Per quanto riguarda il benessere psicofisico e la performance, l’alimentazione gioca un ruolo cruciale, sul quale va prestata molta attenzione, sia per gli sportivi che per i soggetti sedentari.

Il mondo dell’alimentazione è (altro…)

La stragrande maggioranza delle persone che frequenta centri fitness e palestre ha come obiettivo principale un aumento di massa magra a discapito di quella grassa.

Molti però non sono particolarmente avvezzi agli esercizi canonici di sala e per questo negli ultimi anni,da quando i Box Cross-Fit e altre tipologie di strutture affini, hanno introdotto attrezzi tipici di Ginnastica e Calisthenics, le zone adibite a questo tipo di attività sono sempre più affollate. Va chiarito però che le attività sopra citate differiscono per fine ultimo in quanto il calisthenics ha come priorità l’acquisizione di skill a difficoltà crescente che di conseguenza portano ad un miglioramento in termini di forza generale ed ipertrofia mentre se usiamo l’allenamento a corpo libero ponendo come priorità assoluta l’aumento di massa muscolare, i protocolli allenanti e la scelta degli esercizi cambiano decisamente.
In questo pezzo porremo l’attenzione sull’allenamento senza uso di sovraccarico esterno a scopo ipertrofico. Vanno dunque scanditi e chiariti alcuni punti prima di partire ad allenarsi:
1) Allenarsi a corpo libero vuol dire discostarsi leggermente, soprattutto se si ha un background fisico di un certo livello, dal solito range di serie x rep. Il volume sarà molto alto e maggiore sarà il vostro livello di allenamento tanto maggiore sarà il rapporto di quest’ultimo con l’intensità.
2) Fattore positivo da aggiungere agli altri è anche il fatto che questo tipo di allenamento ha un discreto impatto sul sistema cardiocircolatorio,dunque il dispendio calorico per seduta sarà superiore a quello di una normale seduta con i pesi.
3) Maggiore sostenibilità degli allenamenti. A livello articolare e muscolare, allenarsi a corpo libero dovrebbe essere molto meno traumatico di allenarsia con i sovraccarichi. Questo ci darà maggiore margine di errore durante l’esecuzione degli esercizi (sbagliare uno squat libero non è come sbagliarlo sotto 200kg-in teoria) ed anche la possibilità di allenarci quasi tutti i giorni in quanto soprattutto nella fase iniziale della programmazione, il danno muscolare sarà molto assimilabile in termini di recupero.
4) Allenarsi usando il proprio corpo sviluppando esercizi in multiplanarietà sfruttando la libertà di movimento e il movimento stesso è, a differenza di molte “formule magiche e miracolose”, il vero sunto dell’ allenamento funzionale.
Quindi perché non mollare tutto e allenarsi solo ed esclusivamente così? Perché dipende da cosa volete :
1) Per arrivare a canoni estetici da Bbuilder (volumi al limite del natiral….e a volte no) servono i pesi in quanto gli sviluppi e soprattutto le conseguenze richieste dagli stimoli allenanti, prescindono molto dall’idea reale dell’allenamento a corpo libero.
2) Ad un certo punto bisogna zavorrare gli esercizi in quanto il peso corporeo non basta più come stimolo allenante. Questo però sopraggiunge molto in seguito in quanto prima di passare al sovraccarico degli esercizi si procede con la modifica di altri fattori determinanti.
Bene, Pronti? Via…
Partiamo con due esempi giornalieri di allenamento :
Warm up 10′ cardio + mobility
MAIN PART:
A – PRINCIPIANTE
· Push up regular 3×15;
· Triceps extension on bench 2×10;
· Inverted Row 3×15;
· Inverted Row chin grip 2×10;
· Squat 5×20
· Sit up 3xmax
B – AVANZATO
· One arm push up 4×10+10
· Diamond push up 2xmax
· Pull up 3×20
· Chin up 2xmax
· Pistol 4×10+10
· Toes to bar 3xmax
Questi sono solo due esempi di come si ci potrebbe allenare con l’ausilio unico del proprio peso corporeo. Naturalmente, non essendo contestualizzati in programmazioni a lungo raggio settate su particolari obiettivi, i precedenti esempi potrebbero significare tutto e niente allo stesso tempo.
Elemento da non sottovalutare è anche il fattore economico: sbarra + tappetino (opzionale) e si ci può allenare in maniere completa, risparmiando soldini da poter investire in un personal trainer che vi programmi il lavoro (unico modo per raggiungere obiettivi concreti).
Detto questo bando alle ciance e via con gli allenamenti!
Grazie per l’attenzione.
Cravanzola E. – Ipertrofia e calisthenics: quasi amici! (2017)
Cravanzola E. – Tessuto muscolare: componenti, forma, contrazione ed ipertrofia (2016)

Arrivati all’ultimo articolo della raccolta di pezzi sul largo impiego dei KB nel mondo sportivo/fitness, parleremo oggi di questo meraviglioso attrezzo in funzione della preparazione atletica per gli sport da combattimento.

Cosa lo rende così adatto a questo utilizzo? Il fatto che il kettlebell-Training renda migliori un po’ in tutto, senza far raggiungere picchi esagerati di nessuna capacità organica in particolare. In poche parole: se ti alleni bene con le ghirye sarai più potente, più resistente e se adotti una giusta alimentazione anche con rapporti di % BF (Massa Grassa)/LM(Massa Magra) ottimi.
Andiamo un attimo più affondo adesso. Come (altro…)

Le sostanze definite eccitanti, o stimolanti, sono sostanze in grado di simulare l’azione del sistema nervoso simpatico. Questo gruppo di sostanze è assai vasto, gli stimolanti possono infatti avere effetti molto diversi fra loro, hanno in comune però la capacità di aumentare la permanenza in circolo di catecolamine, neurotrasmettitori che rivestono un importante ruolo nel controllo delle funzioni vegetative, motorie e psichiche, data la loro interazione con il sistema nervoso simpatico.

Le catecolamine derivano dalla (altro…)


Con l’avvento del functional trainig sempre più popolare è diventato l’impiego dei kettlebell. Questa palla di ghisa con maniglia viene spesso definita “palestra portatile”. Quanto è vera questa affermazione? Tanto. Questo attrezzo affonda le radici fin nella storia primordiale dell’allenamento con sovraccarichi : dagli antichi greci ai Russi dell’era degli zar fino agli strongmen e pesisti dei primi dell’800. Insomma, non la solita moda ma un oggetto che è sopravvissuto ad anni ed anni, evolvendosi nel design e nella forma sempre più “comoda” da maneggiare.
Ma cosa si allena con i kb o come li chiamano i Russi, ghirye?
Tutto. Dall’ipertrofia muscolare al conditioning di ogni singolo meccanismo energetico. Bisogna però prima distinguere le due più grandi scuole di pensiero sullo stile di utilizzo dei kb : RKC e GhiriSport. Uno ha come obiettivo l’incremento del carico della ghirya per un numero relativo di ripetizioni mentre il secondo è uno sport con con regole-competizioni-categorie-specialità che ha come fine ultimo il raggiungimento del massimo numero di ripetizioni in determinati range of time con una/due ghirye relativamente pesanti (da 16kg a 32kg). Questa è una semplice illustrazione grossolana delle differenze fra filosofie di impiego dello stesso attrezzo.
Quale è la migliore ? NESSUNA.
Sul web, nei gruppi di discussione, spesso si da vita a scontri su quale linea sia meglio: Esplosivi ma per brevi periodi o un buon compromesso fra potenza e Time unit? Per citare il signor Biasci «DIPENDE». Da cosa? Dal motivo per cui ti alleni: ai fini di preparazione atletica generale? Al mero scopo fitness/estetico? In entrambi i casi i suddetti approcci possono portare a miglioramento sullo stesso ambito di impiego. A mio avviso, un giusto mix fra i due stili porta beneficio a chi pratica questo tipo di training in quanto con l’aumentare del carico del kb si tenderà ad adottare movimenti più “scattosi” e meno armoniosi, tipici dello stile RKC. Così come per allenamento di media/lunga duraga, sarà più opportuno adottare movenze da girevyk (agonista del GhirySport).
Nei prossimi articoli, vedremo degli esempi di allenamento che mixano i due stili e li applicheremo a :
Grazie per l’attenzione.
Civalleri M. – Kettlebell’s heavyrobics (Olympian’s News, 2012)

Benché non occorra essere per forza dei geni in anatomia per allenarsi correttamente, è indubbiamente utile avere nel proprio bagaglio teorico un po’ di nozioni riguardanti almeno i gruppi muscolari più grandi. Buona lettura!

I muscoli del petto possiamo suddividerli in grande pettorale e piccolo pettorale. L’inserzione del gran pettorale è a livello della cresta e della grande tuberosità dell’omero. Agisce a livello della articolazione scapolo omerale generando abduzione e rotazione della articolazione; è inoltre capace di sollevare il tronco in una azione inspiratoria accessoria.
A sua volta, il gran pettorale è diviso in tre capi:
Questi tre capi si uniscono in un’unica inserzione omero, sulla cresta del tubercolo maggiore.
Il piccolo pettorale invece, si origina con tre fasci distinti sulla terza, quarta e quinta costola, si inserisce a livello del processo coracoideo della scapola (si tratta di un’altra struttura scapolare mediale all’acromion). La sua funzione principale è quella di abbassare la spalla e sollevare le coste, si tratta pertanto di un muscolo inspiratorio.

Quando andiamo a sforzare il petto in un qualsiasi esercizio, inevitabilmente interverranno anche il capo anteriore del deltoide, il tricipite, il gran dentato ed il subclavio.
Quando tutto questo insieme di muscoli lavora, inevitabilmente agisce su due grandi strutture articolari: il cinto scapolare (scapola e clavicola) e l’omero.
In letteratura scientifica è ormai assodato che il gran pettorale abbia all’incirca 42% di fibre muscolari rosse (tipo I) ed il 58% di fibre bianche (tipo II) [1]. La sua funzione principale è quella di addurre e abdurre l’omero, abbassarlo, fletterlo orizzontalmente, intraruotarlo, collocarlo in una posizione di anteposizione e realizzare una flessione sagittale dell’omero.

Il piccolo pettorale invece, ha una diversa distribuzione di fibre muscolari: 51% rosse (I) e 49% rapide (II). Le sue funzioni sono in primo luogo il far eseguire delle flessioni orizzontali dell’omero, mettere sempre quest’ultimo in anteposizione, abbassarlo ed estendere le scapole.

Il deltoide anteriore ha indicativamente un 60% circa di fibre rosse (I) e un 40% di fibre bianche (II). Le sue funzioni più importanti sono quelle di flettere orizzontalmente l’omero e di extraruotarlo.
Il tricipite ha all’incirca il 60% di fibre rosse (I) ed il 40% di fibre bianche (II). Presenta tre capi (lungo, laterale e mediale) ed esercita la sua azione sull’articolazione scapolo-omerale, adducendo ed estendendo l’omero, e l’articolazione del gomito, estendendo l’avambraccio sul braccio.
Il gran dentato ha un grosso predominio di fibre rosse (I), come funzioni base garantisce una flessione orizzontale dell’omero, una sua flessione sagittale, una abduzione scapolare e una rotazione esterna delle scapole.
Il succlavio, come il gran dentato, è composto per lo più da fibre rosse (I) e la sua funzione di maggior importanza è quella di abbassare la clavicola.
Tutte queste nozioni ci serviranno ora per andare ad analizzare i principali esercizi per il petto e per valutare quali possono essere i migliori e perchè.
Dopo aver osservato le funzioni dei muscoli sui vari piani di movimento, possiamo arrivare a capire che per far lavorare al meglio i pettorali, dobbiamo muovere dei carichi con movimenti di spinta (es. distensioni su panca) e di apertura (es. croci).
Distensioni su panca piana: quando andiamo a eseguire delle distensioni su panca piana, i muscoli che intervengono sono principalmente il grande e piccolo pettorale, il capo anteriore del deltoide ed i tricipiti anche se a voler essere pignoli, i muscoli coinvolti in questo esercizio sono infinitamente di più, la mia è una semplificazione. Nell’esecuzione della panca, l’alternarsi di fase concentrica ed eccentrica, fa addurre ed abdurre il petto. Inoltre la distensione delle braccia garantisce un marcato lavoro del tricipite.
Nella panca piana con bilanciere una presa molto larga diminuisce il range di movimento complessivo, il gomito scende poco sotto la testa dell’omero (scarsa adduzione-abduzione del pettorale) e i tricipiti lavorano meno (ridotto piegamento delle braccia). Viceversa, una presa più stretta aumenta il lavoro dei pettorali (maggior adduzione-abduzione) e coinvolge maggiormente i tricipiti (aumenta il piegamento delle braccia). Pertanto non esiste un soluzione al problema dei tricipiti “rubano” il lavoro al petto, poiché i muscoli lavoreranno molto in entrami i casi.
Indipendentemente dalla larghezza della presa, l’esecuzione con bilanciere avrà sempre e comunque un rom (range di movimento) ridotto rispetto a quella con manubri (foto sotto). Inoltre, l’instabilità data dai manubri può aiutare le persone nella propriocezione muscolare, fattore fondamentale per un’ottimale crescita. Di contro però, con il bilanciere, nel tempo, sarà più facile aumentare il sovraccarico (anche se questo è un concetto più per atleti avanzati).

Prima di passare al prossimo esercizio, è bene ricordare un’ultima cosa sulla panca piana: questo, più di altri, non è un esercizio per tutti.
Un soggetto con leve favorevoli (cassa toracica grande, angolo fra sterno e testa omero ampio e linea di trazione del pettorale quasi verticale) riuscirà a sviluppare più forza e ad ottenere una risposta ipertrofica maggiore rispetto a soggetti più gracili e longilinei (illustrazione sotto).

Distensioni su panca inclinata: negli anni se ne sono dette di tutti i colori su di essa, ma attualmente grazie a dei progressi nella letteratura scientifica [2,3], si è scoperto un discreto vantaggio nell’utilizzo di questo esercizio, rispetto alle classiche distensioni in piano, almeno quanto riguarda il reclutamento dei fasci clavicolari (la banale “parte alta” del petto).

Come mostrato nel grafico riportato sopra, i vantaggi ci sono unicamente dai 45° in su, inclinazioni minori della panca stimolano troppo poco questi fasci muscolari.
Distensioni su panca declinata: ottimo esercizio per reclutare tutte le fibre dei muscoli pettorali, è l’esercizio in cui generalmente si carica di più, garantisce quindi un’elevata tensione meccanica nei nostri allenamenti (fattore chiave dell’ipertrofia muscolare).
Dips alle parallele: i dips, o distensioni alla parallele, non si è mai capito se siano più utili allo sviluppo dei pettorali o dei tricipiti. Osservando le nozioni fornite nel precedente paragrafo, possiamo intuire il coinvolgimento del tricipite a causa dell’estensione dell’avambraccio sul braccio (anche se in questo caso sarebbe più appropriato parlare di distensione, dato che le mani si trovano in appoggio su una sbarra). Riguardo al petto invece, il gran pettorale interviene anche’esso nella fase concentrica, essendo un flessore del braccio (con i fasci superiori o clavicolari).
Esistono in realtà due versioni di questo stesso esercizio: le distensioni classiche, con presa stretta e busto piuttosto verticale e le chest dips, con la presa un po’ più larga ed il busto più inclinato in avanti (a voler quasi simulare una panca declinata). In linea del tutto teorica, quelle classiche stimolano soprattutto i fasci clavicolari del gran pettorale, perchè impongono una flessione della spalla da posizione iperestesa. Le chest dips invece, fanno lavorare i fasci inferiori del gran pettorale a causa del movimento di adduzione della spalla.
A voler essere puntigliosi, un vecchio studio tedesco [4] dimostra come scendere oltre l’angolo di 90° nelle dips normali, testa dell’omero che va sotto il gomito, faccia calare l’attivazione del tricipite in maniera abbastanza significativa (-12%), nelle distensioni con presa più larga invece, le chest dips, il calo è molto minore (-3%).
Va infine sottolineato che il materiale scientifico per valutare l’attività elettriomiografica (EMG) dei pettorali nelle distensioni alla parallele è veramente pochissimo. Abbiamo a disposizione un solo studio più o meno attendibile [5], il quale ha evidenziato una marcata attivazione dei fasci inferiori ma purtroppo non specifica nè l’ampiezza della presa, nè l’inclinazione del busto. Va infine aggiunto che le analisi tramite EMG hanno dei palesi limiti.
Croci e aperture ai cavi: sono dei validi esercizi perchè consistono in delle flessioni orizzontali dell’omero. Ripassando quanto detto a inizio articolo, si capisce l’utilità di questi esercizi nell’andare a colpire muscoli come il grande pettorale, piccolo pettorale e deltoide anteriore. Non permettono di caricare molto peso, quindi non vengono scelti come esercizio principale per il petto e con essi si opta per ripetizioni medio-alte. Inoltre, nell’esecuzione con manubri, l’andare ad intraruotare l’omero una volta giunti verso la fine della fase concentrica può essere uno stimolo in più per il muscolo target (gran pettorale). Al contrario, un extrarotazione aumenterebbe solo lo stress al capo anteriore del deltoide.
Nelle croci con manubri, la massima tensione è data dalla forza di gravità, infatti quando l’omero è parallelo al suolo (figura sotto), quindi all’inizio della contrazione concentrica, la tensione è massima. Mentre è prossima allo zero, se i due manubri si trovano in alto, vicini, perpendicolari al suolo (al termine della fase concentrica).
Discorso invece diverso se si opta per la variante ai cavi (fig. sotto), in essa c’è una resistenza data dai cavi “che tirano”, la quale garantirà un coinvolgimento del gran pettorale anche al termine della fase concentrica. Per evitare “pause” durante la contrazione, potrebbe essere sensato preferire le croci ai cavi a quelle con i classici manubri, oppure utilizzare sempre i manubri ma effettuare delle ripetizioni parziali (ROM incompleto).

Illustrazioni degli esercizi prese da “Bodybuilding Anatomy” di Nick Evans.
Dopo tutta questa pappardella risulta chiaro come il voler isolare singole parti del petto, sogno di molti palestrati, sia pura fantascienza e che, a seconda di leve e di altre caratteristiche ereditate geneticamente, certi esercizi non siano ottimali per tutti. L’allenamento va programmato, periodizzato e deve essere necessariamente individualizzato, anche se esistono delle “regole” anatomiche e fisiologiche comuni un po’ a tutti, le quali devono essere rispettate.
Grazie per l’attenzione.
Kapandji I. A. – Fisiologia articolare (Monduzzi; 7a ediz., 2007)
Beraldo S. – Allenamento muscoli pettorali (2016)
Nick Evans – Bodybuilding Anatomy (Calzetti Mariucci, 2008)
1 Bosco C. – La forza muscolare. Aspetti fisiologici ed applicazioni pratiche (Società Stampa Sportiva; 2a ediz., 2002)
2 Trebs et al. – An electromyography analysis of 3 muscles surrounding the shoulder joint during the performance of chest press at several angles (2010)
3 Luczak et al. – Shoulder muscle activation of novice and resistance trained women during variations of dumbbell press exercise (2013)
4 Boeckh-Behrens W. et al. – Fitness-Krafttraining:die besten Übungen und Methoden für Sport und Gesundheit (2000)
5 Contreras B. – Inside the Muscles: Best Chest and Triceps Exercises (2010)

Negli ultimi anni, il calisthenics, un po’ come il CrossFit, ha avuto un enorme boom in quanto a popolarità. Vuoi per la presenza di alcune skills di forte impatto visivo, vuoi per la possibilità di allenarsi quasi a costo zero (altro…)

Lo squat e la pressa per le gambe (o leg press) sono due esercizi di spinta degli arti inferiori, entrambi ben noti per essere utilizzati al fine di incrementare la forza, la massa muscolare, di rafforzare legamenti e tendini (scopi riabilitativi), eccetera.
Anche nello strength and conditioning, o preparazione atletica, entrambi gli esercizi sono parecchio usati. Sia per lavori di forza massimale e resistente (contrazioni muscolari non particolarmente rapide) che per esercitazioni esplosive (tempo di contrazione piuttosto breve). In questo articolo ci soffermeremo proprio sulla preparazione atletica, confrontando questi due grandi esercizi, mettendo sul tavolo un recentissimo studio [1] che ha osservato differenti influenze sui salti, derivanti dall’allenamento dello squat e della leg press.
Gruppi di studio: dopo dei test iniziali atti a stimare i loro carichi massimali (1RM), le cavie sono state inserite in maniera del tutto casuale in tre distinti gruppi. Un gruppo di soggetti che si allenava solo con lo squat (SQ), un gruppo che si allenava solamente con la leg press (LP) e un gruppo che svolgeva un allenamento misto, alternando lo squat alla pressa (SQ-LP).
Numero partecipanti: 26
Sesso: tutti maschi
Età media: 22
Altezza media: 175,4 cm
Massa corporea media: 80.7 kg
Altre caratteristiche dei soggetti: tutti privi di problemi di natura muscoloscheletrica, tutti assolutamente “natural” (nessuno era sotto steroidi o altre sostanze illecite) e nei 6 mesi antecedenti a questo studio nessun partecipante aveva seguito protocolli di allenamento con i sovraccarichi.
Durata dello studio: 10 settimane
Programma di allenamento: un semplice ma efficace 6×8-12*, con un recupero fra le serie di 90-120 secondi. Tutto ciò è stato eseguito per due sedute settimanali
È bene sottolineare che il volume di allenamento totale di ogni singolo gruppo era praticamente il medesimo.
*serie x ripetizioni
Tralasciando le modifiche ottenute sulla composizione corporea che, almeno in questo articolo, non ci interessa trattare, e che dipendono molto anche dal regime alimentare seguito.
Si sono visti dei concreti miglioramenti nei tempi di contrazione muscolare e nell’altezza raggiunta nel salto verso l’alto (vertical jump) soprattutto nel gruppo che eseguiva lo squat (SQ), seguito poi dal gruppo combinato (SQ-LP) e da quello della pressa (LP).

Senza voler tirarla troppo per le lunghe, dato che i risultati sono sotto gli occhi di tutti, il maggior transfert ottenuto tramite lo squat è probabilmente collegabile al maggior rom (range di movimento) rispetto alla leg press (più lavoro muscolare) ed al maggior impegno neuromuscolare nello squattare. Inoltre, la quasi totale esclusione dei muscoli stabilizzatori nella leg press, non coinvolti negli esercizi guidati alle macchine, rende l’esercizio probabilmente troppo dissimile dai salti verticali, diminuendone il transfert effettivo. Ciò tuttavia non toglie che anche la pressa porti a dei miglioramenti prestativi sui salti verticali. Ergo, benché uno schema motorio come quello dell’accosciata eseguito a pesi liberi sia preferibile, questo non vieta di utilizzare, in certi casi, la pressa e/o di alternare i due esercizi.
Grazie per l’attenzione.
Cravanzola E. – La forza in palestra e nello sport: consigli ed errori da evitare (2016)
1 Rossi F., Schoenfeld B. et al. – Strength, body composition, and functional outcomes in the squat versus leg press exercise (2016)