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  • Monitorare il recupero fisico (calcolo IR)

    Monitorare il recupero fisico (calcolo IR)

    Parlando di sport di performance e preparazione atletica ad essi dedicata, fra i vari parametri di monitorare, e con cui nerdeggiare, vi è anche l’IR, ossia l’indice di recupero.

    Avere un recupero, per quanto possibile, rapido e di qualità è indispensabile per essere fisicamente efficienti e “freschi” dopo aver eseguito uno sforzo fisico. In allenamento e ancor di più in gara.

    Introduzione: concetti chiave

    Dopo aver portato a conclusione uno sforzo fisico il corpo comincia a rigenerare i serbatoi energetici di ATP e CP (fosfocreatina), paga il debito di ossigeno e riossigena la mioglobina. Pertanto, è fondamentale che il sangue trasporti in tempi brevi l’ossigeno e le sostanze necessarie per colmare i debiti organici. All’aumento della velocità e capacità di trasporto del sangue migliorerà anche la capacità dell’organismo di riprendersi dopo uno stress fisico più o meno intenso.

    Il test (Rockport Walking test)

    La frequenza cardiaca (FC) è un ottimo indicatore dello stato di affaticamento dell’organismo, non a caso compare sia al numeratore che al denominatore della formula di calcolo dell’IR utilizzata per il Rockport Walking test (vedi sotto).

    Il test consiste nel camminare per un miglio (1609 metri) alla massima velocità possibile (tapis roulant o percorso pianeggiante).

    Spiegando quanto illustrato sopra, l’indice di recupero è uguale alla frequenza cardiaca massima rilevata durante la prova (meglio avere un cardiofrequenzimetro) meno la FC rilevata a 3 minuti dal termine della prova, fratto la FC max della prova (come prima) meno la FC a riposo (qualche ora prima o qualche ora dopo l’allenamento). Il tutto moltiplicato per 100.

    Legenda:
    Ir = indice di recupero
    FC max = frequenza cardiaca massima raggiunta sotto sforzo
    FC 3 min = frequenza cardiaca registrata a 3 minuti dalla fine dello sforzo
    FC rest = frequenza cardiaca a riposo

    Il test può essere eseguito una volta ogni 3-4 mesi in modo da confrontare i valori dell’IR nel tempo ed appuntarsi i miglioramenti.

    Secondo test (variante)

    Una variante del test, molto in voga fra gli atleti è quella di Ruffier. Quelli che seguono sono i quattro passaggi del test.

    1. Rilevazione del battito a riposo, in stato di rilassamento (a).

    2. Eseguire 30 air squat (accosciate a corpo libero) con un buon ritmo (trenta nell’arco di 45 secondi).

    3. Rilevare il battito cardiaco appena terminata la prova (b).

    4. Ci si sdraia per un minuto e poi si prende nuovamente la FC (c).

    Ora non resta che eseguire il calcolo: (a+b+c – 200): 10 = ?

    Ricapitolando: FC a riposo + FC post sforzo + FC 1′ dopo lo sforzo – 200, il tutto diviso per 10. Sotto la tabella dei risultati.

    RisultatiValutazione
    0-1Eccellente
    2Ottima
    3-4Buona
    5-6Discreta
    7-9Scarsa
    10 o piùPessima

    Come per il Rockport Walking di prima, anche il test di Ruffier può e deve essere ripetuto nel tempo, ogni tot di mesi, in modo da monitorare le variazioni della capacità dell’organismo di recuperare le energie al termine di uno sforzo fisico.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Fabrizio Fagioli, Luca Bartoli – Allenarsi con il cardiofrequenzimetro (5a Edizione, 2002)

  • Acido lattico e metabolismo

    Acido lattico e metabolismo

    Avevamo parlato dell’acido in passato (qui e qui), non contenti torniamo ed approfondiamo la questione. Buona lettura!

    L’acido lattico è un composto chimico che viene prodotto dai muscoli durante la  degradazione anaerobica del glucosio. Si forma a causa della fermentazione dell’acido piruvico in presenza dell’enzima latticodeidrogenasi (LDH).

    Concentrazioni minime di acido lattico si formano (altro…)

  • Creatina: guida all’integrazione

    Creatina: guida all’integrazione

    La creatina è indubbiamente uno degli integratori più diffusi ed utilizzati nell’ambiente della palestra. In questo articolo, dal titolo sicuramente provocativo, cercheremo di parlare di tutto ciò che riguarda questo composto (fisiologia, materiale scientifico, rapporto con altri integratori, dosaggio, eccetera). Buona lettura!

    chest-exercises-1

    Cenni di chimica e fisiologia

    La creatina è un composto ergogenico che nel nostro corpo si trova per un 40% in forma libera, per un 50% in forma fosforilata e per il restante 10% è contenuta nel fegato, ove è sintetizzata da due aminoacidi ed un coenzima, reni e cervello. Il nostro organismo ne produce circa 1 grammo al giorno. La creatina viene utilizzata principalmente per la sintesi dell’ATP (adenosintrifosfato) del sistema anaerobico alattacido.

    E’ presente nel cibo (manzo, latte, tonno ecc.) ma in quantità assai ridotte che mai e poi mai potrebbero sostituire una supplementazione esterna.

    La maggior parte degli studi attualmente presenti in letteratura scientifica associa l’assunzione di creatina, cronica e non, a miglioramenti della performance anaerobica (forza e potenza) [1,2,3,4]. Anche l’ipertrofia muscolare è influenzata positivamente da questo composto [5,6].

    Performance
    Effetti della creatina su sforzi brevi (grafico di sinistra, ≤ 30″) e sforzi un po’ più duraturi (grafico a sinistra, 30-150″). Oltre i 150″ di sforzo continuo, i miglioramenti sono meno netti. Legenda: AE = arm ergometry; BE = cicloergometro (cyclette); IK = forza isocinetica di torsione; IM = forza isometrica; IT = forza isotonica; JP = salto; RN = sprint (corsa); SK = pattinaggio veloce; SW = nuoto; KY = kayaking. Branch J. D. (2003) [21].

    Come per la questione EPO di cui avevamo già parlato qui, su un certo numero di soggetti la creatina non ha alcun effetto (soggetti “non-responder”), i quali rappresentano indicativamente il 20-30% della popolazione [7]. Uno studio del 2004 sostiene che i soggetti “responder” tendano ad avere dei livelli di creatina intramuscolare abbastanza bassi e per questa ragione, una volta assunta la creatina con gli integratori, i livelli di quest’ultima cambino significativamente (in positivo). I ricercatori del medesimo studio, ritengono inoltre che i “responder” abbiano mediamente più massa magra e fibre muscolari rapide (tipo II) [8].

    Oltre a quanto già detto, come riportano molti autori, la creatina accelera la supercompensazione del glicogeno se assunta in concomitanza con dei carboidrati, i quali a loro volta danno una mano nello stoccaggio della creatina nei muscoli [22,23,24].

    Durante il primo mese di assunzione si ha sempre un aumento di peso (circa 1-2 kg) derivante dalla forte ritenzione idrica che causa questo composto, ciò in sport con classi di peso può essere un problema. Il corpo si libera di questa acqua intracellulare 2-3 settimane dopo lo stop della assunzione di creatina. Uno scarico, o stop definitivo, può aver senso solo ed esclusivamente per un discorso di peso, utilità per il proprio sport, costi (la creatina non la regalano) e feedback dell’atleta, dato che essa non dà assuefazione.

    Presunto antagonismo con la caffeina

    Più di 20 anni fa, un celebre studio di Vandenberghe e colleghi [9] notò, quasi per caso, un certo antagonismo fra la creatina e la caffeina. Lo studio tuttavia presentava grossi limiti (breve durata, un solo test per misurare la variazione di performance, un periodo di scarico troppo breve, un campione poco ampio, dosi di caffeina forse eccessive). Negli anni a seguire, sono state pubblicate una miriade di ricerche scientifiche che hanno smentito questo antagonismo [10,11,12,13,14]. Il fatto che molte di esse abbiano usato protocolli di assunzione-scarico differenti dallo studio di Vandenberghe citato ad inizio paragrafo, non esclude del tutto che fare un carico di creatina a pochi giorni da una competizione (20-25 grammi/dì per 4-5 giorni di fila), possa annullare gli effetti positivi della caffeina, o viceversa. Questo però solamente in acuto.

    Campi di utilizzo

    Bodybuilding e fitness, powerlifting, weightlifting, atletica leggera (nonostante l’aumento di peso scaturito dalla sostanza). E’ inoltre utilizzata nelle pratiche di taglio del peso, infatti, dopo la disidratazione, abbinata a molta acqua, aiuta a richiamare liquidi a livello intracellulare.

    Tipologie

    Esistono vari tipi di creatina, dalla classica monoidrato alla etil estere o alcalina. Dietro a tutte queste suddivisioni, purtroppo, c’è molto marketing. La più conveniente in termini di costi-benefici è la monoidrato (creatina combinata con una molecola di acqua). Le altre forme, quasi tutte più costose di quest’ultima, non apportano chissà che effetti superiori, anzi, teoricamente la creatina etil estere (CEE) è anche peggiore della monoidrato. Perché? Perché è stato visto che si degrada subito, convertendosi quasi immediatamente in creatinina (suo primario prodotto metabolico), risultando quindi inefficace per l’incremento delle prestazioni e della massa muscolare [15,16]. “L’integrazione con creatina etil estere ha mostrato un grande aumento nel siero (sanguigno, NdR) dei livelli di creatinina senza aumentare in modo significativo i livelli di creatina totale nei muscoli. Questo può voler dire che una larga porzione di creatina etil estere è stata degradata all’interno del tratto gastrointestinale dopo l’ingestione.
    Inoltre sembra che l’assorbimento di creatina etil estere da parte dei muscoli non è abbastanza imponente da aumentare i livelli di creatina nei muscoli stessi senza prima una significativa degradazione di creatina in creatinina” [17].

    Creatina
    Da sinistra a destra: livelli sierici di creatina, creatinina e contenuto di creatina nei muscoli. PLA = placebo; CRT = creatina monoidrato; CEE: creatina etil estere (Spilane M. et al, 2009)

    Discorso simile per la creatina alcalina, la quale teoricamente dovrebbe migliorare l’assorbimento della creatina grazie ad una riduzione della conversione in creatinina, la cosa però è stata smentita da uno studio di qualche anno fa [18]. O la citrato, che ha dimostrato buoni risultati ma non è mai stata confrontata con la monoidrato.

    Per di più, una recentissima review di Andres S. e colleghi, oltre ad aver ribadito la sicurezza della monoidrato, ha sconsigliato la creatina orotata e gluconato perché apparentemente poco sicure per la salute [25].

    In definitiva, marketing a parte, la monoidrato sembra a tutti gli effetti essere la migliore forma di creatina attualmente in commercio (e costa anche meno…).

    Effetti collaterali

    I problemi che si potrebbero manifestare con l’uso, e abuso, di creatina sono principalmente due: disturbi gastrointestinali e diarrea.

    Nonostante in passato sia stato fatto un po’ di terrorismo psicologico sulla questione creatina-danni renali. La scienza ha smentito questi ipotetici problemi ai reni derivanti dall’assunzione di creatina in soggetti sani [19].

    Dosaggio

    Se ne consiglia un’assunzione di 3-5 g/dì. Quella del carico iniziale di creatina (20-25 grammi nei primi giorni) è una teoria ormai superata, in quanto nel cronico un dosaggio più contenuto ma costante dà i medesimi risultati di uno, almeno inizialmente, più spinto [20]. Tuttavia, l’assunzione di 20-25 g/dì può avere senso in acuto. Se ad esempio al week-end c’è una gara, un atleta potrebbe ricorrere al carico di creatina (diviso in singole dosi di 5 grammi l’una) a partire dal lunedì della stessa settimana.

    Esempio pratico

    Lunedì: 20-25 g
    Martedì: 20-25 g
    Mercoledì: 20-25 g
    Giovedì: 20-25 g
    Venerdì: 20-25 g
    Sabato: 5 g
    Domenica: gara

    Può essere presa in vari momenti della giornata (in compresse o polvere), appena svegli, in concomitanza o 30 minuti dopo un pasto, 90 minuti prima di un allenamento o poco dopo.

    Conclusioni

    Che dire, siamo davanti ad uno degli integratori alimentari più studiati e più efficaci in assoluto. E’ consigliabile provarla almeno negli sport di forza, potenza e anaerobici (alta intensità e breve durata). Meno indicata per gli sport più aerobici come il nuoto o le corse di lunga durata (maratona), tenendo anche conto del problema legato al leggero aumento del peso.

    Ovviamente prima bisogna guardare alle priorità alimentari e concentrarsi sull’allenamento, la creatina non ha nulla di miracoloso, tuttavia può essere un valido alleato per molti.

    Buon allenamento!


    oc
    Bibliografia

    Cravanzola E.  – Caffeina per la performance e la salute: tutto quello che bisogna sapere (2018)

    1 Buford T. W. et al. – International Society of Sports Nutrition position stand: creatine supplementation and exercise (2007)

    2 Gualano B. et al. – In sickness and in health: the widespread application of creatine supplementation (2012)

    3 Kreider R. B. – Effects of creatine supplementation on performance and training adaptations (2003)

    4 Preen D. et al. – Effect of creatine loading on long-term sprint exercise performance and metabolism (2001)

    5 Stone M. H. et al. – Effects of in-season (5 weeks) creatine and pyruvate supplementation on anaerobic performance and body composition in American football players (1999)

    6 Jones A. L. et al. – Oral creatine supplementation improves multiple sprint performance in elite ice-hockey players (1999)

    7 Greenhaff L. P. – The nutritional biochemistry of creatine (1997)

    8 Syrotuik D. G. et al. – Acute creatine monohydrate supplementation: a descriptive physiological profile of responders vs. nonresponders (2004)

    9 Vandenberghe K. et al. – Caffeine counteracts the ergogenic action of muscle creatine loading (1996)

    10 Doherty M. et al. – Caffeine is ergogenic after supplementation of oral creatine monohydrate (2002)

    11 Spradley B. D. et al. – Ingesting a pre-workout supplement containing caffeine, B-vitamins, amino acids, creatine, and beta-alanine before exercise delays fatigue while improving reaction time and muscular endurance (2012)

    12 Lee C. L. et al. – Effect of caffeine ingestion after creatine supplementation on intermittent high-intensity sprint performance (2011)

    13 Vanakoski J. et al. – Creatine and caffeine in anaerobic and aerobic exercise: effects on physical performance and pharmacokinetic considerations (1998)

    14 Fukuda D. H. – The possible combinatory effects of acute consumption of caffeine, creatine, and amino acids on the improvement of anaerobic running performance in humans (2010)

    15 Chanutin A. – The fate of creatine when administered to man (1926)

    16 Schantz E. et al. – Creatine ethyl ester (1955)

    17 Spillane M. et al. – The effects of creatine ethyl ester supplementation combined with heavy resistance training on body composition, muscle performance, and serum and muscle creatine levels (2009)

    18 Jagim A. R. et al. – A buffered form of creatine does not promote greater changes in muscle creatine content, body composition, or training adaptations than creatine monohydrate (2012)

    19 Pline K. et al. – The effect of creatine intake on renal function (2005)

    20 N. Wilder et al. – The Effects of Low-Dose Creatine Supplementation Versus Creatine Loading in Collegiate Football Players (2001)

    21 Branch J. D. – Effect of Creatine Supplementation on Body Composition and Performance: A Meta-analysis (2003)

    22 Green et al. – Creatine ingestion augments muscle creatine uptake and glycogen synthesis during carbohydrate feeding in man (1996)

    23 Nelson A. G. et al. – Muscle glycogen supercompensation is enhanced by prior creatine supplementation (2001)

    24 Derave W. et al. – Combined creatine and protein supplementation in conjunction with resistance training promotes muscle GLUT-4 content and glucose tolerance in humans (1985)

    25 Andres S. et al. – Creatine and creatine forms intended for sports nutrition (2017)

  • Curiosità: la contrazione muscolare animata

    Curiosità: la contrazione muscolare animata

    Capture.JPG

    Vi segnalo una simpatica dimostrazione di contrazione muscolare animata. Dentro trovate un po’ tutto: la struttura mitocondriale (anche se non nel dettaglio), ATP, ADP, membrana plasmatica, actina, miosina (altro…)

  • Energia e sport

    Energia e sport

    Anche se magari non ci pensiamo, noi quando mangiamo introduciamo delle molecole – carboidrati, proteine e lipidi – che sono dei veri e propri combustibili biologici. Questi, nell’organismo umano, attraverso centinaia di processi biochimici, in presenza di ossigeno, vengono demoliti e ridotti in anidride carbonica e acqua.

    CaptureFig.1 – I punti rappresentano i metaboliti mentre le linee sono i singoli passaggi metabolici

    Nell’uomo e non solo, i principi nutritivi base che si formano dalla digestione dei macronutrienti, quindi glucosio, aminoacidi e acidi grassi, conservano immodificato il contenuto energetico delle sostanze di origine. Affinché avvenga una produzione di energia occorre che le molecole precedentemente citate siano completamente demolite. Per far avvenire ció, é necessario l’intervento di enzimi ossido-riduttivi specifici, in grado di trasformare le molecole del glucosio, degli acidi grassi e degli aminoacidi in frammenti più piccoli, fino alla formazione del metabolita acetil-CoA (composto a due atomi di carbonio).
    Quello illustrato fino ad ora non é altro che il metabolismo intermedio (MI). Al termine del MI, circa 1/3 dell’energia contenuta nelle molecole di partenza é resa disponibile per le cellule, invece i rimanenti 2/3 saranno utilizzati per reazioni quali il Ciclo di Krebs.

    5887471Fig.2 – Il ciclo di Krebs è un processo biochimico che assolve allo scopo di ossidare (bruciare) ad H2O e CO2, i prodotti della demolizione delle molecole degli zuccheri/grassi/amminoacidi. Fornisce una grande quantità di energia, in parte come calore (mantenimento della temperatura dell’organismo) e in parte come energia chimica.

    In seguito a queste reazioni, l’acetil-CoA viene completamente degradato fino alla formazione di anidride carbonica e acqua (metabolismo terminale).

    Il metabolismo energetico in se, varia parecchio in base alle attività svolte dall’individuo, per questo motivo é importante conoscere il proprio metabolismo basale, detto in maniera estremamente semplicistica: le calorie che una persona spenderebbe se per tutte le 24h non si alzasse dal letto, l’introito calorico minimo necessario a far avvenire tutti i processi fisiologici indispensabili per vivere.

    Kcaloria = 1000 calorie; caloria = quantità di calore necessaria per far salire la temperatura di 1 ml di acqua distillata da 14.5 a 15.5 C°, alla pressione costante di un atmosfera.

    Occorre aprire una piccola perentesi sui carboidrati. Questi, durante la digestione vengono convertiti in glucosio (monosaccaride, zucchero semplice), che tramite il sangue arriva ai tessuti di tutto l’organismo. Essi, in condizioni di riposo, vengono presi dai muscoli e dal fegato, e convertiti in uno zucchero più complesso: il glicogeno.

    Il discorso sul metabolismo si potrebbe approfondire ulteriormente ma mi fermo qui, é giunto il momento di andare al nocciolo della questione. Tenete ovviamente a mente quel che avete letto fino a questo punto perché i macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi), più un’altra miriade di fattori, vanno ad influire sui depositi energetici.

    L’energia derivante dai legami delle molecole alimentari è chimicamente rilasciata all’interno delle cellule e poi immagazzinata sotto forma di ATP (adenosinatrifosfato), un composto altamente energetico costituito da una base azotata (adenina), da uno zucchero pentoso (il ribosio) e da tre gruppi fosfato.

    A riposo, la richiesta energetica dell’organismo è poca, quindi l’energia proviene principalmente dalla scissione di grassi e carboidrati.

    All’aumentare dell’intensità di un determinato carico di lavoro, aumenta l’uso energetico dei carboidrati a scapito dei grassi.Capture.JPGFig.3 – Nel caso di sforzi massimali, quindi di breve durata, l’ATP viene prodotto quasi esclusivamente a partire dai carboidrati.

    Quando la molecola di ATP si combina con l’acqua (idrolisi) e subisce l’azione dell’enzima ATPasi, l’ultimo gruppo fosfato si separa dalla molecola di ATP (scissione) rilasciando così energia (circa 7,3 kcal/mole di ATP). L’ATP diventa quindi adenosindifosfato (ADP) e Pi (in questo caso gruppo fosfato).

    Capture.JPGFig.4 – A = la struttura dell’adenosintrifosfato ed i suoi fosfati altamente energetici; B = il terzo fosfato (Pi) di una molecola di ATP viene separato per azione dell’ATPasi con seguente liberazione di energia.

    Dopo, per la successione di diverse altre reazioni chimiche, un gruppo fosfato viene aggiunto all’ADP convertendolo così in ATP. Questo processo è detto fosforilazione ossidativa.

    Quando questi processi avvengono in presenza di ossigeno si parla di metabolismo aerobico, viceversa in assenza, metabolismo anaerobico.

    Le cellule producono ATP attraverso tre processi principali:

    • Il sistema ATP-CP
    • Il sistema glicolitico
    • Il sistema ossidativo

    Sistema ATP-CP

    L”energia liberata dalla scissione del CP (creatinfosfato) serve per ricostruire le riserve di ATP, per mantenerle.                              Capture.JPG

    Fig.5 – Modificazione dell’ATP e CP nel muscolo durante uno sforzo di intensità massimale di 14″ (sprint). Il CP, per prevenire la caduta dell’ATP viene usato proprio per sintetizzare quest’ultima.

    L’esaurimento sia dell’ATP che del CP è facile da raggiungere (es. sprint massimale di 15″), quindi l’organismo per ricaricare le scorte energetiche dovrà per forza affidarsi ad altri sistemi.

    Questi processi possono avvenire sia in presenza che in assenza di ossigeno, tuttvia non ne richiedono obbligatoriamente la presenza. Quindi, il sistema ATP-CP è il sistema anaerobico per eccellenza.

    Sistema glicolitico

    L’ATP viene prodotto tramite l’energia liberata dalla scissione del glucosio (glicolisi, scissione del glucosio attraverso enzimi glicolitici). Il prodotto finale della glicolisi è l’acido piruvico.

    Nella glicolisi anaerobica, quindi senza l’intervento dell’ossigeno, l’acido piruvico viene convertito in acido lattico e quindi viene interrotta la glicolisi. Questo processo riesce a fornire 2 moli di ATP per mole di glucosio.

    Sistema ossidativo

    Quando si parla di ossidazione è sottinteso che ci sia di mezzo il sistema aerobico (bassa intensità, reazioni che avvengono in presenza di ossigeno). Questo sistema ossida i tre macronutrienti, soprattutto i lipidi e i carboidrati, i primi (trigliceridi nel tessudo adiposo e intramuscolare) vengono scissi in acidi grassi e successivamente glicerolo, i secondi sono rappresentati dal glicogeno muscolare e del fegato, il quale viene idrolizzato a glucosio.

    La degradazione del glucosio del sistema ossidativo è detta glicolisi aerobica, avviene nei mitocondri (ovviamente in presenza di ossigeno).

    Altro processo energetico, di cui ho già accennato in precedenza, è il Ciclo di Krebs, in esso l’acetil-CoA viene ossidato e sono generate 2 moli di ATP.

    Altra “arma” di questo sistema è la fosforilazione ossidativa. In essa si passa dall’ADP all’ATP.

    Ultimo processo (ma non meno importante) del s. ossidativo è il “sistema di trasporto degli elettroni“, questo non è altro che una complessa reazione chimica legata al ciclo di Krebs, che è in grado di fornire ben 34 moli di ATP.Capture.JPG    Fig.6 – L’intervento dei vari processi energetici durante un’esercizio di 150″, con sforzo massimale

    I sistemi energetici sono tre: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido e aerobico.

    Anaerobico alattacido

    Non interviene l’ossigeno e non si forma lattato; l’energia per la ricarica dell’ATP viene ceduta da una molecola che contiene anch’essa un legame altamente energetico: la fosfocreatina (CP). Il tempo limite medio della capacità del sistema anaerobico alattacido va da 0 a 8-9″.

    Anaerobico lattacido

    Non interviene l’ossigeno ma si forma lattato; l’energia per sintetizzare l’ATP deriva da molecole di zucchero che vengono spezzate fino a dar luogo al lattato. Il tempo limite medio della capacità del sistema anaerobico lattacido va da 2” a 2′.

    Aerobico

    Implica la presenza nel muscolo di ossigeno. L’energia deriva dalla combustione di zuccheri o grassi (in parte minore anche delle proteine). Il sistema aerobico ha un forte intervento negli sforzi che vanno oltre i 3′ di lavoro continuo.

    In ogni caso le cifre sono abbastanza indicative, dipendono da vari fattori. Inoltre, questi sistemi energetici non intervengono uno alla volta ma in contemporanea, in misura diversa. Ad esempio per 3′ di lavoro abbastanza intenso, l’energia sarà prodotta principalmente sia dal sistema anaerobico lattacido che da quello aerobico.

    Capture.JPGFig.7 – Intervento dei sistemi energetici durante la corsa su varie distanze

    energy_systems

    Fig.8 – A seconda della durata dello sforzo, nel tempo, un sistema energetico prevale sull’altro.

    Arrivati a questo punto è necessario introdurre altre due definizioni: capacità e potenza. Per capacità di un meccanismo energetico si intende
    la capacità totale di fornire energia. Per potenza invece, intendiamo la possibilità, per tale meccanismo, di fornire un’importante percentuale della sua capacità nell’unità di tempo (che per convenzione è il secondo).

    Nello specifico…

    • Capacità aerobica = è la capacità di svolgere un lavoro generale in condizioni aerobiche, il più al lungo possibile.
    • Potenza aerobica = è la quantità di lavoro realizzata nell’unità di tempo sfruttando il metabolismo aerobico. E’ sinonimo di massimo consumo di ossigeno cioè la massima quantità di ossigeno che
      l’organismo è in grado di utilizzare nell’unità di tempo.
    • Capacità anaerobica lattacida = lavoro totale che può essere effettuato utilizzando il meccanismo lattacido o, più in
      generale, la capacità dell’atleta di tollerare l’accumulo di lattato nei muscoli e nel sangue.
    • Potenza anaerobico alattacida = quantità di lavoro realizzata nell’unità di tempo con il concorso del metabolismo anaerobico
      alattacido. E’ la capacità di produrre uno sforzo breve il più intenso e veloce possibile.
    • Potenza anaerobico lattacida = quantità di lavoro realizzata nell’unità di tempo con il concorso del metabolismo anaerobico lattacido (glicolisi lattacida).

    Termine di cui tutti abusiamo è l’intensità. Per essa si intende l’impegno del sistema cardiorespiratorio durante lo svolgimentoi di un esercizio. Durante l’allenamento infatti, in base alla frequenza cardiaca (fc), possiamo stabilire con discreta precisione quale sistema energetico sia maggiormente attivo. Essa può variare in base all’anzianità di allenamento, sesso ed età di una persona. Ad esempio con una fc inferiore o uguale ai 160-170 bpm (battiti per minuto), il sistema principalmente coinvolto sarà quello aerobico.

    Il passaggio della produzione di energia dal sistema aerobico (in via principale) a quello anaerobico lattacido è rappresentato da una “soglia”, la soglia anaerobica (SAN).

    Più aumenta l’intensità e con l’effetto soglia si ha un graduale aumento della produzione di acido lattico. Il valore della SAN indica la massima intensità di esercizio, quando questa è raggiunta si ha una concentrazione di circa 4 mmoli di lattato ematico al litro*. Oltre questa soglia, quindi con uno sforzo più intenso, la concentrazione di lattato diventa tale da consentire solo lavori di breve durata (a lungo andare inibirebbe le contrazioni muscolari).

    *Quello di 4 mmoli/L è un valore molto indicativo, ci sono soggetti che possono averlo di 3 come altri che possono averlo di 5 o 6 mmoli/L. In ogni caso sarebbe bene misuralo per venire a conoscenza della propria LT (soglia del lattato).

    Calcolare questa soglia può essere utile per determinare la potenza aerobica, capacità lattacida ed avere un’idea dell’intensità di allenamento a cui far lavorare un atleta. La SAN può essere calcolata attraverso il test di Conconi (con cardiofrequenzimetro), utilizzando degli apparecchi per misurare dei parametri ventilatori o con la misurazione della concentrazione del lattato ematico.

    Un’altra  soglia, anche se meno famosa, è quella aerobica (SAE). Si parla di soglia aerobica. quando i valori di lattato ematico superano quelli basali, arrivando a 2 mmoli/l. L’intesità della SAE sembrerebbe coincidere con il crossover point, punto di confine in cui il sistema aerobico si sposta da un dispendio prevalentemente lipidico ad uno glucidico.

    La fc si può calcolare tramite un cardiofrequenzimetro o con alcune formule

    Fc max. = 220 - età, oppure: 208 - 70% età
    Fc con misurazione manuale = metto due dita alla base del collo, contro i battiti per 15" esatti e poi moltiplico il numero ottenuto per quattro
    Fc corrispondente alla SAN = Fc max x 0,93 (su un atleta)
    Fc      //         //  // = Fc max x 0,70 (su un sedentario)

    All’atto pratico: Lorenzo, 20 anni, tennista

    Fc max = 200; Fc alla SAN = 186

    Effetto allenante in base alla frequenza cardiaca massima

    <60% = lo stimolo è troppo debole, non considerato allenante
    60-75% = capacità aerobica
    75-85% = potenza aerobica e soglia anaerobica
    85-92% = allenamento anaerobico e tolleranza lattacida

    Prima che voi lettori vi addormentiate inserisco giusto un ultimo importante concetto, quello del massimo consumo di ossigeno (V02max). Il VO2max è la massima quantità di ossigeno che l’individuo può consumare nell’unità di tempo per uno sforzo fisico. Questo valore è espresso in ml/kg/min (millilitri per kg di peso corporeo al minuto) e l’allenamento può migliorare questa componente di circa il 20-25%.

    La soglia anaerobica coincide con il 60% del VO2max nei soggetti sedentari e l’85% circa per quelli allenati.

    002 (2).jpgFig.9 – I metabolismi in relazione all’intensità (fc)

    Non saranno argomenti divertenti ma se ci si vuole allenare seriamente questo è l’abc.

    Grazie per l’attenzione.


    Bibliografia

    Wilmoore, Costill – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Calzetti Mariucci, 2005)
    Weineck J. – Biologia dello sport (Calzetti Mariucci, 2013)
    Urso A. – Le basi dell’allenamento sportivo (Calzetti Mariucci; 2a ediz., 2014)