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  • La scienza del mal di schiena – Low back pain (LBP) e informazioni utili

    La scienza del mal di schiena – Low back pain (LBP) e informazioni utili

    Il mal di schiena, patologia estremamente comune, è qualcosa di parecchio studiato in letteratura scientifica. Vediamo cosa dicono i più recenti studi.

    Buona lettura!

    Introduzione

    Con la celebre dicitura “low back pain” (LBP) si intende la lombalgia comune, quella che colpisce la bassa schiena delle persone. Questa patologia consiste in un dolore persistente, spesso accompagnato da limitazioni funzionali più eventuali strascichi psicologici.

    Ogni anno il low back pain colpisce molti adulti in età lavorativa1, basti pensare che negli USA è il disturbo muscolo-scheletrico più comune riscontrato negli accessi al pronto soccorso2 e nel 1998 è stato stimato i costi sanitari legati ad esso siano stati di circa 90 miliardi di dollari2. Secondo l’OMS, circa l’80% delle persone soffre almeno una volta nella vita di mal di schiena3.

    Come vedremo più avanti, ci sono prove abbastanza solide circa l’utilità del movimento e di un corretto stile di vita per la prevenzione del mal di schiena.

    Basi di anatomia e fisiologia articolare

    Come già spiegato in passato, la colonna vertebrale è una complessa ed estesa struttura osteofibrocartilaginosa. va dal capo al coccige. Ha una lunghezza media di 70 cm per gli uomini e di 60 cm per le donne, consta di cinque regioni le quali hanno un numero variabile di vertebre (solitamente 33).

    • Regione cervicale: consta di sette vertebre (C1,2,3,4,5,6,7), le prime due, più famose, sono l’atlas (C1) e l’axis (C2). La regione cervicale regge la testa e permette al collo una grande escursione articolare.
    • Regione dorsale(o toracica): è formata da dodici vertebre (T1-12), è la regione più ampia di tutta la colonna vertebrale, inoltre, unendosi alle costole forma la cassa toracica. Questo tratto possiede una rigidità elevata per evitare movimenti, specialmente flessioni, troppo bruschi e pericolosi.
    • Regione lombare: composta da cinque vertebre (L1-5), la sua struttura è particolarmente robusta e mobile.
    • Regione sacrale: consiste in un unico osso composto dalla fusione di cinque vertebre.
    • Regione coccigea: osso formato dalla fusione di quattro-cinque vertebre.

    Le principale funzioni della colonna vertebrale sono le seguenti: sostegno strutturale, supporto e protezione del sistema nervoso centrale e periferico, stabilità e protezione degli organi interni; le vertebre sono connesse mediante un disco fibrocartilaginoso, forte ed elastico, il quale fa da ammortizzatore e permette un certo movimento. Questo disco è chiamato disco intervertebrale.

    Prima di concludere il paragrafo è d’obbligo focalizzarsi un attimo sulle “curvature” della colonna. Se osservata lateralmente, saltano all’occhio le due convessità posteriori, dette cifosi e le due convessità anteriori: le lordosi. Rientrano nel primo gruppo la zona toracica e sacrale, sono invece delle lordosi la zona cervicale e quella lombare.

    Questa alternanza di curve, fa sì che la colonna vertebrale sia piuttosto mobile e resistente, garantendo l’equilibrio in posizione eretta. Le lordosi permettono gradi di movimento molto maggiori rispetto alle cifosi, specialmente la regione lombare, la quale ha una curvatura un po’ più marcata. Nella figura sopra, si può osservare come un curvatura eccessiva (iperlordosi, ipercifosi) anche di una sola regione, alteri inevitabilmente anche gli altri tratti della colonna (linea gialla).

    Mal di schiena: tassonomia

    Esistono due macrocategorie di mal di schiena: quello aspecifico (non-specific low back pain) e quello specifico (specific low back pain)5. L’aspecifico non è attribuito ad una precisa e dimostrabile causa patologica23, discorso diverso per quello specifico che a seconda della causa a cui è riconducibile (e dei sintomi) può rientrare nella sfera di competenze di diversi specialisti19.

    Nonostante le raccomandazioni delle linee guida, non è possibile identificare una causa patoanatomica specifica del dolore nella maggior parte dei pazienti e solitamente si ricerca una causa strutturale del LBP e la si studia utilizzando la diagnostica per immagini. […] Fortunatamente, la maggior parte dei fattori di rischio del LBP sono modificabili.

    Zaina F. et al, 2020

    È inoltre nota a livello internazionale un’altra classificazione basata sulla permanenza temporale del dolore6. Se il dolore ha una durata inferiore alle 4 settimane il mal di schiena viene allora definito come acuto (solitamente in questo breve periodo si agisce sui sintomi), quando invece la presenza del dolore perdura (4-12 settimane) – con un’aggravarsi della situazione fra stress, disturbi del sonno, problemi motori, ecc. – si ha un mal di schiena subcronico. Superate la 12 settimane si può parlare a tutti gli effetti di mal di schiena cronico.

    Popolazione, guarigione e aspetti psicologici

    Stando a una revisione sistematica di Hoy D. e colleghi4 la prevalenza dei sintomi tipici del low back pain (LBP) presenta un picco tra i 40  e i 69 anni. Sono inoltre più colpite dal LBP le donne rispetto agli uomini e la patologia è più comune nelle nazioni economicamente più ricche (ciò ovviamente non significa che nel secondo e terzo mondo sia assente)7,8.

    Sopra, la prevalenza media del LBP in base alle varie fasce d’età, con un confronto fra i sessi (Hoy D. et al, 2012). Come concludono gli stessi ricercatori nello studio citato poc’anzi: «Con l’invecchiamento della popolazione, è probabile che il numero globale di individui con lombalgia aumenti notevolmente nei prossimi decenni».

    Il LBP, disordine muscolo scheletrico, speso ha una “guarigione spontanea” (nel giro di al massimo 6 settimane il dolore scompare)9. In concreto, una nota meta-analisi del 2017 ha osservato una guarigione spontanea su oltre il 65% dei pazienti colpiti da ernie lombari20, percentuale grossomodo confermata da un altro lavoro pubblicato nel 2020 su BMC Musculoskeletal Disorders21. I casi di guarigione spontanea sul lungo periodo, com’è ovvio che sia, fanno mettere un po’ in discussione un certa visione della sala operatoria come unica via per la guarigione di un paziente.

    La chirurgia può essere presa in considerazione per i pazienti con sintomi gravi che non presentano una regressione (dell’ernia lombare, ndr) dopo 4 mesi dall’esordio (dei sintomi) e consigliamo vivamente un intervento chirurgico per coloro che non presentano una regressione dopo 10 mesi e mezzo.

    Yi Wang et al., 2020

    Tuttavia, non va ignorata quella minoranza di persone – minoranza nemmeno troppo piccola – che non si riprende con un trattamento conservativo. Altri studi hanno osservato casi di recidività dove su tre pazienti guariti, uno tornava a soffrire di mal di schiena, anche in maniera lieve, palesando quindi una guarigione incompleta10. Nella maggior parte dei casi, la lombalgia si cronicizza su persone con una vita sregolata24,25,26 (problemi psicologici, stress, carenza di sonno): «Disturbi del sonno e grande stress, ad esempio, possono causare iperattivazione delle cellule gliali e quindi un’infiammazione di basso grado, che porta a sensibilizzazione centrale e a del dolore diffuso»25.

    Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30. Nei paesi a basso e medio reddito, il mal di schiena è associato a un’elevata comorbilità per la salute mentale29. Le comorbilità devono essere prese in maggiore considerazione nella pratica clinica, poiché la loro presenza porta a un maggiore utilizzo delle risorse sanitarie30.

    Zaina F. et al, 2020

    Va sottolineato che il LBP, definibile come lombalgia comune e disordine muscolo scheletrico, non è una lombosciatalgia. Si parla infatti di lombosciatalgia quando il dolore dalla zona lombare si estende a un arto inferiore. Stando a quanto riportato dall’European Journal of Pain28, una grossa parte – quasi il 40% – dei casi di mal di schiena cronici e disabilitanti (follow-up di 14 mesi) sono correlati alla comparsa di dolore in altre parti del corpo.

    Un ultimo dato interessante è l’apparente inutilità del trattamento manipolativo e farmacologico sul dolore provocato dalla lombalgia acuta22 (grafico sotto).

    E naturalmente non vanno sottovalutati gli aspetti psicologici del mal di schiena: «Mirare ai fattori psicologici associati al LBP, non solo ai fattori fisici, può aiutare a migliorare la gestione dei pazienti con LBP»11.

    Sopra, due differenti tipi di approccio al dolore (Chris J. Main et al., 2002).

    «Effects of confrontation or avoidance of pain on outcome of episode of low back pain: fear of movement and re-injury can determine how some people recover from back pain while others develop chronic pain and disability»12.

    Inoltre, i recenti limiti applicati agli spostamenti della vita quotidiana per far fronte alla pandemia da COVID-19, sembrano aver influito negativamente sulla salute della schiena di una parte della popolazione adulta. Forse per l’aumento della sedentarietà e dello stress generale13.

    Cause e fattori di rischio

    Solitamente, problemi meccanici e lesioni ai tessuti molli sono la causa della lombalgia. Queste lesioni possono includere danni ai dischi intervertebrali, compressione delle radici nervose e movimento improprio delle articolazioni spinali.

    John Peloza, MD – Causes of Lower Back Pain (2017)

    Da qualche anno a questa parte, studi scientifici evidenziano come i fenomeni degenerativi della colonna vertebrale rilevabili tramite RM (risonanza magnetica) e TAC siano piuttosto frequenti non solo nei soggetti che soffrono di mal di schiena ma anche in altre persone completamente asintomatiche. Una review pubblicata sull’American Journal of Neuroradiology14 (tabella sotto) ha messo in luce un fatto interessante: molte delle degenerazioni della colonna vertebrale riscontrate nei classici esami medici sono parte di un fisiologico processo di invecchiamento del corpo umano non necessariamente associato alla comparsa di dolori.

    Come inequivocabilmente mostrato dai numeri, anche i più giovani hanno degenerazioni discali, protrusioni, degenerazioni delle faccette articolari, ecc.

    L’eziologia multifattoriale della lombalgia comune fa’ sì che, purtroppo, non sempre le cause siano facilmente inquadrabili, specialmente quando si parla di lombalgia aspecifica. L’insieme di cofattori colpevoli del non-specific LBP sono i seguenti:

    • Fattori genetici;
    • Sesso;
    • Età;
    • Forma fisica (peso, altezza, massa magra e grassa);
    • Sedentarietà;
    • Cattive abitudini (fumo, alcol);
    • Depressione, malessere generale;
    • Lavori usuranti;
    • Diagnosi e trattamenti errati;
    • Atteggiamenti psicologici sbagliati nei confronti del dolore15,16,27.

    Dati alla mano, pare che la fattori genetici individuali giochino un ruolo cruciale sulla predisposizione o meno al mal di schiena24. Un recente ed ampio studio genetico27 ha notato come molti pazienti sintomatici abbiano una naturale predisposizione a palesare dei problemi anatomico-strutturali (come problemi ai dischi intervertebrali e antropometrici) e psicologici nei confronti del dolore (percezione ed elaborazione dello stesso). I processi degenerativi delle strutture della colonna vertebrale (vertebre, dischi, anelli fibrosi, faccette articolari, muscoli paraspinali, ecc.) avanzano in parallelo, rendendo difficile capire quali fattori o combinazioni di fattori possano avere più o meno a che fare col dolore23.

    Vi è inoltre il mal di schiena tipico della gravidanza che in letteratura scientifica viene così abbreviato: LBPP (low back pain and pelvic pain)17.

    La maggior parte delle donne incinte soffrono di lombalgia, nonostante i fisiologici adattamenti strutturali al sovraccarico dato dal feto17,18. Inoltre: «LBPP during a previous pregnancy, body mass index, a history of hypermobility, and amenorrhea are factors influencing the risk of developing LBPP during pregnancy» da Ingrid M. Mogren et al. (2005).

    Prevenzione

    In campo medico esistono tre differenti livelli di prevenzione: quella primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria è quella mirata all’utilizzo di comportamenti (e abitudini) finalizzati a prevenire a monte delle patologie (non fumare, praticare attività fisica, eccetera). La prevenzione seconda invece, si riferisce alla diagnosi precoce (tipica dello screening) che permette di intervenire tempestivamente, agendo su una malattia e tamponandone gli effetti negativi (solitamente è così per la mammografia). Infine, la prevenzione terziaria riguarda più che altro gli effetti a lungo termine di una malattia (come la gestione di una disabilità) e i casi di recidività.

    La letteratura scientifica pullula di paper inerenti la prevenzione del mal di schiena. Tre importanti revisioni sistematiche con meta-analisi, rispettivamente di Steffens et al.36, Huang R. et al.37, Shiri R. et al.38, hanno fatto notare come l’esercizio fisico possa essere un ottimo strumento se il fine è quello di prevenire il mal di schiena (anche abbinato a un’educazione sul problema36,37). Gli esercizi presi in esame da questi tre lavori andavano a rinforzare il retto addominale, i muscoli obliqui, gli erettori spinali, attività aerobica, yoga, esercizi di coordinazione, stretching e in alcuni casi anche gambe e parte superiore del corpo (upper body), con una frequenza delle sedute che andava da 1 a 7 volte a settimana e un tempo di lavoro che andava da 5 ai 90 minuti. Come già accennato, in alcuni casi si è dimostrata utile l’aggiunta di lezioni teoriche volte a dare un’infarinatura generale sull’anatomia e biomeccanica della bassa schiena, sulle evidenze scientifiche inerenti il LBP e sulla tecnica esecutiva dei movimenti di sollevamento. Lo studio di Shiri R. e colleghi pubblicato sull’American Journal of Epidemiology38, sempre in un’ottica di prevenzione del mal di schiena, nelle sue conclusioni consiglia 2-3 allenamenti settimanali dedicati al rinforzo muscolare, all’esercizio aerobico ed allo stretching. Altro dato interessante: interventi passivi come l’utilizzo di solette plantari o di cinture per il sostegno della schiena (back belt) si sono dimostrate inefficaci.

    «In diversi studi […] viene dimostrato che nei pazienti che soffrono di LBP il meccanismo di attivazione muscolare anticipatorio della cintura miofasciale è alterato durante un movimento. La stabilità spinale è strettamente correlata all’insorgere di lombalgia: non basta, quindi, una colonna vertebrale sana per evitare problematiche di mal di schiena, ma sono necessari anche muscoli efficienti e una buona capacità di controllo. Una corretta sinergia dei tre sistemi descritti nel modello ideato da Punjabi (fig. sotto, ndr) assicura un’efficace stabilizzazione della colonna vertebrale. Per svolgere gli esercizi in modo efficace è fondamentale abbinarli ad una corretta respirazione, controllando la sua frequenza, la sua coordinazione col movimento e la sua qualità»39.

    Sopra, la relazione tra i tre sottosistemi – attivo, passivo e neurale – che contribuiscono alla stabilità della spina dorsale, elemento fondamentale per la salute della bassa schiena (da Panjabi M., 1992).

    Come giustamente fatto notare dal Dott. Giroldo39, un documento finanziato dal Ministero della Salute (Percorsi diagnostico terapeutici per l’assistenza ai pazienti con il mal di schiena) spiega con un linguaggio alla portata di tutti quelli che sono dei semplici consigli per contrastare il LBP: evitare di stare seduti nella stessa posizione oltre 20-30 minuti, guidare l’automobile con un supporto lombare, piegarsi mantenendo le curve fisiologiche del rachide e svolgere quotidianamente dell’attività fisica.

    Riabilitazione

    Mentre il mal di schiena acuto ha tendenzialmente una prognosi positiva, il mal di schiena cronico spesso è, appunto, persistente e con ridotte possibilità di recupero totale, anche se vi è la possibilità di migliorare la qualità della vita ed attenuare l’intensità del dolore23. Le linee guida raccomandano l’autogestione del dolore, terapie fisiche, psicologiche e pongono poca enfasi sul trattamento farmacologico e chirurgico31. Un paper apparso sul Journal of the American Medical Association32 nell’agosto 2020 ha evidenziato la scarsa efficacia delle tecniche manipolative e di mobilizzazione – tipiche dell’osteopatia – applicate su adulti di età compresa fra i 18 ed i 45 anni affetti da LBP cronico di intensità media e moderata. Sotto un interessante scambio di commenti fra il Dott. Evangelista ed il ricercatore Franco Impellizzeri.

    Viviamo su un’isola circondata da un mare di ignoranza. Più cresce l’isola della nostra conoscenza, più si allunga la costa della nostra ignoranza diceva il fisico statunitense John A. Wheeler, paradossalmente sembra che all’aumentare del numero di pubblicazioni scientifiche aumentino i dubbi di chi questi argomenti li studia da anni. Chiusa la parentesi, il famigerato approccio biopsicosociale citato dal Professor Impellizzeri cozza con quello biomedico, che vedrebbe come causa (o cause) di una patologia variabili puramente biologiche da correggere con terapie mirate, prescritte da un medico/fisioterapista/fisiatra/chinesiologo e così via. Si tratta quindi un approccio, quello biopsicosociale, multidimensionale che può vantare una visione d’insieme che quello biomedico non possiede: «Il modello biopsicosociale è una strategia di approccio alla persona, che attribuisce il risultato della malattia, così come della salute, all’interazione intricata e variabile di fattori biologici (genetici, biochimici, ecc.), fattori psicologici (umore, personalità, comportamento, ecc.) e fattori sociali (culturali, familiari, socioeconomici , ecc.)»33,34.

    Alcuni studi avevano dimostrato che la terapia manipolativa e l’educazione al dolore avevano diminuito il dolore e la disabilità. Tuttavia, la maggior parte di essi ha mostrato un debole effetto del trattamento, con soli miglioramenti nell’immediato o a breve termine, principalmente nella terapia manipolativa.

    Vier C. et al., 2018

    Sotto, le fasi di un trattamento risultato efficace unicamente in acuto35.

    Salvo Di Grazia, medico e divulgatore scientifico, in un suo post datato ottobre 2018 aveva fatto un riassunto delle evidenze all’epoca disponibili sulla “cura” del mal di schiena e ne era emerso uno scenario pressoché identico a quello attuale. Molti trattamenti inefficaci ed altri discretamente efficaci sul breve termine ma inutili sul medio e lungo periodo – agopuntura, osteopatia, ultrasuoni, massaggi, tachipirina, laser, farmaci antinfiammatori, stimolazione elettrica nervosa transcutanea, massaggi… -, fatta eccezione per l’attività fisica.

    Passando all’atto pratico, dopo aver visto che il mal di schiena cronico ed aspecifico difficilmente può guarire del tutto e che moltissime terapie sono praticamente inutili sul lungo periodo, occorre chiedersi quale tipo di attività fisica possa praticare oppure no una persona. Sottolineando che in questa sede non è possibile analizzare caso per caso e che la “terapia motoria” andrebbe somministrata in maniera differente da paziente a paziente… A grandi linee, è consigliabile educare piano piano al movimento e ad un corretto stile di vita chi è affetto da lombalgia, senza fare terrorismo e cercando di rendere la persona pronta a reggere psicologicamente una probabile lunghissima convivenza col dolore. Cercando di capire, sempre riguardo all’aspetto mentale, se può esserci qualcosa che non va nella sua vita quotidiana; ricordiamo per il LBP è vivamente consigliato un approccio biopsicosociale e di conseguenza l’intervento di più d’una figura professionale.

    Si è visto come lo yoga, se correttamente dosato, possa dare dei benefici sul lungo periodo40 e una review pubblicata su Pain and Therapy41, ha messo in luce anche l’efficacia del pilates, degli esercizi McKenzie (con qualche controversia dovuta alla non uniformità dei dati), corsa in acqua (altezza spalle) alla soglia aerobica individuale ed esercizi di stabilizzazione mirati a migliorare il controllo neuromuscolare e la forza del core, ossia la parte centrale del corpo (immagine sotto).

    Sopra, degli esercizi dimostratisi efficaci per ridurre la disabilità da cLBP (cronic low back pain) ed il dolore ad esso associato. Nello studio in questione42, la routine era la seguente: 3 allenamenti a settimana, di una durata di circa 60 minuti l’uno, per 6 settimane totali (altre informazioni utili qui sotto).

    Dopo aver tentato di curare due gruppi di pazienti dalla lombalgia cronica – uno con gli esercizi di stabilizzazione e l’altro con dello yoga – i ricercatori sono arrivati alle seguenti conclusioni: «I nostri risultati indicano che lo yoga e la ginnastica di stabilizzazione hanno aspetti superiori a ogni altro in termini di dolore, disabilità, prestazioni e qualità della vita correlata alla salute».

    Infine, come specificato da J. V. Pergolizzi Jr. e coll. (2020), è bene ricordare che l’esercizio fisico è una terapia efficace per i casi di lombalgia, a patto che questa sia un minimo duratura (almeno 6-12 settimane), questa affermazione, oltre che col low back pain cronico, si sposa piuttosto bene anche con dei casi di LBP subcronico.

    Sopra, trovate alcuni esercizi alla portata di tutti utili sia per la prevenzione che la riabilitazione (video del Dott. Roncari, pubblicato per Project Invictus).

    Conclusioni

    Cosa portarsi a casa da questo articolo? Il mal di schiena di schiena generico, di per sé un qualcosa di aspecifico, può colpire una platea di persone piuttosto eterogenea. Data l’eziologia multifattoriale, molto ancora dev’essere indagato ma pur non esistendo una “cura definitiva”, i singoli individui possono fare molto per prevenirlo e per combatterne la disabilità a lungo termine. La direzione in cui sta andando la società moderna pare essere sempre più lontana dalla cura fisica e psichica delle persone, sarebbe bene che tutti, nel loro piccolo, lavorassero per cercare di invertirla.

    Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All’infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l’uomo è il solo padrone.

    Albert Camus, Il mito di Sisifo (1942)

    Grazie per l’attenzione!


    Bibliografia

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    31 Nadine E Foster, Johannes R Anema, Dan Cherkin, Roger Chou, Steven P Cohen, Douglas P Gross, Paulo H Ferreira, Julie M Fritz, Bart W Koes, Wilco Peul, Judith A Turner, Chris G Maher, Lancet Low Back Pain Series Working Group – Prevention and treatment of low back pain: evidence, challenges, and promising directions. Lancet. 2018 Jun 9;391(10137):2368-2383

    32 James S. Thomas, Brian C. Clark, David W. Russ, Christopher R. France, Robert Ploutz-Snyder, Daniel M. Corcos – Effect of Spinal Manipulative and Mobilization Therapies in Young Adults With Mild to Moderate Chronic Low Back Pain. JAMA Netw Open. 2020 Aug; 3(8)

    33 Modello biopsicosociale – Wikipedia (link)

    34 Santrock, J. W. – A Topical Approach to Human Life-span Development (3a ediz., 2007)

    35 Clécio Vier, Marcelo Anderson Bracht, Marcos Lisboa Neves, Maíra Junkes-Cunha, Adair Roberto Soares Santos – Effects of spinal manipulation and pain education on pain in patients with chronic low back pain: a protocol of randomized sham-controlled trial. Integr Med Res. 2018 Sep;7(3):271-278

    36 Daniel Steffens, Chris G Maher, Leani S M Pereira, Matthew L Stevens, Vinicius C Oliveira, Meredith Chapple, Luci F Teixeira-Salmela, Mark J Hancock – Prevention of Low Back Pain: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Intern Med. 2016 Feb;176(2):199-208

    37 Rongzhong Huang, Jie Ning, Vivienne H Chuter, Jeffrey Bruce Taylor, Demoulin Christophe, Zengdong Meng, Yu Xu, Lihong Jiang – Exercise alone and exercise combined with education both prevent episodes of low back pain and related absenteeism: systematic review and network meta-analysis of randomised controlled trials (RCTs) aimed at preventing back pain. Br J Sports Med. 2020 Jul;54(13):766-770

    38 Rahman Shiri, David Coggon, Kobra Falah-Hassani – Exercise for the Prevention of Low Back Pain: Systematic Review and Meta-Analysis of Controlled Trials. Am J Epidemiol. 2018 May 1;187(5):1093-1101

    39 Giroldo Andrea – Il ruolo dell’attività fisica nella prevenzione del mal di schiena aspecifico. Tesi di Laurea, Corso di Studi in Scienze delle Attività Motorie e Sportive, L-22 (SUISM, a.a. 2017/2018)

    40 L Susan Wieland, Nicole Skoetz, Karen Pilkington, Ramaprabhu Vempati, Christopher R D’Adamo, Brian M Berman – Yoga treatment for chronic non-specific low back pain. Cochrane Database Syst Rev. 2017 Jan 12;1(1):CD010671

    41 Joseph V Pergolizzi Jr, Jo Ann LeQuang – Rehabilitation for Low Back Pain: A Narrative Review for Managing Pain and Improving Function in Acute and Chronic Conditions. Pain Ther. 2020 Jun;9(1):83-96

    42 A Demirel, M Oz, Y A Ozel, H Cetin, O Ulger – Stabilization exercise versus yoga exercise in non-specific low back pain: Pain, disability, quality of life, performance: a randomized controlled trial. Complement Ther Clin Pract. 2019 May;35:102-108

    Dardanello Davide – Chinesiologia (Dispense Universitarie SUISM, a.a. 2017/2018)

    Spine Center – Hip-Spine Syndrome: relazione anca-rachide lombare nel LBP (link)

  • I massaggi per il recupero fisico

    I massaggi per il recupero fisico

    I massaggi sono veramente utili per il recupero fisico? Scopriamolo insieme!

    Therapies Massage Handling Osteopathy Wellness

    Concetti basilari

    Se utilizzato nella maniera più opportuna, il massaggio può favorire recupero fisico e performance. Le tecniche manuali che si utilizzano nel massaggio sportivo sono lo (altro…)

  • Ritmo scapolo-omerale: definizione ed utilità in palestra

    Ritmo scapolo-omerale: definizione ed utilità in palestra

    Come da titolo, in questo articolo parleremo del ritmo scapolo-omerale. Un meccanismo forse sconosciuto ai più ma che riveste una certa importanza, anche in ambito pratico, se si sollevano pesi o si compiono sforzi con gli arti superiori. Buona lettura!

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    Cenni di fisiologia articolare

    La spalla è l’articolazione più mobile del corpo umano. Permette movimenti sui tre assi principali (asse trasversale, antero-posteriore, verticale).

    1. Asse trasversale (piano frontale): permette movimenti di flesso-estensione sul piano eseguiti in un piano sagittale (fig. 1.a)
    2. Asse antero-posteriore: è contenuto nel piano sagittale. Permette movimenti di abduzione degli arti superiori (l’arto superiore si allontana dal piano si simmetria del corpo) e di adduzione (l’arto superiore si avvicina al piano si simmetria del corpo) eseguiti in un piano frontale (fig. 2.b)
    3. Asse verticale: determinato dell’inserzione del piano sagittale con quello frontale. Permette movimenti di flessione ed estensione eseguiti sul piano orizzontale, tenendo il braccio in abduzione a 90° gradi.

    Altri movimenti della spalla e del braccio sono illustrati nella foto sotto

    spalla braccio

    Ma ora veniamo a noi, il ritmo scapolo-omerale non è altro che il movimento contemporaneo di scapola ed omero. Durante l’elevazione della spalla, a seconda del grado di abduzione della scapola e dell’omero, lavoreranno più alcuni muscoli rispetto ad altri. Tutto ciò, ovviamente, è applicabile nello sport come in palestra. Alcuni gesti/esercizi interesseranno determinati distretti muscolari ed altri no.

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    Movimento combinato di scapola ed omero durante una abduzione

    Uno degli studi più quotati in fisiologia articolare [1] evidenzia come nei primi 80° di abduzione degli arti superiori, quindi con le braccia quasi parallele al suolo, il ritmo scapolo-omerale si concentri sull’omero, dando maggior lavoro al deltoide (rapporto scapola-omero di circa 1:3)*. Invece, dagli 80° ai 140°, inizia a “lavorare” di più la scapola, pertanto c’è una maggior attivazione degli elevatori scapolari (trapezio superiore), con un rapporto scapola-omero indicativamente di 1:2. Infine, oltre i 140 gradi aumenta sempre di più l’attivazione degli elevatori della scapola (trapezio superiore, muscolo elevatore della scapole, piccolo romboide e grande romboide), sottraendo così lavoro al deltoide (rapporto 1:1).

    *a seconda dei testi possiamo trovare delle cifre un po’ differenti ma comunque sempre vicine al range dei 70-90°.

    Ricapitolando…

    • 0-80° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:3
    • 80-140° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:2
    • 140-170° ⟶ rapporto scapola-omero di 1:1
    Applicazioni pratiche

    Per rendere più concrete tutte queste informazioni, ci basta pensare a quali esercizi prevedono una abduzione delle braccia (figura sopra). Gli esercizi più comuni che includono quel movimento sono le alzate laterali con manubri, le tirate al mento (o al petto) e le distensioni sopra la testa (military press).lateral.PNG

    Alzate laterali: consistono nell’impugnare un manubrio e, partendo dai fianchi, portarlo all’altezza della base del collo, anche se non è raro vedere della varianti che prevedono un range di movimento più ampio (oppure ridotto). Ragionando su quanto detto prima, possiamo arrivare a concludere che portare le braccia a parallele al suolo come in figura sia effettivamente la scelta più corretta a livello biomeccanico. Andando oltre i 90° di abduzione delle braccia, i deltoidi inizierebbero via via a lavorare meno, quindi se l’intento è quello di allenare i muscoli della spalla e non gli elevatori delle scapole, terminare la fase concentrica dell’alzata una volta raggiunti i 90° di abduzione è una cosa più che sensata.chin

    Tirate al mento/petto: questo esercizio per comodità si esegue quasi sempre con il bilanciere. Si parte con le braccia completamente distese, vicino alla vita, e si compie un piegamento degli arti superiori, portando il bilanciere al petto o in prossimità del mento. La versione dell’esercizio da preferire è quella che prevede la fine del sollevamento all’altezza del petto, perché il grado di abduzione degli arti superiori è sufficiente a garantire una marcata attività del deltoide, limitando l’intra-rotazione dell’omero (figura sotto) e quindi il rischio di impingement (che è statisticamente più alto nei soggetti che eseguono molto di frequente le tirate al mento) [2]. Questa problematica infatti si verifica oltre i 70-90° gradi di abduzione dell’omero [3], per questo motivo è consigliabile fermare l’alzata prima che il bilanciere raggiunga il mento, facendo arrivare i gomiti poco sotto l’altezza delle spalle.

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    Con omero intra-rotato (fig. sopra), il capo laterale del deltoide tende a prevalere su quello anteriore, l’esatto contrario avviene invece con l’extra-rotazione [4,5,6].

    Distensioni sopra la testa (lento avanti): consistono nel sollevamento di un carico sopra la testa (manubri, bilanciere, kettlebell). Da in piedi, o seduti su panca, partendo con il peso all’altezza del mento (gomito parallelo al corpo), si esegue una spinta verso l’alto, gli arti superiori si distendono e poi si piegano per tornare al punto di partenza.

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    L’omero compie tutto il suo percorso in una abduzione laterale. E’ da evidenziare inoltre l’intervento del tricipite in fase di spinta che ricordiamo essere l’estensore del gomito (ne avevamo già parlato qui). Pertanto, grazie al coinvolgimento di molti muscoli, questo è indubbiamente l’esercizio per le spalle in cui si può esprimere una maggior forza, sollevando più peso. In termini di ipertrofia, questo si traduce in un maggior stimolo meccanico, elemento base della crescita muscolare. E’ proprio per questo motivo che nelle distensioni sopra la testa il peso viene spinto molto in alto, facendo compiere all’omero una abduzione molto ampia, che inevitabilmente coinvolge molto anche gli elevatori della scapola. E’ bene sottolineare che il motore principale di questo gesto rimane sempre e comunque il deltoide, l’intervento di altri muscoli è secondario. Inoltre, se l’esecuzione è corretta questo esercizio ha un bassissimo rischio di impingement od infortunio, a patto che il soggetto che lo esegue sia perfettamente sano.

    Illustrazioni prese dal libro di Nick Evans – Bodybuilding Anatomy

    Conclusioni

    Benché nell’allenamento conti molto la soggettività, ci sono basi biomeccaniche e fisiologiche comuni a tutti che devono essere rispettate. Non solo per quanto concerne l’ipertrofia ma anche per la salute. Gli esercizi citati nell’articolo possono essere utili per l’incremento della forza e della massa muscolare, basta saperli eseguire correttamente ed alternare gli stimoli allenanti nella maniera più opportuna.

    Grazie per l’attenzione.


    oc
    Bibliografia

    Kapandji I. A. – Fisiologia articolare (1999)
    Boccia G. – Basi del movimento (Dispense universitarie SUISM, a.a. 2014/2015)
    1 Bagg S. D. et al. – A biomechanical analysis of scapular rotation during arm abduction in the scapular plane (1988)
    2 Kolber MJ et al. – Characteristics of shoulder impingement in the recreational weight-training population (2014)
    3 Schoenfeld BJ et al. – The upright row: implications for preventing subacromial impingement (2011)
    4 Botton C. E. et al. – Electromyographical analysis of the deltoid between different strength training exercises (2013)
    5 McAllister M. J. et al. – Effect of grip width on electromyographic activity during the upright row (2013)
    6 Reinold M. M. et al. – Electromyographic analysis of the supraspinatus and deltoid muscles during 3 common rehabilitation exercises (2007)