Quanto segue è il sunto di una tesi compilativa elaborata dal sottoscritto ed esposta presso l’Università degli Studi di Torino (Unito) per la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive.
Buona lettura.
Asimmetrie nei contesti sportivi: una definizione
Gli autori e ricercatori David Joyce e Daniel Lewindon, definiscono le asimmetrie sportive come: «la risposta naturale del corpo umano ad adattarsi alle esigenze atletiche aumentando la massa, sviluppando la forza o alterando la flessibilità dei tessuti molli posti sotto stress. A causa di ciò, gli atleti possono sviluppare asimmetrie o squilibri di corrispondenti tessuti molli, come ossa, muscoli o tendini. Ai fini della chiarezza, le ‘asimmetrie’ si riferiscono alle differenze da lato a lato in forza, dimensioni, flessibilità, raggio di movimento o posizionamento della stessa struttura anatomica» (Sports Injury Prevention and Rehabilitation, pag.88, 1a Ediz., 2015).
Da non confondere con gli squilibri muscolari, i quali indicano delle anomalie nei rapporti di forza e flessibilità fra i muscoli agonisti e antagonisti.
Pallavolo
Wang H. K. et al.1 in un uno studio pubblicato sul The Journal of sport medicine and physical fitness nel 2001 non osservarono correlazioni statisticamente significative fra l’asimmetria scapolare e infortuni (o dolori) in pallavolisti inglesi d’élite, benché in certi casi l’asimmetria fra il braccio dominante e quello non dominante – misurata tramite lo “scapula lateral slide test” – fosse notevole.
Nella figura sopra, il “lateral scapula slide test” (da Scapular dyskinesis: the surgeon’s perspective, Roche S. et al., 2015).
Uno studio più recente2 ha esaminato l’asimmetria scapolare di atleti che praticavano sport che comprendevano movimenti degli arti superiori sopra la testa, alcuni di questi erano dei pallavolisti. I ricercatori sono ricorsi a dei dispositivi di tracciamento elettromagnetici al fine di misurare la cinematica scapolare bilaterale 3D del braccio (Bilateral 3D scapular kinematics). Citando testualmente la parte finale dello studio, le conclusioni sono le seguenti: «Clinicians should be aware that some degree of scapular asymmetry may be normal in some athletes. It should not be considered automatically as a pathological sign but rather an adaptation to sports practice and extensive use of upper limb».
Conclusioni
Traducendo: «I medici dovrebbero essere consapevoli del fatto che un certo grado di asimmetria scapolare può essere normale in alcuni atleti. Non dovrebbe essere considerato automaticamente come un segno patologico, ma piuttosto come un adattamento alla pratica sportiva e all’uso esteso dell’arto superiore». Ciò è confermato da un altro più recente lavoro EBM.3
1 Wang H. K. et al. – Mobility impairment, muscle imbalance, muscle weakness, scapular asymmetry and shoulder injury in elite volleyball athletes (2001) 2 Ribeiro A et al. – Resting scapular posture in healthy overhead throwing athletes (2013) 3 Cools A. M. et al. – Prevention of shoulder injuries in overhead athletes: a science-based approach (2015)
La filosofia, quella scienza incredibilmente noiosa e prolissa dove un manipolo di esponenti dell’intellighenzia di chissà quale luogo cercano con insistenza una verità fasulla, producendo fiumi di parole incomprensibili.
Questa è all’incirca l’etichetta stereotipata che alcune persone poco informate affibbiano alla filosofia. Oggi però cercheremo di unire quest’ultima alla pratica sportiva e per farlo chiameremo in causa alcuni intellettuali del passato, fra cui John Locke, filosofo omonimo del forse più noto personaggio della serie cult Lost.
Godetevi questa breve lettura!
Allenare il corpo per forgiare la mente
Il celebre filosofo John Locke sosteneva che solo sottoponendo il corpo a privazioni e dure prove fisiche fosse possibile temprare il carattere e favorire l’acquisizione del dominio del sé. Egli considerava quindi l’esercizio fisico un qualcosa di indispensabile per rendere il corpo e la mente idonei ad affrontare le sfide della vita, anche le più avverse.
Rocky Marciano (storico pugile italo-americano)
Allo stesso tempo, sempre secondo l’empirista britannico, sfogarsi ed impegnare il proprio tempo libero con lo sport era un ottimo modo per mettere in pausa il lavoro intellettuale e riprenderlo con maggiore impegno una volta terminata l’attività fisica.
Insomma, una sorta di Antirrhetikos che vede nel movimento – invece che nella scrittura – un fedele alleato nella lotta contro ciò che di malvagio ci circonda.
In definitiva, dietro a quello che per alcuni era banalmente l’insieme di sudore e inutili sacrifici, si celava qualcosa di molto più grande, la crescita del corpo e dello spirito.
In tempi un po’ più recenti potremmo portare come esempio il divieto imposto alle donne di praticare sport a livelli competitivi, divieto risalente all’epoca fascista. Questo aveva una sua ragione. Quale? Contrasto all’emancipazione femminile, la donna atleta poteva rendersi conto delle sue reali capacità, del proprio potenziale sportivo (e non solo), diventando quindi meno incline a farsi sottomettere dall’uomo. Insomma, tramite l’attività fisica la donna – come per il genere maschile – poteva e può acquisire fiducia nei propri mezzi, consapevolezza di sé, migliorare le sue condizione di vita.
A dir la verità non è stato l’unico intellettuale di un certo peso a lanciarsi in dichiarazioni simili, specie se facciamo brevemente un tuffo nell’antichità.
Come riportato qui da Nunzia Fabrizio:«… abbiamo alcuni famosi esempi di come lo sport e il vigore fossero centrali nella vita romana. Svetonio, nelle biografie dei primi dodici imperatori, ci racconta dei “giochi” trionfali messi su da Cesare nel 45 a.C. Da lì si evince un’idea dello stato romano e l’importanza dell’atletica nei confronti delle altre forme di intrattenimento nella società romana. Svetonio scrive che gli spettacoli pubblici di Cesare erano di vario genere. Tra questi vi era un combattimento di gladiatori, degli stage di giochi in ogni quartiere di Roma eseguiti in tutte le lingue, le corse dei carri nel circo, varie gare di atletica, e una battaglia navale finta. Oltre a Svetonio abbiamo Galeno, il quale ha iniziato la sua carriera come gladiatore oscuro e poi come allenatore medico, diventando alla fine medico di corte dell’imperatore Marco Aurelio. Egli riflette le pratiche del suo tempo e scrive: “I più eminenti filosofi e medici dell’antichità hanno discusso in modo adeguato i benefici per la salute di esercizi di ginnastica e di dieta, ma nessuno ha mai stabilito la superiorità degli esercizi con la palla. Credo che il migliore di tutti gli esercizi è quello che esercita non solo il corpo, ma rinfresca anche lo spirito. Gli uomini che hanno inventato la caccia erano saggi e conoscono bene la natura dell’uomo, perché mescolano i loro sforzi con il piacere, la gioia, e la rivalità”» [1].
Le caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.c.), di quello d’oriente d’Oriente (assedio di Costantinopoli, 1453 d.c.), sommate al lento e progressivo affermarsi del Cristianesimo, deturparono non poco la cultura sportiva. Più che il fisico era importante curare la mente, pensare troppo al fisico avrebbe allontanato le persone da Dio e dalle preghiere ad egli rivolte.
Basti pensare alla scissione della mente dal corpo, sostenuta dal filosofo Cartesio (1596-1650). Quest’ultimo vedeva come predominante la prima sul secondo.
Inoltre, con l’arrivo delle armi da fuoco diventò un po’ meno importante la prestanza fisica; in fin dei conti con fucili e cannoni si potevano stroncare vite senza passare per l’obsoleto e faticoso scontro corpo a corpo. Al riguardo, l’abate Antonio Genovesi mostrò non poche perplessità. Egli, pur essendo un uomo di chiesa, riteneva che il peggioramento fisico degli uomini potesse indebolirne a poco a poco lo spirito, portando allo sgretolamento dei popoli europei [2].
Per avviarci alla conclusione, sottolineiamo come in tempi più recenti – dagli anni sessanta del ventesimo secolo in poi – lo sport sia tornato nuovamente sotto la lente di ingrandimento della filosofia.
Nel 1969 venne pubblicato il libro riportato sopra: Sport: A Philosophic Inquiry del filosofo americano Paul Weiss. Nel decennio successivo videro la luce riviste e saggi filosofici incentrati proprio sul movimento, fino ai giorni nostri.
Va citata ad esempio l’associazione BPSA, British Philosophy of Sport Association e le sue pubblicazioni (Sport, Ethics and Philosophy).
Conclusioni
Finora, la filosofia ha trattato solo marginalmente lo sport e non vi sono i presupposti perché in futuro le cose cambino. Tuttavia, è innegabile che questo rapporto fra corpo e mente, aggiungendoci magari anche la spiritualità, per quanto astruso, sia estremamente affascinante.
«Mens sana in corpore sano» (Decimo Giunio Giovenale)
Morandini M. C. – Pedagogia (Dispense Universitarie SUISM, a.a 2015/2016) John Locke – Pensieri sull’educazione (1693) 1 Nunzia Fabrizio – Filosofia e sport (2015, link) 2 Ballexserd J. – Dissertazione sull’educazione fisica dei fanciulli (1763)
«Lo sport dà alla vita un maggiore equilibrio psicofisico e l’arricchisce di serenità e coraggio», Gabriella Dorio.
Introduzione
Quello del benessere psichico non è un argomento semplice da trattare, ha molteplici aspetti ed un’infinità di concause, sia in senso negativo che positivo. Dai rapporti sociali del singolo individuo, all’ambiente in cui questo cresce (e che in qualche modo lo plasma), dai fattori genetici al condizionamento delle sue scelte derivante appunto dall’ambiente che lo circonda.
Come da titolo, quanto segue ha come obiettivo quello di sviscerare il complicato rapporto tra l’attività fisica e la salute psichica, parlando di ormoni, studi scientifici ma anche di psicologia.
Concetti chiave
Benefici sociali, contrasto di comportamenti “rischiosi” e miglioramento della qualità della vita.
Se fossimo molto sintetici, potremmo riassumere tutto il contenuto di questo articolo con la precedente riga. Perché sì, è a quanto scritto lì che può portare lo sport, o più in generale l’esercizio fisico. Infatti, esso è in grado di spingere le persone di ogni estrazione sociale ad integrarsi, scampando all’isolamento sociale ed evitando di cadere in brutti vizi, quali il consumo (o abuso) di alcolici, fumo e droghe di vario genere, con tutto ciò che ne consegue per la salute. Per esempio fumo e sedentarietà sono fra le principali cause di decessi nel mondo (la seconda, in base alle fonti, oscilla fra il secondo e quarto posto per numero globale di decessi).
Impegnare il proprio tempo libero, coltivare una passione e magari darsi un vero e proprio obiettivo sportivo, indipendentemente dalla fattibilità di quest’ultimo, può fornire alle persone una certa serenità. Ha parlato bene di ciò lo psicologo statunitense Jonathan Haidt nel bellissimo libro “Felicità: un’ipotesi” (The Happiness Hypothesis) ma l’ha fatto ancora meglio Fëdor Dostoevsky in “Memorie dal sottosuolo“. Egli affermava infatti ciò che segue: «Le rispettabilissime formiche cominciano dal formicaio e finiscono sicuramente con il formicaio. E questo fa un grande onore alla loro costanza e positività. Ma l’uomo, essere leggero e deplorevole, e forse simile al giocatore di scacchi, ama solo il perseguimento dello scopo, non lo scopo».
Quello che molti indicano come “scopo” è inoltre il quinto dei sei fattori individuati dalla psicologa e ricercatrice Carol D. Ryff nella sua “Psychological Well-Being Scales” (fig. sotto) per valutare il benessere psichico di una persona [1].
«Chi ha passioni, lavori, progetti, percorsi, che lo portano a prefiggersi un obiettivo X ed avvicinarcisi progressivamente è felice, soddisfatto, appagato e il tutto si riflette a 360° in tutti gli aspetti della vita. Viceversa, scarse o assenti relazioni sociali, la sensazione di non aver nessuno che tenga te, non avere nessuno a cui si tiene, lo stallo e l’assenza di cambiamento e progresso, la mancanza di obiettivi, mancanza di prospettiva di crescita, vedere le proprie aspettative incompiute… sono tra le cose più correlate (oltre ovviamente ai fattori genetici fondamentali) alla depressione, la scarsa autostima, l’infelicità» (Domenico Aversano).
Tornando a noi, salvo rari casi, il movimento è sinonimo di maggior qualità della vita, grazie ad uno spiccato benessere psichico e fisico che è in grado di dare a chi ne fa uso. Non a caso l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la salute come «uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non soltanto l’assenza di malattia di infermità».
Cenni di fisiologia
Gli effetti fisiologici derivanti dall’esercizio fisico che garantiscono un certo benessere sono i più disparati. Citandone alcuni: aumento del flusso ematico cerebrale, rilascio di endorfine (responsabili della nostra felicità, insieme all’ossitocina, dopamina e serotonina) e variazioni dei neurotrasmettitori mono-amminici [2]. Senza contare che un miglioramento estetico (meno massa grassa e più massa magra), unito a quello delle prestazioni fisiche, può influire significativamente sull’autostima.
Le endorfine vengono rilasciate anche quando ci nutriamo e quando amiamo (fig. sotto).
Jonathan Haidt – The Happiness Hypothesis: Finding Modern Truth in Ancient Wisdom (2006)
Nel grafico riportato sopra, il tratto di linea compreso fra quelli indicati come punti di pericolo (danger points) corrisponde al repentino calo della dopamina a cui si va incontro dopo alcune settimane di quello che alcuni psicologi definiscono “amore appassionato”. Spesso, in concomitanza con questo abbassamento, la relazione fra due persone termina, dato il calo di interesse reciproco. Senza dilungarci troppo, il cervello vede come una minaccia per l’omeostasi questi elevatissimi livelli di dopamina (quasi fosse una droga), pertanto ne inibisce la produzione. Di conseguenza, vi è una tangibile variazione dell’umore e del benessere psichico.
Tornando a noi, come asserivano già più di 20 anni fa alcuni ricercatori, l’esercizio fisico sufficientemente intenso e duraturo è in grado di aumentare i livelli circolanti di β-endorfine [3], un particolare tipo di endorfine che rientra, assieme a quelle alfa, gamma e delta, nel raggruppamento delle endorfine ipofisarie, in quanto prodotte dall’adenoipofisi, cioè dalla parte anteriore dell’ipofisi (ghiandola già ampiamente descritta qui).
«Una revisione completa della relazione tra esercizio e umore ha concluso che gli effetti antidepressivi e ansiolitici sono stati chiaramente dimostrati» [4,5].
Effetti di 20 minuti di esercizio fisico nei ratti; DA = Dopamina, NA = Noradrenalina, 5-HT = serotonina (Meeusen R. et al., 1994) [6].
Per certi corridori, l’attività fisica può avere essere paragonata a una dipendenza da sostanze stupefacenti (come evidenziato qui).
Ansia, emozioni, autostima e depressione
Diversi studi mostrano effetti positivi dell’esercizio fisico su ansia, emozioni, umore, percezione di sé ed autostima, anche sugli adolescenti [7,8].
Tuttavia, i livelli sinaptici di dopamina non sembrano cambiare significativamente dopo alcuni minuti di corsa lenta (8,7 km/h) [9] e qui torniamo al discorso del precedente paragrafo, dove abbiamo sottolineato l’importanza di un allenamento duraturo ma soprattutto di buon intensità. Dunn A. L. e colleghi nel 2005 sono riusciti a dimostrare una notevole riduzione dei sintomi depressivi (depressioni definite di gravità lieve e moderata) su persone che regolarmente praticavano attività fisica. Allo stesso tempo, le cavie che nello studio in questione si erano allenate di meno non avevano avuto dei significativi benefici psicofisici. Anzi, la loro situazione clinica era rimasta simile a quella del gruppo placebo, quindi a coloro che non avevano ricevuto delle vere cure [10].
I tre fattori primari che influenzano i livelli cronici di felicità (Lyubomirsky S. et al., 2005)
Il movimento, per quanto salutare, non si è comunque dimostrato più efficace delle classiche terapie farmacologiche e psicologiche [11].
Risposte neurofisiologiche a vari protocolli di allenamento (Basso J. C. et al., 2017), la tabella dà un’idea della vastità e complessità dell’argomento.
Infine, una recente meta-analisi pubblicata sul JAMA Psychiatry ha analizzato i dati provenienti da 33 trial clinici (un totale di quasi 2000 pazienti), constatando come l’allenamento coi pesi (resistance training) abbia una buona efficacia nel ridurre i sintomi depressivi tra le persone adulte [12].
Conclusioni
Come già accennato, l’allenamento non è da intendere come una terapia sostitutiva per curare ogni tipo di patologia che ha a che fare con la psiche, specie se si tratta di depressione, ma come un valido alleato nella lotta quotidiana ai mostri che abbiamo in testa.
Oltre che sulla riduzione dei sintomi bisognerebbe focalizzarsi su quella che è la causa che genera il malessere. Ma per questo genere di cose è meglio rivolgersi ad una figura medica, non di certo sperare di trovare in un semplice articolo divulgativo la panacea di tutti mali.
Grazie per l’attenzione!
Le informazioni ivi contenute sono puramente a scopo divulgativo. Quanto riportato nell’articolo non intende in alcun modo sostituirsi al parere di un medico. L’articolista non si prende alcuna responsabilità, qualunque cosa accada.
[1] Ryff D. C. – Psychological Well-Being in Adult Life (1995)
[2] Meeusen R. et al. – Exercise and brain neurotransmission (1995)
[3] Goldfarb A. H. et al. – β-Endorphin Response to Exercise (1997)
[4] Young N. S. – How to increase serotonin in the human brain without drugs (2007)
[5] Salmon P. – Effects of physical exercise on anxiety, depression, and sensitivity to stress: a unifying theory (2001)
[6] Meeusen R. et al. – The effects of exercise on neurotransmission in rat striatum, a microdialysis study (1994)
[7] Wipfli B. M. et al. – The anxiolytic effects of exercise: a meta-analysis of randomized trials and dose-responseanalysis (2008)
[8] Calfas K. J. et al. – Effects of Physical Activity on Psychological Variables in Adolescents (1994)
[9] Wang G. J. et al. – PET studies of the effects of aerobic exercise on human striatal dopamine release (2000)
[10] Dunn A. L. et al. – Exercise treatment for depression: efficacy and dose response (2005)
[11] Cooney G. M. et al. – Exercise for depression (2013)
[12] Gordo B. R. et al. – Association of Efficacy of Resistance Exercise Training With Depressive Symptoms: Meta-analysis and Meta-regression Analysis of Randomized Clinical Trials (2017)
Questa particolare ed estrema branca del Ghiri Sport altro non è che la specialità “di fondo” riguardante appunto le gare di sollevamento delle Ghirie o Kettlebell.
Un po’ di teoria
Come già affrontato in precedenti articoli da me prodotti, l’uso del kettlebell è estremamente (altro…)
Come da titolo, in questo articolo parleremo del ritmo scapolo-omerale. Un meccanismo forse sconosciuto ai più ma che riveste una certa importanza, anche in ambito pratico, se si sollevano pesi o si compiono sforzi con gli arti superiori. Buona lettura!
Cenni di fisiologia articolare
La spalla è l’articolazione più mobile del corpo umano. Permette movimenti sui tre assi principali (asse trasversale, antero-posteriore, verticale).
Asse trasversale (piano frontale): permette movimenti di flesso-estensione sul piano eseguiti in un piano sagittale (fig. 1.a)
Asse antero-posteriore: è contenuto nel piano sagittale. Permette movimenti di abduzione degli arti superiori (l’arto superiore si allontana dal piano si simmetria del corpo) e di adduzione (l’arto superiore si avvicina al piano si simmetria del corpo) eseguiti in un piano frontale (fig. 2.b)
Asse verticale: determinato dell’inserzione del piano sagittale con quello frontale. Permette movimenti di flessione ed estensione eseguiti sul piano orizzontale, tenendo il braccio in abduzione a 90° gradi.
Figura n.1
Figura n.2
Altri movimenti della spalla e del braccio sono illustrati nella foto sotto
Ma ora veniamo a noi, il ritmo scapolo-omerale non è altro che il movimento contemporaneo di scapola ed omero. Durante l’elevazione della spalla, a seconda del grado di abduzione della scapola e dell’omero, lavoreranno più alcuni muscoli rispetto ad altri. Tutto ciò, ovviamente, è applicabile nello sport come in palestra. Alcuni gesti/esercizi interesseranno determinati distretti muscolari ed altri no.
Movimento combinato di scapola ed omero durante una abduzione
Uno degli studi più quotati in fisiologia articolare [1] evidenzia come nei primi 80° di abduzione degli arti superiori, quindi con le braccia quasi parallele al suolo, il ritmo scapolo-omerale si concentri sull’omero, dando maggior lavoro al deltoide (rapporto scapola-omero di circa 1:3)*. Invece, dagli 80° ai 140°, inizia a “lavorare” di più la scapola, pertanto c’è una maggior attivazione degli elevatori scapolari (trapezio superiore), con un rapporto scapola-omero indicativamente di 1:2. Infine, oltre i 140 gradi aumenta sempre di più l’attivazione degli elevatori della scapola (trapezio superiore, muscolo elevatore della scapole, piccolo romboide e grande romboide), sottraendo così lavoro al deltoide (rapporto 1:1).
*a seconda dei testi possiamo trovare delle cifre un po’ differenti ma comunque sempre vicine al range dei 70-90°.
Ricapitolando…
0-80° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:3
80-140° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:2
140-170° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:1
80°
140°
170°
Applicazioni pratiche
Per rendere più concrete tutte queste informazioni, ci basta pensare a quali esercizi prevedono una abduzione delle braccia (figura sopra). Gli esercizi più comuni che includono quel movimento sono le alzate laterali con manubri, le tirate al mento (o al petto) e le distensioni sopra la testa (military press).
Alzate laterali: consistono nell’impugnare un manubrio e, partendo dai fianchi, portarlo all’altezza della base del collo, anche se non è raro vedere della varianti che prevedono un range di movimento più ampio (oppure ridotto). Ragionando su quanto detto prima, possiamo arrivare a concludere che portare le braccia a parallele al suolo come in figura sia effettivamente la scelta più corretta a livello biomeccanico. Andando oltre i 90° di abduzione delle braccia, i deltoidi inizierebbero via via a lavorare meno, quindi se l’intento è quello di allenare i muscoli della spalla e non gli elevatori delle scapole, terminare la fase concentrica dell’alzata una volta raggiunti i 90° di abduzione è una cosa più che sensata.
Tirate al mento/petto: questo esercizio per comodità si esegue quasi sempre con il bilanciere. Si parte con le braccia completamente distese, vicino alla vita, e si compie un piegamento degli arti superiori, portando il bilanciere al petto o in prossimità del mento. La versione dell’esercizio da preferire è quella che prevede la fine del sollevamento all’altezza del petto, perché il grado di abduzione degli arti superiori è sufficiente a garantire una marcata attività del deltoide, limitando l’intra-rotazione dell’omero (figura sotto) e quindi il rischio di impingement (che è statisticamente più alto nei soggetti che eseguono molto di frequente le tirate al mento) [2]. Questa problematica infatti si verifica oltre i 70-90° gradi di abduzione dell’omero [3], per questo motivo è consigliabile fermare l’alzata prima che il bilanciere raggiunga il mento, facendo arrivare i gomiti poco sotto l’altezza delle spalle.
Con omero intra-rotato (fig. sopra), il capo laterale del deltoide tende a prevalere su quello anteriore, l’esatto contrario avviene invece con l’extra-rotazione [4,5,6].
Distensioni sopra la testa (lento avanti): consistono nel sollevamento di un carico sopra la testa (manubri, bilanciere, kettlebell). Da in piedi, o seduti su panca, partendo con il peso all’altezza del mento (gomito parallelo al corpo), si esegue una spinta verso l’alto, gli arti superiori si distendono e poi si piegano per tornare al punto di partenza.
L’omero compie tutto il suo percorso in una abduzione laterale. E’ da evidenziare inoltre l’intervento del tricipite in fase di spinta che ricordiamo essere l’estensore del gomito (ne avevamo già parlato qui). Pertanto, grazie al coinvolgimento di molti muscoli, questo è indubbiamente l’esercizio per le spalle in cui si può esprimere una maggior forza, sollevando più peso. In termini di ipertrofia, questo si traduce in un maggior stimolo meccanico, elemento base della crescita muscolare. E’ proprio per questo motivo che nelle distensioni sopra la testa il peso viene spinto molto in alto, facendo compiere all’omero una abduzione molto ampia, che inevitabilmente coinvolge molto anche gli elevatori della scapola. E’ bene sottolineare che il motore principale di questo gesto rimane sempre e comunque il deltoide, l’intervento di altri muscoli è secondario. Inoltre, se l’esecuzione è corretta questo esercizio ha un bassissimo rischio di impingement od infortunio, a patto che il soggetto che lo esegue sia perfettamente sano.
Benché nell’allenamento conti molto la soggettività, ci sono basi biomeccaniche e fisiologiche comuni a tutti che devono essere rispettate. Non solo per quanto concerne l’ipertrofia ma anche per la salute. Gli esercizi citati nell’articolo possono essere utili per l’incremento della forza e della massa muscolare, basta saperli eseguire correttamente ed alternare gli stimoli allenanti nella maniera più opportuna.
Kapandji I. A. – Fisiologia articolare (1999) Boccia G. – Basi del movimento (Dispense universitarie SUISM, a.a. 2014/2015) 1 Bagg S. D. et al. – A biomechanical analysis of scapular rotation during arm abduction in the scapular plane (1988) 2 Kolber MJ et al. – Characteristics of shoulder impingement in the recreational weight-training population (2014) 3 Schoenfeld BJ et al. – The upright row: implications for preventing subacromial impingement (2011) 4 Botton C. E. et al. – Electromyographical analysis of the deltoid between different strength training exercises (2013) 5 McAllister M. J. et al. – Effect of grip width on electromyographic activity during the upright row (2013) 6 Reinold M. M. et al. – Electromyographic analysis of the supraspinatus and deltoid muscles during 3 common rehabilitation exercises (2007)
Gli assi ed i piani di movimento rappresentano le basi teoriche del movimento umano. Argomenti relativamente semplici che vanno tenuti a mente, soprattutto se si vuole parlare di argomenti nerd come la biomeccanica.
Assi di movimento
Piani di movimento
Piano frontale (o coronale): asse longitudinale e trasversale (anteriore – posteriore).
Piano sagittale: asse sagittale e longitudinale (destra e sinistra).
Piano trasverso (o orizzontale): asse sagittale e trasversale (superiore – inferiore).
Queste nozioni, anche se un po’ noiose da tenere a mente, sono l’abc del movimento umano. Utili specialmente nella descrizione degli esercizi a corpo libero ed anche con i sovraccarichi.
La colonna vertebrale è una complessa struttura osteofibrocartilaginosa, molto resistente e fondamentale per il movimento umano. Nelle prossime righe parleremo della sua osteologia e delle principali patologie che la riguardano. Ricordiamo tuttavia, che quella che segue è libera informazione, per delle consulenze bisogna rivolgersi alle opportune figure mediche di competenza.
Colonna vertebrale: quello che c’è da sapere
Questa complessa struttura osteofibrocartilaginosa è molto estesa, va dal capo al coccige. Ha una lunghezza media di 70 cm per gli uomini e di 60 cm per le donne. La colonna vertebrale consta di cinque regioni, le quali hanno un numero variabile di vertebre (ossa che costituiscono appunto la colonna), che in totale è di 33. Le regioni sono le seguenti:
Regione cervicale: consta di sette vertebre (C1,2,3,4,5,6,7), le prime due, più famose, sono l’atlas (C1) e l’axis (C2). La regione cervicale regge la testa e permette al collo una grande escursione articolare.
Regione dorsale(o toracica): è formata da dodici vertebre (T1-12), è la regione più ampia di tutta la colonna vertebrale, inoltre, unendosi alle costole forma la cassa toracica. Questo tratto possiede una rigidità elevata per evitare movimenti, specialmente flessioni, troppo bruschi e pericolosi.
Regione lombare: composta da cinque vertebre (L1-5), la sua struttura è particolarmente robusta e mobile.
Regione sacrale: consiste in un unico osso composto dalla fusione di cinque vertebre.
Regione coccigea: osso formato dalla fusione di quattro-cinque vertebre.
Alcune delle principale funzioni della colonna vertebrale sono le seguenti: supporto e protezione del sistema nervoso centrale e periferico, sostegno strutturale, stabilità e protezione degli organi interni.
Le vertebre sono connesse mediante un disco fibrocartilaginoso, forte ed elastico, il quale fa da ammortizzatore e permette un certo movimento. Questo disco è chiamato disco intervertebrale.
Prima di passare alle patologie ci sono un alcune piccole cose da far notare riguardo alle innumerevoli “curvature” della colonna vertebrale.
Se osservata lateralmente, saltano all’occhio le due convessità posteriori, dette cifosi e le due convessità anteriori: le lordosi. Rientrano nel primo gruppo la zona toracica e sacrale, sono invece delle lordosi la zona cervicale e quella lombare. Questa alternanza di curve, fa sì che la colonna vertebrale sia piuttosto mobile e resistente, garantendo l’equilibrio in posizione eretta. Le lordosi permettono gradi di movimento molto maggiori rispetto alle cifosi, specialmente la regione lombare, la quale ha una curvatura un po’ più marcata. Nella figura a sinistra, si può osservare come un curvatura eccessiva (iperlordosi, ipercifosi) anche di una sola regione, alteri inevitabilmente anche gli altri tratti della colonna (linea gialla). Queste curve, oltre ad influenzare postura e movimento, interferiscono nello sviluppo muscolare. Ma questo di questo ne parleremo meglio nelle prossime righe.
Principali patologie
Senza tirarla troppo per le lunghe, le principali patologie della colonna vertebrale sono tre: scoliosi, cifosi e lordosi.
Scoliosi: è una deviazione della colonna vertebrale (laterale e di rotazione) che interessa sia la regione dorsale che quella lombare, anche se spesso è più evidente nella prima. Esistono più tipi di scoliosi, i quali si possono classificare nel seguente modo:
Scoliosi congenita, derivante da anomalie vertebrali presenti alla nascita.
Scoliosi idiopatica (o dell’adolescenza), non è ancora stata individuata la causa, si sa solo che è spesso ereditaria e che colpisce soprattutto il sesso femminile. A seconda dell’età in cui si manifesta può essere a sua volta sub-classificata nel seguente modo: infantile (dalla nascita fino ai 3 anni di età), giovanile (dai 4 ai 9 anni) e adolescenziale (dai 10 anni fino al termine della maturazione scheletrica) o adulta.
Scoliosi neuromuscolare, si sviluppa come sintomo secondario di altre patologie (paralisi cerebrale, atrofia muscolare o traumi fisici).
Cifosi: la normale cifosi è la curvatura fisiologica della regione dorsale. Quando però l’angolo della cifosi supera i 45° si parla di ipercifosi (figura sotto).
A sinistra la colonna vertebrale di una persona affetta da ipercifosi (angolo di 45°) e, a destra, una colonna con una cifosi fisiologica.
La cifosi, se accentuata, può suddividersi nella seguente maniera:
Cifosi posturale, è la più diffusa ed è attribuita alle posture sbagliate assunte durante la vita quotidiana. Raramente provoca dolore o causa particolari problemi.
Cifosi di Scheuermann, la causa è sconosciuta, questa forma di cifosi può causare dolore, specialmente nell’apice della curva. Se non trattata correttamente, con l’attività fisica può anche peggiorare.
Cifosi congenita, alla nascita la colonna vertebrale presenta dei problemi strutturali e quindi, mano a mano che il bambino si sviluppa, si forma una cifosi sempre più accentuata.
Lordosi: è la curvatura fisiologica della colonna vertebrale all’altezza della regione cervicale e lombare. Quando la lordosi tende ad appiattirsi si parla di ipolordosi, al contrario, quando la curvatura aumenta si parla di iperlordosi. Siamo davanti ad una iperlordosi quando l’angolo di curvatura è superiore ai 40-50° (una lordosi normale ha un angolo di 35°). Tra l’altro, chi ha molto a che fare con alcune discipline sportive può arrivare a soffrire proprio di quest’ultima patologia, per esempio i pesisti.
Abituarsi ad assumere posture errate e squilibri muscolari possono portare alle due patologie precedentemente citate (ad esempio addome e glutei deboli), specialmente nel genere femminile. Una lordosi cervicale non fisiologica modifica il centro di gravità del cranio e porta ad un sovraccarico muscolare e articolare, tutto ciò causa problemi meccanico-cervicali.
Nella foto sopra, a sinistra una postura corretta, con delle curve assolutamente fisiologiche e a destra un soggetto affetto da ipercifosi ed iperlordosi.
Tuttavia, anche una scarsa lordosi può portare a problematiche di vario genere. Ad esempio, una recente revisione sistematica/meta-analisi [1], molto nota in letteratura scientifica, ha messo a confronto tredici studi sui dolori alla bassa schiena e la postura, analizzando quasi 2000 pazienti (796 pazienti con dolori lombari e 927 sani). Per farla breve, i pazienti sani avevano tutti una maggior lordosi e fra quelli patologici, con la schiena più “piatta”, c’era un’elevata percentuale di soggetti affetti da ernie del disco e degenerazioni discali. Per maggiori informazioni potrebbe essere utile la lettura di quest’altro articolo.
Influenza sullo sviluppo muscolare
Una colonna vertebrale affetta da patologie, come è facilmente intuibile, può compromettere un buono sviluppo della muscolatura del tronco.
Per esempio, un soggetto con una cifosi dorsale particolarmente accentuata e spalle anteposte (o chiuse) può avere difficoltà a lavorare con i pettorali e, per i movimenti di spinta, utilizzerà soprattutto i deltoidi. Oppure una persona con una zona lombare piatta (ipolordosi), avrà per forza di cose uno sviluppo dei glutei molto limitato.
Dispense Universidad de Almería (Ciencia de la actividad fisica y del deporte) Segina M., Pansini L. – Lordosi lombare e mal di schiena: qual è la verità? (2017) 1 Chun S. W. et al. – The relationships between low back pain and lumbar lordosis: a systematic review and meta-analysis (2017)