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  • La genetica nello sport: fra scienza e filosofia

    La genetica nello sport: fra scienza e filosofia

    La genetica è ingiusta, anti-meritocratica, avvantaggia alcuni ed affossa altri. Spesso può capitare di sentire discorsi di questo tipo nelle palestre o sui social, ma cosa c’è di vero? Domanda retorica…

    Qualche tempo fa è stato pubblicato un bell’articolo in inglese (Genetics and Elite Athletes), spero che prenderne in prestito alcuni punti possa giovare anche al pubblico non anglofono. Buona lettura!

    Introduzione

    Non siamo tutti uguali e per accorgersi di questo bastano due occhi ed un cervello, in realtà neanche due gemelli omozigoti lo sono. C’è chi è un po’ più alto,chi più basso,chi più predisposto alla crescita muscolare, allo sviluppo della velocità, a quello della resistenza… O ancora, chi apprende un compito motorio nella metà del tempo rispetto ad un soggetto meno predisposto, chi è più soggetto a infortuni, malattie, e chi più ne ha ne metta.

    Capisci l’importanza della genetica quando un ragazzo che non ha mai fatto del movimento in vita sua mette piede in palestra e in un paio d’anni ottiene i tuoi medesimi risultati, peccato solo che tu ti alleni dal triplo – se non quadruplo – del suo tempo, cercando di fare le cose a modo, lui magari neanche sa eseguire bene gli esercizi.

    Genetica e forza

    In base a come un muscolo si inserziona su un osso, od un complesso articolare, molte cose possono cambiare. Una giusta inserzione può permettere a un soggetto di eseguire più velocemente un determinato movimento tramite un maggior sviluppo di forza1,2.

    Gli studi ortopedici hanno effettivamente dimostrato che cambiare il sito di attacco di un tendine in una posizione meno vantaggiosa dal punto di vista meccanico, può ridurre il range di movimento di un’articolazione e la coppia articolare in varie posizioni (quando i muscoli si contraggono o si allungano, creano forza muscolare, questa forza muscolare attira le ossa creando una coppia articolare)3.

    Il punto in cui il muscolo si “attacca” all’osso è determinato da questioni genetiche4, non lo scegliamo noi, inutile piangersi addosso o incolpare i genitori. Allo stesso tempo, anche la forza generata da due muscoli di analoga dimensione e inserzione può essere differente, basti pensare alla diversa distribuzione di fibre muscolari5. Di esse, tipologie e caratteristiche, avevamo già abbondantemente parlato qui.

    Sopra potete osservare i cambiamenti del livello di forza dei quadricipiti di 53 soggetti sedentari che hanno eseguito un 4×10 (80% 1RM) di leg extension per 9 settimane (tre allenamenti a settimana). Vi è stata un’ampia variabilità fra i risultati ottenuti dai praticanti: c’è chi è migliorato tantissimo (forza incrementata di quasi il 50%) e chi quasi non è progredito per nulla (uno addirittura è peggiorato). Da Robert M. Erskine et al., 201028.

    Genetica e sviluppo muscolare

    L’ipertrofia può dipendere da una moltitudine di fattori. Ad esempio, a livello genetico, può essere fortemente influenzata dalla miostatina (un gene). Mutazioni geniche potrebbero portare certi soggetti fortunati ad accumulare più muscoli del normale6. Inoltre, è assai probabile che una carenza di miostatina giochi un ruolo importante nel reclutamento di cellule satellite. Quest’ultime sono sostanzialmente delle cellule staminali, stem cells, del muscolo. Quando le fibre muscolari subiscono dei danni, le stem cells vengono attivate per fornire assistenza nel processo di adattamento e ricostruzione muscolare7. Sempre le cellule satellite possono donare i loro nuclei alle cellule muscolari per consentirne la crescita8.

    In letteratura scientifica si è visto come il reclutamento di cellule satellite sia estremamente variabile da persona a persona9,10. E’ stato quindi ipotizzato che la capacità di attivazione delle stem cells sia un fattore genetico11 che premia, parlando di ipertrofia, gli individui in grado di reclutare meglio queste particolari cellule8. Quindi se avete un amico che pur allenandosi un po’ alla carlona cresce molto bene a livello muscolare, è probabile che egli sia inconsciamente capace di reclutare naturalmente le cellule satellite a ritmi molto superiori al normale.

    Sopra, stesso studio preso in esame poc’anzi28, è mostrato l’incremento della sezione trasversale dei quadricipiti dopo le solite 9 settimane di leg extension (4×10 all’80% 1RM, 3xweek). La crescita muscolare media è stata del 5,7%; anche qui i soggetti più predisposti hanno visto aumentare i propri volumi muscolari di quasi il 20% e quelli meno fortunati hanno avuto dei lievi peggioramenti (-3% circa). Come sempre, vi è stata una grande variabilità individuale.

    Genetica e velocità

    I velocisti d’élite possiedono muscoli mediamente più dotati di fibre bianche rispetto a una popolazione di comuni sedentari12,13. Si è anche osservato che i pesisti olimpici, atleti notoriamente molto esplosivi, hanno percentuali molto alte di fibre bianche14. Pare quindi ovvio constatare che gli atleti ben messi in quanto a fibre bianche rapide (tipo II) abbiano un enorme vantaggio sugli sport di velocità e/o potenza rispetto agli sportivi meno “geneticamente fortunati”. La maggior velocità ed efficienza muscolare di un soggetto rispetto a un altro non data unicamente dalla forza contrazione, ma anche dalla fase di rilassamento. «Possiamo suddividere la contrazione e il rilassamento muscolare in tre fasi principali, ovvero la contrazione, il rilassamento ed infine la fase latente, fase che segue lo stimolo, ma nella quale non c’è risposta. Questo complesso sistema di reazioni chimiche determinerà lo scorrimento di un filamento sull’altro, e quindi la contrazione del sarcomero. A seguito della contrazione la troponina rilascia ioni Ca2+ che tornano nel reticolo sarcoplasmatico»15. Più velocemente si possono rilassare le fibre muscolari, più velocemente il muscolo si accorcerà, generando una maggiore potenza complessiva16. Questo processo è mediato da più enzimi all’interno del muscolo che sono necessari per la risintesi dell’ATP, il legame del calcio e altri complicati processi biochimici16. Il celebre allenatore sovietico Yuri Verkhoshansky sosteneva che i velocisti talentuosi di natura rispondessero all’allenamento principalmente migliorando i tassi di rilassamento più che la forza muscolare effettiva16. Ben lungi dall’avere delle certezze, ci sono effettivamente dei dati che avallano la tesi del Prof. Verkhoshansky17. Sfortunatamente, anche i tassi di rilassamento sembrano essere altamente ereditari poiché gli studi hanno dimostrato che né l’età, né il sesso hanno alcuna correlazione con essi18.

    Un altro fattore determinante della prestazione atletica può essere l’isteresi del tendine. L’isteresi del tendine si riferisce all’efficienza con cui un tendine assorbe e reindirizza la forza19. I tendini sono il tessuto connettivo tra muscolo e ossa, si allungano quando un muscolo si allunga e si contraggono quando un muscolo si accorcia. Pertanto, la capacità di un tendine di trasmettere efficacemente la forza dall’allungamento all’accorciamento può determinare la quantità di potenza complessiva che può essere trasferita all’osso e alla locomozione complessiva19. Come riportato in letteratura scientifica20 i tendini durante un ciclo di accorciamento-stiramento e durante le contrazioni isometriche massimali possono allungarsi fino dal 6 fino al 14%, inoltre se il tendine è lungo, i fascicoli muscolari si allungano di meno. Un tendine che è più rigido, per questioni genetiche ma anche adattamento all’attività fisica, è più prestante (assicura maggior potenza e velocità nei movimenti) ma è più soggetto agli infortuni.

    Genetica e resistenza

    Direttamente correlato all’idea di isteresi tendinea è l’economia del gesto nella corsa su lunghe distanze effettuata da atleti esperti. È stato teorizzato nel corso degli anni che i maratoneti d’élite sono semplicemente più bravi a “dissipare il calore” rispetto agli altri corridori21,22. Un corridore inefficiente, può manifestare un maggiore accumulo di calore a causa, in parte, della scarsa isteresi del tendine che accelera il processo di affaticamento durante una corsa protratta nel tempo19. A livello biochimico, diversi enzimi all’interno del muscolo sono necessari per determinare il “tasso metabolico” di uno sforzo fisico. Il più grande degli atleti di endurance può essere tale perché semplicemente ha degli enzimi più attivi dei suoi avversari di gara22. Ci sono infatti degli studi che mostrano come alcuni corridori particolarmente performanti siano in grado di mantenere velocità elevate a un VO2 max (massimo consumo di ossigeno) inferiore ai valori di altri soggetti meno allenati (o meno portati)23. Un po’ come se due veicoli andassero alla stessa velocità per innumerevoli chilometri e uno consumasse il 10% di carburante in meno rispetto all’altro.

    Sempre riguardo alla corsa, una miglior economicità del gesto (andatura efficiente) può essere dovuta alla preponderanza di fibre muscolari di tipo I, quindi lente e rosse. Queste fibre, come molti sanno, sono le più adatte per impegni fisici protratti nel tempo: accumulano meno sottoprodotti metabolici e si affaticano più lentamente. Inoltre, uno dei fattori limitanti dei lavori di resistenza è l’afflusso di ossigeno ai muscoli. Questo, entro un certo limite, può essere migliorato con l’allenamento ma esistono anche qui persone più inclini di altre ad essere resistenti grazie a una maggior capacità (innata) di rifornire i propri muscoli di ossigeno24. Anche la densità capillare può essere influenzata dalla genetica individuale24,25. I capillari sono il sito dello scambio di ossigeno tra il sistema vascolare e il muscolo. È qui che l’ossigeno viene fornito al muscolo e i prodotti metabolici di scarto vengono rimossi. Pertanto, è facile intuire che più capillari ha un atleta nel tessuto muscolare, più ossigeno può essere erogato e più rifiuti metabolici possono essere smaltiti o riconvertiti25.

    Genetica e infortuni

    Come sottolineato da Collins M. et al.26, gli sforzi eccessivi che portano a lesioni dei tessuti molli del sistema muscolo-scheletrico, derivanti da lavori usuranti o attività fisica, sono influenzate dalla genetica individuale. In special modo quelle al tendine d’Achille (caviglia), alla cuffia dei rotatori (spalla) ed ai legamenti crociati (ginocchia). Le varianti di sequenza all’interno dei geni che codificano le diverse proteine ​​di matrice extracellulare dei tendini e/o dei legamenti sono state associate a specifici infortuni di specifiche zone dei tessuti. Per esempio le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C (TNC), COL5A1 ed Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3) sono state collegate alle tendinopatie del tendine d’Achille. Entrando un po’ più nel dettaglio, le varianti della sequenza del gene della Tenascina-C sono state associate sia alle tendinopatie che alle rotture del tendine d’Achille. mentre le varianti del COL5A1 e COL1A1, geni che forniscono le istruzioni genetiche per realizzare le componenti del collagene di tipo I e V, sono state correlate ad infortuni al legamento crociato posteriore.

    Inoltre, una meta-analisi del 2015, quindi alto impatto statistico, ha raccolto i dati provenienti da studi pubblicati in letteratura scientifica fra il 1984 ed il 2014 (trent’anni precisi). I ricercatori – Longo U. G. et al. – hanno confermato tutto ciò che avevano dedotto Collins e Raeligh nel 2009, aggiungendo che, oltre alla genetica, contano ovviamente diversi altri fattori, in primis lo stile di vita27.

    Altre letture utili:

    - L’abc della genetica
    - Genetica e predisposizione agli infortuni
    - Genetica - Muscoli e allenamento: quanto conta?
    - Tendini: salute e performance
    - Tessuto muscolare: componenti, forma, contrazione e ipertrofia
    - La forza nello sport e in palestra: consigli ed errori da evitare
    - Ormoni androgeni: fisiologia di base, benefici ed effetti collaterali
    Una lotteria della natura?

    Nella seconda metà dello scorso secolo ci fu un interessante confronto intellettuale, dovuto a una netta divergenza di opinioni, tra i filosofi d’oltreoceano John Rawls e Robert Nozick. Il primo era un grande sostenitore dell’equità in ogni aspetto della vita sociale, il secondo – ideologicamente più a destra – no. Quest’ultimo, ricorrendo all’esempio di una partita di basket, sosteneva che i tifosi dovessero essere liberi di pagare il prezzo del biglietto facendo arricchire, direttamente o indirettamente, un giocatore particolarmente bravo (spendere i propri soldi in quel modo è un loro diritto). Qualora quel giocatore attirasse milioni di appassionati, egli ben presto diventerebbe molto ricco.

    Ovviamente Rawls era in totale disaccordo: un società giusta non dovrebbe permettere a un uomo, sportivo o meno, di accumulare troppi soldi, salvo che ciò non porti dei vantaggi ai più poveri. Stando sempre al pensiero di J. Rawls, un grande talento nello sport o un’intelligenza superiore alla media è solo frutto di una fortuna sfacciata. Noi potremmo dire: genetica favorevole. Per questo filosofo, notevoli doti fisiche o intellettive non sono altro che una vittoria alla “lotteria della natura“, qualcosa che con la meritocrazia non ha nulla a che vedere. Per il collega Nozick, era invece giusto che l’eccellenza fosse meglio retribuita (anche con cifre milionarie). A distanza di anni, quello dell’equità e dei guadagni è ancora un argomento che infiamma il dibattito pubblico, saltuariamente anche in campo sportivo.

    Conclusioni

    In un certo senso potremmo dire che non siamo noi a selezionare scientemente uno sport da fare, ma è lo sport a scegliere noi. La pratica e la dedizione, non solo riguardo l’attività fisica, possono far migliorare praticamente chiunque e mettere delle pezze a certe lacune. Certo è che, a parità di impegno, chi ha ricevuto i biglietti fortunati per la lotteria della natura sarà sempre un passo avanti agli altri, anche senza averlo voluto.

    Buon allenamento.


    Bibliografia

    1 Lieber, R. L., & Shoemaker, S. D. (1992). Muscle, joint, and tendon contributions to the torque profile of frog hip joint. American Journal of Physiology-Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, 263(3), R586-R590.
    2 Duda, G. N., Brand, D., Freitag, S., Lierse, W., & Schneider, E. (1996). Variability of femoral muscle attachments. Journal of Biomechanics, 29(9), 1185-1190.
    3 Yamamoto, N., Itoi, E., Tuoheti, Y., Seki, N., Abe, H., Minagawa, H., & Okada, K. (2007). Glenohumeral joint motion after medial shift of the attachment site of the supraspinatus tendon: a cadaveric study. Journal of Shoulder and Elbow Surgery, 16(3), 373-378.
    4 Thomis, M. A. I., Beunen, G. P., Leemputte, M. V., Maes, H. H., Blimkie, C. J., Claessens, A. L. & Vlietinck, R. F. (1998). Inheritance of static and dynamic arm strength and some of its determinants. Acta Physiologica Scandinavica, 163(1), 59-71.
    5 Tesch, P. A., Wright, J. E., Vogel, J. A., Daniels, W. L., Sharp, D. S., & Sjödin, B. (1985). The influence of muscle metabolic characteristics on physical performance. European Journal of Applied Physiology and Occupational Physiology, 54(3), 237-243.
    6 Schuelke, M., Wagner, K. R., Stolz, L. E., Hübner, C., Riebel, T., Kömen, W., … & Lee, S. J. (2004). Myostatin mutation associated with gross muscle hypertrophy in a child. New England Journal of Medicine, 350(26), 2682-2688.
    7 Allen, D. L., Roy, R. R., & Edgerton, V. R. (1999). Myonuclear domains in muscle adaptation and disease. Muscle & Nerve, 22(10), 1350-1360.
    8 Petrella, J. K., Kim, J. S., Mayhew, D. L., Cross, J. M., & Bamman, M. M. (2008). Potent myofiber hypertrophy during resistance training in humans is associated with satellite cell-mediated myonuclear addition: a cluster analysis. Journal of Applied Physiology, 104(6), 1736-1742.
    9 Petrella, J. K., Kim, J. S., Cross, J. M., Kosek, D. J., & Bamman, M. M. (2006). Efficacy of myonuclear addition may explain differential myofiber growth among resistance-trained young and older men and women. American Journal of Physiology-Endocrinology and Metabolism, 291(5), E937-E946.
    10 Timmons, J. A. (2010). Variability in training-induced skeletal muscle adaptation. Journal of Applied Physiology, 110(3), 846-853.
    11 Bouchard, C., & Rankinen, T. (2001). Individual differences in response to regular physical activity. Medicine and Science in Sports and Exercise, 33(6 Suppl), S446-51.
    12 Costill, D. L., Daniels, J., Evans, W., Fink, W., Krahenbuhl, G., & Saltin, B. (1976) – Skeletal muscle enzymes and fiber composition in male and female track athletes. Journal of Applied Physiology, 40(2), 149-154.
    13 Thorstensson, A., Larsson, L., Tesch, P., & Karlsson, J. (1977) – Muscle strength and fiber composition in athletes and sedentary men. Medicine and Science in Sports, 9(1), 26-30.
    14 Nathan Serrano,Lauren M. Colenso-Semple,Kara K. Lazauskus,Jeremy W. Siu,James R. Bagley,Robert G. Lockie,Pablo B. Costa,Andrew J. Galpin – Extraordinary fast-twitch fiber abundance in elite weightlifters. PLoS One 2019 Mar 27;14(3):e0207975.
    15 Contrazione muscolare – Wikipedia
    16 Verkhoshansky, Y. V. (1996). Quickness and velocity in sports movements. New Studies in Athletics, 11, 29-38.
    17 Komi, P. V., Rusko, H., Vos, J., & Vihko, V. (1977). Anaerobic performance capacity in athletes. Acta Physiologica Scandinavica, 100(1), 107-114.
    18 Lennmarken, C., Bergman, T., Larsson, J., & Larsson, L. E. (1985). Skeletal muscle function in man: force, relaxation rate, endurance and contraction time-dependence on sex and age. Clinical Physiology (Oxford, England), 5(3), 243-255.
    19 Finni, T., Peltonen, J., Stenroth, L., & Cronin, N. J. (2013). On the hysteresis in the human Achilles tendon. American Journal of Physiology-Heart and Circulatory Physiology, (114), 515-517.
    20 Thom J. M. et al. – Passive elongation of muscle fascicles in human muscles with short and long tendons. Physiol Rep. 2017 Dec;5(23):e13528.
    21 Coyle, E. F. (2007). Physiological regulation of marathon performance. Sports Medicine, 37(4-5), 306-311.
    22 Marino, F. E., Lambert, M. I., & Noakes, T. D. (2004) – Superior performance of African runners in warm humid but not in cool environmental conditions. Journal of Applied Physiology, 96(1), 124-130.
    23 Weston, A. R., Mbambo, Z., & Myburgh, K. H. (2000) – Running economy of African and Caucasian distance runners. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(6), 1130-1134.
    24 Bassett, D. R., & Howley, E. T. (2000) – Limiting factors for maximum oxygen uptake and determinants of endurance performance. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(1), 70-84.
    25 Joyner, M. J., & Coyle, E. F. (2008) – Endurance exercise performance: the physiology of champions. The Journal of Physiology, 586(1), 35-44.
    26 Collins M. et al. – Genetic risk factors for musculoskeletal soft tissue injuries (2009)
    27 Longo U. G. et al. – Unravelling the genetic susceptibility to develop ligament and tendon injuries (2015)
    28 Robert M Erskine, David A Jones, Alun G. Williams, Claire E. Stewart, Hans Degens – Inter-individual variability in the adaptation of human muscle specific tension to progressive resistance training. Eur J Appl Physiol. 2010 Dec;110(6):1117-25.
    Charlie Ottinger – Genetics and Elite Athletes (2018)
    John Rawls – Una teoria della giustizia (1971)
    Nigel Warburton – Breve storia della filosofia (2011)

  • Tendini: salute e performance

    Tendini: salute e performance

    All’estremità di ogni fibra muscolare, la membrana plasmatica si fonde con una struttura fibrosa che si inserisce nell’osso (o sulla pelle), questa struttura è il tendine.

    Definizione generale

    I celebri ricercatori Wilmore e Costill nel libro Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport definiscono i tendini come strutture fatte di corde fibrose (o fili) di tessuto connettivo che trasmettono la forza generata dalle fibre muscolari alle ossa, creando così movimento. I tendini sono formati da fibroblasti e matrice extracellulare. I primi sintetizzano sostanze della matrice extracellulare, ossia il collagene (sostanza resistente) e l’elastina (sostanza più elastica).

    Come riporta uno studio di qualche anno fa [1], il tendine aiuta a facilitare il movimento e la stabilità articolare attraverso la tensione generata dal muscolo. I tendini possono anche immagazzinare preventivamente l’energia che poi sarà utilizzata per dei movimenti successivi. Ad esempio, il tendine di Achille può immagazzinare fino al 34% della potenza totale della caviglia.

    Salute

    Le fibre di collagene citate poco prima, sono fondamentali per fornire resistenza alla trazione del tendine. La disposizione parallela delle fibre di collagene fornisce resistenza al tendine permettendole di sperimentare grandi forze di trazione senza subire lesioni [2]. Quando un tendine sperimenta livelli di stress da carico superiori alla sua fisiologica capacità di trazione si verificano micro o macrotraumi, anche se difficilmente l’allenamento della forza porta a lesioni serie.

    Come ampiamente spiegato in passato (qui), la solidità dei tendini è in buona parte legata a fattori genetici individuali, quindi legati alla nascita e non modificabili. Pertanto con un corretto allenamento si può migliorare ma solo fino a un certo punto.

    Sopra, la classificazione degli infortuni tendinei (Brumitt J. et al., 2015).

    In caso di gravi danni al tendine, come una sua rottura dello stesso, il movimento è seriamente compromesso (perdita totale, o quasi).

    Letture consigliate
    - Genetica e predisposizione agli infortuni
    - Traumatologia e sport (1/3): infortuni, tessuti, entità delle lesioni e statistiche
    - Traumatologia e sport (2/3): fratture, distorsioni e infortuni muscolari
    - Traumatologia e sport (3/3): tendinopatie, terapie e prevenzione degli infortuni
    Adattamento, allenamento e performance

    Come evidenziano studi condotti sia sugli uomini che sugli animali, l’allenamento contro resistenze (pesi) è in grado di aumentare la rigidità dei tendini [3,4]. I tendini, sul lungo periodo, rispondono all’allenamento con i sovraccarichi aumentando il numero e la densità delle fibrille di collagene [5,6].

    Come riportato in letteratura scientifica [7] i tendini durante un ciclo di accorciamento-stiramento e durante le contrazioni isometriche massimali possono allungarsi fino dal 6 fino al 14%, inoltre se il tendine è lungo i fascicoli muscolari si allungano di meno. Un tendine più rigido è più prestante (assicura maggior potenza e velocità nei movimenti) ma è più soggetto agli infortuni.

    Qui sotto un riassunto di quanto detto finora.

    Conclusioni

    I tendini si adattano meno rapidamente dei muscoli agli stimoli allenanti, pertanto è sempre buona cosa ricordarsi che il tempo da dare all’organismo affinché esso recuperi e si adatti ai carichi di lavoro non è solo utile per il tessuto muscolare. Anche perché bisogna tenere a mente che spesso molti infortuni sono proprio di origine tendinea.

    Non si può non prendere in considerazione queste informazioni se si compila una scheda di allenamento o si lavora con degli atleti infortunati.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    1 Brumitt J. et al. – Current concepts of muscle and tendon adaptation to strength and conditioning (2015)
    2 Lieber R. L. – Skeletal Muscle Structure, Function, and Plasticity (2010)
    3 Woo S. L. et al. – The effects of exercise on the biomechanical and biochemical properties of swine digital flexor tendons (1981)
    4 Kubo K. et al. – Effects of resistance and stretching training programmes on the viscoelastic properties of human tendon structures in vivo (2002)
    5 Huxley A. F. – Muscle structure and theories of contraction (1957)
    6 Wood T. O. et al. – The effect of exercise and anabolic steroids on the mechanical properties and crimp morphology of the rat tendon (1988)
    7 Thom J. M. et al. – Passive elongation of muscle fascicles in human muscles with short and long tendons (2017)

  • Traumatologia e sport (2/3): fratture, distorsioni e infortuni muscolari

    Traumatologia e sport (2/3): fratture, distorsioni e infortuni muscolari

    Continuiamo a parlare di traumatologia sportiva con questa serie di articoli. Per chi se la fosse persa, la prima parte è visibile a questo link. Buona lettura!

    Fratture

    Per frattura si intende l’interruzione della continuità di un osso. Può essere di due tipologie: frattura traumatica (tipica degli infortuni) e frattura da stress.

    Nella frattura traumatica l’intensità della sollecitazione esterna è così elevata da superare i limiti della fisiologica resistenza ossea. Questa frattura può essere a sua volta suddivisa in quattro categorie* principali:

    • F. traumatica completa = quando l’interruzione riguarda l’intera sezione dell’osso.
    • F. traumatica incompleta = quando l’interruzione interessa solo una parte della sezione ossea.
    • F. traumatica composta = i frammenti della frattura mantengono la loro posizione anatomica.
    • F. traumatica scomposta = i frammenti della frattura risultano essere spostati.

    *a seconda dei testi di riferimento la suddivisione può avere qualche leggera variazione.

    fratture

    Invece, la frattura da stress, detta anche da fatica, è dovuta a sollecitazioni continue e ripetute nel tempo, anche se poco intense. In poche parole, le sollecitazioni, alla lunga, sbilanciano l’attività degli osteoblasti e degli osteoclasti, rendendo meno efficienti i primi e più “aggressivi” i secondi. Ne consegue un assottigliamento della porzione corticale dell’osso e la comparsa di fenomeni riguardanti l’osteoporosi (approfondimenti qui).

    Distorsioni

    La distorsione è una lesione dell’articolazione e delle strutture ad essa associate. La lesione può essere causata da movimenti troppo bruschi eseguiti lungo un normale piano di movimento o, più facilmente, su piani differenti da quelli del movimento fisiologico.

    Esistono tre tipi di distorsione: di primo, secondo e terzo grado.

    Distorsione di grado: lieve danno legamentoso, senza instabilità articolare o movimento anomalo dell’articolazione.

    Distorsione di grado: danno moderato che coinvolge più fibre legamentose e determina una leggere instabilità dell’articolazione interessata.

    Distorsione di grado: danno grave che comporta una rottura legamentosa ed una instabilità articolare piuttosto marcata.

    Infortuni muscoalri

    Gli infortuni che colpiscono i muscoli, possono essere da trauma diretto e da trauma indiretto. I primi hanno un’insorgenza acuta, gli altri, a seconda della tipologia, acuta, subacuta o cronica.

    Infortuni muscolari da trauma diretto: sono infortuni di origine meccanica provocati da una forza che agisce sul muscolo dall’esterno. Parliamo quindi di contusioni, alle volte con ferite/lacerazioni (l’insorgenza è acuta).

    A seconda dell’intensità la contusione può essere di grado lieve, moderato o severo. Lieve quando l’arco di movimento compiuto dall’arto è superiore alla metà del ROM (range of movement) standard, moderato quando il ROM è inferiore alla metà ma superiore ad 1/3 del range di movimento fisiologico. Ed infine, severo quando l’arco di movimento è inferiore ad 1/3 del totale.

    Infortuni muscolari da trauma indiretto: sono i crampi (insorgenza acuta), contrattura (ins. subacuta), stiramenti (ins. acuta), strappi (ins. acuta), DOMS (ins. subacuta) e l’intolleranza all’allenamento (ins. cronica).

    Vediamoli ora nel dettaglio…

    • Crampo: contrazione muscolare involontarie e dolorosa. E’ la conseguenza di uno stato di affaticamento transitorio che si risolve sempre spontaneamente. Le cause principali sono gli squilibri idro-elettrici e la scarsa efficienza del sistema energetico nella risintesi dell’ATP (in quest’ultimo caso vi è una repentina diminuzione delle riserve di glicogeno muscolare).
    • Contrattura: dolore muscolare che insorge a qualche ora di distanza dalla cessazione di uno sforzo fisico. Si manifesta uno stato di affaticamento localizzato ed una alterazione del tono muscolare. Tuttavia, nelle contratture non ci sono delle lesioni anatomiche evidenti.
    • Stiramento: conseguenza di un episodio doloroso, acuto, durante lo svolgimento di attività fisica che costringe l’atleta colpito ad interrompere forzatamente l’allenamento o la sua gara. Il muscolo stirato presenta un’ipertonia ed il dolore provato dal soggetto infortunato non passa in tempi brevi (discorso diverso dal crampo).
    • Strappo: si manifesta con dolore acuto e intenso che compare durante lo svolgimento di attività fisica. Questo dolore deriva dalla lacerazione di un numero variabile di fibre muscolari con conseguente stravaso ematico, più o meno evidente a seconda dell’entità della lacerazione e della sua localizzazione. A seconda della gravità, lo strappo può essere classificato secondo gradi (tre). Di grado quando l’impotenza funzionale è minima (58% dei casi), di quando è importante (39% dei casi) e di quando è totale (3% dei casi).
    • DOMS (delayed onset muscle soreness): micro-lacerazioni a livello muscolare, derivanti soprattutto da contrazioni eccentriche. Dolori e fastidi compaiono a entro 24 h dal termine dell’allenamento e persistono per 48-72 ore (o poco più) per poi sparire. Entro un tempo massimo di 7-10 giorni il processo di riparazione delle fibre muscolari termina.
    • Intolleranza all’allenamento: patologia derivante dall’accumulo cronico (anni) di grandi volumi allenanti inerenti l’attività aerobica. I sintomi tipici sono il mancato recupero dei DOMS (l’organismo fatica a riparare le micro-lacerazioni), il peggioramento della performance e le alterazioni ultrastrutturali delle fibre muscolari.
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    Nella tabella riportata sopra – presa da “Gli infortuni muscolari dello sportivo” di G. S. Roi (modificata da Parodi G.) – potete osservare un riassunto delle caratteristiche degli infortuni muscolari da trauma indiretto. Ulteriori approfondimenti li potete trovare a questo link.

    Fine del secondo articolo. La terza ed ultima parte è presente qui!

    Grazie per l’attenzione.


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    Bibliografia

    Parodi G. – Medicina dello sport (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2016/2017)
    Roi G. S. – Gli infortuni muscolari dello sportivo (2008)
    Cravanzola E. – DOMS: cosa sono e tecniche per ridurli (2017)

  • Traumatologia e sport (1/3): Infortuni, tessuti, entità delle lesioni e statistiche

    Traumatologia e sport (1/3): Infortuni, tessuti, entità delle lesioni e statistiche

    Vi servono informazioni circa la traumatologia dello sport? Questa breve serie di articoli allora può fare per voi!

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    Buona lettura.

    Cos’è un infortunio?

    Un infortunio, in senso medico-sportivo, è un evento che si verifica quando l’atleta è impegnato nell’attività sportiva e subisce un qualsiasi danno alla propria struttura corporea. Per essere un vero e proprio infortunio, questo danno dev’essere tale da influire, negativamente, sulla frequenza o intensità di allenamento (o di partecipazione all’attività sportiva).

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  • Allenamento della propriocezione per la prevenzione degli infortuni

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    volleyball-ankle-guards-airex-padL’allenamento propriocettivo, molto in voga negli ultimi anni, come ormai assodato in letteratura scientifica, è un ottimo mezzo per migliorare la percezione ed il controllo motorio, l’equilibrio e prevenire gli infortuni. In questo articolo ci concentreremo proprio su quest’ultimo punto.

    Da definizione, la propriocezione altro non è che la capacità di percepire e riconoscere i segmenti corporei nello spazio ed il grado di  (altro…)

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    In alcuni vecchi articoli avevo già accennato l’argomento ma senza mai dilungarmi a sufficienza, oggi invece entrerò un po’ più nel dettaglio.

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    Il nostro corpo è composto da tessuti, per la precisione da cinque diversi tipi di tessuti, uno di questi è quello muscolare.

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