Autore: Christian Nicolino

  • Sport Vision Training, perché un fighter dovrebbe allenare l’occhio?

    Sport Vision Training, perché un fighter dovrebbe allenare l’occhio?

    “Non faccio sparring da parecchio, devo rifarmi l’occhio!”, chiunque bazzichi delle palestre dove si praticano sport da combattimento avrà sentito questa frase.

    Introduzione

    Abbiamo tutti in mente le schivate al millimetro di Mayweather o Lomachenko, le skills difensive di Rigondeaux o per restare all’interno dei confini la “slickness” di Dario Morello, nello schivare i colpi e poi rientrare con le proprie combinazioni. Questo tipo di abilità è indubbiamente innato da una parte, ma anche frutto di anni e anni di palestra, ripetizione di movimenti e situazioni che si ripropongono a cui il nostro sistema nervoso ha ormai trovate risposte immediate. Tutto questo può comunque essere migliorato allenando appunto l’occhio, per mezzo di quello che è conosciuto come Sport Vision Training.

    Sistema visivo e cervello

    Molte prestazioni non sono ottimali, non tanto perché l’atleta compie fisicamente un movimento sbagliato, ma perché lo compie al momento sbagliato. L’80% circa delle informazioni sensoriali che raggiungono il nostro cervello provengono dal sistema visivo e almeno due terzi dei nervi sensoriali che arrivano al cervello sono deputati alla funzione visiva. Il gesto motorio rappresenta il prodotto finale di una catena complessa di fenomeni che iniziano con la percezione sensoriale degli stimoli. La funzione visiva fornisce al sistema motorio informazioni sia temporali (time-based) che spaziali (distance-based), al fine di stabilire quando un’azione deve avvenire. L’atleta è chiamato ad effettuare una varietà di decisioni durante l’attività sportiva, di cui gran parte si basano su informazioni che il suo cervello ha ricevuto attraverso il sistema visivo. Avere una vista perfetta non significa vedere 10/10: non sono rari i casi in cui l’acuità visiva è molto buona, ma i tempi di integrazione percettiva sono inadeguati per il compito che deve svolgere.1

    Nel 1995, quattro ricercatori francesi pubblicarono uno studio intitolato “Analysis of information processing, decision making, and visual strategies in complex problem solving sport situations”. L’obiettivo di questa ricerca era analizzare le caratteristiche spaziali e temporali della strategia visiva e del comportamento della visione di un incontro di kick boxing. I soggetti dello studio furono 18 atleti divisi in base alla loro esperienza in 6 esperti, 6 intermedi e 6 principianti, dove per principianti si intendevano kick boxeurs con più di un anno di pratica, ma ancora nessuna competizione all’attivo. Questi atleti vennero posizionati di fronte ad uno schermo su cui era proiettato un fighter che fungeva da avversario, il comportamento dell’occhio veniva catturato e analizzato usando un eye movement recorder. Dall’analisi dei risultati si può evincere come gli esperti adottano una strategia di visione più efficiente ed economica, meno punti fissi, ma mantenuti più a lungo (numero totale di punti fissi: esperti 43.3±17.12, intermedi 105.8±33.59, principianti 122.67±41.42). Dai grafici della ricerca si può notare come per gli esperti, circa il 50% dei punti fissi si trova nella regione della testa, mentre intermedi e principianti si concentrano maggiormente sul pugno.2

    Dall’analisi dello studio si può notare come l’occhio, o meglio alcune sue capacità specifiche, siano di vitale importanza per chi pratica sport da combattimento, andando nel dettaglio, le capacità da cercare di sviluppare sono principalmente quattro.

    La visione periferica, ossia quella parte di visione che risiede al di fuori del centro dello sguardo, esiste un ampio set di punti del campo visivo che non sono centrali e vengono inclusi nella nozione di visione periferica. Lo sviluppo di quest’ultima può essere molto importante per vedere arrivare colpi che non arrivano frontalmente come i diretti, ma lateralmente come i ganci o dal basso come i montanti.

    La capacità di reazione motoria, intesa come l’abilità di eseguire rapide azioni motorie in risposta ad uno stimolo. La variabilità e l’imprevedibilità degli elementi dinamici che caratterizzano il match, richiedono al fighter di risolvere con attenzione e prontezza di riflessi, i problemi motori posti dalla situazione sportiva. Gli stimoli a cui l’atleta deve reagire sono soprattutto visivi (movimenti dell’avversario, finte e colpi in arrivo), ma anche acustici (indicazioni dal proprio angolo, eventuali stop dell’arbitro), cinestetici e tattili (contatto fisico con l’avversario), vestibolari (adattamento dell’equilibrio). Le risposte che l’atleta deve fornire devono sempre essere rapide e tempestive.

    La capacità di anticipazione motoria, intesa come il prevedere l’inizio, lo svolgimento e la conclusione di un’azione motoria organizzando in anticipo i movimenti richiesti con efficacia. Questa capacità permette all’atleta di prevedere quali siano i movimenti dell’avversario e quindi prevederne l’esito, questo può essere allenato proponendo esercitazioni situazionali. Questa capacità spesso è poco sviluppata negli atleti giovani in quanto mancano di “vissuto”, mentre in quelli più anziani è una delle doti più presenti ed è definito in modo semplicistico come “esperienza”.

    La coordinazione oculo-manuale, intesa come la capacità di far funzionare insieme la percezione visiva (cioè la capacità di interpretare le informazioni grazie agli effetti della luce visibile che raggiunge l’occhio) e l’azione delle mani per eseguire compiti di diversa complessità.

    Molti atleti di sport da combattimento, specie nell’ultimo periodo, stanno integrando queste pratiche all’interno della programmazione di allenamento, il synapse training (ossia l’allenamento neuro-cognitivo) inizia ad essere utilizzato in quanto la sua utilità è dimostrata scientificamente, ma il confine con “la moda del momento è spesso labile”. Si possono quindi vedere atleti alle prese con led luminosi che si accendono e spengono random o a comando, ma il loro utilizzo, specie nel mondo sportivo dilettantistico, è complicato a causa degli alti costi delle apparecchiature, eppure sarebbero utilissimi per migliorare il tempo di reazione dei fighter agli stimoli visivi (luminosi in questo caso). La coordinazione oculo-manuale può però essere migliorata facendo del “vuoto” con la palla da tennis elastica attaccata alla fronte, la visione periferica dei “colpi larghi”, come i ganci, può essere migliorata schivando i tubi in gommapiuma mossi dal coach, così come i tempi e la rapidità di reazione possono essere migliorati con la reaction ball, una palla “spigolosa” il cui rimbalzo risulta dunque imprevedibile.

    Conclusioni

    Insomma, abbiamo visto l’importanza di un occhio allenato negli sport da combattimento e come alcune abilità possano essere migliorate, anche senza l’utilizzo di apparecchiature particolari e costose. Molte esercitazioni hanno al loro interno stimoli allenanti per la sport vision, ma non ce ne siamo mai accorti, ora non resta che inserirli all’interno della programmazione con consapevolezza, magari nelle fasi di riscaldamento/defaticamento o nei giorni di scarico, e beneficiare di tutti i miglioramenti che possono derivare da tali esercitazioni.

    Grazie per l’attenzione.

    Articolo di Christian Nicolino
    Laureato in Scienze e Tecniche Avanzate dello Sport
    Preparatore Fisico UIPASC

    Bibliografia

    1 Sport vision: le scienze visive al servizio dello sport; Vittorio Roncagli; 1990; Calderini.
    2 Analysis of information processing, decision making, and visual strategies in complex problem solving sport situations; Ripoll, Kerlirzin, Stein, Reine; 1995; Human Movement Science.

  • Corsa e boxe: correre serve a un pugile?

    Corsa e boxe: correre serve a un pugile?

    “Io corro sulla strada, molto prima di danzare sotto le luci”, questa è solo una delle tanto celebri frasi di Muhammad Ali, che era solito percorrere diversi km di corsa la mattina presto per allenare il fisico, ma anche per temprare la sua anima. Abbiamo tutti negli occhi Rocky che corre inseguito da uno sciame di ragazzini, saltando panchine e sfrecciando sulla scalinata di Philadelphia.

    Introduzione

    A chiunque abbia praticato sport da combattimento sarà capitato di arrivare esausto o non arrivare proprio al termine di una seduta di sparring e sentirsi dire: ”Vai a correre, non hai abbastanza fiato!”.
    Se quindi per quella che possiamo considerare la “vecchia scuola”, la corsa, anche estensiva per lunghe distanze, era da considerarsi uno dei capisaldi della preparazione fisica di un pugile, nella nuova generazione si sta facendo largo l’idea opposta della totale inutilità di tale pratica e di come la parte di conditioning debba essere portata avanti con metodologie diverse.

    Domanda e risposta

    La domanda a cui l’articolo presente cerca di dare una risposta, basandosi sull’evidence based, ma in modo da restare comprensibile a tutti, è quindi la seguente: la corsa serve o meno ad un pugile?
    Per dare una risposta corretta ed esaustiva al quesito bisogna prima analizzare il modello prestativo dello sport a cui si fa riferimento e, di conseguenza, ai sistemi energetici che entrano in gioco. La durata dei round è di 3’ con 1’ di recupero fra essi, il loro numero totale può variare da un minimo di 3 nel dilettantismo ad un massimo di 12 nei match professionistici titolati. All’interno del round stesso si possono alternare fasi di studio (60% aerobico/anaerobico alternato) a fasi di scambio (40% anaerobico lattacido), mentre il minuto di recupero è in condizioni di aerobica.

    Sopra potete osservare il diverso intervento dei sistemi energetici durante la corsa continua su varie distanze (dagli 800 metri alla maratona).1

    Dunque per quanto riguarda la bioenergetica utilizzata “i sistemi energetici dominanti, utilizzati nella boxe, sono quello anaerobico alattacido, anaerobico lattacido e quello aerobico, e l’attività è classificata come misto alternato (aerobico-anaerobico), con prevalenza di fasi anaerobiche” (Bompa, 2001).

    Andiamo a vedere brevemente in cosa consistono i tre sistemi energetici sopracitati per fare chiarezza.

    • Il sistema anaerobico alattaccido è un sistema con una forte disponibilità di energia, ma limitata nel tempo, si esaurisce entro 6-8 secondi, durante i quali non vi è accumulo di acido lattico e non vi è richiesta di ossigeno.
    • Il sistema anaerobico lattacido si attiva dopo i 6-8 secondi, raggiunge il picco entro i 30-45 secondi e si esaurisce in 120 secondi, non necessita di ossigeno ma si verifica un accumulo di acido lattico proporzionale all’intensità dell’esercizio.
    • Il sistema aerobico, infine, entra in gioco per attività di lunga durata, ma bassa intensità, richiede la presenza di ossigeno e sfrutta le riserve muscolari ed epatiche di glicogeno come “carburante”.

    Da questa analisi parrebbe che un lavoro estensivo come la corsa, in cui il sistema energetico preponderante è quello aerobico, a dispetto di un modello prestativo in cui questo sistema energetico ha un ruolo marginale, farebbe pensare che la “nuova generazione” che considera inutile questa pratica possa aver ragione, ma andiamo ad analizzare cosa dice la scienza a riguardo.
    I benefici della corsa estensiva sono molteplici. Quelli che più ci interessano sono principalmente due: il miglioramento dell’efficienza del sistema cardiocircolatorio ed il miglioramento della capacità di ossidazione del sistema muscolare, questi, infatti, permetteranno all’atleta di migliorare la capacità di recupero, abbassare la frequenza cardiaca a riposo, migliorare la capacità e la velocità di smaltimento del lattato. Ne consegue dunque che correre costituisce il metodo migliore e più semplice per incrementare l’efficienza e l’efficacia del sistema aerobico e del suo relativo potenziale di produzione energetica.

    I sistemi energetici anaerobico lattacido e alattacido sono fondamentali, ma non saranno mai al top della loro efficienza, se di base non vi è un solido sistema energetico aerobico. Non si può migliorare
    il cardio, solo con i circuiti, perché sono un metodo ad alta intensità in cui si arriva velocemente a superare la soglia anaerobica con conseguente accumulo di lattato e lo sforzo richiesto è così elevato da non rendere possibile svolgere un lavoro continuativo di durata.
    Correre e perfezionare quindi sistema energetico aerobico, non farà solo essere più performanti a basse intensità, ma anche ad alte intensità, in quanto di riflesso diventerà più efficiente anche il sistema energetico anaerobico lattacido grazie all’innalzamento positivo della soglia anaerobica e la velocità e la capacità di smaltimento del lattato saranno incrementate.2
    In opposizione a questo parere, alcuni giovani preparatori vedono la corsa come “la mortificazione del sistema nervoso” e la ritengono poco utile o addirittura dannosa, “se ho X riprese da 3 minuti, perché devo correre per un’ora consecutiva?”.
    Gli adattamenti cardiaci eccentrici, ossia legati ad un alto volume di lavoro dovuto alla corsa estensiva, sono inversamente proporzionali ad adattamenti concentrici, ossia legati a lavori ad alta intensità, trasformando quindi i pugili in moderni Forrest Gump e fondisti mancati.3
    Da un punto di vista fisiologico muscolare si può notare quali sono gli effetti del lavoro aerobico come la corsa, durante questa pratica si ha un passaggio dalle fibre Fast Twich (FT) più rapide, ma più affaticabili, a fibre Slow Twitch (ST), che presentano una capacità ossidativa maggiore grazie a maggior numero e dimensione dei mitocondri rispetto alle FT. 4
    Di conseguenza questo ultimo elemento è in disaccordo con uno sport in cui potenza e velocità rappresentano qualità fondamentali. Risulta, così evidente che la classica corsa continua di 10-12 km può risultare controproducente durante la preparazione di un match.
    In ossequio all’idea aristotelica del “giusto mezzo”, si può dire che la corsa è utile, ma solo se utilizzata con metodi e modulazioni corrette e programmate. La corsa estensiva potrebbe essere utilizzata in periodi precisi della stagione agonistica, ad esempio all’inizio dell’anno sportivo, nel caso di uno stop per le vacanze, al ritorno da un infortunio o come mantenimento in fasi di scarico. Si parte quindi da metodi estensivi in cui l’obiettivo è il progressivo aumento del volume, mantenendo una frequenza cardiaca moderata (intorno al 60% della FC max) e si proseguirà spostando il focus sull’intensità che aumenterà gradualmente fino a lavori di soglia anaerobica, con una riduzione del volume.

    Conclusioni

    Nella speranza di essere stato abbastanza esaustivo nei contenuti e di facile comprensione nella forma, vi auguro una buona lettura ed una buona corsa programmata!

    I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione.

    Muhammad Ali

    Grazie per l’attenzione.

    Articolo di Christian Nicolino
    Laureato in Scienze e Tecniche Avanzate dello Sport
    Preparatore Fisico UIPASC

    Bibliografia

    1 Prof.ssa Paola Trevisson – Tecnica e didattica dell’atletica leggera (Dispense SUISM, a.a. 2014/2015)
    2 Perché un fighter deve correre anche se non gli serve?; Alain Riccaldi; 14 marzo 2015, projectinvictus.com
    3 Corsa e sport da combattimento: quando proporla?; Fabio Zappitelli; 23 marzo 2019, corebosport.com
    4 I miti degli sport da combattimento; Lorenzo Mosca; 5 marzo 2017; manipulusmosca.com

  • Il vuoto con i pesetti: cosa dice la scienza?

    Il vuoto con i pesetti: cosa dice la scienza?

    Basta guardare la saga di Rocky o entrare in una qualsiasi palestra in cui si praticano sport da combattimento, per vedere i ragazzi praticare la “shadow boxe” o quello che più patriotticamente è conosciuto come “vuoto”, con dei pesetti in mano.

    Introduzione

    Andando a curiosare anche gli allenamenti degli atleti veri, quelli che riempiono i palazzetti, vendono milioni di pay-per-view e possono fregiarsi di cinture mondiali in vita, si può notare come anche loro, a volte siano soliti portare i colpi con dei piccoli sovraccarichi in mano, in quanto il vuoto con i pesi rientra nel vasto insieme dei gesti atletici specifici sovraccaricati. Questi piccoli manubri, solitamente pesano tra 0,5 e 2kg, ma capita di vedere anche carichi maggiori, ma qual è lo scopo di questa pratica? Cosa si spera di ottenere portando i colpi con dei pesi in mano? Il ragionamento che sta alla base è piuttosto semplice, se “mi abituo” a boxare con della zavorra in mano, una volta posati i pesetti ed indossati i guantoni, i miei colpi saranno velocissimi ed il pugno più potente, ma vediamo cosa dice la scienza a riguardo.

    Analisi del gesto

    Se nel nostro paese la preparazione fisica in generale, ma soprattutto negli sport da combattimento, è una tematica relativamente giovane, nell’Est Europa questo è un argomento già consolidato con studi scientifici ad avvalorare qualsiasi tesi. I primi di questi studi vennero effettuati in Russia su lanciatori del disco, del giavellotto e del martello, essi dimostrarono che gli allenamenti fatti utilizzando questi attrezzi specifici di peso superiore, non andavano a determinare nessun effettivo miglioramento sul gesto atletico specifico di gara. L’atleta migliorava la sua performance con l’attrezzo più pesante, ma poi, spesso, peggiorava la performance con l’attrezzo di gara. Quello che tutti questi studi avevano dimostrato era lo sviluppo di uno schema motorio del gesto atletico specifico dello sport di riferimento che risultava simile, ma non effettivamente uguale.1

    Tornando al nostro vuoto con i pesi, sono principalmente due le critiche che vengono mosse a questa pratica:

    • l’alterazione dello schema motorio del colpo, in quanto il vettore di forza del pesetto è verticale, poiché portato in basso dalla gravità, risultando quindi perpendicolare al vettore di forza del pugno che è orizzontale, l’applicazione del sovraccarico, quindi, non è ottimale;
    • la “frenata” del pugno, per non rischiare l’infortunio. Per salvaguardare le articolazioni di gomito e spalla, l’atleta si trova costretto ad arrestare il colpo prima della completa estensione dell’arto. Questo fenomeno è conosciuto come co-contrazione e consiste in una doppia attivazione simultanea del muscolo agonista e dell’antagonista, questa co-attivazione sembra essere una forma di prevenzione del corpo, in quanto la doppia attivazione rende l’articolazione più compressa e protetta.

    Andando ad analizzare nel dettaglio la prima delle due critiche che vengono mosse alla pratica del vuoto con i pesi, possiamo notare come, il sovraccarico, il pesetto in questo caso, determina più o meno volontariamente la modificazione degli angoli della traiettoria del pugno. Il peso forza l’arto a seguire una traiettoria rettilinea, ma direzionata verso il basso a causa delle forze gravitazionali che agiscono sull’arto sovraccaricato. Se mi trovo supino, con due manubri in mano, la forza di gravità spingerà questi gravi verso il basso ed io mi opporrò ad essa spingendo dalla parte opposta, sfruttando il sovraccarico in maniera funzionale. In orizzontale, il manubrio, sarà soggetto ad una forza che lo spinge in basso, e pertanto non rappresenterà un vero e proprio sovraccarico funzionale al mio gesto, poiché il vero sforzo sarà compiuto dalla spalla, al fine di tenere le braccia sollevate. La suddetta articolazione si troverà notevolmente stressata a causa della leva molto svantaggiosa che si viene a creare, rendendo l’esercizio non solo inutile, ma anche potenzialmente dannoso a causa degli stress articolari accentuati. Il rischio a cui si va incontro è quindi quello di una modificazione, più o meno sostanziale, di quello che è lo schema motorio del pugno.

    La seconda critica che viene mossa è, invece, la mancata estensione totale dell’arto al fine di salvaguardare le articolazioni da possibili infortuni. Questo fenomeno, come detto, è conosciuto come co-contrazione ed è una situazione neurologica dove sia l’agonista che l’antagonista si contraggono nello stesso momento, normalmente, invece, in un unico movimento articolare, un muscolo antagonista è inibito per consentire ad un muscolo agonista di funzionare fluentemente; questo processo è chiamato inibizione reciproca. In realtà, parlare di muscoli agonisti e antagonisti non è più sufficiente per spiegare un gesto muscolare, in quanto il corpo non attiva le catene muscolari su questo principio, ma le attiva a seconda delle proprie necessità del movimento che vuole compiere. Dai test kinesiologici effettuati sembra che le aree coinvolte nella co-attivazione siano il Cervelletto, l’Area Integrativa Comune e l’incapacità dell’emisfero sinistro nel mantenere la consequenzialità del gesto e dell’emisfero destro di mantenere un’armonia del movimento. La macchina umana, lavorando a ritmi sostenuti per velocizzare il movimento, mantiene parte delle fibre muscolari (sia agoniste che antagoniste) contratte, in questo modo il cervello pensa di essere più veloce nel compiere il gesto, ma in realtà la persona perde di velocità, in quanto il gesto è “frenato” dal muscolo opposto contratto e consuma più energia per mantenere l’ipertonicità di entrambi i muscoli. Un’altra circostanza in cui avviene questa co-contrazione è con atleti neofiti o quando si richiede ad un atleta esperto un movimento non ancora ben conosciuto e meccanizzato. Più si diventa esperti di un movimento e più il Sistema Nervoso capisce che sta lavorando in sicurezza ed attiva meno la co-contrazione, più l’apprendimento motorio diventa perfettamente sincronizzato in ogni passaggio e maggiore sarà la sensazione dell’atleta di essere nel “flow”, nella performance ottimale.2 Meno si è esperti e più il corpo fa fatica e si contrae, attivando anche muscoli non necessari. Il corpo umano preferisce rendere stabili le articolazioni, anche a costo di sprecare energie in movimenti non ottimizzati, piuttosto che rischiare di esporre le articolazioni a stimoli che si potrebbero rivelare eccessivi.

    Dopo aver visto le critiche che vengono mosse a questa pratica, non si vuole demonizzarla, ma semplicemente valutarne il fine per la quale la si pratica. Si crede che questo esercizio possa essere specifico per migliorare la rapidità e la potenza dei colpi, quando invece il vuoto con i pesetti permette di andare a lavorare sulla Forza Resistente Locale dei muscoli chiamati in causa per tenere alta la guardia come spalle e trapezi. Esiste una massima relativa alla preparazione fisica negli Sport da Combattimento che dice “la Forza in sala pesi e la Resistenza sul ring”, essa è valida anche in questo caso, la forza resistente delle spalle, infatti, può essere allenata in maniera più specifica che con i pesetti, ad esempio, con delle ripetute al sacco. Un’altra valida alternativa potrebbe essere quella di utilizzare nel vuoto e nelle ripetute al sacco dei guanti di una pezzatura maggiore rispetto a quelli di gara, il guantone essendo parte integrante del gesto atletico specifico non ne altera lo schema motorio, esso rappresenta un sovraccarico naturale, abitua a lavorare con le stesse dinamiche del match ufficiale, permettendo di non andare a modificare in negativo il timing caratteristico dei pugni.

    Finora si è visto qual è la reale utilità della pratica della boxe a vuoto con i pesetti, si è visto quali sono le alternative per migliorare la forza resistente locale, ma resta il quesito principale per il quale questi pesetti erano stati utilizzati, cioè rendere i colpi più rapidi e potenti. La Forza Esplosiva del colpo si può allenare, migliorando la Forza Massimale generale e trasformandola in Forza Specifica tramite l’impiego di esercizi SPE (Specialized Preparatory Exercises) come i lanci della palla medica. Questo attrezzo è tipico delle esercitazioni di tipo balistico, che non prevedono una fase di frenata del colpo, andando ad avere un “transfer” positivo nello schema motorio specifico del colpo.

    Conclusioni

    Per concludere, possiamo dire che il vuoto con i pesetti può essere una buona pratica per il miglioramento della forza resistenza locale, ma, a causa dell’alterazione dello schema motorio e l’alto rischio di infortuni, ci sono altre metodologie più specifiche ed adatte a tale scopo. L’apparente velocità acquistata quando si ritorna a fare vuoto senza pesetti non è un reale beneficio, ma solamente un’errata percezione neuromuscolare.

    Articolo di Christian Nicolino
    Laureato in Scienze e Tecniche Avanzate dello Sport
    Preparatore Fisico UIPASC

    Bibliografia

    1Utilizzare i pesetti per aumentare la velocità delle tecniche di pugno serve realmente al praticante di SDC?”; Alain Riccaldi; 3 Marzo 2014; projectinvictus.it
    2Co-attivazione muscolare e kinesiologia specializzata”; Silvano Schiochet; kinesiologiaspecializzata.it