Vi servono informazioni circa la traumatologia dello sport? Questa breve serie di articoli allora può fare per voi!
Buona lettura.
Cos’è un infortunio?
Un infortunio, in senso medico-sportivo, è un evento che si verifica quando l’atleta è impegnato nell’attività sportiva e subisce un qualsiasi danno alla propria struttura corporea. Per essere un vero e proprio infortunio, questo danno dev’essere tale da influire, negativamente, sulla frequenza o intensità di allenamento (o di partecipazione all’attività sportiva).
Sicuramente vi sarà capitato almeno una volta di provare dolore ai muscoli dopo qualche sforzo fisico. Bene, quel dolore non è altro che del DOMS, ovvero: indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata. Scopriamo insieme di cosa si tratta!
Cenni di fisiologia
In passato si ipotizzava che i DOMS (delayed onset muscle soreness) derivassero dall’accumulo di acido lattico, negli anni a venire è però stato dimostrato che l’acido lattico e gli scarti metabolici non c’entravano, almeno non sui dolori ad insorgenza ritardata. Si tratta infatti, secondo le teorie più accreditate, di micro-lacerazioni a livello muscolare derivanti soprattutto da contrazioni eccentriche [1,2,3].
Certi studiosi suggeriscono che alcuni radicali liberi (ROS) possano concorrere nella formazione dei DOMS [4], altri che interferiscano fattori metabolici e neurologici [5,6]. Ma date le scarse prove, quella del danno muscolare rimane comunque la teoria più attendibile.
L’indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata fa perdere forza alla contrazione muscolare. Secondo Warren e colleghi [7] questo è imputabile a tre macro-fattori: il danno al tessuto muscolare, una disfunzione nell’ambito del processo di accoppiamento eccitazione-contrazione ed una perdita delle proteine contrattili (il tutto è illustrato nella figura a sinistra).
Post allenamento
I DOMS insorgono a 8-12h dal termine dell’allenamento
Si acutizzano a 24-48h dal termine dell’allenamento
Diminuiscono a 48-72h dal termine dell’allenamento
Scompaiono a 72-120 ore dal termine dell’allenamento
Le cifre riportate sopra, ovviamente, sono molto indicative.
Se i DOMS sono particolarmente lievi, non è necessario rimandare gli allenamenti, un buon riscaldamento può far cessare l’indolenzimento.
Risposta tardiva all’esercizio fisico di diversi indici fisiologici (la densità di colore della barra corrisponde all’intensità della risposta nel tempo indicato) [8]
Tecniche per ridurli
Alcuni modi per ridurre i DOMS sono i seguenti:
Iniziare un nuovo programma/scheda di allenamento con un’intensità moderata, alzandola piano piano nel corso delle settimane
Eseguire immersioni in acqua fredda (temperatura di 8-15° C per 11-15 minuti di bagno). Maggiori informazioni le trovate in questo articolo.
Assunzione di una buona quota giornaliera di proteine
Prendere della caffeina tramite caffè o compresse. Si è vista infatti una correlazione fra il calo del dolore muscolare e l’assunzione di questa sostanza eccitante [9].
Caffeina e riduzione dei DOMS (Hurley C. F. et al., 2013)
Conclusioni
L’indolenzimento muscolare, acuto e ad insorgenza ritardata, è un evento assolutamente fisiologico. Tenere “a bada” i DOMS non è di fondamentale importanza per chi si allena in palestra, magari con schede full-body, 2-3 volte a settimana o per chi pratica sport a livello dilettantistico con una frequenza moderata. Tuttavia, per gli sportivi professionisti, o per gli agonisti che puntano a competere ad alti livelli, tenere a bada i DOMS è spesso di aiuto per limitare i dolori e non sfociare nell’overtraining.
Wilmore H. J., Costill L. D. – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Calzetti Mariucci, 2005) 1 Stone M. H. et al. – A hypothetical model for strength training (1981) 2 Schwane J. A. et al. – Delayed-onset muscular soreness and plasma CPK and LDH activities after downhill running (1983) 3 Schwane J. A. et al. – Is Lactic Acid Related to Delayed-Onset Muscle Soreness? (1983) 4 Close G. L. et al. – Eccentric exercise, isokinetic muscle torque and delayed onset muscle soreness: the role of reactive oxygen species (2004) 5 Malm C. et al. – Leukocytes, cytokines, growth factors and hormones in human skeletal muscle and blood after uphill or downhill running (2004) 6 Ayles S. et al. – Vibration-induced afferent activity augments delayed onset muscle allodynia (2011) 7 Warren G. L. et al. – Excitation-contraction uncoupling: major role in contraction-induced muscle injury (2001) 8 Evans W. J. et al. – The metabolic effects of exercise-induced muscle damage (1991) 9 Hurley C. F. et al. – The effect of caffeine ingestion on delayed onset muscle soreness (2013)
Overtraining e sovrallenamento, parole che tutti si mettono in bocca, alle volte anche a sproposito. Ora, partendo dalla fisiologia umana, andremo a capire cos’è il sovrallenamento, quali i fattori scatenanti, i sintomi e come evitarlo. Buona lettura!
«I was almost relieved when i injured my hamstring and had to curtail my competitive season»
Definizione e cenni di fisiologia sportiva
L’overtraining, o sovrallenamento, è una complessa sindrome psico-fisica nella quale lo sforzo fisico diventa insostenibile per l’organismo, quest’ultimo infatti non riesce più a recuperare dalla fatica accumulata. Ne consegue un calo delle prestazioni atletiche. Alle volte, il sovrallenamento culmina col il rifiuto da parte dell’atleta di allenarsi.
Gli stressors che agiscono durante l’allenamento sportivo causano considerevoli alterazioni all’omeostasi e/o alle funzioni dell’organismo che da essi sono stimolate, determinando una serie di adattamenti fisiologici sia a riposo che sotto sforzo.
Nelle persone comuni, che non vivono di sport, questa sindrome non è data unicamente dall’allenamento ma anche da altri fattori di stress quotidiano (famiglia, impegni lavorativi, eccetera).
L’overtraining non va confuso con l’overreaching (o sovraffaticamento), il quale indica un calo delle prestazioni ma a breve termine, da due o tre giorni ad un paio di settimane [1,2]. In altri termini, potremmo dire che il sovraffaticamento non è altro che un sovrallenamento più lieve.
Come mostrato nel grafico a sinistra, stimoli allenanti eccessivi, già nell’arco di pochi giorni possono alterare il corretto quadro ormonale. Il testosterone ha un netto calo, lo stesso vale per tiroxina (un ormone tiroideo), al contrario il cortisolo (ormone dello stress) schizza alle stelle. L’antagonismo fra testosterone e cortisolo è detto T/E ratio.
Un allenamento massimale che sfocia poi in uno stato di sovrallenamento, riduce la variabilità della frequenza cardiaca [3]. Ad esempio, se il signor Giancarlo durante uno sforzo fisico passa da 140 a 170 bpm (sbalzo di 30 battiti), in uno stato di sovrallenamento, durante il compimento del medesimo sforzo avrà uno “sbalzo” di bpm minore.
Il sovrallenamento arriva ad intaccare persino il sistema immunitario: riduzione delle immunoglobuline salivari IgA, riduzione della funzionalità dei globuli bianchi, riduzione rapporto linfociti T CD4/CD8 (helper/suppresor) ed infezioni virali ricorrenti.
Incidenza del sovrallenamento…
– 70% degli atleti di resistenza ad alto livello nell’arco della loro carriera [4]
– Più del 50% dei calciatori professionisti durante 5 mesi di stagione agonistica [5]
– 33% di giocatori di basket durante 6 settimane di sedute di allenamento [6]
A voler essere pignoli, il sovrallenamento è suddivisibile in due tipologie principali: sovrallenamento simpatico e sovrallenamento parasimpatico. Il primo è associato ad un eccesso di attività anaerobica (quindi intensa) e si “cura” con massaggi, bagni in acqua e recupero attivo (allenamenti leggeri, poco intensi). Invece, quello parasimpatico è attribuito a lavori aerobici molto voluminosi. Per tornare in un buono stato di salute, anche qui è consigliato fare bagni in acqua (possibilmente fredda) e recuperare attivamente con allenamenti poco intensi e poco voluminosi.
Sintomi
I sintomi (e segni) principali del sovrallenamento sono i seguenti:
Affaticamento persistente
Difficoltà a dormire
Dolori muscolari cronici
Apatia
Difficoltà a concentrarsi
Depressione
Aumento frequenza cardiaca a riposo
Aumento pressione arteriosa a riposo
Disturbi gastro-intestinali
Perdita di peso
Squilibri ormonali
Calo delle prestazioni
Segni di una disfunzione neuro-endocrina [1] con elementi di dominanza o di riduzione del sistema nervoso simpatico.
Prevenzione e rimedi
Un po’ di indicazioni per prevenire il sovrallenamento…
Monitorare parametri come la FC o la pressione a riposo
Individualizzare l’allenamento
“Giocare” bene con valori allenanti (intensità, volume, densità, frequenza)
Sostenere il sistema immunitario con la vitamina C, D ed i grassi Omega-3
Parlare molto con l’atleta, in modo da riceve i feedback sulle sue sensazioni e sul suo stato di salute psico-fisico
Nei casi peggiori può essere utile rivolgersi a delle figure esterne (medico, psicologo, nutrizionista) ed effettuare degli esami clinici specifici (ematocrito, emoglobina, azotemia, cortisolo, testosterone, CPK).
*in Medicina dello sport, lo scarico attivo (minor volume e/o intensità di allenamento) è consigliato per l’overreaching e lo scarico passivo (periodo nel quale non ci si allena) per l’overtraining vero e proprio.
Riassunto di un po’ tutto quella che è stato detto fino ad ora [7]
Conclusioni
Risulta chiaro che più che alle persone che si allenano per passione 2-3-4 volte a settimana, la popolazione maggiormente esposta al rischio overtraining sia quella degli sportivi professionisti. I professionisti possono arrivare ad allenarsi anche tre volte al giorno e proprio per questo motivo è di fondamentale importanza monitorare tutti i parametri precedentemente citati ed avere sempre un buon dialogo con gli atleti.
Parodi G. – Medicina dello sport (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2016/2017) Weineck J. – Biologia dello sport (Calzetti Mariucci, 2013) Wilmore H. J., Costill L. D. – Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport (Ediz. Calzetti Mariucci, 2005) Olsen L. – Overtraining: A Molecular Perspective (2016) Armstrong L. E. et al. – The unknown mechanism of the overtraining syndrome: clues from depression and psychoneuroimmunology (2002) Budgett, R. – Fatigue and underperformance in athletes: the overtraining syndrome (1998) Budgett, R. – Overtraining syndrome (1990) James D. V. B. et al. – Heart rate variability: Effect of exercise intensity on postexercise response (2012) Kreher, J. B. et al. – Overtraining Syndrome: A Practical Guide (2012) Burnstein B. D. – Sympathetic vs Parasympathetic overtraining – Selecting the proper modality to maximize recovery (2017) 1 Fry A. C. – Resistance exercise overtraining and overreaching. Neuroendocrine responses (1997) 2 Kuipers H. et al. – Overtraining in elite athletes. Review and directions for the future (1988) 3 Uusitalo A. L. et al. – Heart rate and blood pressure variability during heavy training and overtraining in the female athlete (2000) 4 Morgan et al. – Psychological monitoring of overtraining and staleness (1987) 5 Lehmann M. et al. – Training-Overtraining: Influence of a Defined Increase in Training Volume vs Training Intensity on Performance, Catecholamines and Some Metabolic Parameters in Experienced Middle- And Long-Distance Runners (1992) 6 Verma S. K. et al. – Effect of four weeks of hard physical training on certain physiological and morphological parameters of basket-ball players (1978) 7 Mackinnon L. et al. – Overtraining (1991)
La colonna vertebrale è una complessa struttura osteofibrocartilaginosa, molto resistente e fondamentale per il movimento umano. Nelle prossime righe parleremo della sua osteologia e delle principali patologie che la riguardano. Ricordiamo tuttavia, che quella che segue è libera informazione, per delle consulenze bisogna rivolgersi alle opportune figure mediche di competenza.
Colonna vertebrale: quello che c’è da sapere
Questa complessa struttura osteofibrocartilaginosa è molto estesa, va dal capo al coccige. Ha una lunghezza media di 70 cm per gli uomini e di 60 cm per le donne. La colonna vertebrale consta di cinque regioni, le quali hanno un numero variabile di vertebre (ossa che costituiscono appunto la colonna), che in totale è di 33. Le regioni sono le seguenti:
Regione cervicale: consta di sette vertebre (C1,2,3,4,5,6,7), le prime due, più famose, sono l’atlas (C1) e l’axis (C2). La regione cervicale regge la testa e permette al collo una grande escursione articolare.
Regione dorsale(o toracica): è formata da dodici vertebre (T1-12), è la regione più ampia di tutta la colonna vertebrale, inoltre, unendosi alle costole forma la cassa toracica. Questo tratto possiede una rigidità elevata per evitare movimenti, specialmente flessioni, troppo bruschi e pericolosi.
Regione lombare: composta da cinque vertebre (L1-5), la sua struttura è particolarmente robusta e mobile.
Regione sacrale: consiste in un unico osso composto dalla fusione di cinque vertebre.
Regione coccigea: osso formato dalla fusione di quattro-cinque vertebre.
Alcune delle principale funzioni della colonna vertebrale sono le seguenti: supporto e protezione del sistema nervoso centrale e periferico, sostegno strutturale, stabilità e protezione degli organi interni.
Le vertebre sono connesse mediante un disco fibrocartilaginoso, forte ed elastico, il quale fa da ammortizzatore e permette un certo movimento. Questo disco è chiamato disco intervertebrale.
Prima di passare alle patologie ci sono un alcune piccole cose da far notare riguardo alle innumerevoli “curvature” della colonna vertebrale.
Se osservata lateralmente, saltano all’occhio le due convessità posteriori, dette cifosi e le due convessità anteriori: le lordosi. Rientrano nel primo gruppo la zona toracica e sacrale, sono invece delle lordosi la zona cervicale e quella lombare. Questa alternanza di curve, fa sì che la colonna vertebrale sia piuttosto mobile e resistente, garantendo l’equilibrio in posizione eretta. Le lordosi permettono gradi di movimento molto maggiori rispetto alle cifosi, specialmente la regione lombare, la quale ha una curvatura un po’ più marcata. Nella figura a sinistra, si può osservare come un curvatura eccessiva (iperlordosi, ipercifosi) anche di una sola regione, alteri inevitabilmente anche gli altri tratti della colonna (linea gialla). Queste curve, oltre ad influenzare postura e movimento, interferiscono nello sviluppo muscolare. Ma questo di questo ne parleremo meglio nelle prossime righe.
Principali patologie
Senza tirarla troppo per le lunghe, le principali patologie della colonna vertebrale sono tre: scoliosi, cifosi e lordosi.
Scoliosi: è una deviazione della colonna vertebrale (laterale e di rotazione) che interessa sia la regione dorsale che quella lombare, anche se spesso è più evidente nella prima. Esistono più tipi di scoliosi, i quali si possono classificare nel seguente modo:
Scoliosi congenita, derivante da anomalie vertebrali presenti alla nascita.
Scoliosi idiopatica (o dell’adolescenza), non è ancora stata individuata la causa, si sa solo che è spesso ereditaria e che colpisce soprattutto il sesso femminile. A seconda dell’età in cui si manifesta può essere a sua volta sub-classificata nel seguente modo: infantile (dalla nascita fino ai 3 anni di età), giovanile (dai 4 ai 9 anni) e adolescenziale (dai 10 anni fino al termine della maturazione scheletrica) o adulta.
Scoliosi neuromuscolare, si sviluppa come sintomo secondario di altre patologie (paralisi cerebrale, atrofia muscolare o traumi fisici).
Cifosi: la normale cifosi è la curvatura fisiologica della regione dorsale. Quando però l’angolo della cifosi supera i 45° si parla di ipercifosi (figura sotto).
A sinistra la colonna vertebrale di una persona affetta da ipercifosi (angolo di 45°) e, a destra, una colonna con una cifosi fisiologica.
La cifosi, se accentuata, può suddividersi nella seguente maniera:
Cifosi posturale, è la più diffusa ed è attribuita alle posture sbagliate assunte durante la vita quotidiana. Raramente provoca dolore o causa particolari problemi.
Cifosi di Scheuermann, la causa è sconosciuta, questa forma di cifosi può causare dolore, specialmente nell’apice della curva. Se non trattata correttamente, con l’attività fisica può anche peggiorare.
Cifosi congenita, alla nascita la colonna vertebrale presenta dei problemi strutturali e quindi, mano a mano che il bambino si sviluppa, si forma una cifosi sempre più accentuata.
Lordosi: è la curvatura fisiologica della colonna vertebrale all’altezza della regione cervicale e lombare. Quando la lordosi tende ad appiattirsi si parla di ipolordosi, al contrario, quando la curvatura aumenta si parla di iperlordosi. Siamo davanti ad una iperlordosi quando l’angolo di curvatura è superiore ai 40-50° (una lordosi normale ha un angolo di 35°). Tra l’altro, chi ha molto a che fare con alcune discipline sportive può arrivare a soffrire proprio di quest’ultima patologia, per esempio i pesisti.
Abituarsi ad assumere posture errate e squilibri muscolari possono portare alle due patologie precedentemente citate (ad esempio addome e glutei deboli), specialmente nel genere femminile. Una lordosi cervicale non fisiologica modifica il centro di gravità del cranio e porta ad un sovraccarico muscolare e articolare, tutto ciò causa problemi meccanico-cervicali.
Nella foto sopra, a sinistra una postura corretta, con delle curve assolutamente fisiologiche e a destra un soggetto affetto da ipercifosi ed iperlordosi.
Tuttavia, anche una scarsa lordosi può portare a problematiche di vario genere. Ad esempio, una recente revisione sistematica/meta-analisi [1], molto nota in letteratura scientifica, ha messo a confronto tredici studi sui dolori alla bassa schiena e la postura, analizzando quasi 2000 pazienti (796 pazienti con dolori lombari e 927 sani). Per farla breve, i pazienti sani avevano tutti una maggior lordosi e fra quelli patologici, con la schiena più “piatta”, c’era un’elevata percentuale di soggetti affetti da ernie del disco e degenerazioni discali. Per maggiori informazioni potrebbe essere utile la lettura di quest’altro articolo.
Influenza sullo sviluppo muscolare
Una colonna vertebrale affetta da patologie, come è facilmente intuibile, può compromettere un buono sviluppo della muscolatura del tronco.
Per esempio, un soggetto con una cifosi dorsale particolarmente accentuata e spalle anteposte (o chiuse) può avere difficoltà a lavorare con i pettorali e, per i movimenti di spinta, utilizzerà soprattutto i deltoidi. Oppure una persona con una zona lombare piatta (ipolordosi), avrà per forza di cose uno sviluppo dei glutei molto limitato.
Dispense Universidad de Almería (Ciencia de la actividad fisica y del deporte) Segina M., Pansini L. – Lordosi lombare e mal di schiena: qual è la verità? (2017) 1 Chun S. W. et al. – The relationships between low back pain and lumbar lordosis: a systematic review and meta-analysis (2017)