con bilanciere2×3
    Panca piana con bilanciere1×2
    Croci su panca piana3×10
    Distensioni tricipiti da terra3-4×15
    Curl concentrato4×8-8-6-6
    Hammer curl manubri3×10
    Circuito addominali10′

    Settimana n.7 (due sessioni settimanali A-B), scarico attivo.

    Esercizi (A)Set x reps
    Squat (fermo 3” al parallelo)2×5 (10RM)
    Squat3×4
    Leg curl prono con elastico (una gamba)3×15
    Rematore con bilanciere (presa supina)3×8
    Rematore con elastici3xMAX (15RM)
    Military press con manubri3×8
    Alzate laterali da seduto3×10
    Esercizi (B)Set x reps
    Panca piana con bilanciere4×8-8-6-6
    Panca piana con bilanciere4xMAX (15RM)
    Floor press con manubri4×10
    Distensioni tricipiti da terra4×8
    Curl concentrato3×10
    Hammer curl manubri3×15
    Circuito addominali10′

    Settimana n.8: due sessioni dedicate al test dei massimali (Panca e Squat).

    Le prime tre settimane sono state più voluminose che intense, il contrario per le tre successive. Per la settima vi è stato uno scarico attivo e l’ottava i tanto temuti test. È stato fatto il possibile, dato che in fin dei conti parliamo di una home gym. Come avrete notato, vi è stato anche un discreto lavoro accessorio, con esercizi “non fondamentali” volti anche all’aumento della massa muscolare (prescritti su richiesta dell’atleta stesso). Roby, oltre all’allenamento coi sovraccarichi, ha eseguito in solitaria anche del lavoro tecnico sullo striking, specifico per il proprio sport, elemento qui non approfondito perché esula dal focus dell’articolo.

    Come visibile qui sopra, meno di tre mesi dopo il massimale è incrementato di ulteriori 8 chilogrammi (da 80 a 88). Eseguendo coi pesi un lavoro sulla falsariga di quello eseguito nei mesi precedenti. Di Roby ed il suo programma è stato detto molto anche in questo video.

    Conclusioni

    Il più è già stato detto. Cose relativamente semplici, progressioni sensate ed obbiettivi ragionevoli sono la chiave dei miglioramenti sul lungo periodo. La costanza negli allenamenti ed un minimo di fortuna faranno il resto; messo nelle giuste condizioni chiunque può migliorare. Se volete saperne di più potete contattarmi qui oppure sui social. In ogni caso, allenatevi.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Riccaldi A. – Quanta Forza serve al praticante di Sport da Combattimento? (Project Invictus, 2014)
    Landow L. – Ultimate Conditioning for Martial Arts (Human Kinetics 1a Ediz., 2016)

  • Tripla estensione: teoria e performance

    Tripla estensione: teoria e performance

    Ne avete mai sentito parlare? No?! Allora siete nel posto giusto.

    Definizione

    Con tripla estensione (triple extension) si intende la contemporanea estensione degli arti inferiori, che obbligatoriamente passa per tre articolazioni: caviglia, ginocchio ed anca. Per capire quale movimento possa o meno riguardare questo “meccanismo”, è sufficiente tracciare un paio di linee e misurare un angolo. Vediamo rapidamente come.

    Comprendere il meccanismo

    Osserva un atleta di profilo, possibilmente fermo (può anche andar bene uno scheletro), e traccia due linee. La prima deve partire dalla caviglia e andare all’anca, la seconda deve originare dal ginocchio per giungere anch’essa all’anca (ovviamente vale anche il passaggio opposto: dall’anca alla caviglia e al ginocchio).

    Dalla teoria alla pratica

    Sotto, una rappresentazione del Dott. Formicola (modificata) di quanto appena detto, riferita allo squat ed allo stacco da terra (più alcune loro varianti).


    In ordine, da sinistra a destra: squat low bar, squat high bar, front squat, overhead squat, stacco regular, stacco con trap bar e stacco sumo. Come si può osservare nell’imagine, più un movimento richiede profondità di accosciata e più l’angolo generato dall’incrociarsi delle linee è ampio. Una flessione che genera un angolo molto ampio abbisognerà successivamente, per portare l’esercizio a concludersi, di una tripla estensione notevole. Semplificando molto, più l’angolo derivante dalle due linee è grande e più un allenatore/preparatore può capire se un determinato esercizio sia indicato o meno per potenziare la spinta verticale prodotta dagli arti inferiori attraverso la fisiologica estensione delle tre articolazioni (caviglia, ginocchio, anca).

    La tripla estensione si ha in molti esercizi tipici del fitness, durante la corsa, i salti, quando ci alziamo in piedi da seduti, e così via. La chiave sta tutta nel mettere a fuoco le richieste biomotorie di un dato sport e poi decidere come procedere con la scelta degli esercizi, tenendo a mente che la presenza di uno squat non esclude necessariamente quella di uno stacco o di esercizi pliometrici. Mr. Pinco Pallino è un centometrista? Allora dovrà lavorare sulla tripla estensione! Prima ad angoli più aspecifici (full squat), poi più simili a gesto di gara (mezzo squat). Mr. Pinco Pallino ha poi un caro amico che pratica MMA? Allora anche quest’ultimo, in una fase più aspecifica, dovrà lavorare con esercizi in grado di fare estendere (o distendere) per bene gli arti inferiori tramite le solite tre articolazioni chiamate in causa. Nota a margine: nelle MMA, come un po’ in tutti gli sport da combattimento con fasi lottatorie, oltre che la spinta verticale (verso l’alto) conta molto, se non di più, quella sul piano orizzontale e quindi verso avanti (double leg, single leg, molte proiezioni da body lock). Pertanto è consigliabile dedicarsi anche a “spinte orizzontali” come balzi verso avanti o sled push.

    Mentre gli esercizi per l’upper body, ossia la parte superiore del corpo, generalmente vengono suddivisi in due categorie: esercizi di spinta e di trazione/tirata (potremmo poi disquisire sulla legittimità di tale semplificazione, in anatomia si studia che in realtà i muscoli trazionano le ossa), per le gambe si parla di esercizi anca-dipendenti e ginocchio-dipendenti. Nei primi il grosso della flesso-estensione richiesta da un determinato movimento è principalmente a carico dell’articolazione dell’anca, nei secondi delle ginocchia. Molti tecnici dello sport vi diranno che lo stacco da terra è un esercizio anca-dipendente e invece lo squat è ginocchio-dipendente. In realtà ogni esercizio ha un mix di entrambe le cose, pertanto anche questa categorizzazione pare essere figlia di una visione un po’ semplicistica del movimento umano. Definizione per definizione, teoria per teoria, forse è auspicabile anteporre a ciò la valutazione dell’estensione sinergica delle tre articolazioni degli arti inferiori (triple extension). Solo se la tripla estensione è efficiente potrà esserci un’ottima propulsione eseguita dagli arti inferiori (la TP serve a “spingere” verso avanti).

    Conclusioni

    Studi, dati alla mano, hanno suggerito come un allenamento specifico finalizzato a potenziare l’estensione simultanea delle articolazioni degli arti inferiori sia indicato per incrementare la capacità di salto verso l’alto (vertical jump)1, fin qui nulla di nuovo. Inoltre, Loturco e colleghi (2016) hanno notato un effetto positivo dello Squat Jump le cui caratteristiche meccaniche: «which closely resemble the “segmental triple extension” elicited during the sprinting strides»2, sugli sprint effettuati su distanze di 5 e 30 metri. Normalmente si parla di tripla estensione durante la corsa, le alzate olimpiche3 e lo squat. Riguardo quest’ultimo, i soggetti con una più efficiente tripla estensione si sono dimostrati essere degli “squattatori” sopra la media (l’accosciata sembra essere ottima per valutare la TE di un atleta)4. Sempre riguardo questo esercizio: «La salita si ottiene principalmente attraverso la tripla estensione di anche, ginocchia e caviglie, continuando fino a quando il soggetto non è tornato alla posizione iniziale estesa. I muscoli posteriori del tronco, in particolare gli erettori spinali, vengono reclutati tramite l’azione muscolare isometrica per sostenere una postura eretta durante l’intero movimento di squat. Inoltre, i muscoli posteriori del tronco sono assistiti dai muscoli addominali anteriori e laterali per irrigidire ulteriormente il busto creando tensione per la parete addominale»5.

    Tirando le somme, scegliete bene quali esercizi fare ed eseguiteli correttamente. Con pazienza e dedizione arriveranno i risultati. Tenendo a mente che, come sempre, periodizzare saggiamente variando gli stimoli allenanti è la miglior cosa da fare per ottenere risultati sul lungo periodo.

    Buon allenamento!


    Bibliografia

    1 Eunwook Chang, Marc F Norcross, Sam T Johnson, Taichi Kitagawa, Mark Hoffman – Relationships between explosive and maximal triple extensor muscle performance and vertical jump height. J Strength Cond Res. 2015 Feb;29(2):545-51
    2 Irineu Loturco, Lucas Adriano Pereira, Ronaldo Kobal, Thiago Maldonado, Alessandro Fromer Piazzi, Altamiro Bottino, Katia Kitamura, Cesar Cavinato Cal Abad, Miguel de Arruda, Fabio Yuzo Nakamura – Improving Sprint Performance in Soccer: Effectiveness of Jump Squat and Olympic Push Press Exercises. PLoS ONE 11 (4): e0153958
    3 Timothy J Suchomel, Paul Comfort, Michael H Stone – Weightlifting pulling derivatives: rationale for implementation and application. Sports Med. 2015 Jun;45(6):823-39
    4 Robert J Butler, Phillip J Plisky, Corey Southers, Christopher Scoma, Kyle B Kiesel – Biomechanical analysis of the different classifications of the Functional Movement Screen deep squat test. Sports Biomech. 2010 Nov;9(4):270-9
    5 Gregory D. Myer, Adam M. Kushner, Jensen L. Brent, Brad J. Schoenfeld, Jason Hugentobler, Rhodri S. Lloyd, Al Vermeil, Donald A. Chu, Jason Harbin, and Stuart M. McGill – The back squat: A proposed assessment of functional deficits and technical factors that limit performance. Strength Cond J. 2014 December 1; 36(6): 4–27
    Corebo Lite – La tripla estensione nello squat e caso studio (2020, link)
    The Myth of Triple Extension (simplifaster.com)

  • Le asimmetrie nelle performance di salto

    Le asimmetrie nelle performance di salto

    Qual è il rapporto fra le asimmetrie ed i salti verso l’alto? È un problema avere una gamba più forte dell’altra? Scopriamolo insieme!

    Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive presso l’Università degli Studi di Torino (Unito). Buona lettura.

    Prestazioni

    In letteratura scientifica sono presenti un paio di studi che in particolare che hanno correlato l’asimmetria ad un calo delle prestazioni di salto [1,2]. Secondo Bailey et al. [2] vi è una correlazione negativa fra le asimmetrie palesate durante il test di tirata isometrica a metà coscia (isometric midthigh pull, IMTP) e l’effetiva performance nei salti verso l’alto (minor altezza raggiunta); tuttavia, l’indagine non ha esaminato l’asimmetria durante le attività di salto, né riporta la relazione tra forza di picco IMTP e asimmetria IMTP.

    Sopra, il test dell’isometric midthigh pull (Bailey et al., 2013).

    In un altro studio ancora [3], sempre Bailey e colleghi hanno confrontato le asimmetrie registrate in prestazioni di salto e nei test dell’IMPT (isometric midthingh pull), in una coorte di atleti del college. È venuto fuori che gli atleti con la maggior forza di picco nell’IMPT avevano un certo grado di corrispondenza fra le asimmetrie palesate nei salti e quelle nel test citato poco fa.

    Va però specificato che gli atleti più esperti ed allenati solitamente presentano un minor livello di asimmetrie, al contrario dei meno allenati [4,5]. A riguardo di ciò, uno studio del 2014 ha dimostrato come siano sufficienti 7 settimane di allenamento per ridurre un’asimmetria di forza riscontrata nello squat isometrico con bilanciere (si parla sempre di soggetti poco allenati o totalmente sedentari) [5]. Pertanto è buona cosa misurare le asimmetrie di forza, e considerare i dati ottenuti come attendibili, solo quando gli atleti hanno una buona confidenza con il gesto tecnico.

    Qui sotto, il mezzo squat isometrico, da Bazyler C. D. et al. (2014).

    Bell D. R. e colleghi non hanno notato alcuna influenza, né positiva né negativa, delle asimmetrie di forza fra gli arti inferiori (inter-limb) sulle prestazioni di salto (CMJ), osservazione tra l’altro avallata da un più recente studio che, nonostante delle asimmetrie medie del 9,3% in degli atleti maschili, non ha osservato cali nelle prestazioni di salto80.

    Sopra, la raffigurazione del grado di asimmetria in 13 atleti di sesso maschile da Teixeira R at al. (2020).

    Non ci sono però dati che possano concretamente far pensare ad un maggiore rischio infortuni associato ad eventuali asimmetrie.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    [1] Chris Bailey, Kimitake Sato, Ryan Alexander, Chieh-Ying Chiang, Michael H. Stone – Isometric force production symmetry and jumping performance in collegiate athletes. Journal of Trainology 2013:2:1-5.

    [2] Bell DR, Sanfilippo JL, Binkley N, Heiderscheit BC – Lean mass asymmetry influences force and power asymmetry during jumping in collegiate athletes. J Strength Cond Res. 2014 Apr;28(4):884-91.

    [3] Bailey CA, Sato K, Burnett A, Stone MH – Carry-over of force production symmetry in athletes of differing strength levels. J Strength Cond Res. 2015 Nov;29(11):3188-96.

    [4] Bailey CA, Sato K, Burnett A, Stone MH – Force production asymmetry in male and female athletes of differing strength levels. Int J Sports Physiol Perform. 2015 May;10(4):504-8.

    [5] Caleb D. Bazyler, Chris A. Bailey, Chieh-Ying Chiang, Kimitake Sato, Michael H. Stone – The effects of strength training on isometric force production symmetry in recreationally trained males. Journal of Trainology 2014:3:6-10.

    [6] Rômulo Vasconcelos Teixeira, Victor Sabino de Queiros, Breno Guilherme Araújo Tinoco Cabral – Asymmetry inter-limb and performance in amateur athletes involved in high intensity functional training. Isokinetics and exercise science 28(1):83-89

  • Stacco con Trap-Bar: una analisi teorico-pratica

    Stacco con Trap-Bar: una analisi teorico-pratica

    Chi segue il canale Youtube di questo sito sa di un certo apprezzamento del sottoscritto nei confronti dello stacco da terra con la trap bar (o hex bar, bilanciere esagonale).

    Introduzione: complementare o fondamentale?

    Lo stacco con bilanciere esagonale viene solitamente visto come una delle tante varianti dello stacco tradizionale, forse perché l’ambiente dei pesi, almeno in questo caso, è un po’ figlio di una visione “powerlifter-centrica” degli esercizi. Se è indiscutibilmente vero che nel powerlifting (squat, panca, stacco) il “trap bar deadlifts” è un’alzata complementare, pertanto qualcosa di non fondamentale o prioritario, in un allenamento improntato sulla crescita muscolare (fitness/bodybuilding) o sul miglioramento della propria condizione atletica, la musica è differente. Riguardo a quest’ultimo punto, un programma ragionato di strength and conditioning potrebbe integrare lo stacco con trap bar principalmente in tre modi:

    • Esercizio complementare (forza): un atleta fa squat/leg press/stacco convenzionale più, in certi momenti, il trap bar deadlifts;
    • Esercizio fondamentale (forza): all’interno di un macrociclo di allenamento un atleta basa sul trap bar deadlifts l’aumento (o il mantenimento) della propria forza massimale;
    • Esercizio (fondamentale o complementare) di potenza: si eseguono dei salti esplosivi utilizzando come sovraccarico il bilanciere esagonale e un tot di dischi (trap bar jump deadlift).

    Ma ora andiamo un po’ più nello specifico.

    Punti a favore dell’esercizio
    • Maggiore attivazione dei quadricipiti rispetto allo stacco tradizionale;
    • Alzata relativamente semplice a livello tecnico;
    • Minor stress sulla zona lombare;
    • A differenza del deadlift classico, il bilanciere non va mai a contatto con le tibie (assenza di abrasioni);
    • Permette di muovere il bilanciere con una certa velocità, anche con carichi sub-massimali (90% 1RM);
    • Generalmente si sollevano carichi leggermente superiori, sempre se lo confrontiamo all’alzata sua cugina.
    Criticità
    • A livello biomeccanico il movimento potrebbe, giustamente, ricordare molto uno squat, ma il ROM (range di movimento) dell’accosciata è minore;
    • Se uno o più studi evidenziano una elevata potenza meccanica (sul bilanciere spostato) ed una notevole potenza metabolica muscolare, ciò non è detto che significhi: atleta che diventa più forte e potente (sempre se paragonato ad un ipotetico collega che si allena con altri esercizi multiarticolari).
    Discutiamone un attimo

    Il trap bar deadlift ed il deadlift standard hanno differente centro di massa, in questo il primo è più simile allo squat. In più, nel primo non vi è lo sticking point al ginocchio (punto critico dell’alzata), pertanto il sollevamento risulta un po’ più rapido e semplice.

    Le immagini riportate sopra raffigurano i due tipi di stacco e provengono da uno studio che mettendo a confronto le due alzate ha osservato alcune cose interessanti1. Come già accennato nel precedente paragrafo, con la trap bar il carico massimo sollevabile (1RM) è un po’ superiore (+6%) e la velocità nei sollevamenti impegnativi (90% 1RM) è significativamente a favore dello stacco con bilanciere esagonale (+15%). Nello studio in questione, con lo stacco regular il bilanciere ha avuto una accelerazione che è durata per il 60% dell’intero tempo di alzata, mentre con trap bar per circa l’82% del tempo. Anche un altro studio condotto su soggetti esperti aveva evidenziato la tendenza degli atleti a sollevare qualche kg in più con la trap bar2.

    Qui sotto, un po’ di dati (Lake J. et al., 2017):

    Nella seconda immagine potete osservare come il momento più impegnativo nello stacco tradizionale (linea rossa) sia quasi a metà alzata: si parte rapidi, per poi rallentare l’alzata quando il bilanciere si trova nei pressi del ginocchio, discorso ben diverso per quello con trap bar. In quest’ultimo le incertezze vi sono all’inizio – momento della partenza -, poi tutto fila piuttosto liscio.

    Greg Nuckols, coach e powerlifter d’élite, scrive che:

    «It’s common to argue that conventional deadlifts should be trained instead of trap bar deadlifts because a trap bar deadlift isn’t a true “hinge” movement – more like a hinge/squat hybrid.  So, the thinking goes, since you’re already training the squat (or at least you should be), you’re wasting your time with the trap bar deadlift since it won’t train the hinge pattern very well by itself, and it doesn’t train the squat pattern as well as actually squatting. While it’s true that trap bar deadlifts are a little bit “squattier” than conventional barbell deadlifts, they’re much closer to a “hinge” than a squat».

    In poche parole, il trap bar deadlift non è un vero “hinge movement”, cioè un movimento a cerniera, molto anca-dipendente (come nello stacco tradizionale dove il grosso del movimento lo fa questa articolazione) ma nemmeno un movimento più ginocchio-dipendente (come il normale squat con bilanciere). Ciò tuttavia non significa che nei propri allenamenti non si debba dedicare del tempo a questo movimento (discorso diverso per i powerlifter, loro in gara portano direttamente lo stacco regular).

    Circa il range di movimento, anche a seconda delle leve del soggetto in questione, lo stacco trap bar pare una sorta di via di mezzo fra uno squat classico (femore parallelo al terreno) ed un mezzo squat. Questo non rende sempre ottimale il lavoro muscolare, ma c’è un piccolo trucco per ovviare al problema (rialzo sotto ai piedi). Nel video in basso potete osservare un modo pratico per aumentare il ROM dello stacco con bilanciere esagonale: deficit trap bar deadlift.

    Anche se raramente si vede effettuare qualcosa di diverso dallo stacco, col bilanciere esagonale si possono effettuare anche salti esplosivi, facendo oppure no la fase eccentrica sovraccaricata. Come? Molto semplicemente si salta verso l’alto (come in uno squat jump o 1/2 squat jump) e si atterra. Va tenuto a mente che occorre essere ben condizionati per tollerare l’impatto a terra con tutto il carico senza farsi male. Per rendere più leggero l’esercizio si può lasciare andare il bilanciere qualche istante prima di toccare il suolo coi piedi, facendolo rimbalzare sul pavimento (sempre che il proprietario della palestra non vi cacci via…).

    Va citata anche una analisi elettromiografica pubblicata su Journal of Strength and Conditioning Research3 che ha sottolineato come durante la fase concentrica ed eccentrica dello stacco da terra, il bilanciere esagonale coinvolga maggiormente il vasto laterale, mentre il movimento dello stacco col bilanciere dritto il bicipite femorale (durante la concentrica) e gli erettori spinali (durante l’eccentrica).

    Conclusioni

    L’esercizio magico non esiste, l’arma vincente è sempre (o quasi) la variazione degli stimoli allenamenti sul lungo periodo. Anche se uno degli studi3 qui presi in esame, traducendo, arriva alle seguenti conclusioni: «Questi risultati suggeriscono che […] il bilanciere esagonale possa essere più efficace (rispetto a quello normale, ndr) nello sviluppo di forza, potenza e velocità massima», dobbiamo tenere a mente che non necessariamente una maggior potenza generata in un sollevamento porterà a futuri incrementi di forza, potenza o ipertrofia. Ciò non toglie che il bilanciere esagonale, spesso ingiustamente sottovalutato, possa essere un ottimo alleato per coach, atleti e personal trainer.

    Buon allenamento!


    Ho deciso di scrivere questo articolo anche grazie a dei post di Simone Calabretto che mi hanno fatto appassionare all’argomento. A lui vanno i miei ringraziamenti.

    Bibliografia

    1 Jason Lake, Freddie Duncan, Matt Jackson, David Naworynsky – Effect of a Hexagonal Barbell on the Mechanical Demand of Deadlift Performance. Sports (Basel) . 2017 Oct 24;5(4):82.

    2 Paul A Swinton, Arthur Stewart, Ioannis Agouris, Justin W L Keogh, Ray Lloyd – A biomechanical analysis of straight and hexagonal barbell deadlifts using submaximal loads. J Strength Cond Res . 2011 Jul;25(7):2000-9.

    3 Kevin D Camara, Jared W Coburn, Dustin D Dunnick, Lee E Brown, Andrew J Galpin, Pablo B Costa – An Examination of Muscle Activation and Power Characteristics While Performing the Deadlift Exercise With Straight and Hexagonal Barbells. J Strength Cond Res . 2016 May;30(5):1183-8.

    Greg Nuckols – Trap Bar Deadlifts are Underrated (2017)

  • Il (non) problema delle asimmetrie

    Il (non) problema delle asimmetrie

    Quella che segue è una traduzione ed adattamento di un articolo particolarmente interessante del chinesiologo e coach Dean Somerset.

    Buona lettura!

    Un concetto chiave

    Una delle cose più importanti che desidero che le persone si portino a casa è la seguente: ogni individuo ha una propria anatomia, punti di forza, punti deboli e obiettivi. Pertanto, l’approccio a certi esercizi potrebbe non essere quello riportato sui comuni libri di testo. La compilazione del programma di allenamento, la scelta degli esercizi e l’approccio a quest’ultimi può variare da soggetto a soggetto.

    Gran parte della ricerca sulla variazione anatomica può mostrare che alcune persone hanno strutture che possono facilitare e consentire movimenti di un certo tipo, mentre per altre sarebbe più facile abbattere un muro di mattoni col labbro superiore piuttosto che eseguire una accosciata molto profonda, indipendentemente dai lavori sulla mobilità articolare e tessuti molli. Le loro articolazioni non hanno la conformazione idonea per fare certe cose!

    E anche guardando più in profondità nella tana anatomica del bianconiglio, uno stesso atleta può avere differenze significative fra l’arto destro e sinistro, superiore o inferiore che sia, specialmente se vi sono state delle esperienze sportive importanti prima dell’adolescenza (si parla di sport dove un lato del corpo è più impegnato rispetto alla controparte).

    Nella pratica

    I giocatori di baseball per esempio hanno la testa dell’omero del loro braccio di lancio leggermente deformata, questa “caratteristica” ovviamente non si presenta nel braccio che solitamente non viene utilizzato per i lanci. Cambiando sport, la postura che generalmente tengono i praticanti di hockey nell’impugnare il bastone li porta ad avere un’estensione dell’anca maggiore da un lato rispetto all’altro.

    Sopra, le variazioni anatomiche dell’angolatura del collo del femore.

    Guardando le differenze nell’angolo del collo femorale della gamba sinistra e destra nei bambini con paralisi cerebrale, Davids et al. (2002) hanno dimostrato che in alcuni bambini questa differenza può essere piccola, di pochi gradi, e in altri molti più netta (fino a più di 25 gradi). Questa differenza strutturale potrebbe stare a indicare che mentre un piede extraruota (turns out) l’altro magari intraruota (turns in).

    Uno studio di Zalawadia et al. (2010) ha mostrato come anche soggetti senza problemi cerebrali possano avere significative differenze nell’antiversione fra l’arto inferiore destro e sinistro (20 o più gradi). Al riguardo qui sotto potete osservare qualche numero.

    Pertanto, se in uno stesso individuo vi sono asimmetrie rilevanti, ma comunque fisiologiche, ricercare a tutti i costi asimmetrie nel movimento potrebbe essere impossibile, nonché inutile.

    Se io voglio stare con la punta del piede destro extrarotata è perché ho una differenza strutturale a livello dell’anca (la destra è differente dalla sinistra). I muscoli dell’anca sono relativamente bilanciati quando le articolazioni su cui agiscono sono a riposo, se però provo a stare in una stance perfettamente simmetrica durante l’esecuzione di un qualche esercizio l’equilibrio viene alterato.

    Forzare la simmetria su una struttura asimmetrica non aiuta a correggere gli squilibri muscolari. Anzi, è probabile che li causi.

    Spesso, per esercizi come squat o stacco da terra si cerca una stance simmetrica, simile a quella mostrata nella figura qui sotto.

    Secondo quanto affermato fino ad ora, potrebbe non essere una scelta saggia. Almeno in teoria, persone con strutture asimmetriche dovrebbero trovarsi più a loro agio in stance fisiologiche e che quindi rispettano le loro asimmetrie corporee (figura sotto).

    Oppure per certe persone sarebbe naturale avere un piede un po’ dietro l’altro (fig. sotto).

    Altre persone ancora potrebbero avere dei benefici in stance tipiche di esercizi dove non si appoggia sempre l’intera superficie del piede a terra (affondi/piegate).

    Discostandoci un attimo dall’articolo originale, le asimmetrie, particolarmente presenti negli atleti più navigati, secondo i dati attualmente presenti in letteratura scientifica il più delle volte sono da considerarsi come un qualcosa di assolutamente normale. Testimoniano ciò fior fior di studi. Ne è un esempio quello di Haugen T. et al. (2018) i cui numeri chiave sono riportati nella tabella qui sotto.

    Parecchie asimmetrie sono comunissime negli sprinter d’élite e non rappresentano in alcun modo un ostacolo alla performance od un pericolo per la salute. “Kinematic stride cycle asymmetry is not associated with sprint performance and injury prevalence in athletic sprinters” (immagine presa da qui).

    «Molti esperti di allenamento della forza, fisiologi e ricercatori hanno proposto che dovremmo cercare di ridurre l’asimmetria del movimento durante lo sport, al fine di migliorare le prestazioni e ridurre il rischio di infortuni. Tuttavia, come dimostra questo nuovo studio sugli sprinter di pista, l’asimmetria del movimento è estremamente comune durante lo sprint e non è correlata né alle prestazioni di sprint né al rischio di lesioni. È quasi come se l’asimmetria fosse una caratteristica del tutto naturale del movimento umano».

    Conclusioni

    Riguardo alle immagini dei piedi nel paragrafo precedente, qualcuna di quelle posizioni è sbagliata? No. Una posizione potrebbe essere completamente giusta per qualcuno, ma non funzionare affatto per qualcun altro. E va bene così. Non tutti abbiamo bisogno di fare le medesime cose, o muoverci allo stesso modo.

    Se pensiamo ad esempio alle visite oculistiche, è diffusissimo il fatto che le persone vedano bene da un occhio e meno bene dall’altro. Anche gli occhi, esteticamente identici, nelle persone sane non sono uguali, e lo stesso concetto è valido per le altre parti del corpo.

    Certi accorgimenti tecnici su gesti/esercizi sportivi potrebbero essere utilissimi per alcuni soggetti ed inutili per altri. Solo l’esperienza ed un occhio attento possono fare la differenza e capire quali esercizi e movimenti sono più adatti ad un individuo e quali meno. Distinguendo le asimmetrie fisiologiche – che sono la stragrande maggioranza – da quelle patologiche.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Somerset D. – Symmetry Doesn’t Even Matter, And Probably Causes More Problems Than It Solves (2018)
    Davids J. R. et al. – Assessment of femoral anteversion in children with cerebral palsy: accuracy of the trochanteric prominence angle test (2002)
    Zalawadia A. et al. – Study Of Femoral Neck Anteversion Of Adult Dry Femora In Gujarat Region (2010)
    Haugen T. et al. – Kinematic stride cycle asymmetry is not associated with sprint performance and injury prevalence in athletic sprinters (2018)

  • Il Ginocchio del Fighter? Teniamolo al Sicuro!

    Il Ginocchio del Fighter? Teniamolo al Sicuro!

    Salve ragazzi! Questo articolo è stato scritto allo scopo di dare un aiuto a tutti quei fighter che spesso si sono infortunati al ginocchio.

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    Cenni teorici

    Questo accade perché, come ben sappiamo, i lottatori o comunque i combattenti in genere ricevono innumerevoli sollecitazioni non molto salutari a livello delle articolazioni, sia in combattimento che in allenamento.

    Tutto ciò viene poi accompagnato da un riscaldamento che dimentica spesso il lavoro di mobilità articolare specifica per la lubrificazione e la protezione delle articolazioni, dalla mancanza di protocolli di lavoro specifici per il miglioramento della stabilizzazione delle stesse e soprattutto dalla mancanza di dialogo con esperti del settore nel caso di infortunio.

    Come fare allora a non farsi male, o quantomeno a diminuire il rischio di infortunarsi?

    La risposta che balza subito alla mente è:

    “RIPOSATI, METTI UN PO’ DI GHIACCIO, PER QUALCHE GIORNO PRENDI DEGLI ANTI-INFIAMMATORI E POTREMO RIPRENDERE AD ALLENARCI”

    E’ la risposta esatta? Assolutamente no!

    Per il semplice fatto che in questo modo si va ad agire solo sull’effetto dell’infortunio e non direttamente sulla causa, cioè la presenza di deficit a livello di stabilizzazione del ginocchio, ovvero dei muscoli che vi si inseriscono come il tensore della fascia lata, gruppo degli adduttori e degli abduttori.

    Applicazioni pratiche

    Per andare quindi ad agire direttamente sulla causa ho voluto scrivere un semplice quanto veloce protocollo allenante allo scopo di migliorare la stabilizzazione del ginocchio e renderlo meno vulnerabile alle sollecitazioni con cui ci confrontiamo giornalmente negli sport da combattimento.

    Si tratta di un semplice circuito della durata di circa 5-10 minuti composto da tre esercizi che mi sono stati insegnati ad un corso della Functional Training School e, come per ogni mio articolo, troverete naturalmente anche il motivo di ogni singolo esercizio inserito.

     

    MINI BAND SIDE WALK 5 passi dx + 5 passi sx
    
    MINI BAND SQUAT 10 rep
    
    RUBBERBAND LUNGE 5 + 5 rep
    
    Ripetere il mini circuito per 3 volte no stop.

     

    Andiamo per ordine:

    • MINI BAND SIDE WALK: in stazione eretta, posizionare la MINI BAND ad altezza caviglie. Da questa posizione effettuare dei piccoli passi laterali mantenendo le gambe totalmente distese. Durante l’esecuzione dell’esercizio sentirete il lavoro su tensore della fascia lata in primis e su adduttori e abduttori della gamba.

    MINI BAND SIDE WALK

    Perché questo esercizio? Fermiamoci un attimo a riflettere. Dove si inseriscono questi muscoli? Esatto! Si inseriscono proprio sulle zone laterale e mediale del ginocchio svolgendo una funzione stabilizzatrice.

    • MINI BAND SQUAT: in stazione eretta posizionare la mini band immediatamente sopra il ginocchio e posizionare i piedi nella larghezza adatta ad effettuare uno squat.

    MINI BAND SQUAT

    Da questa posizione effettuate un squat enfatizzando il lavoro di bacino per allungare il gluteo (avete presente quando andate al bagno e vi state sedendo? Bene dovete fare la stessa cosa, ovvero dovete andare alla ricerca del cesso con le chiappe), contemporaneamente portate le ginocchia verso l’esterno mentre la mini band opporrà resistenza a questo movimento.

    Con questo secondo esercizio si lavora sempre sugli stabilizzatori, enfatizzando il tutto con il lavoro di squat.

    • RUBBERBAND LUNGE: fissare la prima estremità della rubberband e far passare la seconda attorno ad un ginocchio, posizionarsi in modo tale da creare una leggera tensione con la BAND. Effettuare un passo indietro con la gamba libera, stabilizzarsi ed effettuare un affondo funzionale, spingere in avanti ed effettuare il secondo affondo, ritornando infine in posizione di partenza.

    RUBBERBAND LUNGE

    Effettuare lo stesso lavoro con l’altra gamba. Avendo lavorato a piedi pari nei due esercizi precedenti, con il terzo esercizio lavoreremo sulle stesse componenti ma lavorando prima su un solo ginocchio, poi sull’altro. 

    Consigli sul materiale

    Se non possiedi delle mini-band come quella rossa mostrata nella foto, puoi benissimo lavorare comunque con la rubberdand piegata in due (quella della seconda foto).

    MINIBAND

    RUBBERBAND PIEGATA IN DUE

    Esempio su cliente

    Lui è Josef Giuseppe, atleta thai boxer con cui ho il piacere di allenarmi sotto la guida del maestro Alfonso Cristina presso la palestra Fight 360 Team Catania – GYM del mitico Placido Maugeri.

    Da qualche tempo avvertiva dolori al ginocchio, senza sapere quale fosse la causa di ciò.

    Da vari esami fatti non si riscontrava nulla di anomalo, pertanto per continuare ad allenarsi applicava ciò che fanno tutti:
    – riposo
    – antinfiammatori
    – ghiaccio

    Ottenendo così solo una riduzione temporanea del dolore perché agiva solo sull’effetto e non direttamente sulla causa.

    Ma qual è la causa? E’ bastato fargli eseguire qualche ripetizione di squat per capirlo.
    Nella prima parte del video che vi mostro infatti si può notare che, sia in fase di discesa che di salita, il ginocchio dx (quello dolorante) “balla” letteralmente a destra e sinistra per mancanza di stabilità.. in più attua tutta una serie di compensi che di norma non dovrebbero esserci.

    Siamo andati semplicemente a lavorare quindi sulla stabilizzazione del ginocchio col mini circuito di cui abbiamo parlato prima.

    Nella seconda parte del video potete notare i miglioramenti che si sono ottenuti in sole 2 settimane di lavoro nonostante il fatto che non lo abbia seguito personalmente in ogni seduta e che quindi abbia continuato a lavorare in totale autonomia.

    Cosa sarebbe successo se oltre a ciò fosse stato seguito su ogni singolo movimento al fine migliorarlo sempre più?

    Cosa succederebbe se un semplice circuito del genere venisse inserito nel riscaldamento generale di un praticante di SdC? A voi la risposta.

    Conclusioni

    Questo è solo un esempio di circuito, di varianti se ne possono creare a bizzeffe, modificando opportunamente in base alla problematica. Tengo a precisare comunque che tale circuito o suoi simili non possono sostituire il parere e/o il trattamento di un medico, di un fisioterapista o di qualsiasi altro professionista, ma ha il solo scopo di aiutare atleti privi di lesioni al ginocchio di migliorare la stabilizzazione del ginocchio e quindi diminuire il rischio di infortuni.

     

    Fammi sapere se ti è piaciuto l’articolo, condividilo e commenta pure se hai qualche dubbio o perplessità. Grazie per l’attenzione.

    PER ASPERA AD ASTRA!

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    Referenze e approfondimenti

    Altri articoli sulla preparazione atletica → https://bit.ly/2Jy0JEa

     

  • Il cedimento muscolare: tipologie e consigli pratici

    Il cedimento muscolare: tipologie e consigli pratici

    Il cedimento, altro non è che una delle tante tecniche per ricercare la massima ipertrofia muscolare. Nelle prossime righe si tenterà di far luce su questa pratica, elencando i pro, i contro e dispensando un po’ consigli, senza voler salire in cattedra ma cercando ragionare insieme sulla questione.

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    Tipologie

    Esistono principalmente due tipi di cedimento muscolare:

    • Cedimento tecnico: mantenendo una buona esecuzione tecnica, non si è più in grado di portare a termine una o più ripetizioni (l’unico modo per farlo sarebbe “sporcare” la tecnica).
    • Cedimento concentrico: il muscolo target non è più in grado di contrarsi, il peso non può più essere sollevato.

    A sua volta, il cedimento concentrico si suddivide in:

    • C. concentrico neurale: quando il sistema nervoso centrale (SNC) è “cotto” e non riesce quindi a garantire alcuna contrazione muscolare (ciò capita soprattutto quando si cerca di sollevare grossi carichi).
    • C. concentrico metabolico: le unità motorie (um), anche se reclutate, non sono più in grado di contrarsi efficientemente in quanto sature di acido lattico (congestione lattacida).
    Applicazioni pratiche

    Se si ricorre al cedimento, soprattutto quello concentrico metabolico, è meglio limitarsi ad eseguire esercizi monoarticolari, che coinvolgono quindi un minor numero di muscoli, magari come finisher della seduta di allenamento. Come avevamo già detto in passato, ogni stimolo allenante può essere utile all’ipertrofia e quello metabolico non fa eccezione (anche tenendo conto dell’elevato TUT). Sui muscoli più grandi, c’è il rischio che i DOMS (indolenzimento muscolare) vengano protratti nel tempo, andando ad influenzare negativamente gli allenamenti dei giorni successivi.

    Anche se si parla di cedimento concentrico neurale, vale la stessa cosa. Meglio limitarlo ai distretti muscolari più piccoli e verso la fine della seduta di allenamento, in modo da non cuocere il SNC, cosa che comprometterebbe gli esercizi successivi ed il recupero fra una seduta di allenamento e l’altra.

    A livello metabolico si è visto che il cedimento muscolare a basse ripetizioni (cinque per la precisione) altera la produzione di acido lattico (glicolisi anaerobica), la deplezione della fosfocreatina (PCr) e l’abbassamento delle scorte di ATP (adenosin trifosfato) in misura molto minore rispetto al cedimento muscolare su ripetizioni più alte (dieci) [6].

    Cedimento
    Gorostiaga E. M. et al. (2012)

    Riguardo al cedimento tecnico possiamo affermare che è più o meno pericoloso a seconda degli esercizi. Inarcare la schiena e sfruttare strani effetti di rimbalzo non è certo il massimo per la sicurezza delle articolazioni. Quello tecnico è il tipo cedimento che più di ogni altro va limitato, soprattutto sulle alzate che consentono di sollevare grandi carichi (squat, panca piana e varianti, ecc.).

    Ma i neofiti? I principianti non hanno la capacità di esprimere grandi intensità sotto carico, per loro il cedimento muscolare è, il più delle volte, un’arma di scarsa utilità. Meglio se usata per gli atleti intermedi ed avanzati.

    Benché la letteratura scientifica sottolinei che le priorità di un allenamento mirato allo sviluppo della massa muscolare siano altre [1], è difficile parlare di cedimento muscolare tramite gli studi scientifici perché il cedimento non è sempre facile da catalogare. Tuttavia, prendendo in esame quelli più quotati, possiamo affermare che…

    Per Izquierdo M. e colleghi [2], in 16 settimane di allenamento mirate all’incremento della forza, potenza e resistenza muscolare, non ci sono state variazioni significative fra i soggetti, se non per il rendimento muscolare nella panca piana (75% 1RM).

    Drinkwater E. J. e coll. [3] in acuto hanno evidenziato un lieve miglioramento della potenza muscolare nell’allenamento della panca piana con un carico da 6RM (sei ripetizioni massime possibili) utilizzato per 6 settimane di allenamento.

    Una revisione di Willardson J. M. e coll. [4] non evidenzia differenze rilevanti fra un allenamento con cedimento ed un altro senza. Sottolinea però l’importanza di limitare questa pratica, soprattutto se si parla di cedimento tecnico.

    Nel 2010, un altro studio di Izquierdo e coll. [7] ha messo in luce miglioramenti della forza massimale e della potenza negli atleti che non ricercavano continuamente il cedimento muscolare. Per questo motivo quasi tutti i powerlifters si affidano al buffer (mantenere un certo margine di distanza dal cedimento), raggiungendo magari il cedimento nell’ultima serie di un esercizio.

    Conclusioni

    Per terminare, come già ribadito più volte, il cedimento muscolare in alcuni contesti trova tranquillamente il suo spazio, migliorando i livelli di forza e lo sviluppo muscolare, [5] va tuttavia usato con parsimonia, eccedere può potenzialmente portare molti più problemi che benefici. Perché è vero che, a parità di volume, il cedimento può garantire dei risultati mediamente superiori (massa magra), tuttavia non potrebbe essere meglio tenere il cedimento come “asso nella manica” da giocarsi nell’ultima serie di un determinato esercizio, dopo aver accumulato un certo volume allenante, piuttosto che tentare di portare a cedimento ogni serie di ogni esercizio fin da subito? Oppure, come consiglia il noto ricercatore e coach Chris Beardsley, per massimizzare l’ipertrofia tramite il cedimento, si potrebbe aumentare il recupero fra le serie (a discapito della densità) o ricorrere a super serie (super set) alternando esercizi per muscoli, cosiddetti, agonisti e antagonisti. Come? Passando da, per esempio, esercizi per il dorso (lat machine) ad esercizi per il petto (chest press). Esempio: 10 ripetizioni alla lat machine (raggiungendo il cedimento), 10 ripetizioni alla chest press (cedimento) e tot minuti di recupero e via di nuovo ad accorpare questi due esercizi per X numero di serie. “There are basically two ways to get around the problem: (1) take more rest between sets (or use agonist-antagonist supersets to get lots of rest between agonist exercises), and (2) only go to failure on the final set“.

    Buon allenamento!


    oc
    Referenze

    1 Schoenfeld B. J. et al. – Influence of Resistance Training Frequency on Muscular Adaptations in Well-Trained Men (2015)

    2 Izquierdo M. et al. – Differential effects of strength training leading to failure versus not to failure on hormonal responses, strength, and muscle power gains (2006)

    3 Drinkwate E. J. et al. – Training leading to repetition failure enhances bench press strength gains in elite junior athletes (2005)

    4 Willardson J. M. et al. – Effect of Short-Term Failure Versus Nonfailure Training on Lower Body Muscular Endurance (2008)

    5 Nobrega R. S. et al. – Is Resistance Training to Muscular Failure Necessary? (2016)

    6 Gorostiaga E. M. et al. – Energy Metabolism during Repeated Sets of Leg Press Exercise Leading to Failure or Not (2012)

    7 Izquierdo M. et al. – Concurrent endurance and strength training not to failure optimizes performance gains (2010)

  • Hip thrust: una valida alterativa allo squat nella preparazione atletica?

    Hip thrust: una valida alterativa allo squat nella preparazione atletica?

    L’hip thrust è un’esercizio che interessa principalmente gli arti inferiori, tornato alla ribalta negli ultimi anni grazie ad alcuni coach e studiosi d’oltreoceano, come per esempio Bret Contreras.

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    Oltre alla mera ipertrofia, l’hip thrust può trovare il suo spazio anche all’interno di una preparazione atletica finalizzata al miglioramento delle capacità condizionali. In questo  (altro…)

  • Hip thrust: il miglior esercizio per i glutei!

    Hip thrust: il miglior esercizio per i glutei!

    I glutei non crescono in alcun modo, anche allenandoli duramente? Che voi siate uomini o donne poco importa, perché in questo articolo andremo a parlare di un esercizio potenzialmente adatto a chiunque: l’hip thrust. Buona lettura!

     

     

    Esecuzione tecnica

    Si appoggia la base delle scapole ad una panca, tenendo il busto dritto, parallelo al suolo, tibia e femore devono creare un angolo retto (90° circa). I piedi devono essere ben piantati a terra, è importante che la superficie di appoggio non sia scivolosa. Il bilanciere deve essere posizionato all’altezza della anche. Si accompagna il peso verso il basso sfiorando il pavimento con il sedere e successivamente si spinge il peso verso l’alto, sfruttando più che si può la mobilità dell’anca (foto sotto). Per evitare infortuni, riveste una certa importanza l’atteggiamento della colonna vertebrale, specialmente quello della regione lombare. La spina dorsale deve avere un posizionamento neutro, non deve essere iperestesa. Al limite, per evitare ciò, si può provare a “guardare in avanti” con la testa, ricercando così una leggera e momentanea cifosi cervicale.

     

     

    Perché può essere migliore dello squat?

    Il gluteo, lavorando come estensore dell’anca, è il muscolo maggiormente coinvolto nell’intero esercizio. E le elettromiografie, benché non esenti da limiti, lo confermano [1]. In sinergia con i glutei lavorano anche molti altri muscoli, in primis gli ischiocrurali ed il grande adduttore (anche loro sono estensori dell’anca). Se l’esecuzione dell’esercizio è corretta, lo scarso movimento di estensione e flessione dell’articolazione del ginocchio fa si che l’attivazione di altri grossi muscoli (es. quadricipiti) sia parecchio limitata. Questo ultimo punto ci spiega perché l’hip thrust sia un esercizio in grado di isolare meglio i glutei. Quest’ultimi lavorano molto anche nello squat, tuttavia nel movimento di accosciata intervengono anche una miriade di altri muscoli, invece nell’hip thrust il movimento è più “concentrato” sui glutei. Non che la cosa sia necessariamente negativa, tutt’altro, resta però il fatto che se si vuole andare a colpire il lato B, l’hip thrust sia più funzionale.

    Inoltre, per eseguire lo squat è necessaria una certa lordosi nella bassa schiena, nell’hip thrust no, per quest’ultimo è richiesto un atteggiamento neutro della spina dorsale, pertanto anche le persone con una scarsa lordosi possono beneficiare di questo esercizio (ciò riguarda soprattutto le donne).

    Come iniziare a farlo

    E’ consigliabile apprendere lo schema motorio prima a corpo libero, poi con dei carichi molto bassi, utilizzando magari l’elastico, per poi passare a sovraccarichi più importanti. Perché l’elastico? Perché a livello propriocettivo può essere utile posizionare una banda elastica qualche centimetro sopra le ginocchia, questo perché il gluteo è un abduttore dell’anca e trovando l’opposizione della resistenza elastica si contrae anche per evitare l’adduzione degli arti inferiori.

    Come mostrato nella foto qui sotto, l’hip thrust può essere eseguito anche con altri tipi di sovraccarico oltre al classico bilanciere (dischi, manubri, kettlebells). Anche se indubbiamente il bilanciere rimane l’attrezzo con cui è possibile caricare più peso, ricordiamo che il concetto di sovraccarico progressivo è uno dei pilastri dello sviluppo muscolare, inoltre i grossi carichi aumentano il reclutamento muscolare (legge di Henneman) [2,3,4].

    HT
    Foto presa da qui
    Come inserirlo in una scheda di allenamento

    In un contesto di allenamento in monofrequenza, cioè in cui si allenano specificamente gli arti inferiori (glutei compresi), un esempio di routine potrebbe essere:

    Lunedì: petto, spalle, tricipiti;
    Mercoledì: dorso, bicipiti, addome
    Venerdì: gambe e glutei
    Hip thrust 4x8
    Leg extension 3x15
    Leg curl 3x12
    Calf machine 4x10

    Invece, in multifrequenza (più di un allenamento a settimana):

    A-B-A
    A = petto, dorso, tricipiti, polpacci, addome
    B = spalle, trapezi, bicipiti, gambe e glutei
    Lento avanti con manubri 4x8
    Alzate laterali 4x12
    Scrollate con manubri 3x10
    Curl su panca inclinata 3x10
    Hammer curl ai cavi 3x8-8-8 (drop set)
    Squat 5x8
    Hip thrust 4x10

    Ovviamente la scheda è un esempio, qualcosa di molto indicativo. L’allenamento va cucito su misura ad ogni persona, possibilmente da un personal trainer competente.

    Graph1
    Per una corretta crescita muscolare l’alternanza degli stimoli allenanti è sempre la miglior cosa, insieme alla costanza
    Conclusioni

    Specificato che gli esercizi magici e adatti a tutti purtroppo non esistono, seguendo le regole dettate dalla fisiologia articola e biomeccanica umana, l’hip thrust è indubbiamente un movimento molto interessante per gli arti inferiori, specialmente per i glutei. Sulla carta anche migliore dello squat, degli affondi, degli esercizi alle macchine, eccetera. E, se opportunamente periodizzato, nel lungo periodo può portare a grandi risultati, sia in termini estetici (ipertrofia) che di forza.

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    1 Contreras B. et al. – A Comparison of Gluteus Maximus, Biceps Femoris, and Vastus Lateralis Electromyographic Activity in the Back Squat and Barbell Hip Thrust Exercises (2015)
    2 Henneman E. et al. – Functional significance of cell size in spinal motoneurons (1965)
    3 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a homogeneous red muscle (soleus) of the cat (1965)
    4 Henneman E. et al. – Properties of motor units in a heterogeneous pale muscle (m. gastrocnemius) of the cat (1965)

  • Allenamento a corpo libero: a cosa serve realmente

    Allenamento a corpo libero: a cosa serve realmente

    La stragrande maggioranza delle persone che frequenta centri fitness e palestre ha come obiettivo principale un aumento di massa magra a discapito di quella grassa.

    Molti però non sono particolarmente avvezzi agli esercizi canonici di sala e per questo negli ultimi anni,da quando i Box Cross-Fit e altre tipologie di strutture affini, hanno introdotto attrezzi tipici di Ginnastica e Calisthenics, le zone adibite a questo tipo di attività sono sempre più affollate. Va chiarito però che le attività sopra citate differiscono per fine ultimo in quanto il calisthenics ha come priorità l’acquisizione di skill a difficoltà crescente che di conseguenza portano ad un miglioramento in termini di forza generale ed ipertrofia mentre se usiamo l’allenamento a corpo libero ponendo come priorità assoluta l’aumento di massa muscolare, i protocolli allenanti e la scelta degli esercizi cambiano decisamente.

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    In questo pezzo porremo l’attenzione sull’allenamento senza uso di sovraccarico esterno a scopo ipertrofico. Vanno dunque scanditi e chiariti alcuni punti prima di partire ad allenarsi:

    1) Allenarsi a corpo libero vuol dire discostarsi leggermente, soprattutto se si ha un background fisico di un certo livello, dal solito range di serie x rep. Il volume sarà molto alto e maggiore sarà il vostro livello di allenamento tanto maggiore sarà il rapporto di quest’ultimo con l’intensità.

    2) Fattore positivo da aggiungere agli altri è anche il fatto che questo tipo di allenamento ha un discreto impatto sul sistema cardiocircolatorio,dunque il dispendio calorico per seduta sarà superiore a quello di una normale seduta con i pesi.

    3) Maggiore sostenibilità degli allenamenti. A livello articolare e muscolare, allenarsi a corpo libero dovrebbe essere molto meno traumatico di allenarsia con i sovraccarichi. Questo ci darà maggiore margine di errore durante l’esecuzione degli esercizi (sbagliare uno squat libero non è come sbagliarlo sotto 200kg-in teoria) ed anche la possibilità di allenarci quasi tutti i giorni in quanto soprattutto nella fase iniziale della programmazione, il danno muscolare sarà molto assimilabile in termini di recupero.

    4) Allenarsi usando il proprio corpo sviluppando esercizi in multiplanarietà sfruttando la libertà di movimento e il movimento stesso è, a differenza di molte “formule magiche e miracolose”, il vero sunto dell’ allenamento funzionale.

    Quindi perché non mollare tutto e allenarsi solo ed esclusivamente così? Perché dipende da cosa volete :

    1) Per arrivare a canoni estetici da Bbuilder (volumi al limite del natiral….e a volte no) servono i pesi in quanto gli sviluppi e soprattutto le conseguenze richieste dagli stimoli allenanti, prescindono molto dall’idea reale dell’allenamento a corpo libero.

    2) Ad un certo punto bisogna zavorrare gli esercizi in quanto il peso corporeo non basta più come stimolo allenante. Questo però sopraggiunge molto in seguito in quanto prima di passare al sovraccarico degli esercizi si procede con la modifica di altri fattori determinanti.

    Bene, Pronti? Via…

    Partiamo con due esempi giornalieri di allenamento :

    Warm up 10′ cardio + mobility

    MAIN PART:

    A – PRINCIPIANTE

    · Push up regular 3×15;

    · Triceps extension on bench 2×10;

    · Inverted Row 3×15;

    · Inverted Row chin grip 2×10;

    · Squat 5×20

    · Sit up 3xmax

    B – AVANZATO 

    · One arm push up 4×10+10

    · Diamond push up 2xmax

    · Pull up 3×20

    · Chin up 2xmax

    · Pistol 4×10+10

    · Toes to bar 3xmax

    Questi sono solo due esempi di come si ci potrebbe allenare con l’ausilio unico del proprio peso corporeo. Naturalmente, non essendo contestualizzati in programmazioni a lungo raggio settate su particolari obiettivi, i precedenti esempi potrebbero significare tutto e niente allo stesso tempo.

    Elemento da non sottovalutare è anche il fattore economico: sbarra + tappetino (opzionale) e si ci può allenare in maniere completa, risparmiando soldini da poter investire in un personal trainer che vi programmi il lavoro (unico modo per raggiungere obiettivi concreti).

    Detto questo bando alle ciance e via con gli allenamenti!

    Grazie per l’attenzione.


    OC 1
    Approfondimenti

    Cravanzola E. – Ipertrofia e calisthenics: quasi amici! (2017)
    Cravanzola E. – Tessuto muscolare: componenti, forma, contrazione ed ipertrofia (2016)